Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Belarus    21/05/2016    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC.
Note: Aggiornamento superconcentrato di fine saga, aye aye! Superconcentrato non perché sia breve, non so cosa voglia dire io scrivere poco, ma perché ci sono così tante cose da non poterle nemmeno contare credetemi e svolte chiave che cambieranno l’imminente futuro di tutti i protagonisti. Non mi sono risparmiata, ho inserito l’arrivo del vero nemico di questa storia, qualche dettaglio in più, dei capovolgimenti di rotta, una manciata abbondante di zozzerie tanto attese e ho messo pure Aya nella direzione giusta, posso dirmi soddisfatta sì e spero ovviamente lo siate anche voi con me. Mi resta da dirvi solo che il ricordo di Kidd si rifà alla notte precedente l'approdo ad Arata, ossia sessanta capitoli fa, poi il primo POV si svolge nell’immediata contemporaneità con lo scorso aggiornamento, il secondo e il terzo il mattino seguente, l’ultimo a qualche giorno di distanza. Oltre a ciò raccomando attenzione per le note, ci sono e sono importanti, ma avverto coloro che non seguono il corso degli aggiornamenti online dell’originale che c’è qualche spoiler, quindi appurate se sia il caso o no di leggerle tutte.
Ciò detto, ringrazio come sempre coloro che mi stanno sempre dietro, chi si aggiunge, chi scompare, chi legge, chi resuscita e qualunque anima pia voglia lasciarmi un pensiero. Ve ne sono e sarò sempre grata, mes amis! Alla prossima~






CAPITOLO XXXXXXVII






In piedi a metà della via disseminata di macerie, armi, catene e brandelli di vite strappati alle abitazioni dei suoi cittadini, osservò l’enorme figura seduta a gambe incrociate con il capo basso e l’ascia ancora in mano.
Non c’erano più scontri, le battaglie erano tutte terminate e la tregua era piombata faticosamente su ogni angolo del Paese. Fatta eccezione per i compagni di quel mastodontico uomo, ogni gigante era stato sconfitto e bloccato affinché, semmai si fosse ripreso, la libertà non potesse aiutare la sua follia a far ancora del male. Soltanto uno non aveva subito quel trattamento per mano della guarnigione cittadina di Egle, ma a lui aveva pensato quella stessa persona che se ne stava immobile davanti a lui, riprendendo fiato in un silenzio tombale.
«Posso andare avanti da solo Tito, tranquillo.» assicurò rivolgendo un cenno al capitano della guardia cittadina, quando armato di lancia provò ad anticiparlo lungo la strada.
Proseguì con passo fermo, passandosi i polpastrelli sugli occhi annebbiati dalla polvere nel tentativo di farsi forza per interrompere quella veglia dolorosa e si fermò solamente quando fu sotto l’ombra spropositata, tirando su il capo per osservare in volto il guerriero che per una vita aveva sempre temuto di dover affrontare.
«Rolf…» chiamò contrito, vedendo l’altro ridestarsi appena per fissare il corpo di Yory come in trance.
«Lo conoscevo da sempre, siamo cresciuti come fratelli, ma non sapevo nulla del dolore che portava dentro per la mia gente… non c’è onore in quello che ho fatto oggi, non posso permettere però che il sacrificio di tutta la sua vita vada sprecato, lo capisci?» domandò greve, spostando i propri occhi gelidi su di lui.
Quella guerra non era mai stata facile pur non essendo stata per la maggior parte della sua durata combattuta. Li aveva riempiti di odio, malessere, di un’angoscia violenta che aveva inzuppato le radici di un’intera isola. Poteva provare a comprendere però ciò che avesse significato per Rolf doversi scontrare con la sua gente, con uno dei suoi compagni, un amico quasi fraterno. Non c’era nulla di cui gioire per quella vittoria sudata sangue, potevano tuttavia impegnarsi ad andare avanti, a fare in modo che quel giorno non si ripetesse mai più.
«Niente di ciò che è accaduto avverrà di nuovo, hai la mia parola.» promise serio, rivolgendogli un cenno con il capo scarmigliato piuttosto che stringergli la mano.
Il gigante lo scrutò per un lungo momento. Ebbe la sensazione che nella sua grande mente memore di più vicende di quante Re Boro ne avesse viste nella sua vita d’uomo stesse prendendo forma un pensiero cruciale, poi il suo volto impassibile si piegò ad una nuova espressione e Rolf tornò a guardare avanti a sè.
«Un grande impegno per un piccolo essere, ma ho visto tanti esserini fare cose grandi negli ultimi giorni.» rivelò speranzoso, rilassando un po’ la mole immensa.
«La tua gente diceva che il cielo sorride ai coraggiosi.» gli rammentò Re Boro con un lieve sorriso, ricordando una delle tante credenze di quella tribù.
«Ararararara giusto!» sghignazzò sguaiato facendo tremare l’intera strada.



Rigirò meccanicamente il bendaggio intriso di antisettico che aveva annodato attorno all’avambraccio sinistro, scioltosi durante la vestizione della mattina, senza nemmeno guardare, adocchiando piuttosto la nodachi lucidata di fresco che era stata riposta sul divanetto della sala comandi. Prontamente Bepo si precipitò ad afferrarla con le zampe pelose, porgendogliela in silenzio non appena ebbe terminato quella piccola operazione di rassettamento e Law gli rivolse un impercettibile cenno grato, dirigendosi in corridoio.
Provato dal veleno e dalla stanchezza degli scontri continui, durati più di un giorno, aveva perso i sensi non appena la sua schiena aveva battuto contro il suolo ai piedi del Rainbow Bridge. Quando si era risvegliato quella mattina all’alba, era già sul suo letto, disinfettato dai capelli corvini alla punta dell’alluce, con i bendaggi necessari ben chiusi e due flebo che iniettavano l’antidoto provvisorio che aveva creato per l’equipaggio la sera dell’attacco. I suoi uomini avevano tutto il necessario in loro potere affinché si riprendesse e quelle accortezze non erano certo andate sprecate, l’antidoto però non era specifico per il veleno dell’Irukanji e a Law erano occorse un paio di ore per porre rimedio al malessere che ancora investiva se stesso per primo. La sua mente anche dopo l’iniezione aveva ancora brevi momenti di anneggiamento e la stanchezza si faceva sentire, ma non poteva ancora concedersi del sano riposo. C’era qualcosa di più importante di cui doveva occuparsi al momento.
«Non dovrebbe andare in giro così presto.» fece presente, con le braccia incrociate al petto e la maschera calata sul viso, quello che ad un primo incontro Trafalgar aveva preso per un eccentrico intruso.
«So io quello che posso o no fare.» lo zittì freddo, inforcando il giaccone senza esimersi dal rimetterlo subito in riga con un’occhiata che, a giudicare dalla contrazione delle spalle dell’altro, sortì l’effetto desiderato.
Era tacitamente lieto che il suo equipaggio si preoccupasse per lui, ma c’erano argomenti – come lo stato di salute – su cui non accettava di udire rimproveri o appunti. Quello era bene che lo imparassero presto.
