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Autore: cartacciabianca    13/04/2009    3 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Impertinenza e schiaffi







Tirava un insolito vento freddo che faceva gemer le fronde degli ulivi e aveva spento il fuoco in una sola folata. I cavalli, legati al ramo basso di un albero, si scaldavano a vicenda mentre il gelo della notte dominava sulla valle. Una ventata più forte, scontrosa e improvvisa spazzò via un cumulo di polvere e gliela gettò negli occhi, che Elena strizzò più volte prima di aprire.
La coperta era scivolata via per metà dal suo corpo e le copriva giusto fino alle ginocchia, ma la cosa che la colpì maggiormente fu il braccio destro del suo maestro, che le cingeva il fianco stringendola a sé.
Elena trattenne il fiato, ma non poté credere al calore che sentiva provenire oltre le sue spalle e che percepiva diffondersi per tutto il suo corpo. Per un attimo ebbe la sensazione di essere stretta a Marhim, che era capace di infonderle quella familiare protezione che le veniva offerta la notte, quando più si sentiva sola e infreddolita nella sua stanza. Era probabile che il suo maestro l’avesse notata piuttosto tremante e le si fosse stretto affianco pur di non farla ammalare giusto in quei giorni. La sua era la premura di un padre, quindi nessun altro genere di affetto. Eppure, fu in evitabile che le guance della ragazza si colorassero di un rosa più acceso del solito.
Era stupendo. Sentiva il suo respiro tra i capelli, avvertiva il suo profumo invaderla e farla prigioniera allo stesso modo delle sue braccia. E poi il palmo aperto di lui poggiato appena accanto al suo gomito.
Rimase immobile: dietro di lei il suo maestro si mosse e allungò una mano verso le gambe della ragazza. Un brivido le percorse la schiena quando le sue dita le sfiorarono il limbo di pelle lasciato esposto dalla cortezza dei pantaloncini sottostanti alla parte bianca della veste.
Senza muovere un muscolo, Elena avvertì la coperta tornare a coprirle le membra infreddolite da quell’improvvisa e gelida ventata. Altair la infagottò per bene, poi la strinse nuovamente in quell’abbraccio bollente che la metteva tanto in imbarazzo.
Tirò un sospiro di sollievo nel cogliere l’indifferenza di Altair al fatto che fosse sveglia; probabile che non se ne fosse accorto, così richiuse gli occhi mentre una nuova folata di vento le scompigliava i capelli e sollevava grumi di polvere.

Poche ore più tardi, il cielo si tinse in lontananza di una sfumatura più chiara e l’alba si accentò appena oltre la coltre della leggera nebbiolina che avvolgeva la valle. Ma era una strisciolina affusolata e distante, poco distinguibile dal resto del cielo quando Elena si riebbe del tutto dal sonno.
La coperta si era intrecciata alle sue gambe e metà di essa era appoggiata al suolo, a coprire quel lembo di prato sopra il quale un tempo aveva sostato il maestro, abbracciato alla sua allieva.
Mancavano delle ore al sorgere completo del sole e, nel calcolare che fossero forse le cinque o le sei del mattino, Elena si sollevò sulle braccia e si guardò attorno. Sbadigliò. –Mae…-.
Non terminò che una mano le tappò la bocca e il braccio forzuto di Altair la tirò in piedi a forza. –Fa’ piano e prepara le tue cose!- le mormorò all’orecchio, ed Elena si riscosse dalle ultime tracce di pigrizia trascinate dalla dormita. I suoi sensi divennero vigili e i suoi muscoli pronti.
-Mi raccomando, fa’ piano!- insisté Altair allentando la presa sulle sue labbra.
Elena annuì e, silenziosamente, si chinò a raccogliere la coperta ripiegandola a casaccio. Di seguito la legò alla sella e in fine fece per poggiare il tutto sulla groppa del suo cavallo; quando alle loro spalle, si udì un grido.
-Assassini! Prendeteli!-.
-Scappa!- Altair montò in sella.
Elena estrasse la lama corta e, nell’istante in cui una decina di uomini emersero dalla boscaglia, trasse un pugnale da lancio e colpì alla tempia un soldato senz’elmo.
