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Autore: Charles and Paul    26/04/2016    1 recensioni
Febe Parker non sapeva di essere una semidivinità. Credeva che mostri, serpenti piumati e dei con piccoli problemi di altezza fossero solo leggende. Ma la sua vita verrà stravolta quando scoprirà che gli dei aztechi esistono ancora. Un’ardua impresa l’aspetta: recuperare lo specchio di Tezcatlipoca per salvare il Campo Aztlán ed i suoi amici. Ma temibili mostri si nascondono nell’ombra, e forze oscure stanno per risorgere.
Se credevate che esistessero solo divinità greche e romane, questa storia vi farà cambiare idea.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Viaggio insieme ad un gruppo di squinternati
 
Mia madre continuava a correre trascinandomi fuori per le stradine del quartiere in cui vivevamo io e Nacho.
Ignacio spuntò fuori da un vicolo con appresso sua madre Consuela, che non faceva altro che baciargli la fronte e piangere, singhiozzando frasi del tipo “Recuerde que debe cepillarse los dientes”, oppure: “No te mueras, te recomiendo!”.
Nacho aveva a tracollo solo un vecchio borsone da ginnastica. Dietro di me, dei bidoni della spazzatura volarono per aria.
– Consuela! – Urlò mia madre. – Porta i ragazzi al sicuro! Ad Ahuitzotl ci penso io! –
Consuela esitò. – Va’! – Urlò nuovamente mia madre. La madre di Nacho mi afferrò per un braccio.
– Mamma! – Urlai.
– Tua madre starà bene, – Disse Consuela con un forte accento spagnolo. – Ci penso io a coprirla. Nacho, prendi l’autobus e corri più veloce che puoi. – Nacho sembrò protestare, ma fu per una breve frazione di secondo. Poi afferrò saldamente la mia mano e scappammo.

