*Ci
tengo a precisare che questa storia è ambientata in
Dragon Ball GT, precisamente dopo lo scontro con Baby. Tuttavia sono
state
alterate alcune componenti, in modo particolare
l’età dei personaggi.
Vegeta-sei sarebbe esploso infatti all’epoca in cui Vegeta
era soltanto un
bambino, e Pan all’inizio del GT dovrebbe avere
all’incirca 14 anni. Ho
cambiato l’età dei personaggi per far combaciare
le vicende che leggerete nel
caso in cui decidiate di seguirmi :)
(Goku,
ovviamente, non è mai tornato bambino.)
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Una
dannata festa. Un’altra. Non ci si sarebbe mai abituato a
quel ridicolo pianeta
…In modo particolare sarebbe rimasto per lui eternamente un
arcano mistero sapere
cosa diavolo avessero sempre da festeggiare quegli stupidi terrestri.
Nervosamente
si rigirò la testa sul cuscino. Non era decisamente
dell’umore adatto per
sorbirsi tutto quel fracasso. In realtà era piuttosto raro
che il suo umore
fosse adatto a qualcosa di diverso dagli allenamenti o dai pasti
quotidiani, ma
quel giorno il Principe dei Saiyan era afflitto in modo particolare,
per un motivo
che lui stesso non era in grado di spiegare.
Eppure
forse non era poi così difficile immaginare il nome da dare
a quell’assurdo
senso di incompletezza e di vuoto che gli albergava
nell’animo. Il solito,
dannato nome che non faceva altro che martellare nella sua mente ogni
qual
volta essa si ritrovasse a bruciare d’ira.
Kakaroth…
Uscito
vittorioso da un nuovo scontro. Un nuovo scenario
dell’universo lo aveva visto
trionfare, in una sua nuova splendente trasformazione.
Se
ai
tempi dello scontro con Cell, o a quelli dello scontro con Majin Bu
quella
misera, stramaledetta terza classe era stata solo di un passo davanti a
lui
questa volta gli aveva letteralmente fatto mangiare la polvere.
Quel
lurido
dannato bastardo era riuscito a trasformarsi in un Super Saiyan di
quarto
livello, rendendolo nuovamente la sua stupida, insignificante, mediocre
ombra. Quasi
come se avesse voluto mettere in evidenza la propria
superiorità, coronare
nuovamente, in maniera definitiva questa volta il proprio ruolo, ormai
indiscusso, di “Numero Uno”.
E
cos’avrebbe dovuto fare a questo punto il cinico, malvagio,
orgoglioso principe
Vegeta? Starsene seduto con le mani in mano, a strafogarsi delle
prelibatezze
della sua eccentrica suocera mentre quella massa di plebe inutile che
costituiva quella che era ormai diventata la sua assurda compagnia si
divertiva
a festeggiare per un motivo che eternamente gli sarebbe rimasto oscuro?
Una
nullità. Un’inutile deplorevole
nullità. Ecco come si sentiva.
Aveva
creduto di essercisi abituato. Di aver accantonato l’odio e
ogni desiderio di
vendetta, accettando il ruolo che il mondo gli aveva destinato.
Si
era
abituato ad avere una vita normale. Aveva visto crescere i suoi figli,
era
cresciuto insieme a loro. Li aveva visti trasformarsi, perdere
gradualmente la
loro innocenza infantile, vivere i problemi dell’adolescenza.
Aveva
amato sua moglie, l’aveva vista invecchiare al suo fianco.
Aveva vissuto
accanto alla sua famiglia, voltando definitivamente le spalle a tutto
ciò che
era stato.
Aveva
tradito inesorabilmente tutto il trascorso della propria vita, tutto
ciò che lo
aveva forgiato per essere il Vegeta che tutti avevano imparato a
conoscere e
temere. L’orgoglioso principe dei Saiyan. Colui che con un
solo sguardo gelido
era in grado di incutere il terrore più nero.
Non
era certo del fatto che ciò che ne era stato del vecchio,
autentico Vegeta
fosse stato un bene. Il Principe non ne era mai stato convinto fino in
fondo,
ma del resto, non aveva avuto molte occasioni per preoccuparsene
troppo. Il suo
cambiamento era avvenuto in maniera graduale, e aveva travolto e
coinvolto ogni
infinitesimale parte del suo essere, senza che tuttavia lui fosse
perfettamente
consapevole di ciò che gli stava accadendo.
Ma
in
qualsiasi caso il vecchio Vegeta non avrebbe accettato di rimanere
segregato a
lungo in uno squallido, solitario scomparto della sua mente. Coglieva
ogni
buona occasione per sgattaiolare fuori dal dimenticatoio e
scombussolare la sua
vita, diventata a discapito di ogni possibile immaginazione pacifica e
tranquilla. A scombussolare i suoi pensieri, facendogli desiderare
ardentemente
di tornare ad essere ciò che era stato, ciò che
mai in fondo avrebbe smesso di
essere. Vegeta, spargitore di sangue, principe di tutti i Saiyan.
Ma
i
tempi in cui avrebbe fatto tremare il cuore a chiunque erano
miseramente volati
via, questo, che lo accettasse o meno, era inesorabilmente un dato di
fatto.
Tutti
coloro che aveva intorno avevano preso a considerarlo uno del gruppo.
Uno di
loro.