-No, combattiamo!- strillò lei.
-Ho detto scappa!- Altair la raggiunse al galoppo e l’afferrò per i fianchi issandola sulla groppa del suo cavallo.
Ad Elena sfuggì la presa sulla lama corta che andò a perdersi tra i cespugli. –Diamine!- digrignò la ragazza.
-Non c’è tempo, monta!- l’assassino la spinse in sella al suo cavallo, Elena infilò i piedi nelle staffe e strinse le redini. Un istante dopo, erano già in fuga.
Alle loro spalle comparve un battaglione intero di uomini a piedi i quali si fermarono demoralizzati dopo poco. Ma poi, nell’aria gelida dell’alba si stagliarono i nitrii di una quindicina di cavalieri, e i Crociati emersero dal sentiero che percorreva il bosco.
-Prendete quei bastardi! Sono diretti a Gerusalemme!- gridò qualcuno, ma Elena si trattenne dal voltarsi.
I due assassini seguirono la strada sterrata per un breve tratto, poi si persero tra le ombre dei secolari cipressi che costeggiavano la strada, ed in fine risalirono un pendio ripido al quale i destrieri dei loro inseguitori non avrebbero opposto troppa resistenza dato le pesanti armature dei cavalieri.
-Di qua!- Altair piantò i talloni nei fianchi dell’animale che spiccò un balzo e raggiunse una sporgenza più in basso del crepaccio. Elena fece altrettanto sollevandosi sulla sella nel momento del vuoto sotto gli zoccoli, ma l’impatto fu violento e la ragazza quasi non perse le staffe.
-Di là! Stanno scappando!-.
-Ammazzateli! Arcieri, pronti!-.
Elena accorciò le redini. –Arcieri?!- sbottò terrorizzata.
-Continua dritto, non fermarti!- le consigliò Altair affiancandosi a lei in quella corsa contro il tempo.
Dall’alto delle parete di roccia si sporsero una dozzina di arcieri che non esitarono a puntargli e spaventare i loro cavalli quando le frecce si conficcavano a terra di pochi millimetri al loro passaggio. Il pendio intraprese una strettoia ed Altair rallentò consentendo alla ragazza di stare in testa.
-Avanti e poi e poi a destra! Separiamoci, ma ci ritroviamo alle rovine! Ah!- con un colpo deciso ai fianchi dell’animale, Altair la superò di nuovo e scomparve in una biforcazione secondaria alla strettoia.
Metà dei cavalieri che li avevano seguiti fin lì lo pedinarono, mentre i restanti si avvicinavano sempre più alle spalle della Dea.
-Non vivrete ancora allungo!- ridacchiò un crociato, ed Elena perse la concentrazione.
Il suo cavallo inciampò su un sasso, rallentò appena la corsa ma quel poco sufficiente perché un dardo penetrasse nella carne all’altezza della scapola. La povera bestia si impennò dal dolore e si rovesciò al suolo nel trambusto delle bisacce. Elena riuscì fortunatamente a sfilare le staffe e rotolare via prima che il peso dell’animale la schiacciasse.
Dopo essersi ripresa dalla botta alla testa e i crampi alle ossa, la ragazza scattò di lato e fuggì via di corsa senza voltarsi.
Cercò i cunicoli più stretti tra gli alberi e saltò le staccionate di vecchi campi abbandonati. Il fiato si faceva grosso, i muscoli cedevano, ma gli zoccoli poderosi dei suoi inseguitori erano costantemente il suo incubo.
-È in trappola!- gioì festoso un cavaliere.
Elena si girò, ammirò spaurita le lame scintillanti dei quattro uomini a cavallo che la inseguivano, ma la sua corsa fu arrestata da un muro che comparve come per magia davanti al suo naso. Si rannicchiò al suolo in una posa innaturale, strisciò per qualche metro appoggiandosi alla parete, ma nulla poté contro la forza con la quale due cavalieri la costrinsero in ginocchio. Uno di loro le scoprì il volto, mentre un altro rideva divertito. Il terzo, invece, osservava dalla sella del suo bel destriero nero.