Non mi sentivo più le mani. I piedi mi bruciavano ed Ignacio si era offerto di portare le mie valigie, ma io avevo rifiutato. – Amico, dove stiamo andando?
– Non ne ho idea, Febe.
– Grandioso. – Ci fu un breve silenzio. – Amico? –
– Sì, Febe?
– Ti ricordi quando avevo detto che mia madre a volte mi faceva così arrabbiare che avrei voluto che Bobo le staccasse la testa a morsi? – Nacho annuì. – Beh, dovrei stare più attenta a quello che dico, se non voglio che il Karma mi si ritorca contro. –
Ignacio sospirò rassegnato. Poi mi propose di fermarci per qualche minuto, si avvicinò a me e mi offrì una bottiglietta d’acqua di plastica della Water Production. Io e Nacho ci guardammo negli occhi, e con un sorrisetto furbo cantammo il motto della Water Production:
Bevi acqua fresca in quantità, la Water Production, la migliore in città!
Scoppiammo in una fragorosa risata. Quel motto era veramente stupido, ed ancor più stupido era il tizio che la sponsorizzava: un uomo sulla cinquantina con la pelle caramellata dalle troppe lampade, i capelli impomatati ed un sorriso talmente finto che gareggiava con il mio durante le foto dell’annuario scolastico. – Quel tizio è un completo idiota, – Disse Nacho, sedendosi accanto a me sul bordo del marciapiede.
– Senti, Nacho, mi dispiace per… non averti creduto, prima. – Ignacio mi dette un buffetto sul naso.
– Tutti si comportano in quel modo, all’inizio. –
Ed iniziò a spiegare.
A spiegare di cosa, vi starete chiedendo: spiegò che gli dei aztechi esistono tutt’ora, e che a volte possono unirsi a mortali per generare semidei.
Il suo vero padre non era Camil, l’insegnante di yoga/terapeuta/specializzato in erbe curative/hippie, bensì il dio Camaxtli, il dio del… del tutto, praticamente. Della caccia, del fuoco, della guerra e del fato. Mi aveva anche detto che mio padre era una divinità.
Ero molto confusa sebbene mia madre mi avesse fatto un discorso simile. – Non ti preoccupare, Febe, – Continuò Nacho, – quando arriveremo al campo Aztlán tutto ti sarà più chiaro. –
Alzai lo sguardo al cielo. Il sole batteva molto forte, ed intorno alle nostre teste, su, molto in alto, volava un'aquila. Solo allora, notai che c’eravamo fermati proprio davanti ad una fermata del bus. Accanto a noi, c’era un cartello con su scritto: “Fermata dell’autobus 23: prossime fermate: Montgomery – Orange Beach – Selma – Anniston – Fairhope – Opelika – Campo Aztlán”.
Aspettate un momento... cosa?
Sul cartello della fermata, si posò uno strano uccello. Era un incrocio fra un pappagallo ed una pulcinella di mare. Il becco era piccolo e giallo. Il suo corpo era tozzo e goffo, ostacolato da tutto quel piumaggio bianco. Sul petto aveva una macchia gialla, mentre le zampe erano inglobate nel piumaggio. Non avevo mai visto un uccello simile. Il volatile mi guardò con i suoi occhietti lucidi e penetranti, arruffò le penne ed emise uno strillo raccapricciante: un incrocio tra un ragazzino obeso che si sta soffocando con una polpetta e un vecchietto con la broncopolmonite. Nacho gli lanciò una pietra e il volatile cadde a terra come morto, ma dopo qualche secondo si rialzò come se non fosse successo niente e continuò a guardarmi insistentemente. Mi voltai bruscamente verso Ignacio con uno sguardo interrogativo, che mi dava un po' l'aria da scimmia. Il pennuto aprì il mio zaino che giaceva per terra in cerca di cibo, supposi. Ignacio urlò: – NO! Cattivo Mambo! E lo cacciò correndo nella sua direzione.
All’improvviso si sentì un rumore di freni; scostai lo sguardo verso la mia sinistra e rividi quel maledetto autobus. Le porte si aprirono e dietro una nube di vapore turchese si stagliava una figura minacciosa. Indietreggiai.
Quando la nube scomparve completamente, vidi solo un ragazzo. Aveva dei capelli neri scompigliati, occhi leggermente a mandorla e verdi scuri. La sua faccia era gioviale come quella di un bambino, con un sorriso stampato in faccia; le lunghe dita affusolate erano serrate sul volante, madido di sudore. Indossava una stupida divisa da caposcout, con tanto di uno stupido cappello a falde larghe da caposcout. Sopra la sua divisa, in un nastro erano appese più di 1500 spille. Odorava di un acre odore di dopobarba ed aghi di pino. – Ciao, ragazzi! – Proferì. – Bentornato, Nacho! Benvenuta, Feb… – Un bambino probabilmente di dodici anni con visibili problemi di peso e con indosso un cappello da capo indiano, premette con le sue dita cicciotte e odoranti di salsicce il clacson. BEEP.
– Benvenuti al… – BEEP. – Benvenuti a… – BEEP. RUSSELL PER L’AMOR DEL CIELO, SMETTILA! – Il ragazzo sospirò. – Benvenuti nel Blue Bee, ragazzi. Nacho, porta le valigie di Febe dentro. –
Lo guardai insistentemente. – Ci conosciamo? –
Non avevo mai visto quel tizio, eppure sapeva il mio nome. – Oh, ma che maleducato – Farneticò togliendosi il cappello, – non mi sono presentato. Il mio nome è Lawrence Shakusky, caposcout del Campo Aztlán. Bene, è il momento che io ti spieghi le 101 regole del funzionamento del campo! – Nel frattempo, Nacho era tornato stracarico di valigie e si stava facendo largo a spintoni. Lawrence, invece, era partito, continuando a blaterare. – Beh, devi sapere che la nostra prima regola… mentre la seconda… la terza invece è già meglio… oh ma dovresti sentire la quarta!...
– Ehi, baby! Ti conviene dartela a gambe, piuttosto che sentire quelle inutili regole. Credimi, nessuno è mai riuscito ad ascoltarle tutte senza addormentarsi, tranne forse Godiva Wells… È sempre stata una ragazza un po’ strana… – Mi voltai sbuffando – e mamma mia, vidi il ragazzo più bello che avessi mai visto… assomigliava terribilmente a Nacho, ma era una versione di Nacho migliore! I suoi capelli erano lunghi quanto quelli di Nacho, ma tenuti incredibilmente meglio. Portava uno shatush biondo. La sua faccia era leggermente ustionata dal sole; indossava una maglietta con la scritta “Santa Monica Bay”, e dei bermuda rossi con fiori bianchi. Aveva una gamba sopra il sedile, il braccio destro appoggiato al ginocchio, mentre l’altro stringeva una tavola da surf. Quel ragazzo era… era… bello come un dio greco! – Ehi, ciao. – Ammiccò. – Mi chiamo Marcelo. Marcelo Garcia.
– Io mi chiamo… Fe… F… Feb…
FEBE, HO TROVATO DEI POSTI! – Urlò Nacho in lontananza. Sobbalzai.
– Uh, uhm, ciao. – E girai sui tacchi rigida ed impacciata, convinta ogni secondo che passava che le mie guance fossero rosse come due pomodori. Nacho stava agitando freneticamente le braccia, così non notai che qualcuno aveva sporto la gamba fuori dal suo posto, ed io finii sdraiata sul pavimento del bus, con la faccia schiacciata a terra come quella di un carlino.
– Chi non muore si rivede, moscerino.
– Ping-Mei – Ringhiai.
– Benvenuta sul mio autobus, mocciosa. – Accanto a lei una ragazza tremendamente bassa e con in braccio un fucile a pallini ed indosso una tuta mimetica con macchie fosforescenti e rosa rideva. – Ti renderò quest’estate la peggiore di tutte, Parker. Ho visto che là in fondo c’è ancora un posto libero, accanto a quell’idiota di Ignacio nell’angolo degli sfigati! – Mentre sibilava la parola “idiota”, emise un fischio: solo allora notai che c’era una rilevante sporgenza fra i due incisivi centrali superiori.
– Tu, stupida… – Ping-Mei divenne rossa di rabbia. Stavo per sferrarle un pugno dritto dritto su quel suo ghigno ipocrita, quando una ragazzina tutta pelle e ossa mi fermò il braccio. Puzzava di fermenti lattici ed ossido di carbonio, come se si fosse fatta una doccia dentro degli agenti chimici. Portava spesse lenti a fondo di bottiglia, i capelli erano ricci e crespi ed erano di un color rosso pel di carota, strinti in due massicce trecce; la faccia era intrisa di lentiggini. Aveva i denti da castoro ed indossava vestiti da hippie nomade, con una bandana psichedelica legata sulla testa.
– Andiamo, andiamo, andiamo – Farneticò la ragazza, trascinandomi accanto ad Ignacio; poi mi strinse la mano energicamente. – Il mio nome è Godiva Wells, ho tredici anni, mi piacciono i cavalli, la scienza e Law and order, e questo è tutto. Lui è Steve – Disse indicando un ragazzino con indosso un busto di ferro ed un apparecchio a baffo. – Steve Dumont. – Poi mi sussurrò all’orecchio, – Non parla molto, non credo che sappia l’inglese; viene direttamente dalla Francia! –
Ad un certo punto sentii delle mani appiccicaticce chiudermi gli occhi. – I tuoi capelli somigliano ad un confetto – Sussurrò una voce inquietante; dopo aver detto ciò, mi leccò la testa. Rabbrividii. Godiva gli diede uno schiaffo; era stato lo stesso bambino di prima, Russell. – Ahi, mi hai fatto male.
– Smettila di importunare i nuovi arrivati!
– Ma ho tanta fame, ed ho finito le mie scorte di cibo! – Prese una manciata di spaghetti dalla tasca e se li ficcò in bocca.
– Sei disgustoso, Russell! – Piagnucolò Ignacio. – Ehi, per caso nelle tasche hai dei nachos?
– Con o senza chili?
– Con, ovvio. – Russell frugò dentro le sue mutande e tirò fuori una bottiglietta di chili.
– Ma che schifo! – Dicemmo in coro io e Godiva.
Mon Dieu! – Disse Steve.
– Sei un animale, Russell! Ma non lasciarti intimorire, la regola 26… – Continuò Lawrence in lontananza mentre era alla guida.
Nacho se ne fregò altamente, prese i Nachos di Russell, ci spalmò sopra un po’ di chili e li ingurgitò. Ero sul punto di vomitare.
Sfortunatamente, Steve mi precedette. E mi vomitò addosso.

