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Autore: Emma Fantasy Wilkerson    30/05/2016    3 recensioni
Il mondo è intatto. L'Eruzione non esiste.
Quando riescono a scappare dalla C.A.T.T.I.V.O, Thomas torna a Beacon Hills dove scopre di chiamarsi Stiles, che suo padre è un poliziotto e sua madre è morta.
Pian piano anche i ricordi tornano a galla e tutto sembra tornare com'era prima della C.A.T.T.I.V.O. ... beh, fatta eccezione per tutto il sovrannaturale che quella città sembra attirare.
La vita di Thomas è completamente incasinata. Pensa che non potrebbe andare peggio di così, ma si sbaglia.
E l'unica cosa che può aiutarlo ad attraversare quei momenti di difficoltà, è il ricordo di un ragazzo dai capelli biondi e della sua promessa.
Ambientato durante la 3B.
Genere: Angst, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gally, Minho, Newt, Newt/Thomas, Teresa, Thomas
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla
 
NEWT'S POV

-Per favore, Tommy. Per favore.-
Denver. Il metallo freddo della canna della pistola sulla fronte. Due paia di iridi color cioccolato lo fissavano con disperazione.
Sentiva il respiro pesante e l’ultimo sprazzo di sanità mentale che gli rimaneva scivolare lentamente via. Voleva farla finita, il più presto possibile. Ma il Newt che stava sognando sapeva di non avere davvero l’Eruzione e che presto Thomas si sarebbe sporto, lo avrebbe baciato e lo avrebbe rassicurato.
Sarebbe successo, da un momento all’altro. Era pronto a rivivere quella scena per la milionesima volta.
Con suo sommo stupore e orrore, però, gli parve di intravedere invece un ghigno formarsi sulle labbra dell’altro. Era malvagio, un’espressione che non apparteneva affatto alla Testa di Caspio di cui si era innamorato. Anche il suo sguardo era cambiato, ora era più sicuro di sé, pieno di cattiveria, e in qualche modo Newt seppe cosa sarebbe venuto dopo. Chiuse gli occhi. Voleva svegliarsi... voleva svegliarsi subito.
L’ultima cosa che udì fu un rumore che sperò di non dover sentire mai più, come di uno scoppio.
 
