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Autore: LizardQueen96    06/06/2016    1 recensioni
Vegeta è ben conosciuto da tutti come il cinico, spietato e orgoglioso principe dei Saiyan. La sua intera tragica esperienza di vita, a partire dall’esplosione di Vegeta-sei lo ha forgiato per essere ciò che tutti hanno imparato a conoscere e ad accettare.
Ma potrebbe essere lo stesso Principe dei Saiyan a non riconoscersi e non accettarsi più.
E se qualcuno intraprendesse un viaggio nel tempo per salvare il borioso principe dal triste destino di distruzione che lo attende che piega potrebbero prendere le cose?
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bra, Pan, Un po' tutti, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Ci tengo a precisare che questa storia è ambientata in Dragon Ball GT, precisamente dopo lo scontro con Baby. Tuttavia sono state alterate alcune componenti, in modo particolare l’età dei personaggi. Vegeta-sei sarebbe esploso infatti all’epoca in cui Vegeta era soltanto un bambino, e Pan all’inizio del GT dovrebbe avere all’incirca 14 anni. Ho cambiato l’età dei personaggi per far combaciare le vicende che leggerete nel caso in cui decidiate di seguirmi :)

(Goku, ovviamente, non è mai tornato bambino.)

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Una dannata festa. Un’altra. Non ci si sarebbe mai abituato a quel ridicolo pianeta …In modo particolare sarebbe rimasto per lui eternamente un arcano mistero sapere cosa diavolo avessero sempre da festeggiare quegli stupidi terrestri.

Nervosamente si rigirò la testa sul cuscino. Non era decisamente dell’umore adatto per sorbirsi tutto quel fracasso. In realtà era piuttosto raro che il suo umore fosse adatto a qualcosa di diverso dagli allenamenti o dai pasti quotidiani, ma quel giorno il Principe dei Saiyan era afflitto in modo particolare, per un motivo che lui stesso non era in grado di spiegare.

Eppure forse non era poi così difficile immaginare il nome da dare a quell’assurdo senso di incompletezza e di vuoto che gli albergava nell’animo. Il solito, dannato nome che non faceva altro che martellare nella sua mente ogni qual volta essa si ritrovasse a bruciare d’ira.

Kakaroth…

Uscito vittorioso da un nuovo scontro. Un nuovo scenario dell’universo lo aveva visto trionfare, in una sua nuova splendente trasformazione.

Se ai tempi dello scontro con Cell, o a quelli dello scontro con Majin Bu quella misera, stramaledetta terza classe era stata solo di un passo davanti a lui questa volta gli aveva letteralmente fatto mangiare la polvere.

Quel lurido dannato bastardo era riuscito a trasformarsi in un Super Saiyan di quarto livello, rendendolo nuovamente la sua stupida, insignificante, mediocre ombra. Quasi come se avesse voluto mettere in evidenza la propria superiorità, coronare nuovamente, in maniera definitiva questa volta il proprio ruolo, ormai indiscusso, di “Numero Uno”.

E cos’avrebbe dovuto fare a questo punto il cinico, malvagio, orgoglioso principe Vegeta? Starsene seduto con le mani in mano, a strafogarsi delle prelibatezze della sua eccentrica suocera mentre quella massa di plebe inutile che costituiva quella che era ormai diventata la sua assurda compagnia si divertiva a festeggiare per un motivo che eternamente gli sarebbe rimasto oscuro?

Una nullità. Un’inutile deplorevole nullità. Ecco come si sentiva.

Aveva creduto di essercisi abituato. Di aver accantonato l’odio e ogni desiderio di vendetta, accettando il ruolo che il mondo gli aveva destinato.

Si era abituato ad avere una vita normale. Aveva visto crescere i suoi figli, era cresciuto insieme a loro. Li aveva visti trasformarsi, perdere gradualmente la loro innocenza infantile, vivere i problemi dell’adolescenza.

Aveva amato sua moglie, l’aveva vista invecchiare al suo fianco. Aveva vissuto accanto alla sua famiglia, voltando definitivamente le spalle a tutto ciò che era stato.

