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Autore: giambo    23/05/2016    5 recensioni
L'entusiasmo sul volto del moro sparì di colpo, sostituito da un'espressione particolare: un misto di esasperazione e stanchezza.
“Marron...”
“Lo so!”
“Ne abbiamo parlato tante volte...”
“Non sono più una bambina, papà!” sbottò stizzita. “Ormai sono capace di badare a me stessa!”
...
“Marron...” l'androide tentò di dare alla propria voce un tono pacato, ma era palese che stesse per esplodere dalla rabbia. “Ne abbiamo parlato decine di volte. Quante altre volte vuoi litigare?”
“Io non voglio litigare. Vorrei solo sapere perché non posso andarci.”
...
“Più o meno.” dichiarò sghignazzando lei. “Sai perché lo faccio fare a te?”
“Perché non hai voglia di osservare degli adolescenti, vestiti in modo bizzarro, per tutta la sera?”
L'espressione che il volto dell'androide assumette non gli piacque neanche un po'.
“Perché so che tu non commetterai omicidi.” la sua voce era serafica, ma dentro di lei, in quegli istanti, stava ruggendo una vera e propria belva, assetata di sangue.
Il sangue di coloro che avrebbero osato fare del male alla figlia.
...
Storia nata come una One-Shot ma che, causa lunghezza, ho dovuto dividere in più parti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Crilin, Marron | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Non-con
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Capitolo 3

 

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Quella sera 18 non era dell'umore giusto per andare a letto.

La cyborg era solita coricarsi presto, non tanto per la necessità di dormire, la quale era estranea alla sua natura mutante, ma per valutare la giornata appena trascorsa. Spesso passava ore, con gli occhi chiusi, a ripensare agli avvenimenti del giorno, soppesandoli e valutandoli in tutte le loro sfaccettature. Era un modo come un altro per tenere allenata la mente, per evitare che si impigrisse. Se non aveva voglia di impegnarsi in quell'esercizio, era solita mettersi a leggere romanzi gialli. Trovava divertente, e sotto certi aspetti anche rilassante, mettersi a decifrare i vari enigmi e tranelli che gli autori disseminavano lungo una storia investigativa. Cercava di arrivare all'identificazione dell'assassino prima della rivelazione, ed era intimamente lusingata di riuscirci il più delle volte. Per quanto fosse una donna estremamente pragmatica e decisa, trovava che quegli esercizi mentali fossero molto utili per evitare l'arrugginirsi dei propri circuiti.

Ma quella sera il letto non la invogliava proprio. Suo marito era tornato poco prima di cena, parlando poco, e preferendo rinchiudersi nella stanza degli allenamenti una volta consumato il pasto. Marron invece sembrava l'ombra della ragazzina vivace ed allegra che era sempre stata. Si era limitata a piluccare il proprio piatto, in silenzio, chiedendo educatamente il permesso di alzarsi una volta aver visto i propri genitori terminare di mangiare. Questi ultimi non avevano accennato a quell'atteggiamento perché era per loro perfettamente comprensibile: ci sarebbe voluto del tempo prima che la ragazza riuscisse a superare una simile esperienza, e non era detto che non le lasciasse degli strascichi permanenti dentro di lei.

L'androide guardò, sbuffando, il romanzo sul proprio comodino. Le sue iridi cerulee vagarono dal grande letto a due piazze al libro per alcuni secondi. Infine, scrollando le spalle, uscì dalla stanza, dirigendosi verso la cucina.

Non sono dell'umore adatto per risolvere indovinelli di bassa lega.

La cucina non era molto spaziosa, seppure le dimensioni non costituissero un problema in termini di spazio per i mobili e l'arredamento. Era un ambiente rettangolare, con le pareti ricoperte da una carta da parati azzurra, con sopra incisi variopinti disegni astratti di una caldo giallo crema. Il pavimento era formato da fredde e lisce mattonelle bianche, che stonavano con il parquet del resto della casa. Il piano cucina era piccolo, ma moderno e confortevole. Il resto del mobilio comprendeva un grande frigo, quattro mensole, dove venivano riposte le stoviglie, una piccola lavastoviglie, ed un tavolo rotondo, proprio al centro della stanza, dove di solito la famiglia svolgeva colazione, prediligendo il grande e spazioso salotto per il pranzo e la cena. Su uno dei lati più corti era situata una porta di vetro, che dava l'accesso ad un ampio terrazzo, dove si aveva una splendida visuale del quartiere.

18 rimase alcuni secondi appoggiata allo stipite dell'ingresso, guardando con affetto quell'ambiente. Era il suo regno, il luogo dove il suo essere donna si manifestava di più. Impossibile anche solo immaginare, fino a qualche anno fa, che quella vita da casalinga le sarebbe piaciuta così tanto. Eppure era così. Adorava preparare da mangiare per la sua famiglia, sentirsi apprezzata per ciò che faceva, percepire attorno a lei l'amore di persone vere, che riuscivano ad andare oltre la sua forza inumana ed i suoi circuiti, che vedevano in lei qualcosa di molto più complesso e magnifico: un essere umano.

Scosse la testa, lasciando scivolare via quei pensieri. Non era da lei indugiare in simili sentimentalismi, e francamente la cosa riusciva ancora a metterla a disagio. Aveva sempre pensato che esternare i propri sentimenti ed emozioni costituisse un pericolo, un modo per rendersi deboli. Era qualcosa di così profondamente radicato in lei che dubitava che Crilin e Marron sarebbero mai riusciti a cambiarla. Sapeva provare emozioni, e poteva capitare che le manifestasse a terzi, ma in cuor suo avrebbe sempre provato un vago senso di disagio nel farlo.

Si preparò rapidamente una tisana. Non era un'amante di quella bevanda, ma suo marito la consumava spesso dopo gli allenamenti. Diceva che lo aiutava a rilassare il corpo, dopo ore in cui lo aveva sottoposto a grandi sforzi. In quel momento, nervosa e con la testa ricolma di strane sensazioni, la cyborg voleva provare a dare credito alle parole del suo uomo.

Effettivamente, dopo un paio di sorsate, dovette ammettere che il calore che si sprigionava dal suo stomaco stava cominciando a rilassarla leggermente. Chiuse gli occhi, godendosi più intensamente quelle sensazioni, cercando di allontanare la mente dai cattivi pensieri.

Forse fu per quello che la 'percepì' più che vederla. Anche lei, come Crilin, aveva sempre trovato che il ki della figlia fosse come un diamante grezzo, che aspettava solo di essere lavorato.

Aprì lentamente gli occhi, trovandosela davanti, infagottata nel suo pigiama lilla con fiori di un azzurro pallido.

“Non dormi?” chiese dolcemente, squadrando il viso della sua bambina, alla ricerca di qualcosa a cui appigliarsi per comprendere il magma che ribolliva dentro di lei.

Marron scosse la testa, andando a sedersi davanti alla madre, strascicando i piedi nudi sul pavimento freddo. Rimase in silenzio, il volto impassibile, per lunghi minuti, mentre la cyborg terminava di bere la propria bevanda serale.

“Ne vuoi un po'?” le offrì alla fine quest'ultima. “Ho voglia di un'altra tazza.”

Ancora una volta la ragazzina preferì la gestualità alle parole, annuendo con la testa. Nei minuti in cui l'acqua bollì, 18 non lasciò per un singolo istante gli occhi della figlia, così simili eppure così diversi dai suoi. Ci lesse molto dolore e sofferenza in quell'azzurro bruciante, unito però ad una forte determinazione. Sopita forse, ma non cancellata.

“Posso capirti, sai.” cominciò l'androide, porgendole una tazza fumante d'infuso. “Anch'io per anni ho trovato il sonno una cosa superflua. Temevo di dimenticare ciò che provavo, per poi al risveglio accorgermi che nulla era cambiato... non una sensazione piacevole.”

Marron bevve un piccolo sorso, soffiando per raffreddare la bibita. Fu solo allora che aprì bocca per la prima volta.

“Ti è mai capitato?” domandò, con voce fievole.

La bionda rimase impassibile, mentre i suoi occhi divennero più freddi del ghiaccio.