-Sei finita, ragazzina- il fiato dell’uomo le arrivò dritto in gola dato la bocca aperta che aveva per riprendere fiato. Era sfinita, non trovò neppure la volontà di opporsi o soltanto l’idea, il desiderio di farlo. Consegnarsi o morire per mano degli uomini di Corrado erano le uniche due vie che le restavano.
-E adesso?- domandò uno dei tre sbattendola al suolo con violenza, ed Elena si strinse le braccia attorno allo stomaco in una posa fetale. –Che cosa ce ne facciamo?-.
Tra i tre soldati calò un silenzio imbarazzante. I due a terra le girarono attorno ed uno di questi la spinse con un calcio che Elena ricevette dritto al fondoschiena. L’essere ridacchiò divertito.
-Corrado ha ordinato di ammazzarli tutti e due- sbottò quello dalla sella.
-Ma che spreco!- un crociato si chinò all’altezza del suo viso, ed Elena tentò di trascinarsi il più lontano possibile, ma il soldato l’afferrò per il cappuccio inchiodandola dov’era.
-Non possiamo disubbidire!- ringhiò il cavaliere a cavallo, ed un istante dopo estrasse la spada dal fodero. –Forza! Chi di voi è abbastanza uomo?!- aggiunse squadrandoli entrambi, ma i due crociati si stanziarono l’uno dall’altro.
-Ma bene!- sbuffò quello in alto e si apprestò a smontare dall’animale. –Infami codardi!- digrignò sputando a terra.
Elena si stanziò con uno scatto, macchiandosi la veste in una pozza di fango, ma il cavaliere allungò una mano e le tirò la testa all’indietro per i capelli. Alla giovane scappò un mugolio di dolore mentre il gelido filo della lama si poggiava sulla pelle della sua gola.
L’uomo esitò, premette con più forza la lama sul suo collo, ma non incise. Rimase incerto, immobile alcuni secondi, poi si sollevò e rinfoderò la spada.
Alle sue spalle i due soldati semplici si scambiarono un’occhiata complice e confusa.
-Generale- chiamò uno.
Il cavaliere dal lungo mantello alzò una mano e azzittì il suo sottomesso. –Fatene ciò che volete- sibilò tornando alla sua cavalcatura. –Ma assicuratevi che sia ben stretta! Non voglio vederla gironzolare ancora in giro, sono stato chiaro?!-.
I due annuirono.
Il cavallo del generale s’impennò. –Raggiungetemi al blocco nord a cose fatte. Ma al fine di ciò, portatemi la sua testa- ordinò indicando la ragazza, e detto questo sparì al galoppo tra gli alberi.
Elena si appoggiò alla parete e lentamente si tirò su.
-Guardala, mi fa quasi pena-.
-Quasi!- rise il secondo uomo.
-Già. Ma presto, sta facendo luce!-.
-Tu la tieni ferma ed io…-.
-Secondo me non ne vale la pena. Portiamola all’accampamento!- suggerì.
-Fratello, stai scherzando? Così ci toccherà dividerla con gli altri!-.
-Non capisci? Siamo troppo esposti e ho paura di quell’altro!- gemé.
-Ma dai!- schiattò in una clamorosa risata. –Se ne saranno già occupati di quello lì!-.
-Io continuo a temere…-.
-Cosa?-.
-E se fosse qui dietro? Ora? Guardati attorno!- i due si girarono da parte a parte.
Elena, una volta che furono distratti, sgattaiolò via reggendosi alle insenature tra i vecchi mattoni della parete, aggirò la rovina e si trascinò fino a qualche metro più avanti, scomparendo poi tra gli arbusti. Lì, nascosta tra le fronde della natura, riprese fiato accovacciandosi al suolo sopraffatta dalla spossatezza.
-Ehi! Ma dov’è andata!?- udì gridare.
-Perfetto! Ora ci ammazzano, lo sai?!-.
-Non è stata colpa mia!-.
-Invece sì! Chi ha suggerito di portarla all’accampamento?!-.
-Io! Ma a buon fine!-.
-Cioè?-.
