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Autore: Kazaha87    31/05/2016    0 recensioni
Durante un pomeriggio di un classico inverno del nord, a casa di Danimarca, un fiume di pensieri, rimpianti, rimorsi e risentimenti si impossessa di Islanda mentre, come d'abitudine, sente battibeccare Norvegia e Danimarca nella stanza accanto. Poi, che sia colpa dei bui inverni del nord o no, Norvegia prima e Danimarca poi vengono colpiti dalla stessa malinconia che aveva pervaso il loro fratello minore, e si abbandonano ai propri fantasmi.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Islanda, Nordici, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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E quello per cos’era?!

Avrebbe tanto voluto fermare Norge con la forza e chiederglielo ma, anche qualora questi non se ne fosse andato prima che fosse in grado anche solo di dire “a”, sapeva che quella domanda non avrebbe mai ricevuto una risposta in ogni caso.

Tutto dolorante, quindi, tirò su la sua sedia da terra e, rimessala al suo posto, si risedette davanti alla sua tazza fortunatamente intatta e ancora fumante di grog, e a quella ancora mezza piena, abbandonata, una spanna più in là.

Senza pensare afferrò quella di Norge invece della propria e bevve da quella, sospirando sonoramente e non curandosi di trattenersi o di nascondere la propria tristezza.

“Mi odi davvero così tanto?”, mormorò fra sé e sé in poco più che un sussurro, abbattuto come così di rado capitava di vederlo, ma come così spesso si sentiva quando rimaneva da solo… o, peggio ancora, quando lo lasciavano solo con se stesso…

Sospirò ancora e, improvvisamente soverchiato da quel pensiero che sembrava volerlo spingere a forza oltre la soglia della propria resistenza psicologica, posò la tazza e si coprì il volto con entrambe le mani, i gomiti piantati sul tavolo a sostenere il peso del suo capo insieme a quello della propria disperazione.

Sentì gli occhi gonfi, ma la sua forza di volontà era più forte delle sue lacrime e riuscì a contenerle finché l’unica cosa che esse potessero fare non fu che ritirarsi, vinte.

Era un guerriero: lui non piangeva.

Non per una ragione tanto sciocca.

Era vero: era violento di natura, vendicativo e poteva diventare spietato e senza cuore anche verso coloro che amava di più al mondo se era convinto di avere ragione o se era ferito nell’orgoglio e nello spirito; ma era anche un idealista, e, alle volte, temeva che quell’ultimo punto fosse anche la sua più grande debolezza.

Amava tutti loro, anima e corpo, e davvero non riusciva a capire come mai sembrava che loro non potessero fare altro che odiarlo – o, nei giorni migliori, sopportarlo in qualche modo – con la stessa intensità con cui lui letteralmente li adorava.

Forse era stato troppo dispotico nei loro confronti in passato e ora tutti loro si erano stufati di lui, ma dannazione: non era mica perfetto! Sapeva di aver commesso una miriade di errori in passato, ma accidenti: perché non capivano quanto lui li amasse?

“Nor… almeno tu…”, mormorò, schiacciato, e, questa volta, le lacrime ebbero infine la meglio su di lui nonostante tutti i suoi immani quanto vani sforzi di scacciarle, e la sconfitta del suo autocontrollo fu tale che, a un certo punto, si ritrovò sopraffatto dai singhiozzi senza poter fare nulla per fermarli.

Ti prego… almeno tu non odiarmi!, ripeté quella silenziosa supplica più e più volte nella sua mente come fosse un mantra, finché lacrime e singulti non cominciarono infine, lentamente, a ritirarsi.

E non l’avrebbe mai ammesso a voce, nemmeno sotto tortura, ma lui pregava per questo almeno due volte al giorno, regolarmente: ogni mattina prima di scendere dal letto e ogni sera prima di coricarsi.

Quando infine si sentì sufficientemente calmo, spostò le mani dal volto ancora umido di lacrime e fissò lo sguardo ancora annebbiato fuori dalla finestra: erano le cinque di pomeriggio e fuori il cielo era già buio…

“Dannato inverno!”, maledisse in un grugnito insofferente e, colpendo la superficie del tavolo a pugno chiuso e con tanta forza quanta era la sua frustrazione in quel momento, decise infine di alzarsi da tavola e di abbandonare la cucina come gli altri due avevano già abbandonato lui lì.

Si spostò quindi in salotto, dove la televisione accesa sembrava chiamarlo a sé nemmeno fosse una sirena, e tornò a stravaccarsi sul divano dove, forse, sarebbe stato meglio fosse rimasto.

   
 
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