E
lui
non si era ribellato. Nonostante avesse, all’insaputa di
tutti, continuato
disperatamente a tentare di dimostrare a se stesso, al mondo intero
quanto
questa convinzione fosse stupida e priva di fondamenta concrete.
A
volte si sentiva scoppiare dentro quella situazione.
Quasi
gli pareva di urlare dentro una stanza piena di gente senza che nessuno
riuscisse a sentirlo.
Neppure
Bulma era mai stata capace di capire. L’aveva amato, aveva
accettato ogni singola
parte del suo essere, ogni sua iniziativa, ogni sua scelta, giusta o
sbagliata
che fosse.
Ma
non
si era mai cimentata nell’ardua missione di scavare nei
profondi abissi del suo
oscuro cuore per riuscire a comprendere cosa si celasse nel suo animo
perennemente tormentato. Non era stata in grado di farlo. Non ne era
stata
capace neppure lei, l’unica donna sulla faccia
dell’universo che mai avesse
osato offrirgli il suo amore.
Si
sentiva solo. Nonostante l’affetto costante della sua
famiglia. Nonostante
l’incosciente, immotivata fiducia dei suoi amici.
Terribilmente solo. Solo come
era sempre stato. Solo com’era dal giorno in cui il destino
gli aveva strappato
dalle mani il suo futuro …
Avrebbe
dovuto essere un grande re. Questo era il destino già
scritto per ogni principe
dei Saiyan. Essere
un grande sovrano,
temuto a stimato, un grande distruttore di pianeti e di stelle, il
potenziale
padrone dell’universo intero. Il fantomatico, mitico Super
Saiyan.
Ma
paradossalmente il destino avverso, suo eterno e unico compagno
d’avventure,
non aveva permesso che ciò si avverasse. Anzi, a dire il
vero non aveva avuto
la premura di riservargli nulla di buono. Lo aveva catapultato lontano
da ogni
brama di potere, sotto le grinfie di un mostro che aveva osato renderlo
suo
schiavo.
E
la
sua schiavitù non aveva conosciuto la fine neppure dopo la
sconfitta del potente
e malvagio tiranno. Da allora era stata la perpetua ossessione a
renderlo
schiavo, a fargli perdere completamente il lume della ragione.
A
condurlo senza meta in un baratro inesorabile.
Fino
a
quando non si era arreso per lo meno. Fino a quando lui, il grande
principe
Vegeta, non aveva chinato la testa di fronte alla propria sconfitta.
Fino a
quando non aveva gettato la spugna, accettando la propria triste
condizione
senza riscatto di eterno secondo.
E
si
era rassegnato definitivamente a quello che evidentemente era il suo
destino.
Fingere
di vivere, continuare ad attendere. Attendere un riscatto che non
sarebbe mai
arrivato.
::::::::::::::::::::::::::::::::
“Vegeta!!!!!
Tesoro scendi, i nostri invitati stanno arrivando, non vorrai farti
trovare in
pigiama spero!!”
Il
principe dei Saiyan rispose emettendo un grugnito. La voce stridula
della
moglie lo aveva ridestato dai propri pensieri catapultandolo nuovamente
nella
monotona realtà che gli era quotidiana.
E
quella mattina gli pareva ancora più fastidiosa del solito.
Si
infilò in fretta la battle suit per evitare di essere
nuovamente richiamato
dalla moglie. Ma non avrebbe festeggiato. Non avrebbe finto che tutto
ciò che
di sciocco e inutile gli stava intorno gli si addicesse. Non quella
mattina per
lo meno.
Il
suo
atroce stato di frustrazione si sarebbe mitigato soltanto attraverso
uno
spossante allenamento. Che lo spronasse a sentirsi nuovamente il
migliore, il
numero uno.
Era
il
grande principe dei Saiyan. Avrebbe raggiunto presto il livello del suo
infimo
sottoposto. Qualsiasi vertice avesse raggiunto Kakaroth il principe
Vegeta non
sarebbe stato da meno. Sapeva perfettamente di avere tutte le carte in
regola
per poterlo nuovamente guardare dall’alto, com’era
stato la prima volta che si
erano incontrati. E a quel punto avrebbe raccolto i frammenti del suo
orgoglio
di guerriero, del suo onore di principe per poterne assemblare i pezzi
alla
perfezione e tornare finalmente ad essere ciò che era.
Meccanicamente
si infilò gli stivali e i guanti bianchi e, ormai pronto per
la giornata di
allenamento, si fermò ad osservare la propria immagine
riflessa nello specchio.
Un
uomo devastato. Ecco ciò che si era mostrato ai suoi occhi.
Dal
suo sguardo accigliato trasparivano unicamente glaciale indifferenza e
profondo
disprezzo per ogni cosa che gli si trovasse intorno.
Solo
chi si fosse soffermato più a fondo avrebbe potuto scorgere
nei suoi profondi e
impenetrabili occhi di pece la sofferenza che vi si celava. La
sofferenza di un
uomo che, per tutta la durata della sua vita era stato percosso da
mille ferite,
fisiche ed emotive, a partire da quando era soltanto un misero
moccioso.
Non
gli era mai stato concesso il calore di un abbraccio, la spensieratezza
di un
gioco, l’allegria di una vita senza pensieri e
responsabilità. La vita lo aveva
forgiato per essere ciò che era diventato fin troppo presto.
