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Autore: Luce_Della_Sera    22/05/2016    0 recensioni
(Sequel di “L’amore è sempre amore” e di “La vera essenza delle famiglie”)
Dal terzo capitolo: "L’amore per i figli è l’amore più grande: è infinito, così infinito che ti lascia senza fiato".
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2: Una cattiva notizia

Vittoria regolò il tapis roulant, e si mise a correre sull’attrezzo adeguandosi presto alla velocità che aveva scelto. Venire in palestra non le piaceva particolarmente, ma lo faceva per mantenersi in forma e per un’altra ragione ben precisa … la quale, però, ancora non si era fatta vedere.
“Strano, mi aveva detto che sarebbe venuto!”, pensò. “Possibile che abbia avuto qualche contrattempo?”.
Stava giusto per chiedersi se doveva rintracciarlo al cellulare, quando si sentì chiamare.
“Vittoria! Ciao, come va?”.
Davide, rosso in viso, la raggiunse.
“Bene, grazie! Tu?” rispose la giovane, diventando immediatamente paonazza.
“Tutto regolare, nessuna novità”.
“Sono contenta di sentirtelo dire! Ehm …”. La ragazza stava cercando disperatamente di dire qualcosa di particolarmente arguto o divertente che potesse colpire favorevolmente il suo interlocutore, quando le sue riflessioni furono interrotte dallo squillo del suo cellulare, che si trovava nella borsa che lei aveva posato accanto al tapis roulant. Lasciava sempre il borsone contenente gli asciugamani e i vestiti di ricambio nello spogliatoio, ma non si fidava abbastanza da fare altrettanto con la sua borsa personale, che conteneva, oltre al telefonino, anche i soldi e i documenti … e a volte, come in quel caso, la sua diffidenza si rivelava utile!
“Pronto?” fece, con un tono tra l’agitato e il sollevato, dopo aver fermato l’apparecchio su cui stava correndo e dopo aver svuotato quasi completamente la borsa prima di trovare quel che cercava.
“Vittoria? Sono papà”.
“Ah, ciao!”, fece la diciottenne, sorpresa. Suo padre non la chiamava mai quando era in palestra, quindi non sapeva come interpretare quella novità! Ma non dovette attendere molto per venire a capo di quel piccolo mistero.
“Sei in palestra, vero?”, le chiese infatti Dario.
“Sì, perché?”.
“Se riesci, dovresti venire via da lì il prima possibile: nonna Maria non ce l’ha fatta”.
“Oh, no!”.
Vittoria si sentì come svuotata; sapeva che sua nonna paterna non stava bene da tempo ed era quindi consapevole del fatto che presto o tardi l’avrebbe lasciata, ma nonostante ciò non poteva fare a meno di provare una grande tristezza.
“Lo so, è tutto molto triste. Però, bisogna pensare che, almeno, adesso è in pace …”.
Il cervello della ragazza registrò quelle parole, ma lei si sentiva stordita: dovette controllarsi per non tremare e fece un bel respiro per mostrarsi forte. “Hai ragione. Ora mi cambio, mi do una lavata, avverto mamma Irene e mamma Sara e vengo subito! Dove sei? In ospedale?”.
“Sì … ci vediamo lì tra poco, ok? Se hai qualche problema chiamami, così ti vengo a prendere!”.
“Tranquillo, dovrei farcela da sola”.
Vittoria chiuse la comunicazione dopo aver salutato il papà, ma anziché riporre subito il cellulare in borsa, rimase a fissare il piccolo schermo con aria imbambolata, incurante delle occhiate che le stavano lanciando gli altri occupanti della sala.
“Vittoria? Va tutto bene?”.
Davide, che da quando era arrivato si era messo a usare lo stepper, si voltò preoccupato verso la sua amica.
“Non molto”, rispose lei, con voce tremula, “mia nonna paterna è morta!”.
“Davvero? Mi dispiace!”. Il ragazzo lasciò perdere i suoi esercizi, senza neanche curarsi di spegnere la macchina che stava utilizzando, e le si avvicinò, cercando di capire quale fosse il modo migliore per confortarla.
“Vieni, andiamo di sotto, verso gli spogliatoi”, disse poi. “Così potrai dirmi bene cosa è successo!”.
Sapeva che molto probabilmente c’era ben poco da dire, ma voleva che Vittoria si sentisse a suo agio, e di certo ciò non poteva essere possibile in quel luogo e in quel momento, con tutte le altre persone che, seppure intente almeno apparentemente a farsi gli affari loro, avrebbero potuto cogliere anche accidentalmente qualche parola su un discorso serio e che non li riguardava; quindi, la guidò fuori della sala.
“Allora”, le fece poi, quando furono giunti a destinazione. “Ti va di parlarne? Mi è sembrato di capire che devi andare via, ma magari se me ne parli ora, starai un pochino meglio!”.
Vittoria lo guardò; era vero che doveva andare via in fretta, ma aveva una gran voglia di parlare con lui. Dopotutto, si conoscevano sin da quando erano bambini, e Davide in quell’ultimo periodo per lei era diventato più di un semplice amico …
“Sai bene che mio padre mi ha riconosciuta quando avevo già sette anni e mezzo; questo ha fatto sì che io e mia nonna paterna ci conoscessimo quindi con molto ritardo rispetto a tutti gli altri nipoti con le loro nonne … non sempre siamo andate d’accordo, visto che il 97% delle volte che ci vedevamo lei insisteva a dire che convivo con due depravate e che avrei fatto la loro stessa fine, ma era comunque mia nonna! Quindi, quando ho saputo che aveva problemi di Alzheimer la cosa non mi ha fatto piacere. Aveva ottanta anni, però… adesso non potrei più cercare di conoscerla, tentare di farle cambiare idea sulla mia famiglia …”.
Davide annuì. Anche se la sua situazione era un po’ diversa, perché lui aveva sempre vissuto con i suoi due padri e aveva avuto a che fare sempre e soltanto con due nonni naturali e due acquisiti, poteva ben capire come si sentiva Vittoria: era chiaro che la ragazza stava soffrendo molto, perché con gli anni aveva imparato a voler bene alla nonna anche se questa non la apprezzava pienamente per via della sua mentalità riguardo a certi argomenti, mentalità che tra l’altro l’anziana signora condivideva con il suo unico figlio …
“Senti, che ne dici se ti do un passaggio fino all’ospedale? Basta che mi dici quale è, e io ti ci porto: ho girato parecchio in motorino qui in città, quindi conosco moltissime zone!”.
Non era del tutto vero: aveva sì usato spesso il motorino per spostarsi da quando aveva iniziato le superiori … ma non poteva dire di conoscere molte zone, e soprattutto non poteva dire di conoscerle bene. Nonostante ciò, si guardò bene dal dire la verità alla sua amica d’infanzia, e continuò ad ostentare una sicurezza che era ben lungi dal provare anche quando la sentì accettare la sua offerta!