Aveva tradito inesorabilmente tutto il trascorso della propria vita, tutto ciò che lo aveva forgiato per essere il Vegeta che tutti avevano imparato a conoscere e temere. L’orgoglioso principe dei Saiyan. Colui che con un solo sguardo gelido era in grado di incutere il terrore più nero.

Non era certo del fatto che ciò che ne era stato del vecchio, autentico Vegeta fosse stato un bene. Il Principe non ne era mai stato convinto fino in fondo, ma del resto, non aveva avuto molte occasioni per preoccuparsene troppo. Il suo cambiamento era avvenuto in maniera graduale, e aveva travolto e coinvolto ogni infinitesimale parte del suo essere, senza che tuttavia lui fosse perfettamente consapevole di ciò che gli stava accadendo.

Ma in qualsiasi caso il vecchio Vegeta non avrebbe accettato di rimanere segregato a lungo in uno squallido, solitario scomparto della sua mente. Coglieva ogni buona occasione per sgattaiolare fuori dal dimenticatoio e scombussolare la sua vita, diventata a discapito di ogni possibile immaginazione pacifica e tranquilla. A scombussolare i suoi pensieri, facendogli desiderare ardentemente di tornare ad essere ciò che era stato, ciò che mai in fondo avrebbe smesso di essere. Vegeta, spargitore di sangue, principe di tutti i Saiyan.

Ma i tempi in cui avrebbe fatto tremare il cuore a chiunque erano miseramente volati via, questo, che lo accettasse o meno, era inesorabilmente un dato di fatto.

Tutti coloro che aveva intorno avevano preso a considerarlo uno del gruppo. Uno di loro.

E lui non si era ribellato. Nonostante avesse, all’insaputa di tutti, continuato disperatamente a tentare di dimostrare a se stesso, al mondo intero quanto questa convinzione fosse stupida e priva di fondamenta concrete.

A volte si sentiva scoppiare dentro quella situazione.

Quasi gli pareva di urlare dentro una stanza piena di gente senza che nessuno riuscisse a sentirlo.

Neppure Bulma era mai stata capace di capire. L’aveva amato, aveva accettato ogni singola parte del suo essere, ogni sua iniziativa, ogni sua scelta, giusta o sbagliata che fosse.

Ma non si era mai cimentata nell’ardua missione di scavare nei profondi abissi del suo oscuro cuore per riuscire a comprendere cosa si celasse nel suo animo perennemente tormentato. Non era stata in grado di farlo. Non ne era stata capace neppure lei, l’unica donna sulla faccia dell’universo che mai avesse osato offrirgli il suo amore.

Si sentiva solo. Nonostante l’affetto costante della sua famiglia. Nonostante l’incosciente, immotivata fiducia dei suoi amici. Terribilmente solo. Solo come era sempre stato. Solo com’era dal giorno in cui il destino gli aveva strappato dalle mani il suo futuro …

Avrebbe dovuto essere un grande re. Questo era il destino già scritto per ogni principe dei Saiyan.  Essere un grande sovrano, temuto a stimato, un grande distruttore di pianeti e di stelle, il potenziale padrone dell’universo intero. Il fantomatico, mitico Super Saiyan.

Ma paradossalmente il destino avverso, suo eterno e unico compagno d’avventure, non aveva permesso che ciò si avverasse. Anzi, a dire il vero non aveva avuto la premura di riservargli nulla di buono. Lo aveva catapultato lontano da ogni brama di potere, sotto le grinfie di un mostro che aveva osato renderlo suo schiavo.

E la sua schiavitù non aveva conosciuto la fine neppure dopo la sconfitta del potente e malvagio tiranno. Da allora era stata la perpetua ossessione a renderlo schiavo, a fargli perdere completamente il lume della ragione.

A condurlo senza meta in un baratro inesorabile.