Troppo prima di
essere pronto a rinunciare alla serenità che gli spettava di
diritto per
dedicarsi ai doveri che si addicono ad un guerriero mercenario. Ad una
schiavitù destinata a durare fin troppo a lungo.
Il
principe inspirò profondamente e distolse lo sguardo dalla
propria immagine
riflessa. Si ritrovò a pensare che, senza ombra di dubbio,
se il suo pianeta
non fosse stato miseramente ridotto in un ammasso informe di polvere
cosmica il
suo destino sarebbe stato ben diverso. Mai e poi mai sarebbe stato
costretto a
rinunciare a se stesso per rendersi conforme ad una realtà
di cui non aveva mai
fatto parte fino in fondo. Di certo quel senso di frustrazione non
avrebbe mai
avuto ragion d’essere nel suo cuore.
Ad
occhi chiusi varcò lentamente la soglia della propria camera
da letto e prese a
scendere le scale.
“Vegeta
ti avevo chiesto di prepararti, perché hai messo la battle
suit? Non avrai
intenzione di allenarti anche oggi spero!!”
“E
invece è proprio così. Non ho nessuna voglia di
partecipare a questa stupida
festa. Non smetterò mai di chiedermi cos’abbiate
sempre da festeggiare voi
terrestri.”
Freddamente,
senza distogliere lo sguardo dal vuoto tentò di percorrere
senza essere
ulteriormente disturbato il breve tragitto che lo separava dalla
Gravity Room.
Ma,
come del resto era nelle sue aspettative, la moglie lo fermò
afferrandolo per
una mano.
“Non
se ne parla nemmeno Vegeta. Avevi promesso di partecipare alla mia
festa,
perciò adesso fila subito in camera da letto e vestiti
decentemente. Dopodiché
scendi di nuovo qui e dammi una mano con i preparativi. A breve
arriveranno
tutti gli invitati, e non voglio certo rischiare di farmi cogliere
impreparata!”
Bulma
si scosse vanitosamente i capelli, pienamente convinta che la
risolutezza con
la quale aveva espressamente formulato il proprio ordine sortisse nel
marito
l’effetto desiderato, com’era ormai diventata
consuetudine da un paio di anni a
quella parte.
L’obbedienza.
Certo,
Vegeta avrebbe sbraitato un po’, come gli era solito del
resto. In fondo era
pur sempre il principe dei Saiyan, no? Ma alla fine tutto sarebbe
filato come
era lei a volere che fosse.
Di
certo non sarebbe rimasta ferma sulle proprie ferree convinzioni se
avesse
notato il notevole mutamento di espressione che si era fatto largo sul
viso del
marito.
Il
Principe infatti digrignava i denti e stringeva i pugni, in preda
all’ira e
alla frustrazione. Le vene pulsavano frementi sulle sue tempie, il
volto era
divenuto paonazzo. Inesorabilmente stava per esplodere. E non si
sarebbe
trattenuto.
“TACI
STUPIDA DONNA!! Non sei nelle condizioni di incutermi timore,
né tantomeno di
impartirmi ordini sono stato chiaro?! Non parteciperò a
questa tua stupida
festa, e ciò che decido di fare della mia giornata non sono
affari che ti
riguardano. E adesso levati dalle palle e lascami passare. Devo andare
ad
allenarmi.”
Donna…
Erano
anni che Vegeta non si rivolgeva a lei con quell’appellativo
che tanto in
passato l’aveva fatta infuriare. Credeva addirittura di aver
rimosso dalla
mente l’essere malvagio e scorbutico che Vegeta era stato
durante i primi tempi
della loro convivenza.
Così
allibita e addolorata lasciò gradualmente la presa sulla
mano del marito, il
quale, senza minimamente degnarla di uno sguardo che lasciasse
trasparire anche
soltanto il minimo accenno di un qualsiasi sentimento,
affinché potesse sperare
che si fosse trattato unicamente di un equivoco, si
allontanò da lei, e
lentamente com’era arrivato si diresse verso
l’uscio di casa richiudendosi la
porta alle spalle.
Profondamente
scossa la turchina si abbandonò sul freddo pavimento
dell’ingresso, lasciando
scorrere lungo le rosee gote tante lacrime salate, senza preoccuparsi
del fatto
che presto il mascara avrebbe formato un tutt’uno col suo
viso incipriato.
Continuava
a chiedersi senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente cosa
potesse
essere successo al suo Vegeta. Quali fossero i tormenti che avevano
preso a
intasargli nuovamente il cuore e l’anima, tanto da renderlo
incredibilmente
simile al mostro sanguinario al quale senza un apparente motivo aveva
offerto
tutto ciò che era in suo possesso.
“Perché
Vegeta? Perché? Cosa può esserti successo amore
mio?”
Le
lacrime bruciavano calde sopra le sue guance. Ma ciò non le
impedì di alzarsi
comunque e di smettere di piangere. Asciugandosi velocemente il viso la
turchina si alzò dal pavimento e si diresse in cucina per
ultimare gli ultimi
preparativi e accogliere i propri ospiti in maniera decorosa.
Non
avrebbe permesso che quella giornata andasse a rotoli. La sua festa
sarebbe
stata perfetta, esattamente come era nelle sue aspettative. Con o senza
la
presenza di quello stupido scimmione dal cuore di pietra.