Newt si svegliò nel cuore della notte, in un bagno di sudore. Era la prima volta che quell’incubo prendeva una piega del genere, non era mai successo che Thomas avesse premuto il grilletto. E non importava quanto provasse a ripetersi che era stato solamente un sogno, l’espressione di pure odio nel volto del ragazzo continuava a presentarsi di fronte a lui... e solo il pensiero che Tommy potesse fargli davvero male era insostenibile, gli provocava una fitta dolorosa al petto.
Erano passati due giorni da quando avevano scoperto l’esistenza del Nogitsune, ma questa era la prima volta che Newt aveva un incubo a riguardo.
La sua mano si posò sulle coperte accanto a lui, e solo allora si accorse che qualcosa non andava. Abbassando lo sguardo notò che il posto dove doveva trovarsi il bruno era vuoto.
-Tommy?- chiamò. –Thomas?!-
Fece per alzarsi, ma la sua faccia incontrò diversi fili rossi che dai piedi del letto salivano fino alla parete, dove erano attaccati insieme a delle foto. Sgranò gli occhi. Non c’era nulla di tutto quello la sera prima, ne era abbastanza sicuro.
Rotolò giù dal letto, correndo poi per tutta la casa in cerca del ragazzo, ma di lui non vi era nessuna traccia. Che cosa poteva fare? Chiamare Stilinski? Dirgli che suo figlio era scomparso?
Così gli avrebbe fatto venire un infarto, e se poi fosse stato un falso allarme si sarebbe ritrovato uno sceriffo fumante alle calcagna. No, meglio chiamare qualcuno che avesse potuto aiutarlo senza fare troppi danni. Si vestì in fretta e furia, con i primi vestiti che riuscì a trovare nell’armadio di Thomas. Si era dimenticato di andare a prendere i suoi il giorno prima, perciò doveva adattarsi, anche se gli stavano un po’ larghi.
Una volta fuori casa, compose il numero di Scott al cellulare mentre si affrettava lungo la strada. Il ragazzo rispose al secondo squillo:
-Mmh... Newt?- la sua voce impastata risuonò dall’altra parte del telefono.
-Mi dispiace doverti svegliare, ma sto venendo a casa tua. È un’emergenza.-
E con questo riattaccò, senza nemmeno aspettare la risposta dell’altro. Corse più veloce che poté fino a casa dei McCall, dove arrivò circa dieci minuti più tardi. Scott lo aspettava all’entrata con Isaac alle calcagna, le sopracciglia alzate in un’espressione confusa.
-È Thomas!- non esitò a spiegare non appena fu di fronte a loro. Si piegò in avanti, tentando di riprendere fiato. Non aveva più corso in quel modo da anni, e la gamba gli doleva terribilmente, ma non poteva pensare alle proprie condizioni ora. –Mi... mi sono svegliato... e non c’era. Ho cercato per tutta la casa, ma è sparito. Non c’è nemmeno la jeep.-
Come in risposta, il cellulare di Newt cominciò a squillare. Gli venne un colpo quando vide il nome sullo schermo, il suo cuore che sembrava voler schizzare fuori dal petto. Alzò lo sguardo sui due, che lo stavano guardando con occhi sgranati e pieni di preoccupazione, poi rispose alla chiamata mettendola in vivavoce: -Tommy? Tommy ci sei?- poteva sentire il tono di supplica nella propria voce.
-N-Newt?- un singhiozzo. Thomas stava piangendo.
E finalmente la paura cominciò a impossessarsi seriamente di lui.
-Ehi, sono qui. Stai bene? Puoi sentirmi?- continuò a parlare, nel tentativo di rassicurare l’altro con la propria voce, ma persino lui aveva cominciato a tremare e l’unica cosa che gli impedì di far cadere il telefono a terra fu Scott, che lo prese fra le mani prima che lui potesse fare danni.
-Newt, non so dove mi trovo. Non so come ho fatto ad arrivare qui. Credo di aver camminato nel sonno...-
La disperazione nella sua voce gli faceva venire voglia di mollare tutto e correre da lui. Ma sapeva che sarebbe stato inutile se prima non gli avesse dato qualche indizio su dove potesse trovarsi.
-Okay, uhm...- fece allora l’ispanico, dato che lui sembrava entrato in una sorta di trance. –Che cosa vedi?-
-Scott?- disse l’altro in un sussurro. –Non lo so, è buio. C’è qualcosa che non va con la mia...-
La sua risposta venne tagliata a metà e rimpiazzata da un paio di TUD che misero ancora più ansia a Newt. Era caduta la linea.
Scott si affrettò a richiamare il numero, anche se dovette riprovare più volte prima che Thomas rispondesse. Ormai il biondo si stava mangiando le unghie per l’agitazione.
-Stiles?-
-Scott... non credo di riuscire a uscire di qui. Non riesco a muovermi.-
-Dove sei?-
-Non lo so. È troppo buio, non riesco a vedere niente e c’è qualcosa che non va con la mia gamba. Credo sia incastrata da qualche parte. Credo... credo stia sanguinando.-
A questo punto Newt si era aggrappato ai propri capelli così forte che la nuca aveva cominciato a fargli male. Si stava sforzando di non piangere e di essere forte, perché non sarebbe stato di molto aiuto in quel caso. Provò a fare dei respiri profondi per calmarsi e, appena fu sicuro che la sua voce fosse abbastanza stabile, provò a parlare: -Quanto è grave?- Nessuna risposta. -Tommy, quanto è grave? Puoi sentirmi?-
Un altro singhiozzo. Un sospiro tremante. –C’è qualche strano odore qui dentro. Puzza terribilmente. È orribile, mi lacrimano gli occhi.-
Newt e Scott si scambiarono un’occhiata. Non sarebbero mai riusciti a capire dove si trovava con così poco. –Okay, senti, ora chiamo tuo padre...-
-NO! No, no, no. Non lo fare.-
-Ma tuo padre...-