Fino a quando non si era arreso per lo meno. Fino a quando lui, il grande principe Vegeta, non aveva chinato la testa di fronte alla propria sconfitta. Fino a quando non aveva gettato la spugna, accettando la propria triste condizione senza riscatto di eterno secondo.

E si era rassegnato definitivamente a quello che evidentemente era il suo destino.

Fingere di vivere, continuare ad attendere. Attendere un riscatto che non sarebbe mai arrivato.

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“Vegeta!!!!! Tesoro scendi, i nostri invitati stanno arrivando, non vorrai farti trovare in pigiama spero!!”

Il principe dei Saiyan rispose emettendo un grugnito. La voce stridula della moglie lo aveva ridestato dai propri pensieri catapultandolo nuovamente nella monotona realtà che gli era quotidiana.

E quella mattina gli pareva ancora più fastidiosa del solito.

Si infilò in fretta la battle suit per evitare di essere nuovamente richiamato dalla moglie. Ma non avrebbe festeggiato. Non avrebbe finto che tutto ciò che di sciocco e inutile gli stava intorno gli si addicesse. Non quella mattina per lo meno.

Il suo atroce stato di frustrazione si sarebbe mitigato soltanto attraverso uno spossante allenamento. Che lo spronasse a sentirsi nuovamente il migliore, il numero uno.

Era il grande principe dei Saiyan. Avrebbe raggiunto presto il livello del suo infimo sottoposto. Qualsiasi vertice avesse raggiunto Kakaroth il principe Vegeta non sarebbe stato da meno. Sapeva perfettamente di avere tutte le carte in regola per poterlo nuovamente guardare dall’alto, com’era stato la prima volta che si erano incontrati. E a quel punto avrebbe raccolto i frammenti del suo orgoglio di guerriero, del suo onore di principe per poterne assemblare i pezzi alla perfezione e tornare finalmente ad essere ciò che era.

Meccanicamente si infilò gli stivali e i guanti bianchi e, ormai pronto per la giornata di allenamento, si fermò ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio.

Un uomo devastato. Ecco ciò che si era mostrato ai suoi occhi.

Dal suo sguardo accigliato trasparivano unicamente glaciale indifferenza e profondo disprezzo per ogni cosa che gli si trovasse intorno.

Solo chi si fosse soffermato più a fondo avrebbe potuto scorgere nei suoi profondi e impenetrabili occhi di pece la sofferenza che vi si celava. La sofferenza di un uomo che, per tutta la durata della sua vita era stato percosso da mille ferite, fisiche ed emotive, a partire da quando era soltanto un misero moccioso.

Non gli era mai stato concesso il calore di un abbraccio, la spensieratezza di un gioco, l’allegria di una vita senza pensieri e responsabilità. La vita lo aveva forgiato per essere ciò che era diventato fin troppo presto. Troppo prima di essere pronto a rinunciare alla serenità che gli spettava di diritto per dedicarsi ai doveri che si addicono ad un guerriero mercenario. Ad una schiavitù destinata a durare fin troppo a lungo.

Il principe inspirò profondamente e distolse lo sguardo dalla propria immagine riflessa. Si ritrovò a pensare che, senza ombra di dubbio, se il suo pianeta non fosse stato miseramente ridotto in un ammasso informe di polvere cosmica il suo destino sarebbe stato ben diverso. Mai e poi mai sarebbe stato costretto a rinunciare a se stesso per rendersi conforme ad una realtà di cui non aveva mai fatto parte fino in fondo. Di certo quel senso di frustrazione non avrebbe mai avuto ragion d’essere nel suo cuore.

Ad occhi chiusi varcò lentamente la soglia della propria camera da letto e prese a scendere le scale.

“Vegeta ti avevo chiesto di prepararti, perché hai messo la battle suit? Non avrai intenzione di allenarti anche oggi spero!!”

“E invece è proprio così. Non ho nessuna voglia di partecipare a questa stupida festa. Non smetterò mai di chiedermi cos’abbiate sempre da festeggiare voi terrestri.”