::::::::::::::::::::::::::
In
breve tutti gli invitati arrivarono alla Capsule Corporation, e la
rimpatriata ebbe
finalmente inizio.
L’allegria
del gruppo era più che mai contagiosa e palpabile.
L’intero enorme giardino
della Capsule Corporation brulicava di gente giubilante, che si godeva
a pieno
la spensieratezza del meritato periodo di pace in seguito
all’incubo vissuto a
causa di Baby.
Gli
adulti
conversavano piacevolmente mentre i ragazzi, contenti di essersi
nuovamente
ritrovati in un’occasione diversa da una catastrofe cosmica,
si scambiavano
allegramente il resoconto delle proprie imprese sentimentali.
I
piatti e i bicchieri erano vuoti, le copiose quantità di
alcool ingurgitato
cominciavano a dare il loro effetto, movimentando piacevolmente quella
che di
per sé era già stata una festicciola riuscita
alla perfezione.
Paradossalmente
l’unico componente della combriccola a non condividere quella
comune allegria
pareva essere proprio Bulma.
Quel
dannato scimmione, quelle sue glaciali parole, non facevano altro che
ripercorrere la sua mente ad ogni istante che la donna passava
inconsciamente
ad attendere che quel maledetto portellone si aprisse, permettendole di
intravedere la figura dell’uomo che tanto amava con il volto
sereno,
riappacificato con se stesso e con il mondo.
Ma
lui
non si era presentato alla fine. Neppure per il buffet. E lei credette
di
conoscere perfettamente il motivo che lo aveva spinto a comportarsi in
quel
modo assurdo.
Goku.
O meglio, il Super Saiyan di Quarto Livello. Probabilmente Vegeta
viveva uno
dei suoi soliti, ricorrenti complessi di inferiorità. E se
le cose stavano
davvero così per lei non ci sarebbe stato molto da fare.
Avrebbe solo dovuto
attendere che sbollentasse, da solo, lontano da ogni forma di
pressione. E il
giorno in cui quel momento fosse finalmente arrivato lo avrebbe
nuovamente accolto
tra le sue braccia, come ogni volta, perdonandogli istantaneamente
tutto ciò
che in preda alla rabbia avesse detto.
Sperava
soltanto che questo caso non fosse diverso dagli altri. E che quel
momento si
decidesse ad arrivare al più presto.
Tra
questi pensieri Bulma Briefs osservava senza troppo interesse uno
spiedino che
teneva tra le dita da ore ormai.
“Mamma
che cosa c’è?”
La
voce squillante della figlia la riscosse dai suoi tristi pensieri
riportandola
bruscamente alla realtà. Quell’interruzione
improvvisa l’aveva spaventata,
infastidita quasi. Poiché avrebbe preferito di gran lunga
che la sua tensione
emotiva non fosse così evidente.
Non
riusciva
a sopportare l’idea che gli altri la considerassero fragile e
vulnerabile
vedendola in quello stato. Semplicemente perché lei per
tutta la durata della
sua vita aveva dato continue prove concrete di essere esattamente il
contrario
di ciò.
Tuttavia
allo sguardo carico di apprensione della figlia non poté
fare a meno di
rispondere con un sorriso malinconico.
“Oh
mamma è per papà? Davvero ti aspettavi che
avrebbe partecipato? Sai
perfettamente quanto detesti queste cose!!”
Bulma
sorrise nuovamente, cercando di convincere se stessa del fatto che la
figlia avesse
ragione. Sperò con tutto il cuore di avere male interpretato
la piccola
sfuriata del marito, sperò vivamente che quella piccola
scenata fosse stata
dettata unicamente dal nervosismo, dall’impulso, e che non vi
fosse sotto nulla
di grave per cui valesse la pena continuare a preoccuparsi.
In
fondo perché mai l’aveva presa così
male poi? Conosceva perfettamente
l’individuo con il quale aveva a che fare, ed era consapevole
di quello che
sarebbe stato l’evolversi delle cose fin dal momento in cui
aveva scelto di
ospitarlo in casa propria. E quando si era resa conto di ciò
che la legava a
lui conosceva alla perfezione tutti i rischi ai quali sarebbe andata
incontro.
E
aveva deciso di rischiare.
Non
lo
aveva fatto per tutta la durata della sua vita del resto, nel bene e
nel male?
Credeva
di essercisi abituata. Aveva sempre creduto di poter far fronte a
tutto. Perché
era sempre stata una donna forte, Bulma.
Ma
non
poteva mentire spudoratamente persino a se stessa.
Vero,
ci aveva fatto l’abitudine a Vegeta e a tutti i suoi
difettacci in un lasso di
tempo considerevolmente breve. Ma ci aveva fatto anche
l’abitudine da molto
tempo a quella parte ormai, a considerarlo diverso. A considerare morto
definitivamente il crudele soldato mercenario che aveva spezzato senza
neppure
il minimo accenno di pietà o di risentimento innumerevoli
vite innocenti, il
sadico bastardo che l’aveva abbandonata al proprio destino
mentre portava in
grembo il suo stesso primogenito.
Credeva
che fosse cambiato, anzi si era abituata ormai ad esserne certa, a
considerarlo
come un dato di fatto. Ma evidentemente si era sbagliata.
I
mostri non si redimono.
“Non
ha neppure toccato cibo... Bra, tesoro che ne diresti di portargli
qualcosa da
mangiare?