 
 

“Grazie per il passaggio, sei stato molto gentile!”.
Vittoria si sfilò il casco e lo porse all’amico, che ne indossava uno a sua volta: Tommaso e Marco avevano sempre insistito affinché il figlio ne portasse sempre due anche quando viaggiava da solo, in modo da poter stare tranquillo qualora qualcuno avesse deciso di farsi un giro con lui all’ultimo minuto, e così nessuno dei due ragazzi aveva avuto problemi durante il viaggio. E non ne avevano avuti, fortunatamente, neanche per quel che riguardava la strada da percorrere: Davide non conosceva proprio tutto il tragitto, ma una buona parte sì, e così era riuscito a cavarsela anche grazie alle indicazioni che Vittoria gli aveva fornito spontaneamente.
“Figurati, non c’è di che!” riuscì a rispondere, mentre tornava al presente e cercava di non restare troppo incantato nel guardare la ragazza, che lo fissava con i suoi bellissimi occhi verdi.
“Allora … io vado”.
“D’accordo. Poi se te la senti chiamami, ok?”
“Va bene!”.
Vittoria si allontanò, cercando di non far capire quanto si sentisse triste; Davide si sentì stringere il cuore al pensiero di doverla lasciare sola, ma sapeva che certe cose riguardavano soltanto le famiglie, quindi non se la sentiva di mettersi in mezzo. Inoltre, lei non aveva manifestato concretamente il desiderio di averlo fisicamente vicino in quel momento così difficile, perciò non se l’era sentita di imporre la sua presenza!
Mentre rimetteva in moto il suo mezzo a due ruote, vide la ragazza fermarsi a parlare con una donna di colore, che si trovava davanti alla porta dell’ospedale. Sapeva chi era quella donna, e si sentì rassicurato al pensiero che con lei Vittoria sarebbe stata in buone mani; la guardò un’ultima volta, reprimendo l’istinto di correre da lei per tenerla stretta tra le braccia e confortarla, e infine partì.