“Non lo so.” rispose. Sapeva a cosa si riferiva la figlia, e per quanto odiasse rimembrare il suo passato era decisa a farlo, per il bene di lei. “Ma venendo a conoscenza, a posteriori, di molti dettagli... sì, anche io ho vissuto ciò che hai provato sulla tua pelle la scorsa notte... ma non avevo qualcuno che potesse proteggermi.” la sua voce era fredda, apatica, come se stesse parlando delle esperienze di un altro.

La ragazza non disse nulla, rimanendo in silenzio per lunghi minuti, specchiandosi nella patina liquida della sua tazza.

“E' brutto.” non era una domanda la sua.

“Sì.” confermò seccamente 18. “Desideri morire, e cominci a disprezzare il tuo stesso corpo, domandandoti per quale motivo ti è accaduto un simile orrore.”

Marron annuì.

“Precisamente.” pigolò.

“Con il tempo scoprirai che non ci sono risposte a questo. Dovrai impararci a convivere, per tutta la vita.” non erano propriamente parole di conforto, ma non era quello il fine ultimo dell'androide. Prima sua figlia avrebbe iniziato ad accettare quella cicatrice, prima sarebbe riuscita ad andare avanti. “La vita non è giusta, Marron. Ho sempre desiderato che tu non vivessi ciò che ho dovuto provare sulla mia pelle.” rivolse i suoi occhi al cielo stellato, di fuori, stringendo le labbra in una sottile striscia. “Non ho potuto godere di questa gioia.”

“Non è il... fatto in sé a farmi sentire... male.” replicò la bionda. Sembrava che parlare le costasse molta fatica. “Ma che... c'era un ragazzo... mi piaceva, ma...”

La cyborg le fece una carezza sulla guancia, cercando di farle sentire in quel modo la sua vicinanza.

“Gli uomini possono essere crudeli, Marron.” mormorò. “Non tutte riescono ad avere la mia fortuna, ad incontrare un uomo straordinario come tuo padre.”

Nella cucina ritornò un profondo silenzio, rotto soltanto dai ronzio degli elettrodomestici.

“Come vi siete conosciuti?” chiese improvvisamente la figlia. “Tu e papà, intendo. Come vi siete incontrati?”

18 sorrise, ma il suo fu un sorriso amaro, dettato da ricordi dolci e dolorosi allo stesso tempo.

“Ti sei mai chiesta da dove proviene la mia forza? Come possa essere capace di distruggere intere città, se solo lo volessi?”

Gli occhi di Marron la squadrarono con perplessità.

“E' perché sei... un cyborg, giusto?”

“Precisamente.” continuò la bionda, odiando essere chiamata con quel termine. “Non ho mai voluto raccontarti come ciò sia avvenuto perché... non è una cosa piacevole da rimembrare. Nessun figlio dovrebbe sentire come la propria madre sia diventata un...” le mancò il coraggio di pronunciare la parola mostro, ma fu chiaro per la ragazzina cosa intendesse.

“Non devi.” osservò quest'ultima. “Davvero, mamma. Non farlo se non vuoi.”

L'androide scosse la testa, chiudendo per alcuni istanti gli occhi. Quando li riaprì, sembrò aver ritrovato il freddo autocontrollo di prima.

“Non voglio segreti con te.” spiegò, prendendole una mano e stringendola con affetto. “Il mio unico desiderio è che tu riesca a non odiarmi... dopo tutto quello che ti dirò sul mio conto.”

Marron non rispose subito, riflettendo su quelle parole, profondamente turbata.

“Non potrei mai odiarti, mamma.” dichiarò infine. “Mai.”

Sulle labbra della madre tornò un flebile sorriso.

“D'accordo.”

 

 

Uscì dalla stanza, il corpo sudato e spossato. Si sentiva tutti i muscoli urlare di dolore, una sensazione che sfumò lentamente in un sordo pulsare.

Scosse la testa, sentendo i muscoli del collo irrigidirsi a causa di quel semplice movimento. Erano anni che non spingeva così a fondo le riserve del proprio fisico, ma dovette ammettere che la sua capacità di ripresa si era notevolmente affievolita.

Sono vecchio. Non era un pensiero piacevole, ma era la verità. Aveva ormai quarantasette anni, un età dove il fisico, anche se ben curato come il suo, cominciava a perdere colpi. Certo, Muten era rimasto agile e scattante anche da ultracentenario, ma il caso del suo vecchio maestro era un'eccezione troppo estrema per dare scontato anche per lui lo stesso fato.

Si mosse pigramente, lungo i corridoi a lui familiari, desiderando una doccia calda ed un letto accogliente, dove addormentarsi affianco della sua donna.

Sospirò lentamente, mentre percepiva placarsi la rabbia che l'aveva spinto ad allenarsi in quel modo furioso, scellerato. Una tecnica di approccio alle arti marziali a lui sempre estranea. Non era mai stato tipo da farsi prendere d'impulso in combattimento. Certo, da giovane anche lui aveva perso la testa in determinati frangenti, ma con il passare degli anni aveva imparato a controllarsi, a cercare di valutare sempre con sangue freddo ogni evento attorno a lui. Almeno fino all'incontro con lei.

Ma quella sera, nonostante tutto ciò che si era detto, che aveva fatto, si era sentito pervadere da una rabbia mostruosa, a lui sconosciuta. Vedere il volto smunto e svuotato da ogni gioia della figlia gli aveva instillato il bruciante desiderio di fare a pezzi qualsiasi cosa attorno a lui. Rinchiudersi in quella stanza, sfinendosi, facendo in modo che la fatica alleviasse la sua collera, era l'unico modo che aveva trovato per riprendersi la lucidità mentale che tanto spesso gli era stata d'aiuto.

“Fu allora che incontrai per la prima volta tuo padre.”

Si bloccò, in mezzo al corridoio, percependo la voce di lei. Quella voce fredda, morbida e decisa che aveva amato dal primo istante che l'aveva udita.

“E... cosa fece? Ti attaccò come gli altri?”

Crilin sussultò, capendo solo allora cosa stesse accadendo: 18 aveva deciso di aprire i veli del suo passato alla figlia, di rimettersi al suo giudizio, con la speranza che non la odiasse o, peggio, la disprezzasse.

“No, tuo padre non è mai stato uno sciocco suicida. Sapeva di essere inferiore, e che quindi il suo destino dipendeva soltanto da noi, ma ebbe il coraggio di parlare, di dire cose giuste e sensate. Ma noi non avevamo orecchie pronte a coglierle. Troppo dolore e sangue albergava in noi, specie in me.”

Il terrestre si appoggiò allo stipite della porta, nascosto nell'ombra, attendendo che quel racconto, una storia che lui rimembrava fin troppo, arrivasse a compimento. Non mosse nessun muscolo, neanche quando l'androide parlò di come lui l'avesse risparmiata, distruggendo il telecomando di disattivazione, permettendo però a Cell di assorbirla. Il moro poté sentire un leggero fremito nel tono di voce della bionda, appena percettibile, nel ricordare ciò che il disgustoso androide le aveva fatto. Strinse con forza le unghie nella carne degli avambracci: non si sarebbe mai perdonato quella debolezza, mai. Anche quando le montagne fossero diventate polvere assieme a lui, il suo rimorso per non essere stato capace di proteggerla l'avrebbe tormentato, con la stessa intensità di quando vide la donna che amava sparire nelle viscere immonde del mostro.

Se ne andò, silenzioso come era arrivato. Non era dell'umore di sentire il resto della storia. Scuro in volto, non mosse un singolo muscolo facciale. Solo sotto l'acqua calda permise ai propri sentimenti di manifestarsi.

Finirà questa sensazione?

Ripensò a ciò che aveva dovuto subire la moglie, rivide tutto il dolore che aveva patito, e lo comparò a ciò che aveva passato la figlia appena ventiquattro ore prima. Il pensiero di non essere riuscito a proteggerle lo fece sentire un verme. Digrignò i denti, nascondendosi il volto con una mano, mentre sentiva di essere, ancora una volta, inadatto a proteggere qualcuno, di non essere abbastanza forte da difendere coloro che amava.