La
giovane sorrise di fronte alla tenera apprensione della madre.
“Ma
certo mamma.” Pronunciate appena percettibilmente queste
parole le si avvicinò
e le stampò un tenero bacio su una guancia nel tentativo di
sollevarle il
morale, per poi dirigersi a passo spedito verso il buffet.
Dopo
aver riempito un intero vassoio con ingenti quantità di cibo
si avviò verso la
Gravity Room, sperando vivamente di trovarvi un principe dei Saiyan che
non
fosse di umore pessimo.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
L’allenamento
era ormai nel pieno del proprio corso, e lo aveva coinvolto a tal punto
da
renderlo quasi dimentico di tutto ciò che avveniva intorno a
lui, di tutto ciò
che lo aveva reso intrattabile fino a qualche ora prima. Cominciava a
rilassarsi. Sentiva gradualmente distendersi i muscoli, regolarizzarsi
il
battito cardiaco, allontanarsi quel senso di frustrazione, rabbia e
nervosismo
che lo avevano tenuto prigioniero fino a poco tempo prima. Il suo cuore
colmo
d’ira aveva cominciato finalmente a sbollentare grazie ad un
allenamento strenuo
e spossante, dimostratosi il suo unico possibile amico nei momenti bui
della
sua triste e tormentata esistenza.
Improvvisamente
tuttavia il Principe dei Saiyan fu nuovamente catapultato nella
realtà
quotidiana che tanto aveva preso a detestare nel momento in cui un
anonimo,
dannato seccatore aveva deciso di interromperlo aprendo il portellone
della
Gravity Room, e causando la conseguente reimpostazione della
gravità normale.
Riconobbe
in breve la piccola aura dell’anonima seccatrice che,
chissà per quale
misterioso motivo, aveva deciso di raggiungerlo fin lì per
importunarlo. Così
senza neppure voltarsi a guardarla le parlò con fredda
risolutezza, sperando di
invogliarla a lasciare il più presto possibile il proprio
rifugio, qualsiasi
fosse il motivo per il quale avesse deciso di recarvisi.
“Beh,
che vuoi mocciosa? Sai perfettamente che non voglio essere disturbato
quando
sono qui, perciò fai in fretta a girare i tacchi e lasciami
allenare in santa
pace una buona volta.”
La
piccola Briefs digrignò rabbiosamente i denti, assumendo
un’espressione che la
rese molto simile a suo padre.
E
probabilmente
era questo il suo peggior difetto in assoluto. Essere la piccola
fotocopia
turchina del principe dei Saiyan, avendo ereditato
l’adorabile caratterino di
suo padre. Fu questo il motivo primordiale che la spinse a non
trattenersi.
L’impulsività che unicamente la sua
eredità di Principessa dei Saiyan potesse
avergli conferito.
Bra
sbatté rabbiosamente il vassoio che reggeva tra le mani
sulla superficie piana
che ospitava i comandi della stanza gravitazionale del padre, senza
minimamente
preoccuparsi del dispendio di lavoro che sarebbe toccato a lei e sua
madre nel
caso in cui uno di quegli stupidi marchingegni si fosse rotto.
“Tsk.
Siamo di cattivo umore oggi eh papà? Beh sappi che non me ne
importa niente.
Non è un buon motivo per cui prendersela con il mondo
intero, e in modo
particolare con chi si preoccupa di portarti qualcosa da mangiare. Beh
sai che
ti dico? Restatene pure qui a corroderti l’anima, io giro i
tacchi come mi hai
gentilmente consigliato, e me ne torno tra coloro che sanno
divertirsi.”
La
giovane turchina si scosse i capelli con leggiadria e lentamente si
accinse a
varcare nuovamente la soglia della Gravity Room. Appena in tempo per
sentire
distintamente i malcelati borbottii del padre.
“Questa
poi…”
La
piccola Bra avrebbe voluto restar lì. Avrebbe voluto sentire
il proseguo di
quelle parole, delle quali non era stata in grado di capire il senso.
Cosa
stava a significare “Questa
poi”? A
cosa stava facendo riferimento suo
padre con quelle parole?
Ma
nonostante
la morbosa curiosità la fanciulla non diede segni di
ripensamenti. Risoluta e
indispettita com’era partita aveva continuato il proprio
tragitto di ritorno,
senza mostrare il proprio impellente desiderio di restare ancora
lì a
cancellare dal cuore i propri dubbi parlando con suo padre.
Con
uno sguardo pieno di dubbiosa inquietudine Bra si richiuse il
portellone dietro
le spalle, e le parve quasi di sentirsi pesare addosso la rabbiosa
reazione di
suo padre.
“Non
ha nemmeno diciotto anni, e già persino quella sciocca
mocciosa mi mette i
piedi in testa. Se il mio pianeta non fosse andato in mille pezzi le
cose sarebbero
state diverse, ne sono sicuro.”
Avrebbe
preferito non sentire nulla. Avrebbe di gran lunga preferito vivere col
dubbio
anziché avvertire distintamente
quell’insopportabile fitta di dolore
all’altezza del petto che quelle dannate parole, cariche
d’ira e di
risentimento, gli avevano causato.
Ogni
singola parola di quel discorso parve scolpirsi indelebilmente sulle
pareti del
suo giovane cuore, nel momento esatto in cui era stata pronunciata. Di
certo
non avrebbe potuto dimenticare ciò che aveva appena
origliato da dietro quella
porta.