Freddamente, senza distogliere lo sguardo dal vuoto tentò di percorrere senza essere ulteriormente disturbato il breve tragitto che lo separava dalla Gravity Room.

Ma, come del resto era nelle sue aspettative, la moglie lo fermò afferrandolo per una mano.

“Non se ne parla nemmeno Vegeta. Avevi promesso di partecipare alla mia festa, perciò adesso fila subito in camera da letto e vestiti decentemente. Dopodiché scendi di nuovo qui e dammi una mano con i preparativi. A breve arriveranno tutti gli invitati, e non voglio certo rischiare di farmi cogliere impreparata!”

Bulma si scosse vanitosamente i capelli, pienamente convinta che la risolutezza con la quale aveva espressamente formulato il proprio ordine sortisse nel marito l’effetto desiderato, com’era ormai diventata consuetudine da un paio di anni a quella parte.

L’obbedienza.

Certo, Vegeta avrebbe sbraitato un po’, come gli era solito del resto. In fondo era pur sempre il principe dei Saiyan, no? Ma alla fine tutto sarebbe filato come era lei a volere che fosse.

Di certo non sarebbe rimasta ferma sulle proprie ferree convinzioni se avesse notato il notevole mutamento di espressione che si era fatto largo sul viso del marito.

Il Principe infatti digrignava i denti e stringeva i pugni, in preda all’ira e alla frustrazione. Le vene pulsavano frementi sulle sue tempie, il volto era divenuto paonazzo. Inesorabilmente stava per esplodere. E non si sarebbe trattenuto.

“TACI STUPIDA DONNA!! Non sei nelle condizioni di incutermi timore, né tantomeno di impartirmi ordini sono stato chiaro?! Non parteciperò a questa tua stupida festa, e ciò che decido di fare della mia giornata non sono affari che ti riguardano. E adesso levati dalle palle e lascami passare. Devo andare ad allenarmi.”

Donna…

Erano anni che Vegeta non si rivolgeva a lei con quell’appellativo che tanto in passato l’aveva fatta infuriare. Credeva addirittura di aver rimosso dalla mente l’essere malvagio e scorbutico che Vegeta era stato durante i primi tempi della loro convivenza.

Così allibita e addolorata lasciò gradualmente la presa sulla mano del marito, il quale, senza minimamente degnarla di uno sguardo che lasciasse trasparire anche soltanto il minimo accenno di un qualsiasi sentimento, affinché potesse sperare che si fosse trattato unicamente di un equivoco, si allontanò da lei, e lentamente com’era arrivato si diresse verso l’uscio di casa richiudendosi la porta alle spalle.

Profondamente scossa la turchina si abbandonò sul freddo pavimento dell’ingresso, lasciando scorrere lungo le rosee gote tante lacrime salate, senza preoccuparsi del fatto che presto il mascara avrebbe formato un tutt’uno col suo viso incipriato.

Continuava a chiedersi senza riuscire a darsi una risposta soddisfacente cosa potesse essere successo al suo Vegeta. Quali fossero i tormenti che avevano preso a intasargli nuovamente il cuore e l’anima, tanto da renderlo incredibilmente simile al mostro sanguinario al quale senza un apparente motivo aveva offerto tutto ciò che era in suo possesso.

“Perché Vegeta? Perché? Cosa può esserti successo amore mio?”

Le lacrime bruciavano calde sopra le sue guance. Ma ciò non le impedì di alzarsi comunque e di smettere di piangere. Asciugandosi velocemente il viso la turchina si alzò dal pavimento e si diresse in cucina per ultimare gli ultimi preparativi e accogliere i propri ospiti in maniera decorosa.

Non avrebbe permesso che quella giornata andasse a rotoli. La sua festa sarebbe stata perfetta, esattamente come era nelle sue aspettative. Con o senza la presenza di quello stupido scimmione dal cuore di pietra.

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In breve tutti gli invitati arrivarono alla Capsule Corporation, e la rimpatriata ebbe finalmente inizio.