Potrò mai essere perdonato per tutto questo?

Quella sera, l'acqua della doccia si mescolò ad un liquido diverso, più salato, mentre la sua mente riportava in superficie vecchie ferite, mai del tutto rimarginate.

 

 

Nella cucina scese un silenzio di tomba. 18 rimase a fissare fuori dalla finestra il cielo, il volto impenetrabile, mentre Marron si guardava le mani, rimuginando su tutto ciò che aveva appena udito.

La mamma... ha passato tutto questo? Stentava a credere a quello che aveva appena udito. Era qualcosa di così... assurdo. Come potevano i suoi aver vissuto e provato così tanti orrori ed essere ancora capaci di desiderare la vita? Come faceva sua madre a non avere ogni notte un incubo, trovando la forza di andare avanti?

Prese a fissare il volto del genitore, cercando di scorgere qualcosa in quei tratti granitici. Quest'ultima, sentendosi osservata, si voltò, sentendosi immensamente sollevata nel vedere l'assenza di disprezzo od odio sul viso della sua bambina.

“Perché non me ne hai parlato prima?” la voce della ragazzina sembrava un roco sussurro.

“Perché non volevo che mi considerassi un mostro.” replicò semplicemente la cyborg. “Desideravo regalarti una vita il più normale possibile, lontana dagli orrori che hanno investito la mia e quella di tuo padre.” la sua espressione impassibile sembrò creparsi, mentre le labbra si stringevano, nel tentativo disperato di controllare il tumulto di emozioni che la pervadevano in quegli istanti. “Dopo quello che hai passato... dubito che il mio desiderio si possa dire esaudito. Abbiamo fallito come genitori... ti chiedo perdono.”

Marron rimase in silenzio a lungo, ripensando a tutto quello che aveva pensato o detto dei suoi genitori il giorno prima. Si sentì un verme. Una persona sciocca, superficiale e stupida, proprio come i compagni di classe che tanto la prendevano in giro. Con un groppo alla gola, la bionda si alzò, andando ad abbracciare con tutta la forza che possedeva la madre, la quale, dopo alcuni istanti di sorpresa, ricambiò.

“Ti voglio bene, mamma.” sussurrò la ragazzina.

Le mani dell'androide la strinsero in un abbraccio forte, che racchiudeva il desiderio di poterla proteggere da qualsiasi insidia o pericolo.

“Anche io.”

E per la prima volta dall'inizio di quella discussione, Marron percepì la voce di sua madre incrinarsi, sopraffatta dalla propria umanità.

 

 

Quando, poco dopo, 18 tornò in camera vide, con sorpresa, il marito ancora in piedi, affacciato alla finestra, che fissava con sguardo impassibile il panorama cittadino, immerso nell'oscurità di mezzanotte.

L'androide gli si avvicinò, abbracciandolo da dietro, ed appoggiando la testa sulla spalla sinistra di lui. Dopo la discussione con la figlia desiderava l'appoggio del suo uomo.

“A cosa pensi?” gli sussurrò.

Crilin non rispose subito, limitandosi a godere della presenza di lei. Chiuse gli occhi, assaporando quegli istanti con tutto sé stesso, lenendo così il proprio tormento.

“Una volta, quando ero ancora un allievo, il maestro Muten mi fece una domanda.” dichiarò, volgendo il magma scuro dello sguardo verso l'alto, perdendosi nelle ombre della notte. “Mi chiese chi io fossi.”

Percepiva sull'orecchio il respiro calmo di lei, mentre le sue mani lo accarezzavano dolcemente.

“Trovasti una risposta?”

“Un tempo credevo di sì.” si passò una mano sul volto. “Ora... non so.” tornò a fissare il cielo, l'animo inquieto. “Se non sono capace di proteggere chi amo, come posso definirmi un uomo?”

Lei lo fece voltare, accarezzandogli il volto con una mano.

“Non hai mai avuto colpe riguardo il mio destino.” sussurrò. “E neanche su quello di Marron.”

“Essere deboli è una colpa.” rispose lui. “I deboli non dovrebbero illudere gli altri.”

“Tu non sei debole!” sibilò lei, costringendolo a fissarla negli occhi. “L'unica domanda che ti devi porre non è se sei un uomo o meno, ma se sarai pronto a dimostrarlo la prossima volta che ci sarà bisogno di te.”

Il terrestre chiuse gli occhi, prendendole una mano, stringendola con affetto.

“Tu sei il mio uomo.” proseguì la bionda, accarezzandolo dolcemente. “E nulla di quello che è accaduto, o di quello che accadrà potrà mai cambiare questo fatto.”

Lo spinse sul letto. Lì i coniugi rimasero abbracciati, scambiandosi affettuosi gesti di amore, lasciando che il sonno calasse lentamente tra di loro, affogando nell'onirico mare burrascoso i loro sentimenti.

“Crilin...” sussurrò la cyborg, mentre teneva il volto sull'incavo del collo di lui, aspirando così il sapore della sua pelle.

“Cosa c'è?” le mani del moro si muovevano leggere sul suo corpo, limitandosi a pudiche carezze. L'androide apprezzava quei continui riguardi nei confronti della sua intimità. Il rispetto che Crilin provava per lei era un dolce balsamo per la sua anima.

“Smettila di origliare.”

Lui non rispose. Si limitò a sorridere dolcemente, regalando un soffice bacio alla moglie. Infine, con un profondo sospiro, chiuse gli occhi, consapevole del fatto che il suo dolore non sarebbe mai scomparso, ma che avrebbe potuto contare sempre sul l'appoggio di lei per affrontarlo.

Grazie... Juu-chan.

 

 

La mattina giunse troppo in fretta per Marron.

Era lunedì, il momento di ritornare a scuola, di rivedere volti, voci e sensazioni che non era ancora sicura di riuscire a controllare.

Aruso...

Scoprì che il pensiero di lui le doleva, ma non quanto si aspettasse. Ripensò a ciò che la madre le aveva confidato la sera prima, a quanto dolore aveva sopportato prima di trovare il suo ruolo nel mondo. In confronto, ciò che aveva vissuto lei era quasi una sciocchezza di poco conto. Comprese che il mondo vero, quello a cui desiderava appartenere, non era esattamente come se lo era immaginato.

Potrei essere qualcosa di più di una vittima. Ragionò, guardandosi le mani. Devo solo scoprire come.

Arrivò in cucina, trovando i suoi già in piedi. Crilin intento a sorseggiare una fumante tazza di tè, fissava annoiato il primo notiziario della giornata sulla piccola televisione posta sopra il frigo. 18 invece, stava preparando alcune frittelle, con uno strano sorriso sul volto. La cyborg sembrava felice di essersi confidata con la figlia, togliendosi un peso che da troppi anni si teneva dentro. Fu con insolita energia che accolse quest'ultima, porgendole un piatto di frittelle fumanti, imbevute di marmellata di more. Di solito avrebbe accettato con golosa gioia un simile spettacolo, ma Marron sapeva di non essere ancora capace di tornare alla normalità. Eppure, il sorriso che la madre le rivolse fu così dolce che non riuscì a trattenersi, ringraziandola sentitamente.

“Giorno Tesoro.” borbottò intanto il padre, sbadigliando. Si sentiva ancora tutto indolenzito dalla sera prima, e l'idea di andare a lavoro non lo allettava molto.

“Giorno...” rispose distrattamente la ragazzina, iniziando a cacciarsi in bocca la propria colazione. Aveva lo stomaco chiuso, ma decise di ignorarlo. Era la prima volta da tanti anni che la sua mamma era così felice. Rifiutare quella colazione le sembrava peggio di commettere un omicidio.

Fu solamente dopo alcuni bocconi che si accorse di essere osservata.

“Come ti senti?” le chiese Crilin, guardandola attentamente, alla ricerca di un segnale.

“Bene.” rispose la figlia, rimanendo sorpresa del fatto che non stesse mentendo. “Sto bene.”

“Sei sicura di voler andare oggi?” aggiunse la cyborg, spegnendo il televisore con un gesto stizzito. Non aveva mai imparato a sopportare quel dannato marchingegno.