«Intendeva dire che potremmo occuparci noi di ciò che ha da fare, come una prova di fiducia, così lei Senchō potrà riposare un altro po’. Che ne dice?» propose con maggior garbo sua sorella, vibrando visibilmente d’entusiasmo al solo chiamarlo capitano.
Non ricordava nulla del tragitto dal Rainbow Bridge al proprio sottomarino, i suoi uomini però gli avevano raccontato di essere stati aiutati da quei due ragazzi a trasportarlo al sicuro riuscendo a sfuggire con ottimi risultati alla caccia che la Marina aveva organizzato per catturarlo. Per tutta la notte erano rimasti sotto custodia di Jean Bart a bordo affinché non combinassero guai e solo all’alba Trafalgar aveva potuto parlarci, sentendoli proporsi come nuovi membri della ciurma in segno di accorato ringraziamento per aver privato la loro isola natale da Jelles Rokk. Dopo aver ponderato bene il da farsi con grande sorpresa degli altri aveva accettato di arruolarli, seppur eccentrici parevano in gamba, ma c’era ancora un bel po’ di lavoro da fare su di loro. Li avrebbe affidati a qualcuno perché imparassero le norme di comportamento e anche a non tentare di convincerlo con un concetto rimescolato neanche fosse un bambino.
«No. Sarebbe però gradito se mi diceste dove hanno riposto Kurage-ya. Risparmierei tempo.» troncò inamovibile, incamminandosi per il corridoio metallico del sottomarino per raggiungere il portellone d’uscita.
«Lo ha preso la Marina, è a bordo.» rispose prontamente il ragazzo e quando Law si arrestò, Shachi e Penguin si batterono quasi all’unisono una mano sulla fronte per lo sconforto.
«Abbiamo dunque ristretto il campo dalla Marina alla Marina.» evidenziò sarcastico e l’altro ricevette con sommo disappunto uno scappellotto sulla nuca dalla sorella.
«È sull’ammiraglia, quella grande. Il Maggiore Bados è sparito invece, lo cercano ancora, sarà nascosto.» rispose una volta ancora al posto suo, agitandosi forse per la convinzione che da quelle domande dipendesse la loro permanenza o no nella ciurma.
Insensibile all’ansia dei suoi nuovi nakama, mentre il resto dei presenti si esibiva in cenni di consenso lusingatori per la prontezza della precisazione, Trafalgar rimase per un secondo immobile a fissare la penombra irridescente di fronte a sé con la mente che si arrovellava su quale sorte concedere al triste Maggiore mancato.
Nonostante non potesse dirsi di lui che fosse un uomo stupido, Bados si era fatto trascinare in uno scontro inutile da cui sarebbe comunque uscito sconfitto anche se il ponte non fosse crollato. Era stato un degno avversario, l’unico che avesse in Law destato un minimo di coinvolgimento competitivo, ma il loro fronteggiarsi era terminato lì dov’era iniziato. Andare a cercarlo non avrebbe avuto alcun senso e d’altronde non sarebbe stato nemmeno divertente come inizialmente era stato.
«Shosa-ya ha smesso d’essere di mio interesse.» giudicò alla fine, riprendendo a camminare e sentendo subito Bepo andargli dietro come una grossa ombra pelosa.
«Non sarebbe una cattiva idea però fare andare loro.» bofonchiò inquieto, vedendosi scuotere il capo.
«Quello che devo fare non può farlo nessun altro.» spiegò gelido, strappando a Shachi un verso d’orrore.
Sull’intero gruppo dei presenti, fatta eccezione per le due nuove reclute più confuse che altro, piombò un pesante silenzio finché quello non si convinse a parlare.
«Ih… dobbiamo tirare fuori la cassa?» domandò titubante, masticando a fatica l’ultima parola.
«Haii, per l’ultima volta. Saranno cento con questo.» svelò Trafalgar, salendo la scaletta d’uscita senza preoccuparsi troppo di quella reazione sconsolata.
«La cassa? Cento cosa?» s’impicciò più in fondo immediatamente il nuovo macchinista, ricevendo da Penguin una pacca sulla spalla.
«A tempo debito, ci vuole un po’ per mandare giù l’idea.» rimandò con una smorfia, anticipandolo nella salita.
«È raccapricciante… io lo sopporto solo per gratitudine nei confronti di Senchō.» fece eco Shachi, scuotendosi sul ponte illuminato dal sole soltanto al pensiero per tentare di scacciare via dalla mente l’ingrato compito.
Tralasciato l’aspetto meramente oggettivo dell’operazione – che non era poi tanto diverso da ciò che faceva di consueto ai proprio nemici – c’era voluto molto affinché l’equipaggio si convincesse che quella strada intrapresa fosse la più sicura seppur la meno piacevole per il loro orgoglio, ma Trafalgar non aveva ormai modo di tornare indietro. Farlo sarebbe stato come gettare al vento quasi un centinaio di sbarchi, avrebbe implicato l’aver sprecato energie in scontri inconcludenti e lo avrebbe anche portato a dover escogitare un modo per potersi liberare del carico che teneva nascosto in astanteria dopo averlo così tanto inseguito. Certo avrebbe potuto tentare la sorte, correre il rischio di riservare a se stesso e alla propria ciurma la medesima sorte di molti altri sfortunati, ma a differenze di quella moltitudine Law aveva troppo senno per comportarsi da sciocco e nessuna intenzione di non tener fede alla sua unica missione. Si stava sacrificando per una giusta causa.
Quando si fu allontanato di qualche decina di metri dal sottomarino, inforcò a testa bassa le nocche tatuate nelle tasche del giaccone scuro e lanciò un’occhiata veloce accanto a sé, vedendo il proprio vice avanzare malgrado le bende in cui era avvolto con il muso ritto.
«Non c’è alcun bisogno che mi accompagni Bepo, sto bene.» assicurò in un mormorio.
«Aye, Aye Senchō! Ma la accompagno comunque.» stabilì perentorio con un cenno dell’enorme capo e Law gli rivolse un sottile e sincero sorriso.
Si stava sacrificando per una giusta causa e per ripagarli della lealtà di tutti quegli anni. Ne valeva la pena.



Seduto su una delle pietre nere e piatte che costeggiavano Moundhill, seguì la linea baluginante del Grande Blu vedendolo incresparsi in lontananza a causa del vento gelido che lì a Rurik soffiava perennemente per influenza di una corrente fredda proveniente da sudest e roteò distratto grazie al proprio magnetismo il coltello che teneva agganciato alla cintura, sentendo Killer interrompere le proprie parole all’arrivo di Dente Blu.
«Rolf vi fa sapere che rimarrà con quegli esserini fino al termine delle ricostruzioni per dimostrare le sue buone intenzioni, ma voi siete comunque ospiti finché vorrete. Qualcosa di caldo per riprendervi?» offrì con parole masticate per la stanchezza, mostrando il pentolone ancora fumante che teneva sotto il braccio.
Bastarono quelle poche parole per far saltare nuovamente i nervi di Kidd, che era riuscito faticosamente a rimetterli al proprio posto dopo gli scontri del giorno precedente a Myramera.
«Va a farti fottere cumulo di lardo! Non ho bisogno di rimettermi in sesto!» ringhiò, rigirando d’istinto il pugnale in aria come a volerglielo puntare contro per minaccia con le tempie che pulsavano pericolosamente.
