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Autore: B_A_U    18/05/2016    0 recensioni
Sua madre accostò la macchina al cancello del moderno edificio del liceo e le augurò una “buona giornata”. Sarebbe stata di tutto fuorché buona.
Alex è diversa dagli altri adolescenti, sia come aspetto fisico sia come carattere (è "acida, scontrosa e quasi misantropa"). Con una madre che disprezza e i compagni che la bullizzano, vive superando continuamente ostacoli e situazioni difficili. Questa è la sua storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ed è in certi sguardi
  che s’intravede  l’infinito
  -Franco Battiato, “Tutto l’universo obbedisce all’amore”
 
“Stupidi bigotti” era solo uno dei tanti soprannomi che Alex affibbiava ai suoi coetanei.

Spesso li paragonava alle bambole cinesi fatte in serie, tutte uguali. Ovunque si voltasse, vedeva le stesse scarpe o le stesse costose giacche che più erano brutte e più “andavano di moda”.

Altro che Cristianesimo, la Moda stava diventando la nuova religione.

La cosa che dispiaceva più ad Alex, però, era trovare gli stessi identici gusti (dal cibo alla musica) e lo stesso modo di pensare in tutti i ragazzi che incontrava, nessuno, tra le persone che conosceva, aveva un minimo di personalità e originalità.

Erano tutti così noiosi e prevedibili.

Era proprio a causa di questo estremo conformismo che lei veniva esclusa e schernita. Non solo lei si rifiutava di unirsi alla massa, ma anche volendo non avrebbe mai potuto farlo, la sua diversità ce l’aveva fin nel DNA.

Aveva gli occhi di colori diversi. Un occhio verde e uno azzurro, segni indelebili che l’avevano segnata fin dalle elementari. Il brutto, anzi pessimo carattere era solo una conseguenza dovuta ai bulli che la tormentavano fin da piccola e alla mancanza di autostima: all’apparenza era acida, scontrosa e quasi misantropa. L’unica persona che la conoscesse davvero era Viola, la sua unica amica, che un anno prima si era trasferita in Sicilia a più di mille chilometri da lei. Con la sua amica Alex diventava una persona completamente diversa, quasi socievole e a tratti felice.

Immersa nei suoi pensieri, camminava distrattamente verso la sua classe, quando notò quattro ragazzi che ridacchiavano indicandola. Arrossendo violentemente, Alex abbassò la testa coprendosi il viso con i capelli e si affrettò verso la classe.
Quando entrò, la lezione era già iniziata e tutti si voltarono a guardarla. L’insegnante, un ragazzo poco più grande dei suoi studenti dai folti capelli castani, le domandò spazientito se avesse portato la giustificazione per il ritardo e, alla negazione della ragazza, ironizzò: “Che strano, sei sempre così puntuale.” Risero tutti, Alex sentì quella risata penetrarle fin nelle ossa, facendola rabbrividire: “Proprio in questo momento stavo scegliendo chi interrogare e, dato che sei già in piedi, posa pure lo zaino e vieni alla lavagna”. Alex spalancò gli occhi “vi odio tutti, ognuno di voi. Soprattutto tu” rivolgendosi al professore “hai solo qualche anno più di noi, chi ti credi di essere? Hai finito da pochi anni l’università e credi di avere il diritto di trattarmi così?” Ma tutto questo si svolse solo nella sua mente, non avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce. L’unico banco libero rimasto era in prima fila, di fianco ad una ragazza esclusa più o meno quanto lei. Gettò lo zaino per terra e, tolta la giacca, si diresse verso la lavagna, poi, il professore la guardò con un misto di superiorità e sarcasmo e iniziò a dettare la disequazione. “Su, posso farcela, a casa mi sono esercitata tantissimo e adesso toglierò quel sorrisetto dalla faccia di questo idiota” si disse Alex.

Da quando era entrata, nessuno aveva distolto gli occhi da lei per un solo minuto, se non per ridacchiare con il compagno di banco. Mentre eseguiva i passaggi, tutti quegli sguardi iniziarono a farsi sentire, pesandole sulla mente e sulla ragione, confondendola. Pian piano, le lettere iniziarono a perdere di significato, mescolandosi e ingarbugliandosi, creando un miscuglio senza significato apparente. La ragazza si girò leggermente per implorare aiuto, e vide tutti gli occhi ancora puntati su di lei. Si rigirò verso la lavagna, ma ormai quelle frazioni avevano perso qualunque significato, e reputò inutile continuare a soffrire in quel modo.

“Non riesco a continuare” dichiarò infine, ad occhi bassi. Lui la fissò con quegli odiosi occhi azzurri e sorrise, consapevole del fatto che aveva avuto la meglio su di lei.