“Sì, non ci sono problemi.” un sorriso divertito sbucò fuori dalle labbra della giovane. “Ci sarà anche Kalì. Che figura ci farei lasciandola da sola?”

18 sorrise, felice del carattere che stava dimostrando la figlia in quei momenti difficili. Fino ad allora aveva sempre pensato che Marron avesse una grande volontà d'animo, ma che la sua immaturità la bloccasse. L'atteggiamento di quella mattina la stava colpendo piacevolmente.

In quell'istante, mentre nella cucina cadeva un silenzio vagamente imbarazzante, il campanello suonò, diffondendo il proprio trillo in tutto l'ambiente. Sui volti di madre e figlia si dipinse un'espressione di perplessità, mentre il guerriero terrestre sorrise.

“Tesoro, puoi andare ad aprire?” chiese alla giovane, cercando di non dare a vedere il proprio nervosismo. Non sapeva ancora come avrebbe reagito la figlia alla sua idea, anche se ovviamente sperava in un lieto fine.

Non riuscendo a capire chi potesse essere a quell'ora del mattino, Marron si diresse verso la porta di casa. Rimase completamente sconvolta da ciò che vide, una volta che si trovò davanti un paio d'occhi viola, uno nero come la notte, e due sorrisi praticamente identici.

“Ehilà, Marron! È un sacco di tempo che non ci si vede!” esclamò Trunks, mentre dietro di lui Goten si grattava la testa, in una posa molto simile a quella del padre.

La bionda rimase immobile, gli occhi grandi come piattini da tè, mentre cercava un nesso logico in tutto quello: nella presenza dei figli di Goku e Vegeta a casa sua, di lunedì mattina, mentre era intenta a fare colazione. Ci mise qualche istante di troppo ad accorgersi di fissare entrambi con sguardo da idiota.

“Ehm... ciao!” dichiarò infine, cercando di ignorare il fatto di essere ancora in pigiama davanti a loro. “C-cosa ci fate qui?” chiese.

“Beh... a dire il vero non lo sappiamo neanche noi!” rispose Goten, scoppiando a ridere osservando la reazione che ebbe la ragazzina, la quale sembrava non riuscire più a manifestare il turbinio di pensieri che le vorticava in testa.

“Ci ha chiamati tuo padre.” spiegò allora Trunks, per evitare di farsi sbattere la porta in faccia dalla figlia di 18. “Ha detto che doveva parlarci di qualcosa che riguarda te.”

Qualcosa che riguarda me?! Marron non riusciva più a dare vita ad un singolo pensiero logico. Ogni volta che provava a dare un senso alla presenza dei suoi vecchi amici di infanzia il suo stupore sommergeva tutto, confondendola.

Li fece passare, accompagnandoli in cucina. Lì vide Trunks salutare Crilin con un cenno del capo, mentre Goten 'assalì' la cyborg, saltandole al collo con un urlo di gioia.

“Zietta! Era da un sacco che non ci vedevamo!”

Subito dopo, Goten si ritrovò disteso a terra, con una considerevole serie di ematomi e bernoccoli, mentre la 'zietta' si metteva a pulire la cucina, sbuffando fumo dal naso.

“Crilin, si può sapere cosa ci fanno qui?” chiese successivamente, mentre Goten si rialzava ridacchiando.

“Beh, ecco...” il terrestre faceva fatica a trovare le parole adatte a spiegare tutto. Nella sua mente risuonavano ancora le parole del giorno prima della sua amica Bulma.

 

Sei sicuro che sia una buona idea? Dopotutto, si tratta di imporle qualcosa. Potrebbe non esserne felice.”

Lo so! Ma non rimarrò con le mani in mano mentre mia figlia soffre. Preferisco che mi detesti, ma almeno saprò di aver provato a fare qualcosa!”

 

“Loro sono qui per... Marron.” dichiarò infine.

Nella cucina cadde un silenzio profondo. Madre e figlia fissarono il terrestre, sorprese da quella frase, non riuscendo a coglierne il significato recondito.

“Sono qui... per me?” mormorò la giovane. “In che senso?”

Il guerriero sospirò, sperando che le sue intenzioni venissero comprese dalla famiglia.

“Dopo quello che è... accaduto l'altra sera.” iniziò, guardandosi le mani. “Ho pensato a lungo. Sono arrivato alla conclusione che io e tua madre non ci saremo sempre. Non potremo proteggerti in eterno.” rivolse il suo sguardo verso la figlia, sorridendole. “Mi piacerebbe moltissimo... che tu imparassi le arti marziali. Ho pensato che magari, assieme a Trunks e Goten, la cosa sarebbe potuta diventare quasi... un gioco. So bene che non vi vedete da tanto tempo, ma da piccoli eravate molto uniti. Comprendo che questo potrebbe andare contro i tuoi desideri e quindi...” il moro non terminò il discorso, ma lasciò che il significato delle parole da lui omesse aleggiassero sopra di loro.

“Marron.” a prendere la parola fu Trunks, che fissava sorridente la sua vecchia amica d'infanzia. “Non so bene cosa ti sia accaduto, né intendo saperlo. Sappi però che se hai bisogno di una mano, di un aiuto di qualsiasi genere, io e Goten siamo qui per questo.”

Marron non disse niente. La sorpresa era ancora troppo forte, e le ultime notizie che aveva ricevuto non erano facili da assimilare. Lei... che diventava una combattente? La trovava un'idea assurda, un qualcosa che non sarebbe mai potuto accadere. Eppure... suo padre sembrava molto sicuro quando aveva parlato di quel progetto. Anche Trunks e Goten sembrava sinceri dichiarando di essere pronti a darle una mano.

Possibile? Quell'aiuto che ho desiderato così intensamente in questi giorni... è alla fine giunto?

“Io...” rivolse gli occhi verso la madre, in cerca di consiglio. Ciò che vide nell'ovale del volto di lei fu un sorriso flebile, unito ad una strizzata d'occhio, troppo rapida per essere sicura di averla vista veramente.

“Non devi darci una risposta subito.” osservò Goten, ridacchiando. “Quando ti sentirai pronta per decidere, ci dirai cosa desideri.”

“Che ne dici se ti accompagniamo a scuola?” propose Trunks, sorridendole amichevolmente. “Non ci vediamo da un sacco di anni... potremmo così scambiare due parole.”

L'idea di rimanere da sola con due ragazzi la terrorizzò. Stava per rispondere seccamente di no quando vide gli occhi del figlio di Vegeta. Le ametiste del saiyan erano troppo limpide e pure per nascondere qualcosa. Lì dentro Marron ci vide luce. Una luce che per anni aveva inseguito altrove, non accorgendosi di averla sempre avuta sotto mano, fin da quando era una bambina.

“D'accordo.” sussurrò, tirando fuori un tremulo sorriso.

Non sapeva il perché, ma di una cosa era sicura.

Non aveva più paura.

 

 

All'inizio non fu per niente facile. Camminavano in silenzio, in direzione della fermata dell'autobus che avrebbe portato Marron a scuola. Dopo un po' Goten, stufo di tutto quel silenzio, cominciò a tirare fuori gli argomenti più disparati, cercando di invogliare la ragazza a spiccare parola. Trunks invece rimase in silenzio, limitandosi a godere del calore dei raggi mattutini, in attesa che fosse la figlia di 18 a fare il primo passo.

Fu solo una volta arrivati alla fermata, però, che Marron si decise ad aprire bocca.

“Ragazzi...” esordì, cercando di trovare le parole giuste. “Mio padre... vi ha detto perché vorrebbe che io imparassi le arti marziali?”

“Il succo del discorso è stato lo stesso di quello di questa mattina, parola più, parola meno.” rispose Trunks, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni.

“Ah... capisco.” gli occhi azzurri di lei si tinsero di una luce malinconica.

“Avanti, Marron!” esclamò Goten dandole un'amichevole pacca sulla spalla. “Perché sei così reticente? Ti divertiresti un mondo ad allenarti con noi!”

“Non lo so...” rispose la bionda, scuotendo la testa. “Io... sono sempre stata un'imbranata cronica con gli sport...”