Avevano una fissazione quei bestioni nel credere che avesse una costituzione debole. Si era procurato qualche livido ed un paio di graffi per dei proiettili di agalmatolite scansati all’ultimo istante, ma era perfettamente in salute. Non aveva nemmeno avuto bisogno di farsi visitare. Avevano un aspetto peggiore loro, grossi com’erano erano stati un bersaglio mobile degno di un branco di bambini armati di fionda e adesso pareva che chiunque di loro avesse partecipato agli scontri fosse servito più a far da sacco da boxe che a combattere con un avversario, ma a riprendersi secondo le loro ottuse opinioni avrebbe dovuto essere lui solo perché era un uomo. Non sopportava d’essere preso sotto gamba, odiava quelle arie di superiorità e quella zucca vuota non faceva che trattarlo come un moccioso da quando l’aveva conosciuto.
«Cos’è che hai detto?!» domandò retorico quello, brandendo il mestolo enorme con viso arrossato.
Non si sopportavano bene entrambi era chiaro, ma quel giorno, con tutto il nervosismo che aveva accumulato, non era affatto intenzionato a soprassedere nemmeno su un bisbiglio di troppo.
«Kidd non mi sembra il caso di aizzarli adesso che la situazione si è risolta. Ti ha offerto solo la colazione.» fece presente Killer, sollevando una mano per placare subito l’animo offeso del cuoco della Kurokaze.
«Che la mangi lui se vuole.» troncò, come se la questione non fosse degna di parole in più ora che il biondo si era messo in mezzo a quello scambio d’occhiatacce.
Alle sue spalle il vice scosse il viso nascosto dalla maschera striata in direzione di Dente Blu, il quale soffiò offeso dal naso come un toro rabbioso prima di dar loro le spalle con un grande sforzo di pazienza e ritornare sui propri passi lungo l’immenso stradone che serpeggiava per il villaggio ancora assonnato.
Durante la notte quasi tutti coloro che avevano accompagnato Rolf in battaglia avevano fatto ritorno a Moundhill per riprendere le forze, crollando in un sonno profondo persino nel mezzo della grande piazza. Il resto dei guerrieri, un gruppetto sparuto che si sarebbe potuto dire temibile solo perché costituito da giganti, era rimasto nella foresta e nel Regno, ad aiutare con i primi soccorsi e dare l’esempio in onore della nuova grande pace stipulata. Dopo ottocento anni di guerra latente, ma ininterrotta, Moundhill e Myramera erano tornati alleati nonostante l’odio fomentato da Yory avesse rischiato di distruggere entrambi per sempre.
Non gli dispiaceva sapere che le trame contorte del Governo erano state messe allo scoperto, ma dubitava che quella quiete idilliaca sarebbe potuta durare per molto anche con tutte le buone intenzioni di Rolf e del Re di quel paese. Se la guerra fosse scoppiata nuovamente, tirando in campo anche il Governo e la Marina, a lui non sarebbe importato poi molto pur avendo una certa e non celata simpatia nei confronti del capovillaggio, ma se la situazione fosse degenerata quando si trovavano ancora lì senza vie di fuga e in quelle circostanze allora le cose avrebbero preso una piega che a lui non piaceva. Affatto.
«Allora? A che punto sono le riparazioni della nave?» chiese con sguardo serio a Killer per riprendere il loro discorso, lanciando un’occhiata di traverso alla curva del porto in cui era messa alla fonda e che s’intravedeva a nord tra due speroni di roccia nera.
«Hanno cominciato a lavorarci, con gli scontri non hanno potuto far molto.» riportò con un’alzata impercettibile di spalle, seguendolo mentre si sgranchiva le gambe.
Non era riuscito a chiudere occhio dentro l’abitazione di Rolf e a notte inoltrata si era andato a sistemare lì nella speranza che salsedine e sciabordio delle onde lo aiutassero a calmare il fastidio che aveva addosso. C’erano riusciti in effetti, per un po’ aveva dormito stretto nella pelliccia per ripararsi dal vento, ma quando si era svegliato si era sentito persino peggio di prima e il fastidio aveva ricominciato a montargli nello stomaco.
«Che si diano una mossa, potremmo trovarci in grossi guai senza la nave. Manda Heat o Wire a controllare.» raccomandò, scrocchiando con un colpo secco il collo robusto risalendo la strada.
«Ci vorrà qualche giorno, ci sono danni all’albero e allo scafo da mettere in conto, ma i carpentieri del porto stanno dando una mano e della Marina non c’è traccia ancora.» spiegò Killer, intuendo subito a che genere di guai l’altro alludesse.
«Verranno, quei dannati bastardi vengono sempre. Non se la fanno scappare un’occasione come questa.» sputò disgustato, esibendosi in una smorfia alla vista in lontananza della spianata che separava il villaggio dalla foresta.
Dovevano forse indottrinarli sin dall’arruolamento per sacrificare le loro vite in nome della giustizia di quella società, perché i marines avevano una prontezza impareggiabile nello sbucar fuori lì dove il mondo aveva bisogno del loro contributo, anche se non richiesto. Avevano creato un sistema quasi ineguagliabile per tenere sotto controllo tutti i paesi che facevano parte del Governo, quelli che facevano domanda per farne parte e persino quelli che non c’entravano nulla con loro. Prima o poi qualcuno bisbigliava all’orecchio giusto, l’allarme scattava e un paio di navi si presentavano per riportare alla quiete il caos improvviso, non aveva importanza se non ci fossero basi in loco o distaccamenti nei paraggi. La Marina trovava sempre il modo per arrivare e Myramera, in quanto regno appartenente al Governo, era un cardine troppo importante perché lo si lasciasse arruginire non facendo nemmeno la propria comparsa, senza contare poi che c’erano di mezzo di Draghi Celesti.
A quell’ultimo pensiero serrò d’istinto la mascella, avvertendo il nervosismo tentare di lacerargli una volta ancora lo stomaco e bestemmiò in silenzio maledicendo persino se stesso. Avvertendo qualcosa che non andava nel suo stato di mutismo forzato, Killer accanto a lui gli lanciò di sfuggita uno sguardo da sotto la maschera.
«È malconcia, ma sta bene.» riportò con tono metallico, prendendo per la prima volta quel discorso con una tale piatta imperturbabilità nella voce da far sembrare che stesse chiacchierando del tempo.
Certo che stava bene, quando mai a quella donna succedeva qualcosa di grave?! Da quando la conosceva non si era beccata nemmeno un cazzo di raffreddore per la pioggia. L’unica ferita seria che aveva subito se l’era procurata nel tempo in cui era stata lontana dalla nave e ne restava ormai solo una sottile cicatrice tra le scapole su cui non si era preso la briga d’indagare.
«Buon per lei, è la sua pelle non la mia.» sbottò di getto Kidd, senza nemmeno spostare i propri occhi dalla strada di selciato che li avrebbe riportati all’abitazione di Rolf.