-Non lo fare. Per favore, no. Promettimi che non lo farai. Si preoccupa già abbastanza per me. Venite a prendermi, potete farcela. –
-E se non riusciamo a trovarti?- non si era accorto di essersi aggrappato alla maglia di Scott. Non avrebbe resistito ancora lungo prima di scoppiare in qualche sorta di attacco isterico. Per un attimo si sentì come se avesse ancora l’Eruzione e voleva a urlare agli altri due di muoversi, che non c’era tempo da perdere, ma si costrinse a mantenere la calma.
L’Eruzione non esiste.
-So che ci riuscirete. Ora devo andare, devo spegnere il telefono-
Entrambi sgranarono gli occhi: -Cosa? No, aspetta!-
-Vi richiamo io- e con queste parole appena sussurrate riattaccò, facendo ripiombare la stanza in un silenzio colmo di tensione. Cosa avrebbero dovuto fare ora? Restare lì finché non li avesse richiamati, o cominciare le ricerche? Newt cercò nuovamente lo sguardo di Scott per un aiuto, perché attualmente non riusciva a pensare. Era la prima volta che non riusciva a stare lucido nonostante la situazione complicata: aveva passato due anni in una Radura, era diventato il Secondo in Comando e per questo aveva dovuto prendere diverse decisioni; aveva affrontato Dolenti, Spaccati, attraversato una landa desolata sotto il sole cocente... e persino nel breve periodo in cui aveva perso la testa, sapeva esattamente cosa andava fatto.
Ora si sentiva completamente perso. Forse si era rammollito.
Fortunatamente il licantropo non lo giudicò, anche lui sembrava tremendamente turbato nonostante cercasse di non darlo a vedere: -Va bene. Newt, tieni d’occhio il telefono. Isaac, vai a prepararti, andiamo a casa di Stiles.-
-Forse dovrei chiamare i miei amici, potrebbero aiutare- suggerì lui, la voce ancora leggermente tremante.
Al cenno di assenso dell’altro, riprese in mano il telefono e digitò velocemente il numero di Teresa. Era quella con il sonno meno pesante e sicuramente l’avrebbe sentito squillare, ma le ci volle comunque un po’ prima di rispondere. E, nonostante la voce assonnata, sembrava sorpresa di sentirlo: -Newt? Che succede?-
-Thomas è sparito. Sveglia tutti, ci vediamo a casa sua fra dieci minuti.-
-Cosa?! Come è suc...-
Ma Newt non la lasciò finire. Riagganciò subito dopo averla avvertita, poiché non voleva sprecare tempo prezioso in caso il ragazzo avesse richiamato. Isaac nel frattempo era tornato e Scott si era messo la giacca, perciò si avviarono subito verso casa Stilinski, il più in fretta che poterono. A metà strada il biondo sentì il cellulare vibrare nella tasca dei jeans e si bloccò di colpo per rispondere: -Tommy, ehi!-
-Hai chiamato mio padre?-
Gli altri si voltarono a guardarlo. Non mise nemmeno in vivavoce sapendo che con il loro udito sovrannaturale avrebbero sentito comunque. –No, solo i Radurai. Stiamo venendo a cercarti- chiuse un attimo gli occhi, cercando di pensare. –Hai qualche idea su dove ti trovi? Prova a dirci cosa vedi così sappiamo dove andare.-
Un attimo di silenzio. –È un sotterraneo. Credo... credo sia un sotterraneo.-
-Di una casa?-
-No, sembra più grande. Tipo quello di un industria. Credo ci sia una caldaia- Newt guardò gli altri. Non conosceva bene Beacon Hills, per questo sperò che a loro potesse dire qualcosa, ma dalle loro espressioni spaesate e le fronti aggrottate capì che nemmeno loro avevano idea di dove fosse. Furono le parole seguenti però a preoccuparlo ulteriormente: –E fa freddo. Si gela qui sotto...-
Se Thomas aveva camminato nel sonno probabilmente indossava ancora il pigiama a maniche corte, e quella notte faceva particolarmente freddo. Non ci sarebbe voluto molto prima che entrasse in ipotermia, dovevano assolutamente sbrigarsi.
-Devo spegnere il telefono, sta per scaricarsi-
-No, aspetta, aspetta!- Newt si aggrappò al cellulare come se questo potesse far restare Thomas un po’ più a lungo. –Cosa c’è? Cos’altro vedi?-
Quando parlò di nuovo, dopo qualche secondo, la sua voce si era abbassata ulteriormente, e lui fece quasi fatica a capire cosa stesse dicendo: -Ho il telefono scarico. Non posso parlare. Devo andare...-
-Tommy, perché stai sussurrando?- sentì che qualcosa gli bloccava la bocca dello stomaco. Ora capiva come doveva sentirsi lui ogni volta che aveva un attacco di panico, non era per niente piacevole. Non riusciva a respirare.
E il suo orrore aumentò non appena ricevette la risposta: -Perché credo che ci sia qualcuno qui con me.-
La chiamata si concluse così, con quella semplice frase che aleggiava nell’aria fra loro. Newt rimise in tasca il cellulare e ricominciò a camminare come se fosse appena stato avvertito della morte di qualcuno. Sapeva che c’era ancora speranza e non aveva intenzione di arrendersi, ma dopo tutte le persone che aveva visto spirare davanti ai propri occhi, non riusciva a fare altro che pensare al viso agonizzante di Thomas. E al fatto che avrebbe potuto perderlo da un minuto all’altro se non si fossero sbrigati.
Sentiva su di sé gli sguardi dei due lupi mannari, così intensi che avrebbero potuto trapassarlo da parte a parte: non aveva idea di cosa stessero pensando, o di come facessero a stare così calmi. Scott soprattutto sembrava stesse mantenendo una calma quasi inquietante, e Newt lo invidiava parecchio per questo.