“Sapere giocare a baseball è piuttosto diverso dall'imparare le arti marziali.” rispose il figlio di Vegeta, salendo sull'autobus appena arrivato. “Dovresti provare. Se poi proprio non vuoi, puoi sempre cambiare idea.”

La ragazzina non rispose subito. Sembrava profondamente combattuta. Brevi squarci di immagini in cui lei prendeva a pugni Laurie e veniva acclamata come un'eroina dal resto della scuola le inondarono il cervello. Tuttavia, subito dopo, le immagini di quello che le era accaduto sabato sera la scossero nel profondo, unite a frammenti di cupi ricordi in cui si tirava sui denti la mazza da baseball, o si incastrava nella rete da pallavolo.

“Marron?” la voce di Goten la scosse dalle sue fantasie. La bionda rivolse il proprio sguardo sul saiyan, che sembrava intento a fissare un gruppetto di ragazzini seduti poco distante da loro.

“Sbaglio o quei tipi ti stanno indicando?”

Era vero. Il gruppetto, composta da circa quattro ragazzi e due ragazze, la stavano indicando, parlottando tra di loro. Con un tuffo al cuore, Marron riconobbe tra di loro alcuni suoi compagni di classe. Non ebbe dubbi, dai sorrisetti sulle loro facce, che l'oggetto della loro discussione doveva essere lei, e di sicuro non la stavano riempiendo di complimenti.

Trunks, vedendo la faccia abbattuta dell'amica, non ci mise molto a comprendere la situazione. Sospettava che la figlia dei suoi zii adottivi avesse qualche problema di relazioni con i propri compagni di scuola. Obbiettivamente, rimase sorpreso: Marron era una ragazza simpatica, dolce e molto carina per la sua età. Non possedeva la bellezza prorompente e sfavillante della madre, del genere che toglievano il fiato, ma di sicuro aveva fascino, anche se era ancora nascosto dai tratti preadolescenziali.

“Marron, li conosci per caso? Sono amici tuoi?” le chiese ingenuamente Goten, che non aveva ancora capito bene la situazione.

La figlia di 18 si limitò a scuotere il capo, la mente ancora scossa dai ricordi dell'ultima volta che era stata a contatto con dei suoi compagni di scuola. Vedendola così in crisi, Trunks ebbe un'idea. Non sarebbe stato propriamente un comportamento ortodosso, ma gli dispiaceva vedere il volto di Marron così abbattuto.

“Ohi, Goten!” borbottò il figlio di Vegeta, pestando un piede all'amico per attirarne l'attenzione.

“Cosa c'è?” chiese quest'ultimo, borbottando parolacce per il proprio alluce profondamente danneggiato.

“Quando arriveremo alla scuola di Marron...” il lilla non si preoccupò eccessivamente di parlare a bassa voce. L'autobus era pieno fino a scoppiare di studenti, che coprivano con il loro vociare la sua voce, e Marron sembrava troppo presa dalla sua infelicità per accorgersi di qualcosa.

Scesero alla fermata della scuola, sciamando assieme agli altri ragazzi. La ragazzina era piuttosto corrucciata, anche se cercava di non darlo a vedere. Nonostante tutte le rassicurazioni che aveva dato ai propri genitori, era ancora piuttosto scossa, e non era sicura di essere pronta a rivedere Laurie, Bernadette e, soprattutto, Aruso. Si accorse a malapena, presa com'era dai suoi pensieri, del borbottare dei due saiyan. Fu solo quando arrivarono all'ingresso della scuola che Marron venne riscossa dai suoi pensieri, a causa dell'arrivo di Kalì.

“Marron! Marron!” la sua amica la stava salutando calorosamente, forse un po' troppo, ma la bionda non ci fece caso. Anche lei era molto felice di rivederla; l'aiutava a scacciare via i cupi pensieri.

“Ciao! Come stai, Kalì?” le chiese, sorridendo.

“Sto bene.” rispose la rossa con un'alzata di spalle. “Il naso mi duole ancora, ma i medici hanno detto che smetterà entro qualche giorno.” i suoi occhi scuri indugiarono sulle avvenenti figure di Goten e Trunks, che si erano posizionati ai lati della figlia di 18 come dei guardiani. “Ehm, Marron? Chi sono?”

“Oh, loro sono Trunks e Goten. Sono...”

“Due carissimi amici di Marron.” concluse il figlio di Vegeta al suo posto, mentre Goten sfoderava il sorriso più allegro del proprio vasto repertorio.

Kalì li fisso entrambi con qualche perplessità. Era la prima volta che sentiva i loro nomi, e si stupiva che l'amica non li avesse mai menzionati neanche una volta. Il fatto stesso che Marron sembrasse trovarsi leggermente a disagio in mezzo a loro le fece venire qualche sospetto.

“Che strano, Marron non mi ha mai parlato di voi.” dichiarò, con una leggera sfumatura d'accusa nella voce.

“Eravamo amici d'infanzia.” spiegò il lilla. “Poi crescendo ci siamo allontanati, ma negli ultimi tempi abbiamo ripreso a frequentarci.” da degno figlio di sua madre, Trunks preferì omettere che gli ultimi tempi indicavano un lasso di tempo pari ad poco più di un'ora.

“Già, i nostri genitori sono grandi amici. Pensa che mio padre e quello di Marron sono fratelli adottivi!” dichiarò allegramente Goten.

“Sul serio?” questa volta il tono di accusa di Kalì era rivolto all'amica. “Ma Marron, come mai non mi hai mai...”

“Basta chiacchierare.” la interruppe Trunks, spingendola delicatamente, ma con decisione, verso l'ingresso. “Farete tardi.”

Marron entrò a scuola a passo sostenuto. Nonostante tutto, scoppiò improvvisamente a ridere quando vide Goten che imitava sua madre che lo inseguiva con una scopa. La risata acuta di Kalì le diede la conferma che il figlio di Goku aveva appena conquistato un'altra persona.

È proprio gentile. Si ritrovò a pensare, osservando i suoi lucidi capelli scuri. Mi domando perché ci siamo allontanati in questi anni.

Ci mise qualche istante a comprendere che c'era qualcosa che non andava: Trunks e Goten di comune accordo, invece di lasciarla davanti ai portoni della scuola erano entrati con lei. Le loro figure svettavano su tutte quelle degli altri, scatenando occhiate curiose. Fu con orrore che Marron si accorse di avere molti sguardi puntati addosso: era evidente che la vicenda di sabato aveva già iniziato a girare.

“Marron, sapresti dirmi chi sono Laurie, Bernadette ed Aruso?” chiese improvvisamente il figlio di Vegeta.

La figlia di 18 era convinta di non aver sentito bene, e si ripromise di lavarsi le orecchie con maggior impegno in futuro, per evitare simili equivoci.

“Come?” chiese con un filo di voce.

Il lilla sorrise. Benedicendo mentalmente la volta in cui il padre gli aveva insegnato la telepatia, permettendogli così di captare i pensieri dell'amica, il ragazzo le avvicinò le labbra all'orecchio, in modo che potesse sentire solo lei.

“Stai tranquilla, non è stato tuo padre a dirmi i loro nomi.” sussurrò. “Desidero solo scambiare quattro chiacchiere con loro.”

Con la sensazione di poter rigurgitare la colazione da un momento all'altro, la bionda guidò i saiyan lungo i corridoi della scuola, seguiti da una perplessa Kalì, fino all'ingresso della sua aula. Con un dito tremante indicò le figure di Laurie, già attorniata dalle proprie ammiratrici, Bernadette, appoggiata al corridoio mentre pendeva dalle labbra dell'amica, e Aruso, che teneva la mano a quest'ultima con forza, gli occhi scuri pieni di orgoglio per aver baciato una delle ragazza più ambite della scuola.

“Li hai individuati?” chiese Goten all'amico, mentre il loro arrivo veniva accolto da un insolito silenzio. Nessuno si aspettava che Marron e Kalì quel giorno venissero, tanto meno accompagnate da due avvenenti ragazzi molto più grandi. La figlia di 18 vide il volto di Laurie contrarsi in un'espressione beffarda, mescolata a rabbia, mentre Bernadette esibiva un sorrisetto di maligna soddisfazione. Aruso invece sembrava solo piuttosto confuso.