L’allegria del gruppo era più che mai contagiosa e palpabile. L’intero enorme giardino della Capsule Corporation brulicava di gente giubilante, che si godeva a pieno la spensieratezza del meritato periodo di pace in seguito all’incubo vissuto a causa di Baby.

Gli adulti conversavano piacevolmente mentre i ragazzi, contenti di essersi nuovamente ritrovati in un’occasione diversa da una catastrofe cosmica, si scambiavano allegramente il resoconto delle proprie imprese sentimentali.

I piatti e i bicchieri erano vuoti, le copiose quantità di alcool ingurgitato cominciavano a dare il loro effetto, movimentando piacevolmente quella che di per sé era già stata una festicciola riuscita alla perfezione.

Paradossalmente l’unico componente della combriccola a non condividere quella comune allegria pareva essere proprio Bulma.

Quel dannato scimmione, quelle sue glaciali parole, non facevano altro che ripercorrere la sua mente ad ogni istante che la donna passava inconsciamente ad attendere che quel maledetto portellone si aprisse, permettendole di intravedere la figura dell’uomo che tanto amava con il volto sereno, riappacificato con se stesso e con il mondo.

Ma lui non si era presentato alla fine. Neppure per il buffet. E lei credette di conoscere perfettamente il motivo che lo aveva spinto a comportarsi in quel modo assurdo.

Goku. O meglio, il Super Saiyan di Quarto Livello. Probabilmente Vegeta viveva uno dei suoi soliti, ricorrenti complessi di inferiorità. E se le cose stavano davvero così per lei non ci sarebbe stato molto da fare. Avrebbe solo dovuto attendere che sbollentasse, da solo, lontano da ogni forma di pressione. E il giorno in cui quel momento fosse finalmente arrivato lo avrebbe nuovamente accolto tra le sue braccia, come ogni volta, perdonandogli istantaneamente tutto ciò che in preda alla rabbia avesse detto.

Sperava soltanto che questo caso non fosse diverso dagli altri. E che quel momento si decidesse ad arrivare al più presto.

Tra questi pensieri Bulma Briefs osservava senza troppo interesse uno spiedino che teneva tra le dita da ore ormai.

“Mamma che cosa c’è?”

La voce squillante della figlia la riscosse dai suoi tristi pensieri riportandola bruscamente alla realtà. Quell’interruzione improvvisa l’aveva spaventata, infastidita quasi. Poiché avrebbe preferito di gran lunga che la sua tensione emotiva non fosse così evidente.

Non riusciva a sopportare l’idea che gli altri la considerassero fragile e vulnerabile vedendola in quello stato. Semplicemente perché lei per tutta la durata della sua vita aveva dato continue prove concrete di essere esattamente il contrario di ciò.

Tuttavia allo sguardo carico di apprensione della figlia non poté fare a meno di rispondere con un sorriso malinconico.

“Oh mamma è per papà? Davvero ti aspettavi che avrebbe partecipato? Sai perfettamente quanto detesti queste cose!!”

Bulma sorrise nuovamente, cercando di convincere se stessa del fatto che la figlia avesse ragione. Sperò con tutto il cuore di avere male interpretato la piccola sfuriata del marito, sperò vivamente che quella piccola scenata fosse stata dettata unicamente dal nervosismo, dall’impulso, e che non vi fosse sotto nulla di grave per cui valesse la pena continuare a preoccuparsi.

In fondo perché mai l’aveva presa così male poi? Conosceva perfettamente l’individuo con il quale aveva a che fare, ed era consapevole di quello che sarebbe stato l’evolversi delle cose fin dal momento in cui aveva scelto di ospitarlo in casa propria. E quando si era resa conto di ciò che la legava a lui conosceva alla perfezione tutti i rischi ai quali sarebbe andata incontro.

E aveva deciso di rischiare.

Non lo aveva fatto per tutta la durata della sua vita del resto, nel bene e nel male?

Credeva di essercisi abituata. Aveva sempre creduto di poter far fronte a tutto. Perché era sempre stata una donna forte, Bulma.

Ma non poteva mentire spudoratamente persino a se stessa.