Si era sempre prefisso di essere un capitano degno di tale titolo e a giudicare dal soprannome che gli era stato affibiato doveva esserci riuscito perfettamente. Difendeva il suo equipaggio se ce n’era la necessità e seppur non ne facesse parte, aveva protetto anche quella petulante donna in determinate circostanze, ma era sempre stato dell’opinione che in fin dei conti ognuno dovesse per primo badare alla propria vita. Se lei aveva voluto rischiare di diventare una poltiglia informe sotto i piedi di un gigante di propria iniziativa e le era riuscito di non essere tale, tanto meglio così. Non poteva mica correrle dietro e farle da balia ad ogni sciocchezza che si ficcava in quella stupida testa, non erano né parenti né legati da un vincolo, che facesse come meglio le pareva.
Si era seriamente convinto di quel pensiero al rientro al villaggio, ma Killer al suo fianco non parve comunque della stessa opinione dato il silenzio accondiscendente con cui lo fissò per qualche istante, prima di riprendere il proprio discorso forse credendo che ve ne fosse una qualche necessità.
«Le ho parlato prima di andar via, voleva rimanere in città ad aiutare.» raccontò, strappandogli un grugnito contrariato.
Aveva un dovere nei confronti degli abitanti di quel paese, le aveva sentito dire a Wire. Voleva aiutare, certo, ma a fare cosa?! Poteva capire che avesse voluto e fosse riuscita a dare una mano per smascherare il complotto organizzato dai Nobili mondiali, una piccola vendetta contro chi l’aveva imbrigliata per una vita era qualcosa che Kidd riusciva a spiegarsi, ma tutte quelle premure anche dopo la fine della guerra erano più del necessario.
«Si è fatta venire complessi da benefattrice, si sarà ricordata di qualche storiella in cui si viene ripagati per le buone azioni o qualche vecchietto le avrà chiesto di ritrovare il nipote perduto, tsk.» borbottò, esibendo una smorfia che fece ridacchiare per un secondo il suo vice lì accanto.
Da quanto ne sapeva le sue assurde azioni quando era sola altalenavano sempre tra quei due poli opposti: illusioni infantili riesumate da qualche libro che aveva letto o casi umani che la prendevano di mira.
«Suppongo sia normale, nonostante il Regno non le appartenga direttamente è la sua gente in un certo senso. Si sentirà in dovere di occuparsi come può di loro.» chiarì invece Killer e Kidd si piantò nel mezzo della strada, scoccandogli un’occhiata improvvisamente seria.
«Che vuol dire?!» volle sapere confuso facendo fermare anche l’altro.
«Pare che Myramera sia stata fondata dai Mononobe, almeno così lei mi ha detto.» svelò piatto, fissandolo con la maschera striata in silenzio, mentre tornava a guardare la strada davanti a sé.
Tornava tutto con quel nome tanto pomposo, si spiegavano i rischi in cui si era imbarcata, la decisione con cui si era opposta all’andar via. Myramera era una propagine di casa sua, una via di mezzo tra la sua vecchia vita e la libertà che tanto voleva, la parte della sua storia che evidentemente a quella dannata non dispiaceva per niente dato che non si era più fatta vedere a Moundhill.
Se l’era tolta dai piedi una volta per tutte, poteva pure dire a Wire di buttare in mare la sua roba si ritrovò a pensare. Avvertì il fastidio che l’aveva accompagnato sino a quel momento trasformarsi in un profondo senso di delusione e quando gli tornò in mente la sera in cui le aveva sentito pronunciare quel nome per la prima volta, si rimise a camminare.


Trangugiò poco galantemente la misera e ormai fredda fetta di pizza rimasta nel vassoio che il cuoco gli aveva servito vedendolo chiudersi in cabina e mollando la bottiglia semivuota di liquore dorato contro il petto di Aya, seduta sul bordo del suo letto, ne agguantò un’altra ancora piena. Tra il rumore dei suoi uomini che brindavano alla vittoria sull’ennesimo aspirante erede di Roger, si ripulì distratto le labbra scure finendo per fissare quella donna, mentre tamburellava con occhi lucidi e guance gonfie in maniera infantile le dita sottili sul vetro come se quello gli stesse facendo chissà poi quale torto.
«Butta giù forza.» la incoraggiò brusco, dondolando la propria bottiglia verso di lei in un gesto veloce.
Con i riflessi rallentati dall’alcool, la vide sollevare lentamente il viso per aggrottare un po’ la fronte chiara in una smorfia di disappunto persino più ridicola di quella che già aveva messo su.
«Perché non lo bevi tu?» bofonchiò seria, strappandogli un grugnito.
«Non bevo rimasugli.» rivelò spiccio, scolandosi per tutta risposta un lungo sorso del liquore appena aperto.
«Sono i tuoi rimasugli, l’hai bevuto tu il rhum.» insistette lei esterrefatta, abbassando le spalle magre.
«E tu, ora chiuditi quella bocca donna.» troncò brusco, scoccandole un’occhiataccia.
A quel nomignolo lei roteò per un secondo lo sguardo sospirando, prima di abbandonare al suolo la bottiglia e puntellarsi sul materasso per farglisi più vicina pur rimanendo al proprio posto seduta.
«Mi chiamo Aya. Ripeti con me Kidd, Aya Mononobe, non donna, A-y-a!» scandì lenta con voce impastata, come se il punto fosse la pronuncia.
Sapeva perfettamente il suo nome, lo aveva capito già quando si era presentata la prima volta, non era certo sordo, ma nella locanda del Mare Meridionale in cui aveva poi deciso di portarla a bordo le si era rivolto come ad una sconosciuta qualunque e alla fine, vedendola piccarsi tanto, aveva deciso di continuare a chiamarla a quel modo per il puro gusto di stuzzicarla. L’abitudine era arrivata nei mesi seguenti e in quanto tale Kidd non aveva alcuna intenzione di sforzarsi per correggerla, specie perché continuava a piacergli quel passatempo.
«Come i fantasmi che portano malattie nelle storie per bambini, appropriato. Sei una piaga umana.» la rimbeccò con un ghigno divertito squadrandola.
A quella constatazione Aya rimase per un secondo a ricambiare l’occhiata, prima di esplodere in una risata cristallina che le fece arricciare il naso e dondolare appena sul letto.
«Quelli sono i mononoke Kidd! La mia famiglia non ha nulla a che fare con loro, tranne l’affetto inesistente e le costrizioni mortali cui ha cercato di sottopormi.» lo corresse continuando a sorridere, prima d’incupirsi un attimo pensierosa, forse per lo strana associazione a cui era appena arrivata.
Non avrebbe proprio saputo immaginarsi prima che genere di sofferenze si potessero subire se si era un Nobile mondiale, aveva sempre pensato che le classi alte della società non avessero davvero dei seri problemi da porsi nelle loro lussuose vite. Quella donna era l’eccezione che avrebbe dovuto fargli cambiare idea, in realtà persino dopo ciò che gli aveva raccontato continuava a pensarla allo stesso modo. Lei però era un caso raro, qualcuno che ragionava in maniera sensata tra un gregge di tronfi e flaccidi idioti che di conseguenza davano della matta illusa a lei, eppure per quanto banale gli si fosse dimostrata una volta ancora la dinamica di quella società lo allettava l’essersi imbattuto nel primo Drago Celeste fuggitivo. Quella che ad una prima veloce occhiata gli era parsa solo una sconosciuta qualunque che avrebbe potuto fargli da passatempo, gli si era rivelata molto di più già parlandole. A Kidd erano bastati non più di dieci secondi per intuire che qualcosa in quella donna ci fosse, qualcosa che aveva lui stesso e pochi altri a quel mondo. Mesi addietro non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse nello specifico, ora… ora era più di quanto avesse anche potuto sperare.