Casa Stilinski era esattamente come l’aveva lasciata, solo che all’interno sembrava si fosse riunita tutta la banda; i Radurai erano in salotto a parlottare a bassa voce, e vennero loro incontro non appena varcarono la soglia. Minho gli posò una mano sulla spalla in silenzioso conforto, per dirgli che avrebbero superato anche questo. Il biondo poteva percepire nel suo sguardo la gratitudine per averli chiamati, e malgrado tutto riuscì ad accennare un lieve sorriso. Forse era sulla buona strada per perdonarli, dopotutto non poteva biasimarli per la loro decisione. Avrebbe voluto che le cose si fossero svolte in modo diverso, tutto qui. E poi erano pur sempre la sua famiglia, non riusciva a tenere il broncio a lungo con loro.
-Lydia e Aiden vi aspettano di sopra- disse Gally, dopo aver fatto un cenno verso di lui. –Sono arrivati qualche minuto prima di noi.-
Annuendo, fece per avviarsi verso la stanza di Thomas, dove sapeva gli altri avevano trovato i fili rossi, ma prima che potesse muovere anche solo un passo Teresa si avvicinò e lo abbracciò. Non si era reso conto di quanto gli fosse mancato quel tipo di contatto finché non sentì le sue braccia esili, ma che nascondevano una grande forza, attorno a sé, e non esitò a ricambiare il gesto. –Lo troveremo, vedrai.-
Con un segno di assenso e un debole sorriso, si separò da lei per raggiungere i licantropi; come previsto stavano osservando quello che aveva fatto Thomas prima di andarsene: -Come lo sapevate? Ha chiamato anche voi?- stava chiedendo Scott.
-L’ho sentito- rispose semplicemente la ragazza.
-Non chiedete,- aggiunse Aiden. –Diventa più confuso se chiedete.-
Newt pensò che dovesse trattarsi di qualche capacità in quanto Banshee, il che non era un buon segno visto che, se non ricordava male, quelle creature predicevano la morte. Un brivido lo percorse lungo tutta la spina dorsale a quel pensiero, che cercò di cacciare via.
-Non così confuso come questo...- ribatté però Lydia, accennando ai fili. Gli tornò in mente una cosa che gli aveva detto Tommy non molto tempo prima, quando gli aveva chiesto cosa significassero i diversi colori che utilizzava: verde per i casi risolti, giallo per le cose che non sapeva, e...
-Usa il rosso per i casi irrisolti- dissero insieme, scambiandosi uno sguardo subito dopo. Newt non riuscì a non provare un po’ di gelosia nei suoi confronti, nonostante ormai sapesse che fra i due non c’era nient’altro che amicizia e affetto reciproco. –Forse si considera un caso irrisolto?- chiese lei.
-Perché lo è, magari- suggerì Isaac, che fino ad allora era stato in silenzio. Non era ancora riuscito a inquadrare per bene quel ragazzo, ma c’era qualcosa che non gli piaceva di lui. Forse la sua schiettezza?
Gli occhi di tutti si spostarono su di lui, ma fu di nuovo Lydia a parlare: -Aspettate, volete dire che è ancora là fuori? Non sapete dov’è?-
Scott scosse la testa e l’aggiornò su tutto ciò che Thomas aveva detto loro: -Questa è la notte più fredda dell’anno. E la temperatura dovrebbe scendere ancora.-
-Okay, cosa ha detto suo padre?-
-Non gliel’abbiamo ancora detto...- ammise il licantropo, e il rimorso fu evidente sul suo viso quando ricevette uno sguardo di rimprovero da parte della ragazza. –Stiles sta sanguinando, sta gelando, e voi non chiamate suo padre?- Ora stava guardando anche Newt, il quale si fece piccolo piccolo in risposta. Se non fosse stato preoccupato a morte, forse avrebbe speso un breve momento per complimentarsi con lei per la sua capacità di intimidire le persone, nonostante il suo viso a prima vista angelico e completamente innocuo.
Spostò il peso del corpo da una parte all’altra, leggermente in imbarazzo: -Gli abbiamo promesso di non farlo. Ma Scott e Isaac possono rintracciarlo grazie all’odore.-
-La sua jeep è scomparsa, potrebbe essere ovunque.-
-Lo so...-
Lydia guardò di nuovo i fili rossi, mordendosi il labbro: -Voi avete promesso di non chiamarlo, io no.-
-No, aspetta. Posso cercare aiuto altrove, contattare Derek, Allison...- Scott ora la stava quasi implorando. –Tutti ma non la polizia.-
Aiden sbuffò, dall’altro capo della stanza: -Idea geniale. Vi ricordate che Lydia ha questo tipo di sensazioni ogni volta che qualcuno sta per morire, vero?-
Proprio quello che aveva pensato lui prima. Non c’era bisogno di ricordarglielo, ma aveva ragione. –Non devi chiamare suo padre. Andremo alla stazione di polizia- si intromise lui, deciso a fare qualsiasi cosa per salvare Thomas. Anche se significava venire meno alla sua parola.
La ragazza lo guardò e annuì, allungando una mano per posarla sul suo braccio. Forse non era così male, forse dopo tutta questa storia sarebbero anche riusciti a diventare amici e lui avrebbe riposto il risentimento che provava per lei.
-Vi raggiungiamo- disse poi.
-Cosa? Perché?-
-C’è qualcosa qui...-
-Già- mormorò Isaac, e all’improvviso Newt decise che no, non gli piaceva affatto. –La prova di un’instabilità mentale.- Voleva prenderlo a pugni, dirgli di tenersi i suoi cavolo di commenti per sé, ma poi, dovette ammettere, non aveva tutti i torti. Riusciva a riconoscere i segni della pazzia quando li vedeva, e Thomas... beh, diciamo che non stava troppo bene.
-Cercheremo di capire cosa c’è che non va in lui appena gli avremo impedito di morire per ipotermia- sbottò, girando i tacchi per tornare di sotto, i due licantropi subito dietro di lui.
 