La
piccola Bra, nonostante la propria ben nota indolenza nei confronti del
mondo ebbe
prima di ogni altro la ferrea, improvvisa consapevolezza di
ciò che da tempo
avrebbe dovuto essere chiaro agli occhi di tutti.
Suo
padre non era felice.
Non
era felice accanto a loro.
Probabilmente
non lo era mai stato. Probabilmente continuava a stramaledire dentro di
sé il
momento in cui aveva messo piede su quel pianeta. Cos’altro
avrebbe dovuto
pensare in fondo la piccola Briefs di fronte alla concreta certezza del
fatto
che suo padre si fosse addirittura ritrovato a rimuginare sul suo
lontano
passato, a desiderare che le cose fossero andate diversamente?
Non
riusciva a crederci. Ed effettivamente non ci avrebbe creduto neppure
per un
momento se a testimoniare non fossero state le sue stesse orecchie. Non avrebbe mai immaginato
infatti che suo
padre avesse desiderato per se stesso che il suo destino fosse diverso
rispetto
a ciò che era stato.
Si
sentì triste. Incontenibilmente triste. Ebbe la voglia
incolmabile di
sprofondare in un baratro infinito senza possibilità di
risalita, poiché
qualsiasi cosa avrebbe preferito la piccola Bra ad un colpo del genere
dritto
al cuore.
La
risolutezza che l’aveva caratterizzata e resa spavalda fino a
qualche istante
prima era del tutto svanita. Così a passo lento, trascinando
a stento un piede
dopo l’altro fece malinconicamente ritorno in giardino, dove,
riuniti intorno
al buffet si trovavano ancora tutti gli altri invitati.
::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Hey
principessina come mai sei così silenziosa?”
Sentenziò bonariamente Goten.
Bra
lo
guardò dritto negli occhi. Lo sguardo della giovane
trapelava tristezza
incontenibile, una malinconia che di certo non gli era abituale. Ma
aveva
bisogno di sfogarsi, e il più giovane della famiglia Son era
di certo il
miglior confidente che si potesse desiderare. L’avrebbe
capita e consolata,
sarebbe stato una buona spalla su cui piangere.
In
modo particolare dal momento in cui tra loro era nata, quasi del tutto
spontaneamente, un’amicizia genuina e sincera.
Così tante lacrime cominciarono
a sgorgare dai suoi grandi occhi turchini, scorrendole lente lungo le
gote
rosee.
Il
giovane Goten, rimasto spiazzato di fronte a quella reazione del tutto
inaspettata da parte di una ragazza orgogliosa e cocciuta come Bra non
riuscì a
trovare parole per regalarle la consolazione necessaria a lenire quel
dolore di
cui non conosceva l’origine, così con sguardo
carico d’apprensione le cinse i
fianchi con le mani e la strinse contro il proprio petto marmoreo. Le
avrebbe
dato il conforto di cui aveva bisogno, sarebbe stato lo sfogo di cui
necessitava.
Questo
ed altro per la sua piccola, arrogante amica del cuore.
“Oh
Goten!”
La
ragazza si accoccolò con maggiore forza al petto del giovane
mezzosangue, e
cominciò a singhiozzare senza ritegno, cercando conforto tra
le sue braccia,
rifugiandosi nel suo profumo di buono.
Tentando
invano di levare via dal proprio giovane volto quelle stramaledette
lacrime
amare decise di dare libero sfogo ai propri tormenti, nella speranza
che fosse
utile a farla sentire meglio.
“Mio
padre… E’ soltanto un mostro. Mi ha trattata male
senza motivo, e mentre andavo
via gli ho persino sentito dire che le cose sarebbero state sicuramente
migliori se il suo pianeta non fosse esploso… Te ne rendi
conto Goten? Questo
significa che non è felice di essere qui sulla Terra insieme
a noi! Che avrebbe
preferito essere altrove, a continuare a fare tutto ciò che
di deplorevole ha
sempre fatto! Non gliene importa nulla di noi capisci?”
Dopo
aver pronunciato queste parole sentì il dolore
all’altezza del petto farsi
ancora più fitto e insopportabile. Incurante ormai del
trucco che macchiava per
intero la candida pelle del suo viso continuò a piangere sul
petto di Goten, il
quale per tranquillizzarla aveva preso ad accarezzarle fraternamente i
capelli.
“Andiamo
Bra, non è il caso che tu te la prenda tanto… Tuo
padre non è mai stato un tipo
molto sensibile, e questo immagino che tu lo sappia molto meglio di me.
Magari
oggi è semplicemente più di cattivo umore del
solito e non voleva essere
interrotto durante l’allenamento!! Cerca di perdonarlo, e non
piangere… Tuo
padre non è un mostro, non lo è più da
tempo ormai.”
Le
sorrise teneramente, asciugandole delicatamente con le dita le lacrime
che le
inumidivano il viso. Ma la piccola Bra non sembrò molto
confortata da quelle
parole. Abbassò tristemente lo sguardo.
“Lo
so
bene com’è fatto mio padre Goten. Come del resto
so che prima di adesso non lo
avevo mai sentito desiderare un ritorno al proprio passato.
Io… Non potevo
immaginare che fosse così infelice.”