Ci fu un lungo minuto di silenzio, ed Elena aguzzò l’udito per scorgere oltre il suono indistinto di zoccoli che battevano la terra. Poi le saettò all’orecchio il nitrio di un cavallo, e in fine uno dei due soldati sbottò rabbioso: -Levati dai piedi, straniero!-.
-Ehi, ma non è uno straniero!- e il secondo crociato sfoderò la spada.
-Assas…-.
Il fruscio impercettibile di un solo coltello da lancio, e in fine il tonfo di un corpo senza vita che si accasciava al suolo.
-Tu- chiamò Altair dall’alto della sella.
Il crociato gettò l’arma lontano dalla sua portata e s’inginocchiò umile supplicando l’assassino di lasciarlo vivere.
-Dove si trova la ragazza?- domandò il suo maestro.
-Ci è scappata, non ho idea di dove sia!-.
-Menti!- ruggì Altair. –Uno dei tuoi superiori l’ha portata con sé?! L’ho visto che si allontanava verso nord! Hai un’ultima possibilità, perciò bada bene a quel che dici!-.
-Ma è la verità- il crociato si privò di ciò che rimaneva del suo onore strisciando come un verme. –Vi prego! Ho una moglie, tre figli!-.
Il mutismo avvolse quella scena buia che Elena poteva a stento immaginare.
Una folata di vento nascose ogni suono, ma subito dopo si udì il lamento smorzato e il gorgoglio del sangue. L’uomo si rovesciò al suolo inerme e in una posa innaturale, ed Altair fece voltare il suo cavallo.
Poco prima che partisse al galoppo, Elena si spinse fuori dagli arbusti. –Fermo, fermo!- chiamò e la sua voce intimorita, terrorizzata attirò l’attenzione dell’assassino.
Altair impennò il destriero che, quando ritoccò terra con gli zoccoli, le venne incontro.
-Perché ti sei nascosta, avanti! Non abbiamo tempo!- l’assassino le porse una mano, la Dea l’afferrò saldamente e lui la issò alle sue spalle sulla sella.
-Scusatemi, io…- cominciò a dire.
-Non importa, ora reggiti!- spronò il cavallo che intraprese un galoppo all’ultimo delle forze.
Elena si strinse alla schiena del suo maestro avvolgendogli le braccia attorno ai fianchi. Strinse le gambe alla sella e si resse saldamente pur di evitare una brutta caduta.
-Sei ferita?- le chiese ad un tratto Altair mentre galoppavano.
-No!- rispose lei.
-Bene; qualcosa in meno a cui pensare! I Crociati hanno ristretto l’area attorno alle rovine e ci circondano in numero che non possiamo né evitare né contrastare! Per tanto, l’unica possibilità che ci rimane è quella di aspettare l’indomani affinché si stanchino di cercarci o ricevano ordine di raggiungere il loro signore a Gerusalemme. In quel caso, ci rimarrebbe tempo sufficiente per arrivare alla Città Santa e svolgere poco e niente di indagini, ma è l’unico modo che abbiamo per uscirne vivi!- la informò.
Elena annuì distratta. –A me sta bene, ma dove ci nasconderemo?-.
-Non preoccuparti; a questo penserò io-.
-…Grazie!-.
-E di cosa?-.
-Per avermi salvata da quei due!- sorrise, ma lui non poteva vederla.
L’assassino tacque alcuni istanti. –Sei stata fortunata- proferì in tono grave.
Elena aggrottò la fronte. -Perché?-.
-Sono rari i soldati che bisticciano tra di loro aprendoti una via di fuga! Certi tizi mi saranno capitati una volta in tutta la mia vita!- ridacchiò compiaciuto.
La ragazza non poté evitare di rallegrarsi. -Durante le vostre indagini?-.
Altair allungò le labbra in un sorriso sornione. -Non proprio- sogghignò.

-Eravamo ad Aleppo- disse ad un tratto rallentando l’andatura del cavallo.
Elena si fece più attenta. –Cosa?-.
Altair inclinò la testa da un lato. –Eravamo ad Aleppo quando successe. Io, Malik e il suo fratellino Kadar.  Ricordo come fosse ieri: un interrogatorio, nel distretto ricco della città. I due si misero a litigare come dei matti e l’uomo ci sfuggì da sotto il naso- arrise.