«Sì sì come ti pare, sei ricca comunque.» gracchiò roco, poggiandosi con le braccia alla spalliera della poltrona.
«I miei genitori lo sono, io avrei dovuto ereditare anche i regni nello Shinsekai, ma immagino che non mi spetterà niente per aver disubbidito. Pazienza, vivrò bene ugualmente anche se non sono certa di arrivare a domani… cos’è che ho bevuto?! Mi brucia la gola e comincio a vederti doppio e tu sei abbastanza anche senza un altro te!» ciarlò stralunata accarezzandosi il collo per poi lasciarsi cadere sul materasso con un piccolo tonfo.
La osservò, mentre con le guance arrossate e i capelli scarmigliati chiudeva e riapriva le palpebre forse tentando di mettere a fuoco ciò che l’alcool le rendeva opaco e rimase come calamitato da quei gesti tanto normali.
La gente tacitamente odiava i Nobili mondiali per i loro atteggiamenti di superiorità fuori controllo e lui avrebbe potuto toglierla di mezzo per talmente tanti motivi da non riuscire neanche a contarli, ci sarebbe persino riuscito senza neanche doversi sforzare, eppure quella dannata donna non pareva preoccuparsene, si fidava. Se ne stava lì in mezzo al nulla su una nave di pirati, con lui che aveva la peggior reputazione di tutte le nuove leve, si era persino sdraiata sul suo letto – chi cazzo le aveva dato poi il permesso di sdraiarsi sul suo letto?! –. Non che non ci fossero mai state donne nel suo stesso posto altre volte, ma in quelle circostanze era una novità.
«Non fare la patetica, era solo un sorso di rhum.» rimbeccò brusco, mentre lei decideva di dargli definitivamente le spalle per rannicchiarsi su un lato con le gambe al petto.
«Potrei farti notare che ci sono quattro, cinque, no quattro bottiglie vuote, ma non sono sicura di quello che vedo a questo punto della serata… Hum? Cosa sono quelle cose sul tavolo? Li hai fatti tu, sei bravo!» sbottò di colpo, alzandosi con una velocità che a Kidd fece aggrottare la fronte.
Due secondi prima diceva di non essere sicura di superare la notte e quello dopo saltava in piedi per andare a rigirarsi tra le mani degli ammassi di ferraglia a cui lui aveva dato una forma solo per ammazzare il tempo. ¬
La vide piegare con un piccolo sorriso il capo rossiccio sulla spalla, mentre le dita giocherellavano in silenzio con il metallo manipolato e una scarica gli corse lungo la schiena sino al cavallo dei pantaloni screziati, spingendolo a squadrarla per l’ennesima volta in quella serata.
Non era eccezionalmente attraente e nemmeno il suo prototipo di donna, ma era a suo modo bella sì. Fosse stato solo quello non sarebbe stato poi chissà chè, ne aveva conosciute, viste e scopate a centinaia di ragazze che erano semplicemente belle e la cosa era finita lì. Il modo in cui stava ferma a mostrare involontariamente la curva della schiena, il collo e le spalle coperte solo in parte dai capelli scarmigliati, quelle dannate gambe che riempiva di graffi sul ponte e i fianchi che s’intravedevano dai bordi sollevati della maglia, però lo stavano istigando fino al nervosismo facendogli tendere i muscoli.
«Da ubriaca sei più insopportabile che da sobria.» stabilì puntandola e avvertendo lo stomaco aggrovigliarsi.
Per una manciata effimera secondi rimase a fissarla ficcanasare tra la roba sul tavolo finché la sua scarsa pazienza, anche in quel campo, non raggiunse il punto di non ritorno. Si alzò dalla poltrona divorando in pochi istanti lo spazio che li separava, per posizionarsi alle sue spalle, mentre lei già parlava di qualcosa a cui Kidd aveva smesso di prestare attenzione molti secondi prima che potesse persino cominciare a fiatare.
«Non lamentarti è stata tua l’idea di festeggiare, cosa ci sia poi da festeggiare nel mio essere un Drago Celeste non lo so-mmh? Che c’è?» domandò girandosi appena, nel sentire le sue mani infilarsi prepotenti sotto la canotta per arpionarle i fianchi e tirarli verso il proprio membro già pericolosamente eretto nella sua costrizione di stoffa.
Il contatto avrebbe dovuto placarlo almeno in parte, ma finì per agguantarle di scatto il viso per morderle le labbra, trovandosi tuttavia a sbattere come un moccioso inesperto i denti contro i suoi quando Aya si divincolò, rifilandogli persino una botta in fronte talmente inaspettata da riuscire a fargli perdere la presa su di lei.
«Kidd! Che razza di modo-!» esplose, con un tono di cui nemmeno lei parve convinta e che comunque le morì in gola, quando nel tentativo di mettere un po’ di distanza fu sul punto di cadere sulla bottiglia che aveva appoggiato pochi minuti prima.
Scocciato dalla rimostranza avrebbe voluto scoccarle un’occhiataccia, ma non poté trattenere una risata facendole poi cenno di avvicinarsi perché si arrendesse volontariamente in quella partita persa in partenza.
Dove diamine voleva scappare?! Era nella sua cabina e semmai fosse riuscita ad uscire si sarebbe comunque trovata sulla sua nave, in mezzo al mare, l’avrebbe acchiappata in ogni caso. Era inutile quella scenetta e alla fine, quando avrebbero finito, si sarebbe anche pentita di aver perso quel tempo.
«Non farmi venire a prenderti, ti fai già abbastanza male da sola donna.» l’avvisò, vedendola raddrizzarsi.
«Mi chiamo Aya, vuoi capirlo?!» ripeté con un moto d’orgoglio e a tanta irriverenza Kidd decise di mettere fine alle buone maniere, scattando in avanti per afferrarla.
Trovandosi tuttavia nuovamente senza nulla, quando lei salì sopra il letto per scendere dalla parte opposta. Sbigottito da tanta irriverenza la osservò ad occhi sgranati, mentre piccata stringeva i pugni e perse definitivamente il controllo, sbracciandosi per tutta la cabina per averla sotto mano. Gli ci volle una ridicola e vergognosa mezz’ora per acciuffarla, in cui il suo orgoglio fu irrimediabilmente macchiato a vita e quella dannata donna ancora confusa dall’alcool cominciò a divertirsi neanche stessero giocando come due bambini.
«Piantala di scappare cumulo di sventure!» ringhiò accaldato alla fine, afferrandole spossato la caviglia sinistra e facendola cadere come un peso morto sul materasso per posizionarlesi finalmente sopra con tutto il suo peso.