Bra
si
staccò da quel caldo abbraccio per poi passarsi un braccio
sugli occhi umidi.
“Andiamo
a mangiare qualcosa Goten. Ho voglia di non pensare più a
ciò che è successo.”
Così,
preso a braccetto il giovane mezzosangue si diresse malinconicamente
verso il
buffet.
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
“Hai
visto? E’ esattamente come ti dicevo. Immaginavo che ci fosse
qualcosa che non
andava, Goku.”
Bulma
cedette nuovamente alla disperazione lasciandosi scivolare
sull’erba umida del
prato con il viso coperto da entrambe le mani. Non aveva potuto fare a
meno di
sentire le parole della figlia. Il pianto della figlia. E
ciò non aveva sortito
altro effetto se non quello di incrementare la sua inquietudine.
Cominciò a
singhiozzare convulsamente, in preda alla più incontenibile
tristezza. Non
avrebbe avuto motivo di fingere un’ostentata
tranquillità d’animo in quel
momento, poiché si trovavano da soli, lei e la persona
migliore sulla faccia
dell’universo, lei e la persona che meglio di ogni altra
avrebbe potuto
aiutarla a risolvere gli enigmi che rendevano impenetrabile il cuore
del suo
amato principe dei Saiyan. Poiché era praticamente
l’unica persona esistente
sulla faccia della Terra ad essergli tanto simile e allo stesso tempo
tanto
diversa.
Il
suo
amico di sempre, il suo Son Goku. Colui che le avrebbe gentilmente
offerto la
consolazione di cui aveva bisogno, che per nulla al mondo le avrebbe
negato un
abbraccio e la rassicurazione che sarebbe servita a tranquillizzare il
suo
cuore.
E
infatti Son Goku era lì, pronto a sorreggerla nei suoi
momenti di debolezza,
come era stato dal primo momento in cui si erano incontrati, come
avrebbe continuato
ad essere per sempre. La sua ancora di salvataggio non
l’avrebbe abbandonata
neppure quella volta, quel piccolo, strano, generoso moccioso sarebbe
rimasto
lì, dov’era sempre stato ogni volta che ne aveva
avuto bisogno. Accanto a lei.
Le
si
sedette infatti accanto, cingendole le spalle con un braccio, donandole
la
sensazione di calore e benessere che unicamente sarebbe stata in grado
di darle
la forza necessaria per non abbattersi più di quanto non
avesse già fatto.
“Non
è
da te cedere così passivamente alla tristezza Bulma. Non
disperarti, sono certo
che sia una cosa passeggera. In fondo sappiamo tutti che Vegeta ormai
è ben
lontano dall’essere ciò che era appena
è arrivato qui… Non può essere tornato
quello di prima senza avere neppure un motivo valido. Stai tranquilla
amica
mia, si risolverà tutto.”
La
turchina alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello dolce e
comprensivo di
Goku. Non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo della
sua
presenza. Per ringraziarlo di tutto.
Eppure
non riuscì comunque a calmare lo stato di tensione che le si
era creato in
fondo al cuore. Avrebbe tanto voluto credere alle belle parole di Son
Goku, ma
il suo sesto senso femminile le suggeriva che questa volta le cose non
sarebbero state facili.
“Oh
Goku,
non hai idea di quanto mi piacerebbe crederti… Ma proprio
non riesco a capire.
Cosa può essergli successo? Perché mai proprio
adesso, dopo tanto tempo si
ritrova a rimpiangere il suo passato?”
Lo
sguardo di Goku divenne ad un tratto serio e assorto. Il Saiyan parve
riflettere su una possibile risposta da fornire alle domande di Bulma.
Che
erano in fondo domande alle quali neppure lui era in grado di dare una
risposta
adeguata e attendibile.
Cosa
poteva mai aver sconvolto Vegeta a tal punto da fargli congetturare
simili
pensieri? Beh, non ne aveva la più pallida idea.
Aveva
avuto l’illusione che si fosse perfettamente integrato in
mezzo a loro, tanto
da essere diventato ormai uno del gruppo. Perché in fondo
era come se ci fosse
sempre stato. Era diventato un suo alleato prima ancora di smettere di
essere
un suo nemico, aveva combattuto al suo fianco tutte le più
strenue e difficili
battaglie che la Terra si fosse ritrovata a fronteggiare. Ma
effettivamente quella
non era stata altro che una sciocca, effimera illusione, troppo
surreale per
essere anche solo lontanamente considerata vera.
Perché
Vegeta probabilmente uno di loro non lo era mai stato. E loro avrebbero
dovuto
capirlo fin dall’inizio. Avrebbero dovuto saperlo da sempre.
Che
era
rimasto sulla Terra unicamente perché non aveva nessun altro
posto in cui
andare. Perché nessun altro al mondo si sarebbe mai sognato
di offrirgli
fiducia, amicizia, ospitalità.
Perché
in fondo, alternative per lui non ce n’erano state.
Era
un
guerriero senza più un obiettivo.
Era
un
Principe senza regno.
Un
clandestino, senza una meta e senza una casa.
Era
stato lui stesso a fare in modo che fosse trasferito sulla Terra
insieme a
tutti gli altri, prima dell’esplosione di Nameck. E
lì il principe dei Saiyan
era rimasto, senza ribellarsi al destino che gli era stato imposto. Era
rimasto
lì ad attendere per anni la vendetta di distruzione che non
gli sarebbe mai
stata concessa.