 

“Ciao Jasmine!”
“Ciao Vittoria! Come mai ci hai messo tanto? Hai avuto qualche contrattempo?”.
“Colpa del traffico … mi sono fatta accompagnare da un amico, forse l’hai visto!”.
Avrebbe volentieri evitato di citare Davide, ma sapeva che c’era una concreta possibilità che la sua matrigna l’avesse visto; quindi, tanto valeva non fingere.
“Sì, ho notato. Era il figlio di Tommaso e Marco, vero?”.
“Già”, fece la ragazza, abbassando lo sguardo per non far notare all’adulta che stava arrossendo violentemente. Poi, però, ricordandosi dov’era, lo rialzò immediatamente, e chiese:
“Papà e Kevin sono dentro, vero? Isabel è con loro?”.
“Isabel non è qui, l’ho mandata dai miei genitori: è arrivata in Italia a metà giugno, adesso siamo all’inizio di settembre e non mi sembra il caso di sconvolgerla con una visita alla camera mortuaria di un ospedale. Ha solo cinque anni! Comunque, tuo padre è dentro, Kevin invece è nella sala adiacente: non è voluto entrare nella sala dove sta vostra nonna!”.
Vittoria guardò la moglie di suo padre, lievemente confusa: capiva perché Isabel non fosse presente, e capiva anche a cosa servisse la camera mortuaria, ma cosa intendeva dire Jasmine affermando che Kevin si trovava in una sala adiacente? C’era una sala vicina a quella dove stava la bara? Per sua fortuna, non aveva mai avuto lutti prima d’allora, e quindi non sapeva come funzionavano le cose dopo una morte! L’unica cosa che sapeva, era che il senso di vuoto e di dolore che si era impadronito di lei dopo che il padre le aveva dato la brutta notizia non l’aveva mai abbandonata per tutto quel tempo, nonostante avesse fatto del suo meglio per non mostrarsi troppo disperata sia davanti a Davide sia davanti alla madre del suo fratellastro.
“Vieni, su”, le disse Jasmine,  mettendole una mano su una spalla e conducendola dentro l’ospedale, guardandola come se avesse capito benissimo cosa le passava per la testa. “Mentre andiamo, ti spiego come funzioneranno le cose da ora in poi!”.

 
 

