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Autore: Morgana89Black    08/05/2016    0 recensioni
Severus Piton accetta di tornare a fare la spia per Silente. Va dal Signore Oscuro per riconquistare la sua fiducia. Cosa accadrebbe se dopo questi fatti qualcuno dal passato tornasse nella sua vita?
Dal primo capitolo:
Un lampo di luce ed un taglio poco profondo, ma doloroso si apre sul mio viso, sento il sangue sgorgare lentamente. Al primo se ne aggiungono altri, su ogni parte del mio corpo: gambe, braccia, petto. Non sono così profondi da uccidermi, ma lo sono abbastanza per torturarmi.
Dal quarto capitolo:
Non riuscivo ad evitarmi di tornare regolarmente ad osservare la sua figura armoniosa dalla quale, nonostante tutto, mi sentivo attratto. La contemplai a lungo mentre, sicura di sé, con gesti precisi e misurati portava a compimento una delle pozioni più complicate con cui una ragazza della sua età poteva venire a contatto.
Dal settimo capitolo:
"Sei ubriaco, Severus! Solo per questo ti dirò quel che sto per dirti: in un altro mondo, forse, ti avrei concesso almeno una notte con me", sorrideva placidamente mentre pronunciava quelle parole.
Dall'ottavo capitolo:
Lei non risponde, mi volta le spalle. Sta tremando, è evidente. Ed io non so cosa fare. Se ora l'avvicinassi mi respingerebbe...
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Black, Famiglia Malfoy, Narcissa Malfoy, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Draco/Astoria, Lily/Severus, Lucius/Narcissa, Lucius/Severus, Severus/Narcissa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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In balia di te.

Sento dolore ovunque, sono indolenzito e sofferente. Ma non è questo ad avermi svegliato. Riesco a fatica a comprendere che qualcuno o qualcosa mi sta bagnando le labbra e che è stato questo gesto a destarmi dal mio stato di incoscienza. Mi rendo conto che sono assetato, come se non bevessi da settimane, ma è solo con enorme forza di volontà che schiudo le labbra per accogliere qualche salvifica goccia d'acqua. Anche deglutire mi causa dolore e non appena il liquido raggiunge la mia gola mi rendo conto che non si tratta affatto di acqua. Ha un sapore amaro e disgustoso. È una pozione, ma sono troppo frastornato per comprendere quale. Devo aprire gli occhi, capire cosa mi sta accadendo intorno, ma proprio non ci riesco.

Cerco di concentrarmi su ciò che mi circonda e, soprattutto, su quanto accaduto. Dolorose le immagini dell'incontro col Signore Oscuro si presentano nella mia mente. Ed ancor più doloso mi investe il ricordo di due profondi occhi blu, blu come il mare in tempesta d'inverno. La mia mente spossata riesce a formulare un solo pensiero razionale: devo aprire gli occhi.

Mai gesto in vita mia mi è sembrato così difficile. Eppure lo compio ogni mattina appena sveglio, non dovrei trovarlo tanto difficoltoso. Non appena le mie palpebre cominciano a sollevarsi la luce che illumina la stanza mi colpisce ferendomi gli occhi e sono costretto a richiudermi. Un rumore mi avvisa che il mio tentativo, molto probabilmente non è passato inosservato, infatti quando mi arrischio a riprovare mi rendo conto che le tende della mia camera da letto sono state accostate ed ora la stanza si trova in penombra. Mi volto leggermente verso desta e incontro di nuovo quelli occhi e, questa volta, riesco a scorgere anche il viso del loro possessore. Bella. Riesco a pensare solo questo: è bella, come l'ultima volta che l'ho vista. Quanto tempo è passato da quando ho potuto posare per l'ultima volta i miei occhi sul suo viso perfetto? Era dodici anni che non potevo bearmi della dolcezza dei suoi lineamenti perfetti.

"Non sei cambiata di una virgola", pronunciare queste poche parole mi costringe a tossire, la gola riarsa dalla mancanza di liquidi. Il dolore che questi pochi gesti mi provocano mi ricorda cosa ho dovuto subire solo poche ore fa. Sempre che siano passate veramente solo poche ore da quando sono entrato in casa mia.

