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Autore: spongansss    22/05/2016    4 recensioni
Emma aveva sempre cercato di controllare la sua vita, nulla era mai riuscito a distruggere i suoi piani, tranne l'arrivo di Henry, finché un incontro le ha fatto capire che le nostre vite non possono essere controllate fino in fondo.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13
"La fortuna che abbiamo"



“Però non hai risposto alla mia domanda.”
“Non pensare che sia uno stalker. Credo che per capire esattamente cosa sta succedendo dovresti chiedere a Henry.”
“Henry? E cosa c’entra lui con te?”
Si udì un urlo dall’altra stanza. Henry chiamava sua mamma con una certa insistenza.
“L’ho chiamato io. Ho capito che avevi rinunciato a qualcosa e ho fatto due più due. Quindi ora voi due uscite a cena.”
“Noi due cosa? Ragazzino, sei impazzito?”
Crac. Il suono emesso dal cuore di Killian nell’udire quella frase.
“Mamma, non mentirmi, lo so che dovevi uscire con lui. So anche che non l’hai fatto a causa mia e so che sei troppo orgogliosa per ammettere che io non c’entravo proprio nulla. Vai e basta.”
Emma davvero non capiva. Le era sembrato che Henry non apprezzasse Killian, invece la stava spingendo tra le sue braccia.
Poco convinta si avviò verso la porta assicurandosi di mandare a quel paese Regina per aver fatto tutto quel casino di nascosto e, soprattutto, per averle fatto indossare i tacchi.


La macchina di Killian era davvero bellissima, Emma credeva di non essersi mai seduta su dei sedili più comodi. Era convinta che si potesse dormire meglio lì che sul suo letto.
Si avviarono verso il ristorante scelto da Killian.
“Ti dispiace se fumo una sigaretta?”
“No figurati, fai pure.”
Aprì il finestrino e si portò la sigaretta alle labbra.
Dio, se erano belle quelle labbra!
“Non sei convinta, non è vero?”
“Di che parli?”
“Sai, avevo avuto paura della tua reazione. Ti ho capita, sai, vuoi avere tutto sotto controllo, così pensavo ti saresti arrabbiata, e non poco.”
Le piaceva quell’intercalare che usava. “Sai”, lo diceva sempre.
“Certo se foste stati tu o Regina ad organizzare il tutto, sicuramente vi avrei preso a padellate in testa. Ma come si fa a dire di no ad Henry? Non avrei mai potuto arrabbiarmi con lui.”
Killian immaginò Emma correre per la casa con una padella in mano e a stento trattenne una risata.
“Allora perché non sei convinta?”
“Chi ha detto che non sia convinta?”
“Stai fumando Swan, in questi mesi non ti ho mai vista farlo. Sei agitata.”
Emma davvero non capiva come facesse quell’uomo a leggerle dentro così.
Il silenzio imbarazzante che seguì venne riempito dal suono proveniente dalla radio. Ed era strano: per loro il silenzio non era mai stato imbarazzante, anzi, tutto era nato dal silenzio. Il suo cervello incasinato le stava portando via anche ciò che l’aveva fatta sentire appagata in quei mesi.
Tu sei molto abile a stanarmi e a fare uscire fuori sempre troppo di me.
Anche la musica si prendeva gioco di lei. Il fato le stava mandando un messaggio. Ciò che le mancava era quale fosse la giusta interpretazione: era una cosa buona che Killian la capisse così?
Resto ferma sopra il ponte levatoio che si è appena abbassato e non so ancora se tornare indietro da sola un’altra volta oppure attraversarlo con te.
Okay, dovevano cambiare stazione radiofonica. Quella canzone la stava uccidendo. Il suo cervello già era incasinato, se poi anche i cantanti volevano farla pensare alle sue paure…
Se correre in discesa fa paura quando manca l’aderenza…
“Swan, sta parlando di te.”
Come diavolo faceva? In quella macchina c’era forse qualche marchingegno strano che era in grado di leggere il pensiero? Era forse uno stregone?
Puoi prendermi le braccia e immaginare siano freni di emergenza.
“Questo invece sono io”
E lì capì che pensare era inutile quando aveva la fortuna di avere al proprio fianco un uomo così. Ciò non faceva sparire le sue paure, non le bastava una frase detta così, commentando una canzone, ma era sempre un inizio e lei era stanca di scappare.
Gli sorrise, era la miglior risposta che potesse dargli. Lei non era brava con le parole, non lo era mai stata.