Il bus si fermò davanti ad una grande insegna fatta di tronchetti di legno, con su scritto “Campo Aztlán”. Tutti presero i loro bagagli ed in una cacofonia di suoni uscirono dall’autobus. Entrarono dentro il campo, e si dispersero velocemente. Come tutto quel rumore era iniziato, ben presto tutti i membri scomparvero chissà dove. Il sole era un po’ calato, e nell’aria c’era una dolce brezza estiva. All’improvviso, sentii un fruscio di foglie e di sassi che si spostavano.
Qualcosa di molto grande e molto pesante si stava avvicinando. Mi misi subito in allerta.
Credetemi, non sono un genio della sopravvivenza, ma ehi, so riconoscere un pericolo quando lo sento. Mi girai. Fu un attimo.
Davanti a me, un enorme serpente rosa dalle piume multicolore oscurava il sole; era così grande che non avrei saputo dirvi quanto fosse lungo. Poteva essere lungo quando un chilometro o forse anche di più; il suo busto era della larghezza di un baobab. La sua lingua sibilò. Rimasi impietrita dal terrore.
Ho sempre odiato i serpenti, e converrete con me che non ho tutti i torti.
Il mostro fece sibilare nuovamente la lingua; i suoi occhi gialli, grossi quanto palle da calcio, erano come due gocce ambrate, fisse su di me.
Benvenuta al Campo Aztlán, Febe.

Nota a fondo capitolo
Charlie: Era un mostro? Era un dio?
Poly: ERA UN ANGELO!!!!!!!!!!!!
-Il duo dei perdenti
 
 
   
 
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