"Per quanto tempo sono rimasto incoscente?", mi sforzo di pronunciare ancora qualche suono, non senza soffrire.

"Sei rimasto incosciente per più di ventiquattro ore, Severus", il mio sguardo dev'essere veramente confuso e preoccupato, perché lei precede ogni mia domanda fermandola sul nascere, "mi sono permessa di inviare un gufo ad Albus Silente – non da qui, mi sono recata a Diagon Alley mentre tu riposavi – per avvisarlo che ti saresti preso qualche giorno di riposo e che non eri solo a casa. Non ho firmato la missiva, tranquillo. Nessuno sa che ci sono io qui".

Continuo a guardarla, beandomi della sua presenza, come un naufrago che avvista la terraferma dopo giorni di infinita disperazione trascorsi in mare.

"Eri in condizioni disastrose, Severus. Ho curato le tue ferite. Non ti rimarranno cicatrici, erano tutti tagli superficiali. Ma hai perso molto sangue e ti ho preparato una pozione rimpolpasangue, che dovresti assumere", mentre parla ha preso un calice dalla scrivania, su cui vedo appoggiato il mio paiolo ed alcuni ingredienti, ed ora me lo sta porgendo aiutandomi ad assumere la mia medicina. Vorrei dirle che lei è l'unica pozione che mi serve, ma temo che scoppierebbe a ridere, d'altronde non sarebbe da me affermare certe cose. Quando la sua mano si posa sulla mia nuca non posso evitare che un fremito attraversi tutto il mio corpo. Bevo come se ne andasse della sopravvivenza della mia anima, sapendo che solo al termine la sua mano si sposterà dal mio collo, quando in realtà l'unica cosa che voglio è che lei non interrompa quel contatto con la mia pelle. "Hai ancora molti lividi su tutto il corpo. Deve averti torturato per ore", pronuncia queste parole con calma, come se stesse parlando del tempo. Non chiede nulla, lei sa già tutto. Non ha bisogno di spiegazioni.

"Lo ha fatto", rispondo, anche se so che non serve che lo faccia. Voglio solo continuare a parlare con lei. Voglio continuare a sentire la sua voce. "Come sei entrata?".

"Sono un'ottima strega. Lo hai dimenticato?".

La scruto per qualche secondo, indeciso e titubante, ma alla fine mi impongo di porle la domanda che, so, lei sta aspettando "Perché sei qui, Cassandra?".

Quando pronuncio il suo nome sussulta, come se non se l'aspettasse. Mi fissa con occhi persi e, quando ormai pensavo che non avrebbe risposto, parla, con voce piatta "sapevo che stava succedendo qualcosa e quando, ieri sera Silente ha avvisato la professoressa Alexandrovna che il Preside Karkaroff era sparito, lei è venuta da me per chiedermi di venire in Inghilterra, al fine di aiutare i nostri studenti a ritornare a Durmstrang. Non ci ho messo molto a capire. Sapevo che lui era un mangiamorte e che se è scappato lo ha fatto per un motivo".

"Non ti ho chiesto perché sei in Inghilterra", puntualizzo quando mi accorgo che non intende continuare. Mi comporto come un bambino imbronciato, me ne rendo conto.

"Cosa vuoi che ti dica?", mi guarda, ostentando una sicurezza che nessuno di noi prova in questo momento.

"Non so cosa vorrei che tu dica, Cassandra. Forse la verità", rispondo distogliendo lo sguardo. Sono debole e me ne vergogno, ma non posso continuare a perdermi nei suoi occhi.

"Ho mandato una seconda lettera a Silente. Ieri pomeriggio. Per avvisarlo che sarei arrivata da Durmstrang domani sera, ma se non vuoi che resti qui posso andar via oggi stesso", non capisco se sia arrabbiata o se il suo sia un tentativo di farmi dire qualcosa. Non sono mai riuscito a scorgere nel suo viso ogni suo sentimento. È abile a celare al mondo i suoi pensieri, non solo perché è un occlumante naturale, ma anche per il tipo di educazione che ha ricevuto. Fredda e glaciale. È questo che pensa di lei chiunque si soffermi alla sola apparenza.