Le bloccò i polsi sulla testa, neanche fosse stata un vero nemico da battere e la puntò, finché non ebbe smesso di ridere e si convinse a ricambiare l’occhiata con il petto che sussultava per la stanchezza della stupida corsa. Attese qualche secondo sino a che non l’ebbe sentita quietarsi e spostò una mano ruvida sulla sua gamba, tirandola accanto al proprio fianco perché ci fosse una volta ancora quel contatto che aveva avvertito solo per un breve istante accanto al tavolo. L’ennesimo brivido gli corse lungo la pelle e si abbassò su di lei per affondare il viso tra le sue clavicole, morse tanto forte da strapparle un lamento dolorante e avvertì le sue dita arpionarsi alla schiena. Insistette, con l’intenzione di lasciarle un segno e mollò anche l’altra presa al polso per afferrarle il bacino in un moto di possesso incontrollato.



Si scostò dal fianco di Ide, visibilmente orripilata, abbandonandosi ad un breve sorriso per lo spettacolo offerto da un Perifante danzante al centro del salone e si diresse verso uno dei balconi dei piani bassi per concedersi una boccata d’aria fresca che le rinfrancasse la mente.
Le porte della Tsutenkaku erano state spalancate affinché ogni cittadino potesse accedervi, le sale imbandite e tutti avevano fortunatamente accolto l’invito alla festa di buon augurio per la nuova pace, facendo ressa persino attorno ai giganti che stavano accovacciati nel mezzo della strada brindando con animo più che bendisposto malgrado i dissapori secolari che fino a qualche giorno prima li rendevano nemici.
Vide Nenya più in fondo raccontare qualcosa ad un gruppo di cittadini attenti, Rolf sollevare sul palmo dei ragazzini per adagiarli direttamente dentro la torre con loro grande entusiasmo e ogni vicolo illuminato seppur ai suoi lati vi fossero ancora macerie. Piegò i riccioli rossicci raccolti su una spalla e si sentì orgogliosa nel vedere di quanta buona volontà fossero capaci gli abitanti di quell’isola per il bene comune.
Non doveva essere affatto facile per loro accantonare secoli di odio e rancore, eppure si sforzavano di star lì a parlare gli uni con gli altri come se bastesse soltanto conoscersi un po’ meglio perché le cose tornassero come un tempo. Forse non si sarebbe istaurato subito quel rapporto di totale fiducia che ottocento anni prima c’era stato tra i loro antenati, ma non era impossibile che con qualche sacrificio potesse davvero tornare la serenità e senz’altro nessuno si stava risparmiando nel fare del proprio meglio affinché accadesse.
Poggiata al parapetto di pietra si sentì per un effimero istante al proprio posto, poté però confortarsi di quella sensazione solo finché le orecchie non tornarono a fischiarle fastidiose. Ne tastò con una smorfia una cercando di schermarsi, ma il sibilo parve acquirsi sino a diventare una parola e Aya sbarrò gli occhi.
Da quando il caos della guerra era terminato aveva cominciato ad accusare quel disturbo, l’aveva però attribuito alla stanchezza che aveva accumulato intestardendosi nel voler aiutare. In fondo si era trattato solo di un fischio, almeno fino a quel momento.
Si guardò attorno con il sentore di essersi già trovata in quella situazione e non riuscendo com’era capitato in precedenza a vedere nessuno nei paraggi, si mordicchiò per un secondo il labbro prima di seguire l’istinto. “Su” le aveva suggerito la sua mente e tornò all’interno del salone, attraversando la folla ridente per raggiungere le scale che si allungavano lungo l’intero corpo della torre. Continuò a salire quasi saltando i gradini a due a due, per raggiungere dopo una buona manciata di minuti la cima dove le porte erano ancora sbarrate. Rimase a fissarle incerta sentendo il chiacchiericcio ormai lontano e dopo un attimo di esitazione tentò di aprire l’unica da cui pareva che il vento s’insinuasse.
«Posso disturbare?» la interruppe la voce di Re Boro dalle sue spalle e Aya sobbalzò, girandosi di scatto con un sorriso tirato degno di una bambina colta nel pieno di un misfatto terribile.
Avrebbero pensato che stava cercando di derubarli dato che era una pirata ai loro occhi e dopo l’ospitalità, la fiducia che le era stata concessa due volte, sarebbe stata la fine.
«Volevo ringraziarla a nome di tutto il paese per averci aiutato, non l’avevo ancora fatto, sono desolato.» spiegò l’uomo con una riverenza che gli fece scivolare un po’ la corona dal capo e che forse avrebbe dovuto rilassarla, ma invece le fece tremare i nervi soltanto notando che aveva smesso in maniera sospetta il tono confidenziale.
«Non deve. Vi sarebbe bastato parlare fra voi senza darvi addosso per risolvere da soli, io non ho meriti, ma grazie comunque.» sorrise cortese, incrociando con ansia le mani dietro il bordo superiore del vestito.
«Faremo del nostro meglio affinché la pace vada bene. Abbiamo già interrotto la chiusura e ho intenzione di chiedere ragguagli al Governo, magari parlarne al prossimo Reverie tra poco meno di due anni per chiarire questa questione degli equilibri mondiali. È d’accordo?» domandò d’un colpo e Aya abbassò sconfitta le spalle.
Quello era persino peggio del poter essere accusata di furto, quello era peggio di qualsiasi cosa. Aveva cercato di fingersi qualcun altro, a quanto pareva però ogni suo tentativo falliva miseramente. Era fallito con Kidd, con Law, adesso anche con Re Boro. Doveva avercelo tatuato in faccia il luogo da cui proveniva, non c’era altra spiegazione.
«Qualcuno dovrà pur farlo e a lei forse daranno retta, ma la prego, la smetta di parlarmi a quel modo per piacere… voglio solo… sono una persona come un’altra.» bofonchiò esasperata, suscitando nell’altro un moto di allegria.
«Anche quando l’ho vista l’ultima volta diceva così, aveva sei anni!» rammentò nostalgico, riportando anche alla mente di Aya quel lontano giorno in cui l’uomo si era recato nella capitale per motivi politici.
Aveva approfittato del soggiorno per portarle un regalo identico a quello che aveva fatto costruire per sua figlia Ide, un’altalena da far legare a uno degli alberi del giardino che agli occhi di Aya era parso uno dei giochi più belli che mai avrebbe potuto desiderare. Alla fine non c’era salita nemmeno una volta, sua madre l’aveva fatta gettare in strada come robaccia, aveva giudicato un affronto terribile quello di comparare i regali per un Nobile mondiale a quelli di una “bambina qualsiasi”. Re Boro non si era scomposto e l’altalena era rimasta sul lastricato finché dei visitatori di passaggio non l’avevano portata via estasiati quasi fosse un souvenir.
«Non mi è mai piaciuto quel tono, mi mette angoscia. Sembra che tutti si aspettino qualcosa da me e il peggio è che non so nemmeno io cosa.» confessò con un sospiro pesante, mentre l’altro davanti a lei s’incupiva un po’.
«La credono tutti morta dopo quell’incidente all’arcipelago Sabaody… i suoi genitori hanno pianto molto.» fece presente dopo un lungo momento di silenzio, azzardandosi a sollevare lo sguardo per fissarla con rammarico.
Sapeva che sarebbero arrivati a toccare quel discorso tanto delicato, eppure quelle parole la colsero comunque impreparata suonandole del tutto inaspettate.