“Ti do un aiuto: prova a semplificare e poi a sommare il numeratore” le suggerì, in uno slancio di magnanimità.

“Ma certo! Come ho fatto a non accorgermene? E’ così semplice!” Quel pensiero le fece uscire un “Oh” prolungato, suscitando un’altra volta l’ilarità dei suoi compagni di classe. Il professore sorrise divertito. Vergognandosi profondamente di quell’uscita tanto involontaria quanto infantile, terminò velocemente l’esercizio e tornò al proprio banco.

Alla fine dell’ora, Alex sentì Giulia, la “figa” della classe, osannare il prof di matematica: “E’ così bello” diceva sognante “con quegli occhi azzurri e quel sorriso perfetto!”

Era davvero patetica.

“E poi ha solo quanti, cinque anni più di noi? Io sono stata anche con ragazzi molto più grandi!” Sorrideva beata, gesticolando tanto da colpire una delle sue adepte. “Oh cara, lo sappiamo benissimo che sei stata con ogni persona dotata di pene della città. Mi stupisco molto del fatto che non ti sia messa pure con mio nonno. E comunque ha sette anni più di noi” puntualizzò Alex. Purtroppo, anche questa volta era solamente una riflessione e, non dicendo una parola, si limitò a lanciarle un’occhiataccia di nascosto. Improvvisamente le si pararono davanti alcuni suoi compagni di classe e, ridacchiando con disprezzo, la scimmiottarono. “Ohh” facevano, ma ad un certo punto il capo della combriccola li zittì: “Sai a chi assomigli?” Le domandò, con un’espressione alquanto irrisoria, pregustando la grande battuta che stava per fare. “No e non lo voglio sapere” rispose Alex, poi si corresse: “Anzi lo so, sembro una persona che sta per schiaffeggiare una gran faccia da cu…”

 “Alessia Borghesini, cosa stai dicendo?!” Strillò scandalizzata la professoressa di latino, una vecchia zitella molto suscettibile alle imprecazioni, entrata in classe in quell’esatto istante. “Niente!” si affrettò a replicare la ragazza, quasi urlando.

“Prof, la Borghesini dice le parolacce!” Si lamentò ad alta voce Leo, uno dei bulli, in modo che tutta la classe udisse chiaramente. Con sua grande soddisfazione, ottenne l’effetto desiderato, e si zittirono tutti.

Poi, colto da un’idea, si illuminò, e le labbra gli si incresparono in un ghigno: “Fossi in lei la interrogherei per punizione” consigliò alla professoressa.

Alex spalancò gli occhi, sinceramente stupita della malvagità di quel ragazzo: “Non può, prof, mi ha interrogato la settimana scorsa!” Non avrebbe davvero potuto sopportare di venire interrogata per la seconda volta in un solo giorno. Per colpa di tre cretini, poi, ancora meno.

“Lo so Alessia, ma non accetto una tale mancanza di educazione, adesso spiego poi ti farò qualche domanda” decretò la vecchia. Un verso soffocato giunse alle orecchie di Alex, che si girò: i tre bulli stavano tentando invano di rimanere seri e nascondevano il sorriso coprendosi la bocca con le mani. Non li aveva mai odiati tanto.

Dopo altre quattro lunghissime ore, finalmente il suono della campanella annunciò la fine delle lezioni e il termine di quell’estenuante giornata di interrogazioni. Alla fin fine, l’interrogazione di latino non era andata troppo male e aveva fatto una discreta figura, guadagnandosi un otto.

Come sempre, aspettò che l’aula fosse deserta prima di uscire. Varcando la soglia della classe, vide il capo della banda, Federico, in attesa. Alex abbassò la testa e si coprì il viso con il cappuccio, poi camminò velocemente verso l’uscita della scuola, sperando di non essere notata. Purtroppo le sue speranze furono vane, infatti il suo cognome riecheggiò forte e chiaro nei corridoi semi-deserti: “Borghesini!” La ragazza valutò velocemente la situazione: continuare a camminare ignorando quell’idiota o girarsi e dirgli di andare a quel paese? Lui era da solo, non avrebbe potuto farle niente senza i suoi amichetti. Alla fine, optò per la prima decisione e aumentò il passo, fingendo di non aver sentito. “Borghesini, sei sorda per caso?” La prese in giro il ragazzo. Vedendo che non le suscitava alcuna reazione, si fece serio e si affrettò a raggiungerla. Lei, vedendo il bullo avvicinarsi sempre di più, iniziò quasi a correre, tenendo lo sguardo fisso a terra. Improvvisamente sentì una stretta al braccio che la costrinse a fermarsi.