 * * *
 
Le ricerche erano cominciate subito. Lo sceriffo non aveva perso un attimo e aveva mandato alcuni agenti a cercare la jeep, o a controllare tutti i sotterranei possibili. Ben presto si erano ritrovati al Beacon Hills Hospital dove Thomas aveva lasciato la macchina, senza benzina, probabilmente perché aveva lasciato i fanali accesi. Dopo un veloce controllo e l’aiuto dei licantropi, avevano convenuto tutti che il ragazzo non si trovava lì e che se n’era andato da un po’. Ma che cosa era venuto a fare?
La risposta la trovarono sul tetto, dove li aspettava Derek: -Hai notato quanto sia forte l’odore qui sopra?- stava dicendo a Scott. Newt si avvicinò a loro per ascoltare meglio. –Ti ho mai parlato dei segnali chimici che comunicano le emozioni? E solo il nostro sudore può significare rabbia, paura o... disgusto. Respira profondamente e dimmi cosa senti.-
L’ispanico fece come ordinato; chiuse gli occhi per qualche secondo, prendendosi il tempo per captare tutti gli odori. Poi li riaprì e guardò il suo maestro: -Stress.-
-E ansia.-
-Che cosa stava facendo qui sopra?- Newt non riuscì più a trattenersi e si intromise nella conversazione. Per qualche strano motivo, Derek gli lanciò uno sguardo torvo, come per dirgli: “E tu che diavolo ci fai qui?”. Aveva la vaga impressione di non piacere molto all’ex Alpha, ma non riusciva a capire perché. Sin da quando si erano incontrati e lui era stato presentato come l’ “amico di vecchia data e ragazzo di Stiles”, in qualche modo si era attirato l’antipatia dell’altro. Non sapeva se era un bene o un male visto che era un tizio dannatamente enorme, per non parlare del fatto che aveva una forza sovraumana, e avrebbe potuto farlo a pezzi senza nemmeno battere ciglio.
Rabbrividì involontariamente al pensiero.
-Non lo so, ma c’è stata decisamente una lotta- si decise finalmente a rispondere.
-Contro chi?-
Derek volse lo sguardo verso gli impianti elettrici attorno a loro. –Sé stesso.-
E il cuore di Newt gli balzò nel petto. Per tutto il tempo aveva cercato di ignorare quella vocina nella testa che gli suggeriva questa possibilità, aveva avuto troppa paura di ascoltarla: ma se davvero Thomas fosse il Nogitsune? Se avesse avuto uno dei suoi soliti blackout per colpa dello spirito?
Derek lasciò che le sue parole facessero effetto, prima di congedarsi, non senza aver lanciato un’altra occhiataccia a Newt: -Vado a controllare a scuola, voi tornate da Stilinski.-
Poi se ne andò, lasciandoli da soli a riflettere sulla nuova scoperta, e Scott sembrava stranamente più silenzioso del solito.
-Non gli piaccio molto- affermò il biondo, per rompere un po’ la tensione che si era formata, lo sguardo fisso sulla porta oltre la quale era sparito il ragazzo. Con sua sorpresa, l’ispanico si mise a ridere: -È solo geloso, vedrai che gli passerà.-
Newt gli lanciò uno sguardo interrogativo. Geloso di cosa?
Così Scott si affrettò a spiegare, con una scrollata di spalle: -Derek ha sempre provato un certo affetto per Stiles. Si comporta come se non gli importasse, ma in realtà si preoccupa tanto quanto tutti noi. Ho perso il conto di quante volte quei due si siano salvati la pelle a vicenda.-
Oh...
Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non ingelosirsi a sua volta. Non era il momento adatto per pensare a queste cose. E poi davvero non ce n’era nemmeno bisogno: Thomas stava con lui, gli aveva assicurato che non c’era nessun altro. L’unica cosa che poteva fare era fidarsi.
Lo riportò alla realtà un leggero BIP proveniente dal cellulare di Scott, che lo controllò in fretta prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lui: -Lydia pensa di sapere dove si trova, andiamo.-
I suoi occhi si illuminarono mentre un moto di speranza gli attraversava tutto il corpo: -Dove?-
-Eichen House-
Newt rabbrividì. Thomas gli aveva raccontato di quel posto; era il manicomio in cui era stato rinchiuso Barrow, e solo il pensiero che il ragazzo si trovasse lì, da solo, in mezzo ai matti gli ricordava i giorni passati al Palazzo degli Spaccati. D’un tratto era intenzionato a trovarlo ancora più in fretta.
 