Quel marines di nome Shizaru le aveva spiegato come stavano le cose al suo arrivo nel Nuovo Mondo. Per Re Boro e il resto della gente lei era morta, una triste vittima dell’invidia e del rancore covato da pirati e schiavi nei confronti delle alte sfere della loro idilliaca società. Il suo corpo non era stato ritrovato, ma c’era stata una veglia a Marijoa, i responsabili – Ko – erano stati puniti per le loro orride crudeltà contro di lei e i suoi genitori avevano sofferto la perdita di una adorata figlia per colpa del male di quel mondo che tentava di sovvertire l’Ordine per far sprofondare tutto e tutti nel caos più oscuro. Non era la verità certo, Aya non si era mai sentita così viva come in quei tre anni di libertà nonostante gli sforzi della Marina per catturarla, ma la maggior parte delle persone lo credevano, dovevano crederlo per volontà del Governo mondiale e dei Draghi Celesti, quindi perché stupirsi se Re Boro le faceva notare quella miracolosa incongruenza nel racconto ufficiale?
Si mordicchiò il labbro sentendo gli occhi pizzicare per la tristezza, ma si sforzò di trattenersi, inghiottendo il groppo che le era salito alla gola prima di ricambiare lo sguardo.
«Stanno molto meglio senza di me… se non l’ha ancora fatto, eviti di avvisarli del nostro incontro. Come un favore personale, può?» chiese composta con un sorriso involontario.
Le doleva il cuore al solo pensiero che la sua famiglia potesse odiarla tanto da fingere la sua morte per liberarsi della sua scomoda presenza e una parte di lei, quella più inascoltata e imbrigliata, le suggeriva di fargli avere i suoi saluti solo per far provare loro un briciolo del malessere che le avevano causato, malgrado ciò non voleva che il rancore la consumasse e si era in qualche modo convinta che in quello stato precario di bugie la vita di tutti potesse procedere più serena. Lei avrebbe continuato ad inseguire il proprio sogno e loro a trastullarsi nella quiete familiare tanto sperata, sempre che Re Boro tacesse certo.
Vide il sovrano che le stava di fronte aggrottare stranito la fronte per quella richiesta insolita, ma non ebbe il tempo di sentire la risposta che le stava dando quando il sibilo che aveva inseguito le esplose nelle orecchie, strappandole un versetto di fastidio che la fece voltare verso la porta.
«Non si sente bene?» s’informò l’uomo preoccupato, spingendola a rigirarsi con finta noncuranza.
«Sarò solo stanca, non è nulla, lasci perdere.» assicurò scuotendo le mani con un sorriso tirato.
Rimase per un istante tentennante prima di muovere un passo avanti sul punto di riscendere alla festa, ma Re Boro le rivolse un’occhiata complice che la arrestò sul posto e si fece avanti, estraendo da una tasca la chiave della porta sbarrata che lei aveva provato ad aprire.
«Venga, le farà bene stare un po’ all’aria aperta.» la invitò, facendo scattare i cardini cigolanti per poi precederla all’esterno.
Una folata di vento la investì in pieno quando la sommità della Tsutenkaku le si allargò di fronte come l’enorme spiazzo lastricato che era. Nuvole fluttuavano placide sul ciglio del vuoto, soffermandosi un po’ prima di scivolare lontano riprendendo il proprio viaggio silenzioso per il cielo, un pulviscolo si sollevava in piccoli ghirigori dalle pietre della pavimentazione e Aya rimase per un attimo rapita da quello spettacolo, scoprendosi a sorridere incantata senza nemmeno averlo previsto.
Egle era appena un cerchietto di mura ai piedi della costruzione, Myramera una macchia di minuscole abitazioni che sbucavano tra il verde scuro degli alberi che coprivano l’isola e il Grande Blu si stendeva a perdita d’occhio, placido e muto, sino a tracciare un orizzonte curvo che era impossibile vedere allo stesso modo nemmeno dalla cima dell’albero maestro di una nave. Non si sentivano voci, non si vedeva nessun uomo, tutto era lontano, immerso nella propria vita come se sconoscesse la sua esistenza e non si curasse dello sguardo con cui lo spiava.
Si volse verso Re Boro per ringraziarlo di quello spettacolo imprevisto e si accorse solo in quel momento che in mezzo a quella meravigliosa desolazione stava adagiato un Poignée Griffe, unico sospettato del sibilo che la tormentava dalla fine degli scontri.
«Lo portò Momoe ottocento anni fa e lo affidò in segreto alla mia famiglia affinché lo custodisse, è nascosto qui su da allora... ho sempre creduto che avesse voluto così affinché non andasse perduto o distrutto, ma pensando a ciò che è accaduto credo sia stato anche per questo che lo hanno ucciso. Forse pensavano fosse dalla parte dei loro nemici, un pericolo.» meditò, guardandolo con una certa soggezione, mentre Aya gli si avvicinava con il naso per aria.
Per quanto rari fossero le era già capitato di vederne più di una volta e quel fischio, incredibilmente simile ad una voce, che le aveva disturbato l’udito per giorni le aveva fatto sospettare della presenza di una di quelle misteriose pietre già una mezz’ora prima, eppure non poté fare a meno di scrutarne ogni incisione come rapita.
Il Governo aveva vietato molto tempo addietro lo studio dei Poignée Griffe, per secoli si era persino tentato di distruggerli per poi scoprire che fosse del tutto inutile. Erano rimasti abbandonati, nascosti in luoghi quasi irraggiungibili come memorie di un passato che irritava e offendeva, non era quindi impossibile credere che uno di essi fosse stato la causa della tragedia che aveva investito Momoe. Quello che Aya non capiva era perché un Drago Celeste che aveva partecipato alla guerra contro l’Antico Regno, che conosceva la verità su tutto, si fosse speso tanto per proteggerlo, attirandosi anche l’odio dei propri alleati, della propria famiglia.
Allungò dubbiosa una mano sottile sulla sua superficie scura e avvertì la voce che pareva vi provenisse da dentro rimbombarle nella mente come se davanti le stesse davvero qualcuno.
« È un veleno che non uccide, li offende, li provoca e li irrita a tal punto da volerla imbrigliare affinché cambi il passato… ma ogni cambiamento è un passo che ne comporta sempre un altro, grande o piccolo, doloroso o meno, la ruota continuerà a girare… lasciatemi così, ho capito… » ripeté frastornata ritirando la mano al petto.
Quella pietra ripeteva con indicibile insistenza quelle frasi, come fossero gli ultimi ricordi da lei serbati in secoli di solitudine e silenzio non faceva che ricominciare da capo, svuotandosi su Aya incessantemente. Altre parole vi facevano eco ogni tanto, nascoste e distorte, ma nulla o forse chissà cosa avevano a che fare con ciò che pareva essere l’unico scopo della sua esistenza.
Le si strinse il cuore intercettando in quel tono innaturale, lontano e logicamente privo di sentimenti, un’ombra di disperata afflizione e non poté proprio fare a meno di darle una realtà tramite le proprie labbra per poi restarsene a pensarci su neanche fosse un’enigma da risolvere.
«Sa leggerlo?» sbottò con stupore Re Boro vedendola tanto concentrata.
«No, io… è come se mi parlasse. Non so se ciò che dice corrisponde a ciò che c’è scritto, non sono neanche sicura sia possibile che parli dato che si tratta di una pietra.» si giustificò, voltandosi appena.