Emma rimase incantata davanti alla bellezza del ristorante scelto da Killian. Non era forzatamente elegante, anzi. Era molto moderno e semplice, non cadeva negli eccessi. Il pavimento era ricoperto di grandi piastrelle bianche; Emma si chiedeva come facessero a mantenere quel bianco candido così pulito. I muri avevano delle piastrelle di un grigio molto chiaro che colpirono Emma particolarmente: erano piastrelle ma sembrava fossero dei mattoncini irregolari ed erano fatte a regola d’arte, sembravano veri mattoni.
L’intero arredamento si basava su una scala di grigi, andando dal bianco al nero, fatta eccezione per le tovaglie che, invece, erano rosse dando così vitalità alla sala. Su un lato c’era un bancone dove venivano poggiate le portate, avevano un aspetto davvero invitante.
Il cameriere li accompagnò ad un tavolo piuttosto appartato. C’era una colonna a coprirli e sembrava quasi di stare da soli. Le piaceva quella posizione ma le toglieva il senso di protezione le dava l’avere persone intorno.
Killian la fece accomodare tirandole indietro la sedia come tutti gli uomini nei film romantici, quelli che Emma aveva sempre preso in giro, ma quel gesto fatto da Killian le fece molta tenerezza e non si spiegava il perché.
“Wow, da dove viene fuori tutta questa galanteria?”
Aveva bisogno di dire qualcosa per smorzare la tensione che si era formata, così disse la prima idiozia le venne in mente.
“Sono un gentiluomo, da sempre. Forse dovrai farci l’abitudine.”
“Non mi pare che la prima volta che ci siamo visti fossi così cortese, quindi non sei un gentiluomo ‘da sempre’. Hai forse preso delle lezioni per uscire con me?”
“Tesoro, non ho bisogno di prendere lezioni per sapere come sedurre una donna, ho un talento naturale.” Le disse alzando il sopracciglio. Doveva smettere di fare quella faccia o Emma gli sarebbe saltata addosso.
“Anche l’essere modesto ti viene naturale.”
“Modestamente.”
Finalmente tra loro era tornato tutto normale. Si punzecchiavano come una coppia di amici e Killian adorava poter uscire con una donna e poterci scherzare e prendersi in giro a vicenda. Non amava le coppie perfettine, quelle ingessate che dovevano per forza mostrare il loro lato migliore ed elegante all’altro. Secondo lui un primo appuntamento passato a chiedersi “cosa fai nella vita?”, “cosa ti piace?”, non era assolutamente paragonabile ad una serata passata con leggerezza e ilarità.
Poi la risata di Emma aveva un suono così bello, non poteva lasciare che diventasse seria.
In quel ristorante servivano principalmente pesce ed Emma non stava più nella pelle: aveva sempre adorato il pesce ed erano secoli che non ne mangiava. Leggendo il menù era attanagliata dall’indecisione, era tutto così invitante.
Decisero entrambi di prendere un antipasto e un secondo. Tartare di salmone per Emma, di tonno per Killian. Per secondo Emma scelse del tonno con aceto balsamico mentre Killian optò per dello spada con pomodorini e olive.
La serata trascorse meravigliosamente, tra risate di entrambi e gli sguardi languidi di Killian. Emma aveva un problema con gli occhi di quell’uomo. Stava perdendo la ragione per lui, si sentiva una sedicenne alle prese con la sua prima cotta. Non che fosse qualcosa di molto diverso, dato che era stata lontana per 10 anni da qualsiasi tipo di relazione di durata superiore alle dodici ore. Aveva dimenticato come fosse l’amore. Amore poi, che parola grossa, era solo molto presa da lui, e non sapeva neanche perché ne fosse così attratta, ma giunta a quel punto non le interessava più, le piaceva ciò che sentiva e questa era la cosa importante.
“Swan, ti va un dolce?”
“Non so, fammi leggere cos’hanno.  Oh mio dio! Hanno il tortino con il cioccolato fuso, potrei morire per uno di quelli.”
“Swan, hai per caso un problema con il cioccolato?”
“Mh… forse.”
Le portarono il suo dolce servito su un piatto trasparente cosparso di zucchero a velo. Quello doveva essere il paradiso.
Ne prese un pezzo con la forchetta , lo portò alle labbra. Dio, era fantastico. Chiuse gli occhi e era convinta di aver fatto qualche strano verso involontariamente. Infatti, non appena aprì gli occhi, si trovò davanti Killian che la fissava con uno sguardo indecifrabile. Arrossì visibilmente.
“No no, continua pure. Sei uno spettacolo niente male.”
A quel punto il rossore diventò impossibile da nascondere.
“Scusami, io e il cioccolato abbiamo una relazione molto fisica.” Gli sorrise. Doveva smorzare l’imbarazzo di quel momento.
“Lo vedo.” Le si avvicinò poggiando il pollice sulle sue labbra. “Sei sporca di zucchero” disse.
Emma rimase immobile a fissarlo, non si aspettava un contatto così ravvicinato, non in quel momento. Quando lui si staccò da lei cercava di riprodurre mentalmente la sensazione della sua pelle sulle sue labbra, ma non era la stessa cosa.
Dopo aver pagato la riportò a casa. Questa volta durante il tragitto non ci fu alcun tipo di silenzio imbarazzante, anzi.
Killian mise su un CD. Ben Howard. Emma davvero non se lo aspettava da Killian. Credeva fosse un tipo da hard rock, non da indie. Cantarono insieme, sembrava un viaggio fatto dopo un uscita di gruppo tra amici, invece erano loro due e seppur così diversi erano simili, si capivano.
Arrivati sotto casa di Emma arrivò il momento del distacco, quello che nessuno dei due volevano arrivasse.
“Killian, voglio dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Non sono uscita con te solo per non deludere Henry, prima mi ero espressa male e non voglio che tu pensi che l’abbia fatto per questo. Sono uscita con te perché volevo farlo.”
Detto questo Emma posò una mano sul petto di Killian, poi poggiò le sue labbra su quelle di lui.
Lui ne rimase sorpreso, non pensava sarebbe stata proprio Emma a prendere l’iniziativa. Per quanto credesse di capirla, in realtà trovava fosse davvero sorprendente, quasi imperscrutabile.
Assaporò le sue labbra, poi la sua lingua. Sapeva di cioccolato, era buona. Smosse i suoi capelli con una mano; liberarono un intenso profumo di cannella, avrebbe potuto annusarli per sempre.
Quel bacio era iniziato in modo così delicato che sembrava impossibile la potenza passionale di cui di era poi intriso. Il calore si propagava per i loro corpi, un brivido percorse la schiena di Emma quando Killian le morse il labbro inferiore. Era difficile separarsi arrivati a quel punto, ma sapevano di doverlo fare.
Fu il bisogno di respirare a farli separare, rimanendo vicinissimi. Occhi dentro occhi.
“Killian, è arrivato il momento di andarmene.” Sussurrò sulle sue labbra.
“È davvero necessario?”
“Eh già.” Baciò nuovamente le sue labbra poi aprì la portiera.
“Ci vediamo, Killian.”
“È una promessa?”
“Forse.”
 