* * *
 
Lydia si era sbagliata. Aveva avuto una delle sue sensazioni e Newt si era fidato, ma non avrebbe dovuto. Aveva lasciato che la speranza si impossessasse di lui, e la delusione si era abbattuta su di lui come un macigno quando avevano trovato il sotterraneo completamente vuoto.
Stilinski si era messo a urlare contro di lei.
Lui invece si era trattenuto, solo perché aveva visto il senso di colpa negli occhi della ragazza. Decisamente nemmeno lei si aspettava di aver sbagliato, e capì che non se lo sarebbe mai perdonato.
-Era qui... ne sono sicura...- aveva mormorato, mentre risalivano le scale e uscivano dall’edificio a testa bassa. Solo allora era arrivata la chiamata da parte di McCall, il quale dopo essere stato messo al corrente delle ricerche aveva deciso di aiutare, insieme a Melissa. E, grazie alle sue intuizioni dovute a esperienze personali, lo avevano trovato.
In un posto in cui nessuno di loro si sarebbe mai immaginato di cercare: la tana di Malia.
 
STILES’ POV
 
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva chiamato Newt, forse cinque, dieci minuti. Faceva sempre più freddo e la gamba gli doleva ogni volta che tentava di muoverla, come se potesse strapparsi da un momento all’altro. Puntò la torcia del telefono su di essa, guardando con disperazione la trappola per orsi dentro a cui era incastrata. E per l’ennesima volta si chiese come diavolo avesse fatto a finire lì sotto: era una stanza piuttosto grande, una specie di magazzino; dietro e accanto a lui c’era la caldaia, mentre di fronte un divano piuttosto logoro e degli scaffali con delle scartoffie. Sopra c’era una finestrella da cui filtrava un po’ di luce, ma non abbastanza da poter vedere.
Un leggero suono, come di un sasso che tocca il pavimento, proveniente dalla parete alla sua sinistra, lo fece sobbalzare e subito spostò la torcia verso la sua origine.
-Chi è là?- urlò, mentre tentava di mettere a fuoco la figura illuminata debolmente. Si trattava di un uomo, ma c’era qualcosa di sbagliato in lui: teneva la schiena curva e aveva la testa e le mani completamente fasciate con della garza sudicia, come se risalisse a tanti anni fa. Se non fosse stato per la giacca e i pantaloni ancora vagamente intatti, avrebbe pensato che si trattasse di una sorta di mummia. Ma la cosa che gli fece accapponare di più la pelle, fu la lettera che l’uomo stava scrivendo sul muro con un gesso trovato chissà dove: una S.
-Sé stesso...- mormorò, tra sé e sé, cominciando a realizzare di chi, o meglio cosa, si trattava.
-Chi c’è? Chi sei?- urlò di nuovo, continuando a puntare la torcia verso l’uomo che nel frattempo si era alzato e aveva cominciato a camminare per la stanza. Zoppicava. E quando si degnò di rispondere, usò una lingua, probabilmente giapponese, che Stiles non riuscì a capire. –Cosa? Non capisco!-
-Non “chi sei”, Stiles- disse di nuovo l’uomo, questa volta in inglese. –Chi siamo.-
Stiles si bloccò, troppo impaurito per credere a quella rivelazione o per capirne il significato. Non era mai stato così terrorizzato in vita sua, né con i Dolenti, né con Gervaso lo Spaccato, né con Newt a Denver.
-Hai notato che abbiamo smesso di tremare, Stiles?- continuò il Nogitsune. –Sai perché è un brutto segno?-
Deglutì. –È il corpo che cerca di conservare energie. Ho fatto una ricerca di piccolo. Ipotermia.-
-Parlare diventa più complicato. Arriva la spossatezza. La confusione. Moriremo se non usciremo da qui- ora che si trovava a qualche passo da lui, Stiles notò che l’unica cosa visibile del suo viso era la bocca larga e da cui si intravedeva qualche dente appuntito.
-Smettila di dirlo. Smettila di dire “noi”!-
-Stiamo solo cercando di impedire che tu muoia di freddo. Dovresti alzarti, Stiles.-
-Come? La mia gamba è incastrata in una dannatissima trappola d’acciaio!-
-Oh, davvero?-
C’era qualcosa nel suo tono di voce che gli fece spostare di nuovo la torcia sulla propria gamba, e notò con orrore che la trappola si era spostata sul piede sinistro. Come diavolo era possibile?
-Che cosa stai facendo?- chiese al Nogitsune, l’irritazione, insieme alla supplica, evidenti nella sua voce.
-Stiamo cercando di salvarti, Stiles. Stiamo cercando di salvarti la vita- l’uomo, se lo si poteva chiamare tale, aveva ricominciato a muoversi, dando a Stiles un senso di nausea. –Non capisci, vero? È un indovinello. Conosci qualche indovinello, Stiles?-
-Alcuni...- respirare stava diventando difficile. Voleva solo che quest’incubo finisse.
-Più scavi e più diventa grande-
Voleva sul serio giocare adesso? Cosa sarebbe successo se non avesse risposto? –Un buco.-
-Più asciughi e più si bagna- chiese ancora.
-L’asciugamano...-
-Quando una porta non è una porta?-
Stiles sgranò gli occhi. Si era completamente dimenticato della porta nella propria mente, non aveva fatto abbastanza per chiuderla e per questo era finito in quella situazione del caspio. Come avrebbe detto Minho, era completamente rincaspiato ora. In altre circostante forse avrebbe riso. –Quando è accostata...- mormorò, chiudendo gli occhi mentre una lacrima gli scivolava sul viso. Come avrebbe fatto a proteggere Newt in quelle condizioni?
Un ghigno soddisfatto si formò sul volto coperto dell’uomo. –Tutti ce l’hanno, ma nessuno può perderla. Che cos’è?-
Stiles si ritrovò pensarci un po’ troppo a lungo, forse per l’agitazione, forse perché la vista stava cominciando ad offuscarsi, ma non riusciva a trovare la soluzione. Il Nogitsune cominciò a urlargli la stessa domanda più volte, lui si coprì le orecchie per non sentire e chiuse gli occhi, ma poi l’uomo lo prese per le gambe e cominciò a tirarlo... e tirarlo...
Il pavimento sotto di sé si trasformò in terra. Delle braccia lo avvolsero con delicatezza cercando di calmare i suoi spasmi.
 