Stavano traversando un bosco di ulivi costeggiato da un torrente guizzante di acqua cristallina. Il cielo notturno andava sfumarsi delle prime tonalità mattiniere, mentre le stelle lentamente scomparivano dal firmamento lasciando il posto a chiazze biancastre che andavano formarsi. Erano su un pianoro rialzato che affacciava ad est sulle valli appena passate e ad ovest sulle montagne. Nord e sud si confondevano tra vegetazione locale e crepacci montuosi. Da là su erano ben visibili diversi appostamenti crociati che circondavano perfettamente la zona. Erano state innalzate palizzate di legno per frenare i cavalli in corsa e, di conseguenza, la loro fuga da quella cerchia della morte.
-E poi?- domandò Elena curiosa.
Altair sospirò. –E poi niente; mi sono occupato personalmente di ritrovare quel furbetto e metterlo sotto torchio come si deve- il suo era un sorriso malinconico. –Altri tempi, quando gli inesperti eravamo noi tre- mormorò assorto.
Entrambi distratti, i due assassini non si erano accorti che il cavalo sul quale sedevano era andato a brucare dell’erba in un fraticello secco lì vicino. Altair si riappropriò delle redini e indirizzò l’animale nuovamente sulla strada sterrata. –Sei stanca?- domandò.
Elena sbadigliò. –Non nego che avrei preferito dormire un po’ di più…- il suoi pensieri furono invasi dagli ultimi ricordi pacati che aveva di quella notte. Ovvero il braccio di Altair stretto attorno al suo ventre, il corpo del suo maestro a farle da stufa vivente. Si riscosse, tentando invano di assumere un’espressione meno beata in viso.
-Cosa c’è?- rise lui ad un tratto.
-Cosa cosa c’è?!- sobbalzò la ragazza, e a quelle parole l’assassino scoppiò in una fragorosa risata.
-Mi nascondi qualcosa, mia allieva?- chiese lui guardando dritto davanti a sé, ma le sue spalle erano rilassate, come il resto delle sue membra ed Elena lo sentiva attraverso il contatto delle sua braccia strette attorno ai fianchi di lui.
-Cosa credete che vi stia nascondendo?- fu evasiva e maliziosa.
-Non saprei- si guardò attorno sorridente. –Dato che l’esercito di Corrado al completo ci da la caccia e che queste potrebbero essere le nostre ultime ore di vita, tanto vale condividere, non trovi?-.
-Allora cominciate voi!- sbottò la ragazza.
-Va bene- annuì compiaciuto.
-Parlatemi di Adha, avanti- lo punzecchiò.
-Che ragazzina impertinente…- digrignò irritato. –Ma si può sapere… ah, giusto- alzò gli occhi al cielo. –ti serve saperlo o non potrai mai essere la mia amante- la sua voce assunse un tono malizioso e alquanto in vena di scherzi.
-Già!- sottinse allegra.
-Non c’è molto da dire- bofonchiò l’assassino. –Una storia morta in partenza. Forse, quando ci conoscemmo sei anni fa e prima che partisse, c’era davvero qualcosa, ma quando mi abbandonò senza dare alcuna spiegazione mi rassegnai al mio destino. E poi, giusto pochi mesi fa spunta fuori dal nulla. Se n’è andata perché in questi ultimi attimi assieme non aveva fatto altro che mentirmi, parola dopo parola, ed io non riuscivo a credere che stesse capitando proprio a me. Era tornata in Siria con l’intenzione di raccontarmi della sua vita in Italia, della sua famiglia e dei suoi figli. Bambini, capisci? Quando da me aveva chiesto altrettanto…-.
Elena distolse lo sguardo e anche le sue, come le spalle del suo maestro, si curvarono afflitte. –Io…- mormorò. –Mi dispiace, non credevo…-.
Altair aggrottò la fronte sollevando il viso d’un tratto. –Eppure, oggi mi torna un dubbio-.
-Cioè?- poggiò il mento sulla sua spalla.