Vero, ci aveva fatto l’abitudine a Vegeta e a tutti i suoi difettacci in un lasso di tempo considerevolmente breve. Ma ci aveva fatto anche l’abitudine da molto tempo a quella parte ormai, a considerarlo diverso. A considerare morto definitivamente il crudele soldato mercenario che aveva spezzato senza neppure il minimo accenno di pietà o di risentimento innumerevoli vite innocenti, il sadico bastardo che l’aveva abbandonata al proprio destino mentre portava in grembo il suo stesso primogenito.

Credeva che fosse cambiato, anzi si era abituata ormai ad esserne certa, a considerarlo come un dato di fatto. Ma evidentemente si era sbagliata.

I mostri non si redimono.

“Non ha neppure toccato cibo... Bra, tesoro che ne diresti di portargli qualcosa da mangiare?

La giovane sorrise di fronte alla tenera apprensione della madre.

“Ma certo mamma.” Pronunciate appena percettibilmente queste parole le si avvicinò e le stampò un tenero bacio su una guancia nel tentativo di sollevarle il morale, per poi dirigersi a passo spedito verso il buffet.

Dopo aver riempito un intero vassoio con ingenti quantità di cibo si avviò verso la Gravity Room, sperando vivamente di trovarvi un principe dei Saiyan che non fosse di umore pessimo.

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L’allenamento era ormai nel pieno del proprio corso, e lo aveva coinvolto a tal punto da renderlo quasi dimentico di tutto ciò che avveniva intorno a lui, di tutto ciò che lo aveva reso intrattabile fino a qualche ora prima. Cominciava a rilassarsi. Sentiva gradualmente distendersi i muscoli, regolarizzarsi il battito cardiaco, allontanarsi quel senso di frustrazione, rabbia e nervosismo che lo avevano tenuto prigioniero fino a poco tempo prima. Il suo cuore colmo d’ira aveva cominciato finalmente a sbollentare grazie ad un allenamento strenuo e spossante, dimostratosi il suo unico possibile amico nei momenti bui della sua triste e tormentata esistenza.

Improvvisamente tuttavia il Principe dei Saiyan fu nuovamente catapultato nella realtà quotidiana che tanto aveva preso a detestare nel momento in cui un anonimo, dannato seccatore aveva deciso di interromperlo aprendo il portellone della Gravity Room, e causando la conseguente reimpostazione della gravità normale.

Riconobbe in breve la piccola aura dell’anonima seccatrice che, chissà per quale misterioso motivo, aveva deciso di raggiungerlo fin lì per importunarlo. Così senza neppure voltarsi a guardarla le parlò con fredda risolutezza, sperando di invogliarla a lasciare il più presto possibile il proprio rifugio, qualsiasi fosse il motivo per il quale avesse deciso di recarvisi.

“Beh, che vuoi mocciosa? Sai perfettamente che non voglio essere disturbato quando sono qui, perciò fai in fretta a girare i tacchi e lasciami allenare in santa pace una buona volta.”

La piccola Briefs digrignò rabbiosamente i denti, assumendo un’espressione che la rese molto simile a suo padre.

E probabilmente era questo il suo peggior difetto in assoluto. Essere la piccola fotocopia turchina del principe dei Saiyan, avendo ereditato l’adorabile caratterino di suo padre. Fu questo il motivo primordiale che la spinse a non trattenersi. L’impulsività che unicamente la sua eredità di Principessa dei Saiyan potesse avergli conferito.

Bra sbatté rabbiosamente il vassoio che reggeva tra le mani sulla superficie piana che ospitava i comandi della stanza gravitazionale del padre, senza minimamente preoccuparsi del dispendio di lavoro che sarebbe toccato a lei e sua madre nel caso in cui uno di quegli stupidi marchingegni si fosse rotto.