* * *
 
La sera seguente, dopo aver trascorso il resto della notte e la giornata in ospedale, venne chiamato da un dottore per una TAC. In cuor suo sapeva esattamente cosa stavano cercando: non c’era quando era successo, ma suo padre glielo aveva spiegato a grandi linee.
Scott e Newt si trovavano davanti a lui mentre sedeva sul lettino in attesa che l’esame iniziasse, lo sguardo spaventato del biondo gli fece capire quanto tutta quella storia lo stesse turbando, e l’unica cosa che voleva fare era abbracciarlo forte dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Ma prima doveva dire loro il motivo per cui era lì: -Si chiama demenza frontotemporale. Alcune parti del cervello si... restringono. Ce l’aveva mia madre. È l’unica forma di demenza che può colpire i giovani, e non c’è cura.- Si guardò le mani per non incontrare lo sguardo di nessuno dei due. Poteva solo immaginare che cosa stesse passando per la testa di Newt; era così simile all’Eruzione, ma la possibilità che fosse reale era molto più alta. Non era un lupo mannaro ma poteva sentire la paura irradiare dal corpo dell’altro.
-Stiles, se ce l’hai- disse Scott, con una sicurezza tale che quasi lo spaventò ma lo rassicurò allo stesso tempo, -Faremo qualcosa. Io farò qualcosa.-
Alzò lo sguardo su di lui, cercando di fargli capire quanto fosse grato che lui fosse presente, anche se ciò di cui stava parlando era trasformarlo. Non aveva mai voluto diventare un essere sovrannaturale; una volta Peter, lo zio di Derek, glielo aveva proposto e lui aveva rifiutato. Ma se era necessario per rimanere in vita e restare con i suoi amici, con la sua famiglia, con Newt... allora era pronto a sacrificare la sua umanità.
Annuì, sporgendosi per abbracciare forte il suo migliore amico.
-Vi lascio un attimo soli- disse poi lui, dopo essersi separati, lanciando uno sguardo al biondo le cui gambe sembravano sul punto di cedere. Si fiondò fra le sue braccia non appena Scott fu uscito dalla stanza.
Quel gesto poteva significare tante cose: una dimostrazione d’affetto; un segno che il ragazzo avrebbe voluto rimanere con lui come se lasciandolo sarebbe potuto andare via; rassegnazione. L’ultima cosa che voleva era che Newt perdesse la speranza, perché lui non aveva in mente di andare da nessuna parte. Nonostante... nonostante ciò che era successo quella notte, di cui ovviamente non aveva parlato a nessuno.
-Mi hai promesso che quando questa storia sarà finita potremo passare tutto il tempo che vorrò insieme- mormorò il biondo, dolcemente. –Non osare andartene o sarò io ad ucciderti.-
Per qualche strana ragione, Stiles si ritrovò a sorridere invece di sentirsi minacciato. Questa sensazione gli fece bene, dopo quello che aveva passato. –Mai- gli rispose, con tutta la sincerità che riuscì a trovare. Perché era vero.
Newt si scostò e posò le mani sulle sue guance, sporgendosi poi per dargli un leggero bacio sulla sua fronte. Stiles chiuse gli occhi per godersi quel momento di intimità fra loro, anche se dall’altra parte del vetro lì accanto c’erano suo padre e Melissa, insieme al medico, che probabilmente li stavano guardando.
Avrebbe voluto restare lì così e non scoprire mai se davvero era malato o no. Ma poi Newt, stringendo gli un’ultima volta la spalla, si allontanò: -Ci vediamo più tardi- gli promise, prima di sparire oltre la porta.
 