"Non voglio tu vada via", sento le mie guance scaldarsi pericolosamente, mentre queste poche parole escono dalla mia bocca, senza che io riesca a fermarle. Me ne vergogno, è lei lo sa. Non perché non siano vere, ma perché pronunciarle mi fa sentire debole. Lei mi fa sentire debole. L'ha sempre fatto. E non solo, mi fa anche sentire inferiore, inadeguato e... eccitato. No. Eccitato non lo devo neanche pensare. Morgana! Non posso pensare a cosa si nasconde sotto quella sua tunica rosso sangue. Non ora, mentre sono costretto in un letto, accudito da lei.

Come se questo pensiero mi abbia risvegliato dal torpore in cui mi trovavo sino a pochi attimi fa, mi rendo conto vividamente del fatto che sotto al lenzuolo di seta verde sono nudo. Perché sono nudo?

"Dove sono i miei vestiti?", riesco a balbettare in evidente imbarazzo. Merlino! Non sono più un ragazzino, come posso comportarmi come un adolescente in preda agli ormoni, solo perché lei è nella mia stessa stanza.

"Ho dovuto spogliarti per curare le tue ferite", mi risponde con la sua calma serafica. Quando si comporta così vorrei scuoterla, per vedere se al suo interno davvero si cela un cuore o se semplicemente ne è priva come appare.

"Andrò via domattina. Starò sicuramente meglio ed, in ogni caso, penso sia meglio non arrivare ad Hogwarts insieme", il mio tentativo di cambiare argomento è così debole, che mi chiedo come ho fatto, solo poche ore fa, a sopravvivere a Lord Voldemort, se non so neanche controllarmi e darmi un contegno dignitoso con lei dinanzi.

I miei pensieri vengono interrotti bruscamente da un movimento alla mia destra. Posso immaginare i miei occhi sgranati per la sorpresa, mentre osservo quasi ipnotizzato, le lunghe dita affusolate di Cassandra sbottonare con studiata lentezza i bottoni della sua tunica porpora. Sembra quasi chiedermi il permesso di proseguire o, per lo meno, intenzionata a concedermi la possibilità di fermarla.

Vorrei parlare, ma non ci riesco. La mia salivazione è ormai azzerata. Le mie guance si tingono ancor più di rosso quando con un gesto elegante e raffinato fa cadere la tunica ai propri piedi. Riuscirebbe a far sembrare regale anche il gesto più volgare. Continuo a fissare, ipnotizzato, il suo corpo, fasciato in un completo intimo in pizzo blu royal. Non poteva indossare nulla di più adatto. Persino il nome del colore dei suoi indumenti mi ricorda quanto io sia inadeguato di fronte a lei, così regale, così eterea, così irragiungibile.

"Non posso...", vorrei dirle perché non sono degno di contemplare il suo corpo perfetto e di ragioni, ne sono certo, potrei elencarne milioni. Peccato che ora non me ne venga in mente neanche una. O meglio, le poche che passano per la mia mente mi sembrano così deboli, così insulse. "Non sono tuo marito", stupido! Ecco cosa sono, uno stupido! Fra tutte le cose che potevo dire, proprio questa.

"So bene che non sei mio marito. Lui era biondo ed è morto due anni fa", non prima di averti fatto generare un erede, vorrei aggiungere, ma mi mordo la lingua appena in tempo. Avrei dovuto stare zitto e non ricordarle la morte di suo marito, mentre è praticamente nuda vanti a me.

Nuda davanti a me. Mentre realizzo ciò, la mia mente si perde nel ricordo dell'unica altra volta in cui mi sono trovato in una situazione simile con lei.