Entrata in casa, si chiuse la porta alle spalle, cercando di far meno rumore possibile, e vi si poggiò contro.
Aveva un sorriso idiota stampato in faccia. Era una quindicenne in quel momento, e le andava bene così.
“Allora, com’è andata?”
“Ma sei pazza?! Mi hai fatto prendere un colpo! Perché sei lì al buio?”
“Dovevo placcarti in qualche modo. Comunque non mi hai risposto, anche se non credo ce ne sia bisogno, la tua faccia parla da sola.”
“Cosa vuoi dire?”
“Era tanto che non ti vedevo sorridere così.”







Angolo dell'autrice
Tadaaan! Ho fatto prestissimo, è un miracolo. Mi sembrava anche doveroso far scorrere la trama dopo lo scorso capitolo di stallo. Tra l'altro in questi giorni la fortuna è dalla mia parte: la canzone utilizzata, per quanto sia impossibile che venga ascoltata a Boston, è uscita due giorni fa e nelle parti citate mi ha ricordato un po' Emma e Killian, così ho deciso di utilizzarla. Ormai questi capitoli stanno diventando delle song-fic. Btw, la canzone è "La fortuna che abbiamo" - ecco da dove viene il titolo - di Samuele Bersani aka l'uomo della mia vita.
Spero veramente che il capitolo vi sia piaciuta, alla prima o poi con il prossimo.
Erika.
   
 
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