“Sì.” sussurrò Trunks, assumendo un'espressione spietata. “Pronto?”

“Quando vuoi.” replicò Goten, mentre un ghigno perfido gli deformava il volto, donandogli un aspetto spaventoso.

Nel silenzio del corridoio, i due saiyan si avvicinarono al gruppo di Laurie, fermandosi davanti a loro.

“Salve a tutti.” esordì Trunks, la voce tranquilla che stonava con i lineamenti duri del proprio viso. “tu sei Laurie, giusto? Avremo molto piacere a scambiare due paroline veloci con te ed i tuoi amici.”

La ragazza, che quel giorno indossava un pantalone costoso ed una camicetta di seta bianca, lo guardò con fredda sufficienza.

“E perché mai dovrei darti retta?” chiese con voce beffarda. Nonostante i vestiti di Trunks fossero all'ultima moda, grazie alle ricche finanze materne, il solo fatto di essere in compagnia di Marron e Kalì l'aveva messo in cattiva luce ai suoi occhi, facendole provare un forte disgusto per il figlio di Vegeta.

Trunks fece per ribattere, ma quando aprì la bocca intervenne Goten, precedendolo.

“Preferivamo evitarvi figuracce, ma se a voi sta bene così...” dichiarò il figlio di Goku. A differenza dell'amico i suoi abiti erano più economici ma che calzavano a pennello con la sua bellezza un po' trasandata. “Vorremmo parlare di Marron.”

Per qualche istante tutti gli occhi della classe si spostarono verso quest'ultima, facendole desiderare ardentemente una pala per scavarsi una fossa e scomparire. Tuttavia, quando Trunks riprese a parlare, catturò di nuovo l'attenzione di tutti.

“Abbiamo saputo che voi tre avete preso la brutta abitudine di dare fastidio alla nostra amica.” spiegò con voce gentile il saiyan. “Gradiremmo che la smetteste.”

Fu subito chiaro, dall'espressione dei tre, che quelle parole stavano ottenendo l'esatto effetto contrario. Di fronte ai loro sorrisini ironici, Goten riprese nuovamente la parola.

“Immagino che le parole del mio amico Trunks non vi abbiano convinto molto. Riformulo io il concetto: se veniamo a sapere che maltrattate Marron...”

“E non illudetevi, lo verremo a sapere.” borbottò il lilla.

“Sì, dicevo: se veniamo a sapere che le date fastidio, che la offendete, che la maltrattate, che le rendete la vita difficile insomma, dovrete vedervela con noi!”

In quell'istante Aruso scoppiò a ridere con tono sprezzante, subito seguito a ruota da Laurie e Bernadette, assieme alle loro amiche.

“Cos'è, ci state minacciando?” osservò sfrontato il ragazzo, sorridendo. “Ti posso assicurare che due smilzi come voi non mi fanno paura. Ho amici che sono tre volte più grossi di voi.”

“Beh, non dubito che un codardo della tua specie non voglia affrontarci.” osservò con dolcezza Trunks. La faccia del compagno di Marron divenne di un rosso acceso, il volto sfigurato dalla rabbia. Prima che potesse parlare però, Goten fu più veloce. Appoggiando con indifferenza una mano al muro, il figlio di Goku incurvò la parete di cemento di parecchi centimetri, senza il minimo sforzo, crepando l'intonaco e facendo tremare l'intero corridoio. Marron non riuscì a non sorridere nel vedere le facce pallide di Laurie e Bernadette. Aruso invece era indietreggiato così in fretta dalla paura che era inciampato, cadendo goffamente al suolo.

“Ecco.” dichiarò allegramente Goten, sfregandosi le mani. “Dì pure ai tuoi amici che li aspettiamo con gioia, in caso vogliano ritoccare le loro brutte facce.”

“Voi siete dei pazzi!” sibilò Laurie. “Credete di passarla liscia, dopo questa bravata? Vi denuncerò, esattamente come quel nano da circo che ha osato pestare il mio ragazzo Thomas.”

“Dì un'altra parola contro nostro zio Crilin e ti assicuro che raggiungerai il tuo ragazzo molto presto.” borbottò Trunks, guardandola con disgusto. “In quanto a denunciarci, fallo pure.” osservò, scrollando le spalle. “Ma dubito che saremmo noi, in quel caso, ad avere problemi.” preferì non menzionare il nome della madre, ma sapeva che chiunque avesse osato denunciare o minacciare un membro della sua famiglia, oppure un loro amico, non avrebbe passato un buon quarto d'ora: nessuno denunciava un Brief e la passava franca.

Trunks sapeva che quello che lui e Goten stavano facendo non era propriamente una bella cosa, ma non tollerava di vedere la sua amica d'infanzia così infelice. Vedere in faccia poi, quei tre viziati bambocci gli fece venire voglia di appenderli su per il muro, iniziando a dare loro schiaffi per almeno un'ora.

“Allora!” esclamò Goten a Marron, riscuotendo l'amico dai propri pensieri. “Noi andiamo. Torneremo a fare una visita a quei tre se non riceveremo tue notizie entro qualche giorno.”

Dietro alle sue spalle, Bernadette emise un gemito roco di paura, mentre Aruso tremava come una foglia. Marron lo guardò con disprezzo, chiedendosi come aveva fatto a prendersi una cotta per un ragazzino così immaturo e stupido.

“Comportati bene, però.” la ammonì Trunks, fissandola con un sorrisetto mefistofelico. “Non pensare di poter abusare della tua posizione ora.”

“Non lo farò, promesso.” esclamò la bionda, sorridendogli di rimando, sul volto un'espressione che la rendeva molto simile alla madre. “Ah, ragazzi...” sussurrò, cercando che nessuno a parte loro due potesse sentire. “Grazie infinite.” dichiarò con gratitudine. “Ci vediamo oggi verso le sei da me per la prima lezione?”

I due saiyan si guardarono in volto, sorpresi da quel repentino cambio d'umore dell'amica.

“Vuoi dire che...” azzardò Goten, perplesso.

“Beh, dopo avervi visto all'opera, credo di aver capito l'utilità di sapere le arti marziali.” spiegò, sempre con un sorriso molto 'diciottesco' sul volto, la bionda.

I ragazzi sorrisero, dandole un'amichevole pacca sulla spalla ciascuno. Successivamente, senza voltarsi, se ne andarono, lasciando il resto della classe ad fissare Marron e Kalì con occhi grandi come piattini da tè.

“Marron...” dichiarò la sua compagna di banco. Aveva osservato tutta quella conversazione con la bocca aperta, e faceva ancora fatica a richiuderla del tutto. “Mi vuoi spiegare cosa diavolo è accaduto? Perché non credo di aver compreso bene.”

In quell'istante suonò la campanella dell'inizio delle lezioni. I ragazzi entrarono in classe, parlottando tra loro su ciò che avevano appena visto. Marron spiegò brevemente chi fossero i suoi amici, lasciando l'amica di stucco. Per contro, quest'ultima spiegò alla figlia di 18 come aveva fatto a scoprire della colpevolezza di Laurie ed Aruso.

“Amanda li ha visti confabulare con i tizi che ci hanno aggredito, alcuni minuti prima che entrassimo in bagno.” dichiarò, fissando truce la schiena di Laurie. Sembrava che avesse perso la voce e teneva lo sguardo verso il proprio quaderno, il volto pallido e sudaticcio. “Ed uno di loro era il cugino di quell'idiota che ti piaceva così tanto.” lanciò un'occhiata a Marron, ancora intenta a sorridere. “Mi auguro che ora mi credi quando ti dico che quello è solo un emerito imbecille.”

“Oh, sì.” rispose lei con semplicità, mentre entrava il professore di educazione civica. “Sì, e sai una cosa?”

“Cosa?” borbottò la rossa, aprendo il proprio libro al punto in cui erano arrivati.

“Penso che d'ora in avanti andare a scuola non sarà poi così male.”

Entrambe sorrisero, mentre improvvisamente i successivi due anni di scuola parvero loro leggeri come un bicchiere d'acqua.