Aveva
per anni cercato di mantenere salda la propria integrità
morale, la propria
indole Saiyan, facendo gratuitamente sfoggio della propria innata
malvagità.
Ma
alla fine aveva ceduto. Il grande Principe dei Saiyan si era lasciato
sopraffare da quella vita, da quelle abitudini che mai tuttavia avrebbe
potuto
far proprie fino in fondo.
E
ogni
qualvolta si sentiva scoppiare in quell’angusta prigione di
sottomissione a
delle regole che mai gli sarebbero appartenute il vecchio, autentico
Vegeta si
ribellava, uscendo fuori dai profondi meandri del cuore del principe
per
rivendicare la propria presenza, la propria repressa
identità.
Una
mancanza, un disperato bisogno di tornare ad essere se stesso, un
disperato
bisogno di fuga da una realtà che, monotona, si ripeteva in
un susseguirsi
infinito. Una rivendicazione, una vendetta ad un angusto e avverso
destino.
Era
certamente questo il motivo a spingere il principe dei Saiyan a
rimpiangere il
proprio lontano, stramaledetto passato percosso dal sangue e dal
dolore.
Improvvisamente
per Goku fu tutto chiaro.
“Ho
la
soluzione Bulma.”
“Cosa?
Spiegati meglio Goku, non ti seguo.”
“Se
il
problema di Vegeta si trova nel passato è evidente che anche
la soluzione ad
esso si trova nel passato. Se uno di noi partisse con la tua macchina
del tempo
sarebbe più facile risalire alla sua origine e trovare una
soluzione.”
“Cosa?
Ma ti sei ammattito Goku? E’ assolutamente fuori discussione!
Non è mai un bene
alterare il corso degli eventi, lo sai perfettamente! Rischiamo di
mandare a
rotoli tutto l’evolversi della storia, te ne rendi conto? E
pensa un po’ che
disastro sarebbe se, per un motivo o per un altro le cose non andassero
come
devono andare. Non sarebbe soltanto Vegeta a rimanerne coinvolto, ma
anche
tutti noialtri!!”
“Si
Bulma, so perfettamente cosa comporta effettuare un viaggio nel tempo.
Ma
purtroppo non abbiamo molte altre soluzioni. E’ evidente che
Vegeta non stia
bene, e che il suo malessere derivi da tutto ciò che ha
passato.” Goku volse lo
sguardo verso Bulma, che palesemente lasciava trasparire dagli occhi la
propria
intima preoccupazione.
“Pensaci.
E’ l’unico modo che abbiamo per
aiutarlo…”
Bulma
si fermò a riflettere sulle parole di Goku. Era evidente che
avesse ragione. Ma
correre il rischio di mettere a repentaglio tutto ciò che
avevano costruito con
fatica, l’esito di tutti i loro sforzi per estinguere i mali
che avevano
coraggiosamente combattuto, e persino l’esistenza dei loro
figli le parve
oltremodo irragionevole e assurdo.
D’altro
canto tuttavia quali danni avrebbe mai apportato
quell’ipotetico viaggio alla
loro attuale esistenza, qualsiasi cosa fosse accaduta?
Praticamente
nessuno.
Perciò
forse valeva la pena di tentare. Valeva la pena di rischiare nuovamente
per
lui, per il suo Vegeta. Lo aveva sempre fatto del resto,
perché mai smettere
proprio nel momento in cui lui più che mai aveva bisogno del
suo aiuto? In
fondo ciò che più di ogni altra cosa desiderava
al mondo era di vederlo sereno,
appagato, felice. E avrebbe tentato il tutto e per tutto
affinché quel
desiderio si avverasse al più presto.
“Va
bene Goku, che sia. Chi credi che sarebbe opportuno far partire? Potrei
andarci
io!”
“No
Bulma, non credo che sia una buona idea. Sarebbe piuttosto difficoltoso
per te
farti passare per una Saiyan, senza contare il fatto che quel pianeta
è un
posto pericoloso… E’ necessario che a partire sia
qualcuno che può facilmente
essere scambiato per un Saiyan purosangue e che allo stesso tempo sia
perfettamente in grado di far fronte alle possibili
difficoltà … Faremo partire
Goten e Trunks, che ne dici?”
“Mmm…
Si Goku, forse hai ragione tu. Trunks e Goten sono sicuramente i
più adatti a
svolgere questa missione.”
La
turchina sorrise, finalmente rincuorata da quel piccolo barlume di
speranza. E
Goku non poté far altro che esserne profondamente felice.
“Beh
allora cosa stiamo aspettando? Andiamo subito ad avvisarli!”
Goku
aiutò Bulma ad alzarsi dall’erba profumata sulla
quale stava ancora
appollaiata, e insieme si diressero verso il buffet per annunciare ai
due
ragazzi la grande decisione.
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Angolo
dell’Autrice:
Ciao
a
tutti! Se siete arrivati fin quaggiù è evidente
che abbiate letto per intero il
primo capitolo di questa mia Long Fic, e non posso far altro che
ringraziarvi
di cuore. Che dire, spero che vi piaccia e che decidiate di proseguire
la
lettura dei prossimi capitoli! Mi raccomando, mi auguro di sentir
presto il
vostro parere. Naturalmente si accettano critiche costruttive. Un bacio
:*