L’assassino si voltò appena verso di lei. -Quando partì disse che avrebbe portato per sempre una parte di me con sé, ma non ho mai capito cosa volesse dire- si fece ancora più confuso.
Elena si raddrizzò improvvisamente. –Ma siete stupido forte, maestro!- sbottò colpendolo con una pacca in testa.
-Ehi, modera i termini, allieva!- le lanciò un’occhiataccia.
-Davvero siete così ottuso? La vostra mente calcola solo quanti passi distano da voi alla vostra vittima?- lo derise.
-Dove vuoi arrivare?- domandò indispettito.
Elena alzò gli occhi al cielo. –Con una frase del genere una donna vuole intendere solo una cosa!-.
-E sarebbe?- chiese interessato.
-Maestro- si avvicinò nuovamente a lui. –Adha conserva un piccolo voi nel pancino- sorrise affettuosa.
Altair frenò il cavallo all’istante, i suoi muscoli si tesero. –Non è possibile…- sussurrò.
Elena poté quasi dire che gli si fossero ristrette le pupille a quella notizia. –Bacato sarà anche vostro figlio, non ne dubito!- incrociò le braccia.
-Non ci posso credere… io ho…- deglutì.
Elena gli batté una mano sulla spalla. –E a giudicare di come trattate me, non sareste affatto un buon padre- scosse la testa.
Il volto del suo maestro si riempì gradualmente di gioia. –Non immaginavo…- sospirò gonfiando il petto. Qualche minuto di silenziò servì ad entrambi, poi Altair fece partire il cavallo al trotto riscendendo la collina.
-È passato lo shock?- domandò la ragazza premurosamente.
-Sì, grazie, mi sei stata molto d’aiuto- fece assorto.
-Eeeeeeeeeeeee?- indugiò ancora lei.
-E forse è meglio che sia andata così- proferì tranquillo.
-Bene! Ottimo! Sapete, vi meritereste un biscotto ad ogni risposta esatta. A proposito, io ho fame, voi?-.
Altair soffocò una risata. –Quand’è che il tuo stomaco la pianterà di chiedere cibo solo in viaggio? Avresti potuto pranzare prima di partire, piuttosto che startene con…-.
Elena lo colpì con uno schiaffo. –Voi!- strillò.
Altair si passò una mano sulla guancia. –Chi ti da certe libertà, ragazzina?!- sibilò.
-Chi la da a voi la libertà di spiarmi!? Come sapevate che ero con Marhim?!-.
-Non lo sapevo. Ne ho avuto conferma ora da te- sorrise malizioso.
Il secondo schiaffo non si fece attendere, e a quel contatto Altair frenò del tutto il cavallo. –Ora basta!- ruggì guardandola in cagnesco.
-Ho notato di cosa siete capace quando vi “arrabbiate”!- ironizzò, alludendo alla sera attorno al falò.
-Così metti a dura prova la mia pazienza!- prima gli scappò un nitrio, poi l’animale sgroppò innervosito da tante chiacchiere.
-Ecco, persino il cavallo è dalla mia parte!- si lamentò la ragazza.
L’assassino sbuffò e distolse lo sguardo. –Della tua storia con Marhim parleremo a ritorno- brontolò azzardando il galoppo.
-Non è una “storia”- mormorò lei.
-Ah no?-.
-No!- sbottò con più convinzione. –Siamo solo ottimi amici-.
-Ah! Va bene! Ora capisco molte cose: per esempio i vostri baci, uno nella biblioteca quel pomeriggio, ma ancora prima ce n’è stato uno nel salotto che porta alle stanze delle Dee! E dimmi un po’, dov’eri la mattina che fosti convocata dal Maestro? Io e Halef ti cercammo ovunque! Fu lo stesso giorno in cui dovetti presenziare al mio fianco alla seduta per decidere del destino del Frutto! Non hai scuse, ragazza!-.
Elena non riuscì a pieno col terzo schiaffo poiché Altair le bloccò il polso con un movimento impercettibile del braccio. –Non lo farei se fossi in te- sussurrò cauto e intimidatorio.
La Dea si divincolò con uno strattone e abbassò lo sguardo affranta. –Va bene, lo ammetto. Io…-.