 

 

Due anni dopo

 

 

“Marron!” esclamò Crilin, leggermente spazientito. “Marron, ti vuoi decidere ad uscire da lì?! Arriveremo in ritardo!”

“Arrivo Pà!” esclamò una voce dall'altra parte della porta. “Mi metto due cose addosso ed esco!”

“D-due cose?! Ma si può sapere cosa diavolo hai combinato in quest'ultima ora?!” sbottò il terrestre, profondamente irritato dal ritardo cronico che affliggeva da sempre sua figlia.

“E lasciala stare!” borbottò 18, passando in quell'istante in corridoio. “Stai facendo un sacco di rumore.”

Crilin sospirò, passandosi una mano tra i capelli, ormai molto brizzolati, mentre seguiva la moglie in cucina, osservando il nuovo, recente, look di quest'ultima: i capelli dorati, che di solito portava lunghi fino alle spalle, li aveva accorciati in un moderno caschetto, dandole un'aria meno giovanile, ma molto sexy, da donna d'affari. Alle orecchie portava i soliti, inconfondibili, orecchini d'oro, mentre all'anulare della mano destra le splendeva una lucente fede.

“Non capisco perché debba sempre essere in ritardo.” osservò stancamente l'uomo, mentre si sedeva in cucina a sorseggiare il caffè preparatogli dalla moglie in precedenza. “Eppure oggi è il giorno dei diplomi! Che figura ci farà?!”

18 non rispose, limitandosi a fissare il cielo luminoso fuori dalla finestra di cucina. Indossava un completo da donna grigio, con un gonna lunga fino al ginocchio, con sfarzose calze nere sotto di essa ed eleganti scarpe con il tacco nere ai piedi; nel complesso era molto bella. Crilin invece aveva preferito una camicia azzurra, con i risvolti in seta (un costoso regalo di Natale da parte di Bulma), abbinata a lunghi pantaloni neri, con scarpe di lucido cuoio ai piedi. Non si trovava molto a suo agio con quei vestiti addosso, ma come gli aveva fatto notare la cyborg, non poteva pensare di presentarsi vestito in tuta da combattimento ad una giornata così importante.

“Ma quanto ci mette a mettersi 'due cose'?” sospirò il terrestre, dopo altri dieci snervanti minuti di attesa. “Rischiamo veramente di fare una figuraccia!”

“Beh, se vieni vestito così impettito sarà certo.” lo canzonò una voce alle sue spalle.

Crilin si girò, osservando la figlia vestita di tutto punto, pronta ad uscire, con un raggiante sorriso sul volto. Negli ultimi due anni Marron era cambiata profondamente: era parecchio più alta e magra di prima, ed il suo viso era più adulto, oltre che di una bellezza incredibile. I capelli dorati, un tempo lunghi, ora erano tagliati quasi a zero, tranne che per un ciuffo che le copriva l'occhio destro. Indossava un pantalone attillato chiaro, che metteva in risalto le sue forme seducenti, una camicetta azzurra e sopra una giacchetta di pelle nera. Anche il fisico era cambiato: era magra, muscolosa, scattante. Fasci di muscoli sodi e nervosi le solcavano le spalle, le gambe, le braccia e gli addominali, senza che tutto questo però intaccasse minimamente la sua bellezza esplosiva e la sua femminilità. Ai piedi calzava un paio di sandali con il tacco rossi, che mettevano in risalto lo smalto viole delle unghie. All'orecchio destro portava un piercing.

“Era ora, signorina!” borbottò il terrestre, fissandola con sguardo attento. “Dovevi proprio metterti quel orrendo pezzo di metallo anche oggi?” chiese, indicando il piercing.

“Certo!” esclamò con tono di sfida lei.

“Smettetela.” ordinò con tono minaccioso 18, vedendo il marito pronto ad intavolare l'ennesima discussione sul recente acquisto della figlia. “Andiamo, altrimenti non partiamo più.”

Era una splendida giornata di inizio primavera. L'aria era calda, anche se non soffocante, ed una brezza fresca permetteva di restare sotto il sole senza troppi problemi. Sotto un cielo di un azzurro limpido, la famiglia si mise in macchina, partendo in direzione della scuola di Marron.

“Si può sapere perché ti sei portata dietro lo zaino?” chiese Crilin alla figlia, osservandola dallo specchietto retrovisore.

“Dopo la premiazione vado ad allenarmi da Trunks.” spiegò lei, mentre scriveva velocemente sul proprio telefono. “Lui e Goten vorrebbero provare ad usare la gravità duecento senza trasformarsi.”

“Gravità duecento?!” boccheggiò il terrestre. “E... tu cosa farai nel frattempo?”

“Oh, con un Kaioken quadruplo riesco a reggerla senza troppi problemi.” spiegò la bionda. “Punto però ad arrivare a fare ciò con uno doppio.”

“E chi te l'avrebbe insegnato il Kaioken?! Questa mi è nuova!” Crilin sembrava veramente sorpreso.

“La mamma.” rispose Marron, senza levare gli occhi dallo schermo del suo smartphone. “Dice che aveva parecchi dati riguardo quella tecnica nei circuiti di memoria, e quindi le ho chiesto di spiegarmela.”

Il moro sembrava non essere più di un grado di spiccare parola. Si limitò a rivolgere un'occhiata obliqua alla moglie, la quale sfoderò un sogghigno mefistofelico.

Non ci misero molto ad arrivare. Una volta raggiunta la scuola, Crilin sfiorò più volte una crisi isterica, nel disperato tentativo di trovare un posto dove parcheggiare. Una volta trovato, la famiglia si diresse verso il retro della scuola, sul grande prato, dove avrebbe avuto luogo la cerimonia di premiazione dei diplomati.

“Non riesco ancora a capire come hai fatto a prendere un voto così basso.” borbottò 18, squadrando con rabbia la figlia al suo fianco.

“Settanta non è un voto basso.” replicò Marron, punta sul vivo.

“Su una scala di cento lo trovo misero. Mi auguro che al college ci metterai più impegno. Non sopporto l'idea di spendere soldi in ripetizioni o nel farti ripetere un anno.”

“Sempre molto ottimista, vero?” la prese in giro il marito, guadagnandosi uno scappellotto sulla nuca da parte dell'androide.

“Marron! Ehi, Marron!”

Una ragazza la salutò attraverso la folla, era Kalì. Anche lei, come l'amica, era cresciuta parecchio in altezza in quegli anni. L'avere iniziato nuoto, inoltre, le aveva cominciato a regalare un bel fisico, contornato da una bella massa di capelli color rame. Soltanto l'acne sembrava sempre lo stesso, ma Marron aveva saputo che la madre le aveva promesso di regalarle un intervento in proposito non appena fosse diventata maggiorenne.

“Ciao, Kalì!” esclamò, sorridendole. “Sei veramente figa oggi!”

“Senti chi parla!” replicò l'altra, prendendola in giro. “A quando la partecipazione a Miss Universo?”

“Dai, non esagerare!” dichiarò la bionda. “Piuttosto, vedo che indossi un abito nuovo.”

“L'hai notato?” chiese, con evidente orgoglio, l'amica, facendo un giro su se stessa, facendo svolazzare il grazioso vestito che indossava, bianco e con ornamenti floreali rossi e gialli. “L'ho preso tre giorni fa assieme alla mamma. Pensa che era in offerta, e lo pagato una miseria: appena seicento zeni.”

“Dov'è che l'hai pagato così poco?” le chiese subito 18, interrompendo di colpo la propria conversazione con il padre di Kalì.

Marron soffocò a fatica una risata. Sua madre era sempre stata molto suscettibile a livello di soldi, e una simile informazione aveva di sicuro la precedenza rispetto allo scambiare quattro chiacchiere con il padre di Kalì sul futuro scolastico della figlia.

La ragazza si guardò attorno, vedendo molte facce conosciute, con un pizzico di nostalgia. Nonostante tutto, negli ultimi due anni si era trovata molto bene in quel posto, e sapere che tra un mese avrebbe iniziato una scuola nuova le metteva un briciolo di ansia. Sapeva che sarebbe andata nella stessa scuola di Trunks e Goten, e che Kalì sarebbe stata in classe con lei, ma ciò non bastava a renderla eccitata e nervosa allo stesso tempo ogni volta che ci pensava.