 

Alzai gli occhi dal libro che stavo leggendo, perché qualcuno stava bussando insistentemente alla porta di casa mia. Stizzito mi diressi verso l'uscio. "Professor Silente, sono appena cominciate le vacanze estive, quale emerg...", mi bloccai nel bel mezzo del discorso e mi si seccò la bocca all'istante. Non era Albus Silente l'uomo che si trovava dinanzi a me. Non era un uomo a dir la verità. Mentre realizzai quest'evidente circostanza, lei entrò nella mia dimora, senza preoccuparsi di essere invitata a farlo. D'altronde quando mai lei si preoccupava di aspettare che le si permettesse di fare qualcosa. Il mondo era sua, o per lo meno, questo le era stato insegnato.

Chiusi la porta alle sue spalle e la segui verso il soggiorno. Se non avessi saputo che quella era casa mia avrei pensato di essere io l'ospite. Dovevo dire qualcosa, ma non mi veniva in mente nulla di sensato. "Vado a prendere del vino elfico", riuscii infine a pronunciare queste poche parole e mi voltai per andare in cucina. La verità era che avrei potuto appellare la bottiglia ed i bicchieri, ma avevo la necessità di allontanarmi da quella donna. Ci misi molto più del tempo necessario, nel tentativo inutile di dare un senso alla sua visita.

Tornato nel salotto con bottiglia e bicchieri rimasi paralizzato alla vista del suo corpo, coperto solamente da un completo intimo in pizzo verde scuro, molto elegante e decisamente sensuale. Sedeva mollemente sulla mia poltrona col libro che stavo leggendo in mano. Quando entrai le sue sopracciglia si alzarono pericolosamente, come a volermi sfidare a dire qualcosa.

 

Ricordo ancora ogni particolare: la bottiglia che cade e si rompe, la pozza di vino che si espande sul pavimento, lei che si alza dalla sedia ed io che, dimenticando totalmente il buon senso, mi avvento sul suo corpo come un affamato su un banchetto.

Mentre rammento i dettagli di quella prima volta insieme, una morsa si stringe intorno al mio cuore, al pensiero di cos'è accaduto dopo.

 

Eravamo stesi sul mio letto, lei con la testa accoccolata sul mio addome ed io con la mano che percorreva dolcemente la sua schiena dal basso verso l'alto e viceversa. Non mi ero mai sentito così bene in vita mia, soprattutto non negli ultimi anni della mia vita. Nulla aveva importanza in quella stanza per me. Per la prima volta in tutta la mia esistenza non sentivo più il peso dei miei errori premermi sulle spalle. Se non felice, sicuramente ero sereno.

Una parte di me mi diceva che tutto ciò non poteva essere reale e non poteva durare a lungo. Lei era troppo per uno come me. Parlammo tutta notte. Ed io le raccontai tutta la mia vita, tutti i miei sbagli. Non sapevo dove stavo trovando la forza di farlo; sentivo solo che di lei potevo fidarmi incondizionatamente ed avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. Mi addormentai solo verso le quattro del mattino, con la consapevolezza che lei sapeva tutto di me. Ogni cosa.

Quando mi svegliai non la trovai nel mio letto e, per un secondo, immaginai che fosse semplicemente in un altra stanza. La mia illusione durò solo finché non individua un foglio di pergamena sul mio comodino. Lo presi con mano tremante e vi lessi poche parole, sufficienti a spezzarmi il cuore: "Probabilmente quando ti sveglierai sarò già sposata. Non mi sono pentita di questa notte con te. È stato come vivere la vita di un'altra donna. Grazie di avermi donato il tuo cuore, ne avrò cura. Spero che un giorno potrai perdonarmi. Ti rammenterò per sempre".

Rimasi sdraiato su quel letto per ore, senza trovare la forza di muovermi.

 

Ricordo solo vagamente i momenti successivi di quella giornata. So che ad un certo punto riuscii ad alzarmi dal letto e che quando mi diressi in cucina per mangiare qualcosa e vi trovai la Gazzetta del Profeta del giorno desiderai non essermi mai svegliato. In prima pagina c'era la sua foto, di fianco a quella del fidanzato (ormai marito). Il giornalista annunciava al mondo magico che quella mattina si sarebbe tenuto il matrimonio dell'anno. A me sembrava che stesse annunciando la fine della mia vita. Di nuovo.

Conservo ancora quella pagina di giornale.

   
 
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