Il sibilo di una corda che vibrava, e la freccia penetrò nella coscia del cavallo.
-Diamine, no!- digrignò Altair tentando invano di tener buona la bestia, ma questa si rovesciò al suolo e i due assassini rotolarono tra gli arbusti finendo l’uno distante dall’altra.
-Prendeteli, sono a tiro! Non ci scapperanno!- gridò un arciere incoccando una nuova freccia.
Le torri di legno erano state allestite per l’evenienza e, senza rendersene conto, si erano azzardatamene avvicinati troppo ad un posto di blocco.
Altair si sollevò con uno scatto e balzò al fianco di lei. –Resta giù!- la spinse nascosta tra le felci, ed Elena si appiattì raso terra.
L’assassino si mosse fulmineo schivando i dardi che si piantavano nel terreno e raggiunse la scala che saliva fino all’apice della torre. Due gradini alla volta raggiunse lo spiazzo che ospitava ben tre soldati muniti di faretra. Uno si apprestò a spingerlo giù, un secondo lo colpì con un pugno assestato alla mandibola e questo piroettò su se stesso per poi precipitare verso il basso. Il terzo, Altair lo afferrò per la tunica e lo utilizzò come scudo umano alle frecce che gli tiravano addosso gli arcieri dell’appostamento di fronte.
Con un salto e un atterraggio da maestro, Altair tornò giù e si avviò di corsa verso la seconda torretta. Ripeté più o meno le stesse mosse, con la sola differenza che l’ultimo dei tre si dileguò a gambe levate.
-Fermalo!- gridò il suo maestro ed Elena emerse dagli arbusti, si portò lesta una mano allo stivale sinistro, piegò abile le ginocchia e il pugnale da lancio schizzò via dalle sue dita trafiggendo il mal capitato tra le scapole.
Un sorriso soddisfatto affiorò sulle labbra di Altair che la fissò allungo dall’alto della torre. –Bene!- gioì.
Elena si poggiò le mani sui fianchi e alzò lo sguardo verso di lui. –Avete intenzione di scendere o no?- domandò col peso su una gamba.
-Aspetta. Da quassù si vede un sacco di roba interessante!- fu la sua risposta, ed Elena non insistette oltre.
Se c’erano degli accampamenti nascosti, Altair l’avrebbe certo notato da quell’avamposto, quindi era meglio lasciare che preparasse un piano migliore se mai fossero stati colpiti di nuovo.
La Dea tornò con passo svelto sulla strada e si chinò affianco al cavallo che giaceva sdraiato a terra, mentre la ferita attorno all’asticella della freccia conficcata nella coscia pulsava dolorosamente. Stava soffrendo, ed Elena gli accarezzò il muso percorrendo la chiazza grigiastra che andava dalla fronte fino al naso dell’animale. Respirava con affanno, era nervoso e i suoi nitrii di dolore avrebbero attirato troppo l’attenzione. La Dea sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare il suo maestro una volta sceso dalla torre, ma persino con tutto il ripugno che provava dentro, avrebbe dovuto assisterlo.
Altair fischiò, ma non era indirizzato a lei, perciò Elena non se ne curò.
Sopra la sua testa celata dal cappuccio, comparve un’ombra che schizzò fugace via.
La ragazza alzò il mento, guardò il cielo e ammirò il suo colore già pienamente azzurro sull’orizzonte. Poi il grido di Rashy si diffuse per la valle e la falchetta sbatté un paio di volte ali prima di stringersi al braccio alzato del suo padrone.
Elena tornò in piedi. –Era ora! Non poteva avvertirci un po’ prima?!- sibilò a denti stretti.
Non ottenne alcun cenno dal suo maestro che pareva impegnato nell’accarezzare le piume argentate dell’uccella. Qualche secondo più tardi, il suo polso scattò in avanti e Rashy si librò in aria; con maestria, la falchetta si gettò giù dalla torre con le ali chiuse al petto e riprese quota solo dopo aver volato raso terra. Spalancò le sue vele piumate e diffuse nuovamente il suo canto per il cielo.
Fatto ciò, Altair si apprestò a scendere ed Elena gli andò incontro.