Erano ciò che restava di una civiltà scomparsa che aveva rappresentato un pericolo per tutti, il loro linguaggio si era perso nel tempo venendo alla luce solo per mezzo degli archeologi di Ohara per poi tornare a sé stesso. Se quelle pietre avessero avuto la capacità di parlare il Governo mondiale non avrebbe mai messo fine ai tentativi di distruggerle, era impossibile quindi ne fossero in grado, eppure Aya non avrebbe saputo descrivere in altro modo ciò che accadeva ogni qual volta se ne trovava una vicina. Ko le avrebbe detto che probabilmente avevano qualcosa di talmente tanto importante da comunicare da acquistare quella dote, un po’ come un’anima che rifiuta il riposo per stare accanto ai propri cari o perseguitarli.
«Tutto a questo mondo ha una voce, di rado però nasce qualcuno capace di poter ascoltare meglio di altri o persino parlare con ciò che gli sta attorno. È un dono miracoloso quello che ha, ma è meglio se non ne faccia parola con nessuno.» la rassicurò inaspettatamente Re Boro, rivolgendole un sorriso quasi paterno.
Il modo in cui la guardava tuttavia – andando contro al distacco che avrebbe dovuto mantenere ora che l’aveva riconosciuta – la mise in uno strano stato d’animo.
«Perché? È così grave?» temette preoccupata.
«No, ma ci sono persone che cercano chi ha questa capacità, gli danno la caccia, per poter raggiungere più facilmente i propri scopi ingiusti. Deve fare attenzione, molta.» raccomandò greve e Aya fu sul punto di chiedere di cosa esattamente stessero parlando, ma un rumore giunse dall’interno della torre lungo le scale.
Entrambi si volsero al sopraggiungere di una figura dorata sulla soglia, rasserenando in parte la tenzione di quell’interruzione solo alla vista di un Tito trafelato e dalla pettinatura scomposta.
«Sire.» chiamò, esibendosi in un inchino frettoloso «… ci sono ospiti. Graditi o no, non saprei dirlo al momento.»
«Kidd?» azzardò a chiedere titubante Aya.
Diante le aveva espressamente fatto presente che la sua permanenza nel Regno era un’eccezione alle regole concessa solo per l’aiuto che aveva dato e per il desiderio di Ide, ma non avrebbe tollerato nessun altro pirata. Era convinta che il rosso non avesse alcuna voglia di partecipare alla festa di riconciliazione, non era però da escludere che stesse ancora bazzicando per la città con il supporto di Rolf.
«No… è la Marina.»

























-------------------------------------------------------------
Note dell’autrice:
Vi avverto che c’è un bel po’ e soprattutto chiarirò anche qualche parte oscura che ho segnalato inizialmente come spoiler, quindi semmai siate tra i lettori che non seguono gli aggiornamenti (occasionali più dei miei! ò_ò) di Oda-dono potete anche saltare la lettura delle note o se proprio volete invece, quelle in merito ai Poignée Griffe e ai nuovi Hearts! Comunicazione di servizio conclusa, mi appropinquo…

- Reclute: Si tratta nella fattispecie della signorina riccioluta e del tipo mascherato che compaiono nella saga di Zou al ricongiungimento di Law con il suo equipaggio. Non ci sono ancora stati svelati i nomi, i ruoli né se abbiano una qualche parentela, ma io ho voluto seguire l’idea di un gruppo di artisti appassionati su Tumblr che li ha immaginati fratelli e macchinisti a bordo del sottomarino, quindi non prendetela come la rivelazione del secolo. Ci tengo a dire che ho voluto accennare a loro solo per puro sfizio, non hanno un ruolo decisivo né cambieranno le sorti di qualcosa, la storia segue una via prestabilita che quel burlone di Oda sta cercando di farmi saltare in aria ad ogni aggiornamento, ma c’è, quindi semmai fra qualche capitolo dovessero risaltare fuori non crediate il contrario. Fidatevi della mia buona fede miei cari ù_ù
- Kurage&Shosa: Non sono nuove aggiunte, ma nomignoli con cui Torao si riferisce rispettivamente a Jelles Rokk e Bados. Letteralmente sarebbero “Signor Medusa” e “Signor Maggiore” in giapponese.
- Cassa: Da un po’ Law nei suoi POV ha intrapreso la via del recupero crediti nei confronti dei malvagi e gira voce che si stia dilettando in un nuovo genere di tortura con i suoi nemici… beh, lo sappiamo tutti ormai che ha consegnato quei centi cuori alla Marina per diventare Shicibukai, io non potevo mica evitarlo, quindi sappiate che si tratta di quello. Continuare a mantenere la suspance è inutile ormai.
- Hobby di Kidd: Aya nel suo curiosare da brilla (lo so, per alcuni è un cliché, per me è un classico che non tramonta mai XD) vede sulla scrivania di Kidd dei mucchietti di metallo manipolati secondo svariate forme, ebbene sappiate che la mia mente ha sviluppato di sua iniziativa un headcanon per cui il rosso abbia l’hobby di giocare con i poteri del proprio sfrutto quando si annoia. Se ve lo state chiedendo no, non dico che farà una riproduzione di Aya in ferro battuto, sarebbe trash persino per lui e soprattutto troppo per me.
- Mononobe/Mononoke: Oda-dono è un esperto, come tutti i giapponesi, in questo genere di giochi di parole e io ho voluto dilettarmi in una prova del genere con questo. I Mononobe, nome della famiglia cui Aya appartiene e che svelo sì solo dopo quasi settanta capitoli, erano in realtà un antico clan nipponico che ebbe un ruolo chiave in molte vicende dell’Impero nipponico, furono il braccio armato dell’Imperatore nelle lotte spirituali con gli altri clan e proprio il loro nome è quasi del tutto identico a quello dei mononoke. Definiti anche come “Esseri cangianti” nella mitologia nipponica, si tratta di spiriti capaci d’indurre malattie che parevano essere molto diffusi durante il periodo Heian. I due concetti differiscono dunque solo per la sillaba “Ke” la quale vuol dire “malattia” in giapponese.
- Poignée Griffe: una volta ancora mi sono lanciata nel ritrovamento di uno di questi misteriosi reperti, ma credo che ormai si sia capito che Aya vi ha qualcosa a che fare e quel qualcosa lei lo intuisce proprio in questo capitolo di fine saga. Ho voluto una volta ancora tentare di inserire una frase che faccia da apri fila, da indizio rivelatore in forma profetica e l’ho scritta come ho potuto, quindi abbiate pena di me che ho tentato. Oltre all’enigma di ciò che “irrita e offende come un veleno che non uccide” ho pensato fosse il caso di inserire anche Re Boro e un accenno alle nuove rivelazioni sui Poignée Griffe svelate nell’arco di Zou. Come Re Kobra ad Alabasta, Re Boro custodisce per qualcun altro una di queste pietre e la nasconde persino al Governo che da secoli cerca di distruggerle, ma non si tratta di un Road Poignée Griffe benché lui dica ad Aya di prestare attenzione, le sue sappiate che sono solo premure affettuose e disinteressate. Non temete, non farò di Aya l’asso nella manica di Kidd per Raftel, affatto, anzi…




  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Belarus