Kevin fissava il muro davanti a sé, come inebetito. I suoi pensieri vagavano, confusi, al punto che, quando si sentì chiamare con un bisbiglio, poco mancò che saltasse dalla sedia su cui era seduto.
“Vittoria! Ciao!”, esclamò qualche istante dopo, tenendo un tono di voce molto basso.
“Ciao Kevin, scusa se ti ho spaventato”.
“No, figurati … è che, sai …”.
La ragazza, che si trovava poco oltre la soglia della stanza, si avvicinò al fratellastro e si sedette su una sedia posta accanto alla sua.
“Tranquillo, ti capisco. E’ tutto così … strano, brutto, avvilente! E quindi, è normale essere un po’ stralunati e sconvolti, credo”.
“Ma tu l’hai vista?”.
“Sì, sono entrata nella camera mortuaria … sia per salutare papà sia per vedere nonna”.
“Ok … allora devo andarci anche io”, fece Kevin, alzandosi in piedi.
“In che senso, scusa? Non sei andato a vederla?”.
“No, avevo stabilito di non farlo”, spiegò il ragazzo. Poi si avvicinò alla sorella e le parlò stando praticamente quasi attaccato ad una delle sue orecchie, come se temesse che anche i muri della stanza potessero ascoltarlo.
“Ma sai come la pensa papà su queste cose: se io non vado, ora che ci sei andata tu dopo il funerale troverà il modo di rinfacciarmelo. Mi dirà che sono una femminuccia, che sono uno smidollato, un immaturo, e che in generale non ho avuto il coraggio di fare una cosa che invece una ragazza ha fatto tranquillamente! Non voglio litigare con lui anche per questo; lo faccio già spesso in condizioni normali”.
Detto questo, fece per andarsene; ma dopo aver fatto solo due passi, fu costretto a voltarsi indietro, perché la sua sorellastra lo stava trattenendo per un braccio, tirandolo all’indietro.
“Mi dispiace, fratellino, ma tu non vai da nessuna parte, se non sei convinto. Non ho mai vissuto lutti fino ad ora, per fortuna, ma ho già capito che sono momenti delicati; quindi, se non te la senti di entrare nella camera mortuaria hai diritto di restare fuori. La nonna di certo non se la prenderebbe, e se papà non riesce a capire certe cose beh, ha quarantacinque anni, è ora che lo faccia!”.
Il ragazzo annuì; sapeva che Vittoria aveva ragione.
“D’accordo, allora non entrerò. Però ti va se usciamo fuori, all’aria aperta? Almeno lì potremmo parlare con tono di voce normale! Non ne posso più di stare qui!”.
Fu così che i due fratelli uscirono dalla sala dei dolenti.

 
 
“Hai idea di quante volte siamo venute in questo parco?” chiese Sara ad Irene, mentre entrambe erano sedute su una panchina e seguivano con lo sguardo Gabriele, che si divertiva sull’altalena.
“Parecchie, direi … ma goditi questa e le prossime, perché saranno le ultime: dubito che Gabriele vorrà tornare qui, quando farà le scuole medie! Semmai, ci andrà da solo, per bighellonare con gli amici”.
“E’ vero. Spero comunque che succeda il più tardi possibile! E che non ci vada per fumare, magari. Ci pensi mai, a quanto tempo è passato? Sembra ieri che Vittoria e Gabriele erano dei frugoletti minuscoli, e invece guardali adesso!”.
“Già. In passato, spesso mi ritrovavo a desiderare che restassero sempre piccoli, sai? Adesso, invece, vorrei soltanto che vivessero una vita serena e meno complicata e dolorosa possibile. Non hai idea di cosa avrei dato per stare al fianco di Vittoria, oggi! Non sono andata con lei soltanto perché me lo ha impedito, e io ho pensato che forse voleva vivere il suo dolore da sola e che il mio compito consistesse solo nel consolarla quando tornerà a casa. L’adolescenza è un periodo complicatissimo! A volte non so davvero come prenderla!”.
Sara, che stava guardando il figlio, ci mise un po’ a rispondere; alla fine, però, si voltò verso la donna che da quindici anni era sua moglie.
“La nostra piccolina è in una fase complicata e delicata, è vero … ed è logico quindi che tu possa avere delle difficoltà con lei. Le ho anche io! L’importante però è che lei sappia che può sempre contare su di noi quando lo vorrà, e che sia convinta che noi ci saremo sempre, per aiutarla … perché noi la amiamo!”.
Irene annuì: capiva perfettamente cosa voleva dire la sua compagna. Lei amava infinitamente sia Vittoria che Gabriele; si considerava madre di entrambi, e sarebbe stata disposta a compiere anche le imprese più impossibili, assurde e disperate pur di farli stare bene. L’affetto che nutriva per i figli era una delle poche certezze che poteva affermare di avere nella sua vita … ed era certissima che anche per Sara fosse lo stesso!

  
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