“Ascoltami, devo dirti una cosa” la voce del ragazzo era ferma e seria. Voleva dire una cosa a lei? Alla Borghesini? Una delle ragazze più escluse e sfigate della scuola? Alex non resistette alla curiosità e alzò lo sguardo. Non l’aveva mai visto da così vicino e così attentamente, e le sue origini siciliane erano palesi: la pelle olivastra si abbinava alla perfezione con gli occhi allungati e scuri, gli zigomi alti e i capelli neri del ragazzo. Alex non aveva mai notato quanto fosse bello, troppo presa a serbargli rancore per i mille dispetti con cui lui e i suoi amici la tormentavano.

Poi tornò alla realtà e, corrucciando la fronte, lo aggredì: “Che vuoi adesso? Anzi, in generale, si può sapere cosa volete da me tu e i tuoi amici del cazzo? Mi lasciate in pace? Cosa vi ho fatto? E…”

“Calma, calma Borghesini” la interruppe lui “anzi, non mi piace chiamarti per cognome, qual è il tuo nome? Alessandra?” Erano quattro anni che frequentavano la stessa classe e lui non conosceva ancora il suo nome, o comunque non se lo ricordava. In teoria, la cosa non avrebbe dovuto importarle più di tanto, eppure sentì avvertì una piccola fitta di malinconia dentro di sé, pensando che questa fosse la prova definitiva che a lui non importava assolutamente niente di lei, ma che la considerava solo un gioco con cui divertirsi di tanto in tanto. Come il gatto con il topo.

“Alessia” sussurrò lei, abbassando di nuovo lo sguardo sul pavimento piastrellato della scuola. “Bene, Alessia. Mi hai chiesto cosa voglio adesso.” Mentre pronunciava queste parole, fece scorrere uno sguardo penetrante sul corpo della ragazza. Lei, sentendosi ad un tratto nuda nonostante gli strati di vestiti, arrossì violentemente e cercò di liberarsi dalla presa del ragazzo: “devo andare” disse.

“Aspetta, perché scappi? Non ti ho ancora detto cosa voglio” continuò il ragazzo, e sorrise divertito.
“Non lo voglio più sapere, ciao” Alex si stava esasperando dallo strano comportamento di Federico e non desiderava altro che tornare a casa, nella sua camera, dai suoi libri.

“Volevo scusarmi per cosa è successo oggi, sai, in latino. Leo è proprio un coglione e io non sono stato da meno. Comunque alla fine te la sei cavata bene, ci dovresti quasi ringraziare”. Alessia non credeva alle proprie orecchie: sul serio Federico si stava scusando? C’era sicuramente qualcosa sotto, eppure sembrava così sincero: “Ah ah ehm…grazie” balbettò lei più sbalordita che mai.

Il ragazzo sorrise di nuovo e disse: “Posso chiederti una cosa? Ma ci vedi bene da entrambi gli occhi?” Lei ridacchiò imbarazzata e rispose che sì, ci vedeva benissimo da entrambi gli occhi, la policromia non aveva niente a che fare con la vista.

“Va bene, ora purtroppo devo proprio andare, ciao” la salutò lui. Alex balbettò timidamente un “ciao” e alzò gli occhi su di lui, sorridendo. Poi si incamminò veloce verso l’uscita.

“Aspetta, mi sono dimenticato di dirti una cosa!” Le urlò dietro Federico, e Alessia si arrestò. Quando la raggiunse, lui si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò piano: “Stamattina mi ero dimenticato di dirti che assomigli molto a Fiona, la moglie di Shrek. Saresti uguale identica a lei, ma almeno lei ha gli occhi normali…” E scoppiò in una risata spietata.

Alex non realizzò subito la situazione, e rimase un po’ sconcertata. Stava solo scherzando o quella chiacchierata da amiconi era stata solo tutta una messinscena per prenderla in giro? Lì per lì non capì, poi, quando vide apparire da una classe vicina gli amici di Federico che ridevano e le lanciavano occhiate di disprezzo, realizzò: il ragazzo s’era preso gioco di lei fin dall’inizio, e lei c’era cascata come una stupida. Di colpo, il mondo le crollò addosso: sentimenti di vergogna, disagio e disperazione si vorticarono velocemente nella mente della ragazza che non riusciva a pensare ad altro se non al disprezzo che provava per sé stessa. Come aveva fatto ad essere così ingenua, così stupida? Gli occhi le bruciavano e le si formò un nodo in gola grande quasi quanto il suo pugno. “Non piangere, non piangere, non davanti a loro, almeno, fagli vedere che ti è rimasto un minimo di dignità” si ripeteva. Si tirò su il cappuccio e, alzato al massimo il volume delle cuffiette, corse verso l’uscita della scuola, verso l’uscita di quell’inferno. “Ecco brava, scappa!” le urlarono dietro i bulli, ma lei non sentì, circondata solo dalla musica e dal fragore dei suoi pensieri.
   
 
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