-C’è un recinto abbandonato, più avanti. Quando ci passo vi trovo sempre alcuni cavalli a pascolare. Va’…- disse lui avvicinandosi al suo destriero ferito. –Ma se trovi la zona controllata dai crociati, torna indietro- si chinò al fianco dell’animale e, prima che Elena potesse voltarsi, estrasse da una bisaccia della sella una fiala contenente della polvere scura.
-Hai sentito?- chiese Altair cominciando a gesticolare con il contenuto della fiala. Lo versò in una garza e lo mischiò ad alcune zollette di zucchero che rimediò sempre dalle bisacce.
La ragazza si riscosse. –Sì, ora vado- e s’incamminò senza voltarsi.
Era già parecchi metri avanti quando ascoltò i lamenti del cavallo tacere per sempre.

Nessun accampamento crociato più avanti. Ma la sfortuna fu nel fatto che riuscì ad acchiappare un solo cavallo, che il proprietario del bestiame reclamò a gran voce.
Elena l’aveva azzittito dandogli in cambio una manciata di monete, ma appresso non aveva poi tanto e il contadino non si era certo sentito appagato! Così dovette agire come non avrebbe voluto.
Nascose il corpo tra le felci e nella piccola stalla dell’uomo rimediò anche una buona sella e un secondo cavallo. Lasciò il campo al galoppo e andò in contro al suo maestro che attendeva tutt’altra parte a dove l’aveva visto l’ultima volta.
Altair era nei pressi del ruscello che scendeva dalla collina, con le ginocchia piegate e una mano allungata a sfiorare l’acqua del fiumiciattolo con una pezza bianca stretta tra le dita; la manica sinistra dell’uomo era arrotolata fino alla spalla e sulla pelle abbronzata dei suoi muscoli scolpiti scorreva un rivolo di sangue proveniente da un taglio prolungato che si allungava fino al gomito verticalmente. Il guanto con la lama nascosta era adagiato su una roccia poco distante.
Elena smontò dalla sella e legò i cavalli ad un ramo basso di un ulivo. -Siete stato ferito?- domandò accovacciandosi al suo fianco.
Altair la schizzò con l’acqua in eccesso sulla pezza. –Ovvio, per caso sei cieca?- rise. –Ma non preoccuparti. È solo di striscio, niente di grave. Tu sei ferita?- chiese.
-No, grazie. Ho trovato i cavalli- lo informò col sorriso, che però si spense presto.
-Bene- assentì lui lanciando un’occhiata alle due bestie dietro di loro.
-Ma il contadino del campo mi ha sorpresa e temevo che avrebbe parlato a qualcuno se l’avessi lasciato vivere- proferì in un sussurro. –Mi spiace, ma non avevo abbastanza monete. Si è messo a strillare a ladro! E poi mi ha riconosciuta come un membro della setta e…-.
Altair si girò verso di lei e le inchiodò le parole ancora in gola. –Sta’ calma, ho capito- fece tranquillo. –Non c’era altro modo, avrei agito altrettanto- disse passando la pezza bagnata sulla ferita e ripulendola dal sangue. –Piuttosto, hai notato nessun avamposto nelle vicinanze? Non nascondermi che sei stata avvistata, come quell’ultima volta ad Acri- mormorò serio. Lasciò la pezza sulla stessa roccia ove era poggiato il suo guanto ed estrasse da una delle sacche dietro alla cintura una fiala con del liquido trasparente. La stappò coi denti e la versò sulla pezza che riprese in mano, e con essa disinfettò il taglio.
-No, vi assicuro che a parte il vecchio in Paradiso, nessun altro sa che abbiamo questi cavalli- arrise.
-Ottimo, buon lavoro- disse sollevandosi la manica e riappropriandosi del suo guanto. Dopo che ebbe legato per bene ciascun laccio, raddrizzò le ginocchia, gettò la pezza e la boccetta vuota tra gli arbusti e montò in sella ad uno dei due cavalli.
La ragazza si issò sull’animale senza fatica, mentre il suo maestro pareva risentire del disinfettante che bruciava sul suo braccio.
-Andiamo- sibilò lui e partirono al galoppo.
   
 
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