“Bel look Marron!” le sussurrò una voce alle spalle.

La ragazza sobbalzò, girandosi di scatto. Davanti a lei, sorridenti ed abbronzati, c'erano Goten e Trunks, i suoi migliori amici, con alle spalle le loro rispettive famiglie, che la salutavano sorridenti.

“Siete venuti!” esclamò lei, stritolandoli in un abbraccio fin troppo entusiasta.

“Sì...” boccheggiò il lilla. “Alla fine abbiamo convinto tutti a venire. Dopotutto, non potevamo certo perderci il tuo momento di gloria!”

“Esagerato!” replicò lei, mentre Goten salutava con affetto i suoi zii e Kalì. “Tanto lo sai che ho preso un voto basso.”

“Mmm... se tu avessi studiato di più, invece di massacrarti ogni giorno nella stanza gravitazionale di mio padre...”

“Oh, sta zitto secchione!” lo rimproverò Bra, sua sorella più piccola. Nonostante avesse solo undici anni era di una bellezza da mozzare il fiato, l'esatta copia di sua madre. La ragazzina mulinò la propria chioma azzurra, avendo cura di sbatterla sul naso del fratello maggiore. “Non siamo mica tutti delle super secchie come te.”

Trunks sospirò pesantemente, evitando però di dare corda alla sorellina. Nei successivi minuti, Marron fu troppo impegnata a salutare tutti gli amici di famiglia per poter dare corda ai due saiyan. Salutò con una vivace stretta di mano Gohan e sua moglie Videl, scompigliò i capelli allegramente alla piccola Pan (che le rispose con una linguaccia), abbracciò con gioia le sue zie adottive Bulma e Chichi (con quest'ultima che la rimproverò per il suo look trasgressivo), rise di gusto al modo pomposo con cui la salutò Mr. Satan, assieme all'inseparabile Mr. Bu, già attorniati entrambi da una folla di fans adoranti, mentre salutò con un sorriso ed una fredda stretta di mano Vegeta, il padre di Trunks e Bra, che sembrava profondamente irritato dall'avere dovuto saltare i suoi allenamenti quotidiani per una cosa così futile come una consegna di un diploma.

“Dove sono Piccolo e Dende?” chiese a Gohan, mentre accompagnava tutti ai posti a loro assegnati.

“Hanno preferito evitare di seminare scompiglio tra le persone.” spiegò con un sorriso il saiyan, sistemandosi gli occhiali. “Capisci che non tutti sono abituati a vedere dei namecciani. In ogni caso, ti mandano i loro auguri più sinceri.”

Leggermente delusa, Marron stava per rispondere quando al suo fianco apparve Kalì, lievemente agitata.

“Sbrigati Marron!” esclamò. “Dobbiamo salire sul palco, manchiamo solo noi!”

Sgattaiolando tra le file di seggioline (quasi tutte ormai occupate), le due salirono sul palco per ultime, guadagnandosi un'occhiata di rimprovero dal preside.

“Lo dicevo io che facevamo tardi.” borbottò Crilin.

“Oh, sta zitto Crilin!” sbottò la moglie. “Sei così noioso quando fai così!”

Il guerriero terrestre preferì non ribattere, anche perché vide che tutti avevano smesso di parlare, lasciando così la parola al preside.

Mentre quest'ultimo iniziò un lunghissimo e sfibrante discorso sulla fine di un cammino e l'inizio di un altro, Marron, dal palco, vide le persone che un tempo le avevano dato il tormento. Fu con un piccolo e sadico piacere che si accorse di come Laurie, Bernadette, Aruso e Thomas avessero preferito mettersi dalla parte opposta alla sua. Quasi per caso, i suoi occhi incrociarono quelli di Aruso, il quale impallidì di botto, distogliendo velocemente lo sguardo, come se si fosse scottato. Marron si chiese come aveva fatto ad essere così idiota da prendersi una cotta per un simile codardo. Al contrario di lui, Laurie e Bernadette, entrambe splendide nei loro costosissimi abiti all'ultima moda, non la degnarono di uno sguardo, fissando rigide il vuoto davanti a loro. Thomas, la cui faccia portava ancora i segni dei pugni di Crilin, lanciava occhiate terrorizzate a quest'ultimo, seduto tra la folla, il quale non sembrava essersi minimamente accorto di lui.

“E così, mentre noi ci accingiamo a salutare i nostri ragazzi, pronti ad una nuova, entusiasmante avventura...”

“Lo sai, devo ammettere che hai avuto una buona idea.” borbottò 18 all'orecchio del marito, mentre osservava Marron fare il verso al preside dal palco, incoraggiata in modo silenzioso da Goten e Trunks, con Kalì se sembrava fare fatica a rimanere seria.

“Riguardo cosa?” le chiese il marito, mentre si chiedeva per quanto quella litania sarebbe andata avanti.

“Di aver voluto riavvicinare quei due buffoni a nostra figlia.” rispose la cyborg. “Ha fatto più bene di quanto tu possa immaginare.” girandosi, il moro poté vedere la cyborg sorridere teneramente verso la figlia, che in quel momento stava ridacchiando a qualche battuta di Kalì “Grazie.”

Crilin non rispose, limitandosi a sorridere anch'egli, stringendo la mano della moglie. Era vero: in quei due anni Marron era tornata ad essere la ragazza vivace ed allegra che era stata da piccola, era ritornata a vivere. E tutto questo lo dovevano soltanto a Trunks e Goten, che l'avevano accolta nel loro piccolo gruppo a braccia aperte. Ormai quei tre erano diventati inseparabili, e Crilin ne era felice: a volte gli sembrava di rivedere lui e Goku in loro tre, e sapeva che un simile legame sarebbe durato per sempre.

Ormai non hai più bisogno di aiuto, figlia mia. Pensò, mentre vedeva il preside terminare il proprio discorso, sancendo così l'inizio di una nuova fase della vita dei ragazzi saliti sul podio, i quali reagirono saltando dalla gioia, prendendo il volo verso una nuova, eccitante, fase della loro vita.

E tra tutti spiccava lei, che volava in alto, sempre più in alto, verso la sua vita, verso la sua strada, verso la sua felicità.

Aveva ormai preso il volo.

E non sarebbe più atterrata.

 

 

FINE

 

 

Angolo dell'autore:

 

Ok... d'accordo, lo ammetto: sono in un ritardo mostruoso. A mia discolpa posso dire che questi ultimi due mesi sono stati terrificanti per il sottoscritto, e trovare tempo per scrivere era quasi impossibile.

Dunque, che posso dire? Con questo capitolo chilometrico termina questa storia, nata come one-shot e diventata ben presto una lunghissima (e noiosissima) storia sul bullismo e di come va affrontato. Ovviamente il finale è palesemente irrealistico (dato che scimmioni ultrapotenti che ti insegnano ad uccidere la gente sono piuttosto rari da trovare) ma spero che il messaggio che volevo passare (il non arrendersi, al reagire con lo spirito giusto alle avversità ecc ecc) sia passato.

E' stata la prima volta che prendevo in mano in maniera così approfondita il personaggio di Marron e quindi non ho idea di come sia venuto fuori. In ogni caso, come forse avrete notato, sono sempre stato più incline a vedere lei, Goten e Trunks come inseparabili amici, piuttosto che possibili amanti. In questi casi poi uno la vede come preferisce, ma spero che questa versione sia piaciuta a tutti (o almeno alla maggior parte). Riguardo a date dei mesi e degli anni ho preso spunto dal sistema scolastico giapponese, che funziona in modo molto diverso da quello italiano.

Bene! Anche questa storia, infine, ha raggiunto la propria fine. Chiunque abbia voglia di lasciarmi una propria idea su tutto ciò che ho scritto sappia che è il benvenuto, sia che l'abbia trovata una buona storia, sia invece chi pensa sia un cattivo scritto.

E detto questo io vado.

Un saluto!

 

Giambo

  
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