L’esame cominciò qualche minuto più tardi. Era disteso sul lettino, all’interno del macchinario. Il dottore lo aveva avvertito che avrebbe sentito un rumore come di un martello, ma non aveva immaginato che sarebbe stato così fastidioso. Non poteva muoversi, non poteva scappare, così si limitò a chiudere fermamente gli occhi, e il rumore cessò.
Capì di trovarsi in piedi, anche se non aveva idea di come fosse successo. Lentamente aprì un occhio, poi l’altro: le luci della stanza erano spente, dall’altro lato del vetro si intravedevano ancora Melissa e suo padre che discutevano con il dottore come se non stesse accadendo nulla. Poi la sentì, quella sensazione di essere osservato. Con uno scatto si voltò, solo per fronteggiare nuovamente l’orrenda figura del Nogitsune gobbo e zoppicante e il suo ghigno inquietante.
-Hai risolto l’indovinello?- gli chiese, quasi allegramente, girandogli intorno. –In quel caso, potremmo anche considerare di lasciarli andare, no?-
Stiles aggrottò le sopracciglia, sempre più confuso. –Lasciare andare chi?-
-I tuoi amici...- il suo pensiero andò a Scott, al branco e ai Radurai, il viso che lentamente impallidiva.
-La tua famiglia...- Inconsciamente, guardò suo padre e Melissa, che ormai era diventata come una seconda madre per lui. Stava iniziando a capire dove voleva andare a parare.
-Tutti quelli che hanno significato qualcosa per te...- e infine pensò a Newt, che aveva promesso di stargli sempre accanto nonostante questo significasse essere continuamente soggetto al pericolo.
-Noi li distruggeremo tutti, Stiles!- continuò imperterrito il Nogitsune, forse ignaro del terrore che si era impossessato del ragazzo, forse no. –Uno... dopo... l’altro.-
-Perché?- fu l’unica cosa che riuscì a dire, sussurrandola appena.
L’uomo si voltò di nuovo verso di lui: -Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla. Che cos’è, Stiles?-
-Non lo so...-
Ora era così vicino che Stiles poteva sentire l’odore di vecchio e uova marce del suo alito. –Tutti la possiedono, ma nessuno può perderla!-
Si voltò per non guardarlo, le mani a coprire di nuovo le orecchie, le lacrime che ormai scendevano senza sosta bagnandogli completamente le guance: -Non lo so!- continuò ad urlare, finché, ad un certo punto, tornò il silenzio.
Provò a riaprire gli occhi, in attesa di qualche altro suono, ma l’unica cosa che udì fu la sua voce. Eppure non aveva aperto bocca. –Che cos’è, Stiles?-
Finalmente, tutti i pezzi del puzzle andarono al loro posto. -L’ombra...-
Girò lentamente su se stesso per trovarsi a faccia a faccia con la copia esatta di sé, solo più pallida e con un ghigno cattivo disegnato sul viso. E poi tutto si fece nero.
 
* * *
 
Scivolò fuori dal macchinario non appena tutte le luci si furono spente. Il suo piano era andato a buon fine, nonostante le varie complicazioni che gli aveva dato quello stupido ragazzino, che anche se sembrava esile e innocuo, possedeva una forza d’animo che superava qualsiasi altra. Per questo lo aveva scelto come tramite.
Finalmente la volpe era riuscita a impossessarsi di un corpo per finire ciò che anni prima aveva iniziato.
Raggiunse la stanza di Stiles per rivestirsi, approfittando del fatto che tutto l’ospedale era in subbuglio per l’improvviso blackout, e infine fece per andarsene indisturbato.
Certo non si aspettava di trovarsi lei davanti.
-Tu mi conosci- disse infatti la donna. Si limitò ad annuire. –Quindi ti ricorderai che per me non è un deterrente la scelta dell’ospite. Anche se si tratta di un innocente.-
La guardò, alzando un angolo della bocca in un ghigno divertito: -Ci stai minacciando?-
Come previsto, i suoi dannati Oni apparvero accanto a lei. –Ora ti sto minacciando.- Come se questo potesse davvero fermarlo.
-Non abbiamo paura delle tue piccole lucciole- replicò, senza nemmeno scomporsi. Eppure, nemmeno lei sembrò dare segni di cedimento. Si voltò per andarsene, la gente che gli correva accanto senza accorgersi di lui.
-Anche se gli Oni non possono sconfiggerti, conosco chi riuscirà a farlo- ribatté di nuovo la donna, e per un attimo lui pensò che si stesse arrampicando sugli specchi, ma poi il tono sicuro della sua voce lo fece ricredere. Si bloccò, lanciandole un altro sguardo da sopra la spalla.
Volpe contro volpe? E sia. 


Angolo autrice: Come promesso, un altro capitolo, persino più lungo degli altri. Questo è il mio episodio preferito in assoluto della stagione, mi sono divertita un sacco a scriverlo. Spero che vi piaccia. 
Ah, ho aggiunto anche un piccolo momento Sterek nonostante non li shippi ahahah Non so, mi sembrava la cosa giusta da fare. 
Non vi prometto nulla, ma se tutto va bene, aggiornerò di nuovo uno di questi giorni. Perciò alla prossima :*

 
   
 
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