“Tsk. Siamo di cattivo umore oggi eh papà? Beh sappi che non me ne importa niente. Non è un buon motivo per cui prendersela con il mondo intero, e in modo particolare con chi si preoccupa di portarti qualcosa da mangiare. Beh sai che ti dico? Restatene pure qui a corroderti l’anima, io giro i tacchi come mi hai gentilmente consigliato, e me ne torno tra coloro che sanno divertirsi.”

La giovane turchina si scosse i capelli con leggiadria e lentamente si accinse a varcare nuovamente la soglia della Gravity Room. Appena in tempo per sentire distintamente i malcelati borbottii del padre.

“Questa poi…”

La piccola Bra avrebbe voluto restar lì. Avrebbe voluto sentire il proseguo di quelle parole, delle quali non era stata in grado di capire il senso. Cosa stava a significare “Questa poi”? A cosa stava facendo riferimento suo padre con quelle parole?

Ma nonostante la morbosa curiosità la fanciulla non diede segni di ripensamenti. Risoluta e indispettita com’era partita aveva continuato il proprio tragitto di ritorno, senza mostrare il proprio impellente desiderio di restare ancora lì a cancellare dal cuore i propri dubbi parlando con suo padre.

Con uno sguardo pieno di dubbiosa inquietudine Bra si richiuse il portellone dietro le spalle, e le parve quasi di sentirsi pesare addosso la rabbiosa reazione di suo padre.

“Non ha nemmeno diciotto anni, e già persino quella sciocca mocciosa mi mette i piedi in testa. Se il mio pianeta non fosse andato in mille pezzi le cose sarebbero state diverse, ne sono sicuro.”

Avrebbe preferito non sentire nulla. Avrebbe di gran lunga preferito vivere col dubbio anziché avvertire distintamente quell’insopportabile fitta di dolore all’altezza del petto che quelle dannate parole, cariche d’ira e di risentimento, gli avevano causato.

Ogni singola parola di quel discorso parve scolpirsi indelebilmente sulle pareti del suo giovane cuore, nel momento esatto in cui era stata pronunciata. Di certo non avrebbe potuto dimenticare ciò che aveva appena origliato da dietro quella porta.

La piccola Bra, nonostante la propria ben nota indolenza nei confronti del mondo ebbe prima di ogni altro la ferrea, improvvisa consapevolezza di ciò che da tempo avrebbe dovuto essere chiaro agli occhi di tutti.

Suo padre non era felice.

Non era felice accanto a loro.

Probabilmente non lo era mai stato. Probabilmente continuava a stramaledire dentro di sé il momento in cui aveva messo piede su quel pianeta. Cos’altro avrebbe dovuto pensare in fondo la piccola Briefs di fronte alla concreta certezza del fatto che suo padre si fosse addirittura ritrovato a rimuginare sul suo lontano passato, a desiderare che le cose fossero andate diversamente?

Non riusciva a crederci. Ed effettivamente non ci avrebbe creduto neppure per un momento se a testimoniare non fossero state le sue stesse orecchie.  Non avrebbe mai immaginato infatti che suo padre avesse desiderato per se stesso che il suo destino fosse diverso rispetto a ciò che era stato.

Si sentì triste. Incontenibilmente triste. Ebbe la voglia incolmabile di sprofondare in un baratro infinito senza possibilità di risalita, poiché qualsiasi cosa avrebbe preferito la piccola Bra ad un colpo del genere dritto al cuore.

La risolutezza che l’aveva caratterizzata e resa spavalda fino a qualche istante prima era del tutto svanita. Così a passo lento, trascinando a stento un piede dopo l’altro fece malinconicamente ritorno in giardino, dove, riuniti intorno al buffet si trovavano ancora tutti gli altri invitati.

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“Hey principessina come mai sei così silenziosa?” Sentenziò bonariamente Goten.

Bra lo guardò dritto negli occhi. Lo sguardo della giovane trapelava tristezza incontenibile, una malinconia che di certo non gli era abituale. Ma aveva bisogno di sfogarsi, e il più giovane della famiglia Son era di certo il miglior confidente che si potesse desiderare. L’avrebbe capita e consolata, sarebbe stato una buona spalla su cui piangere.

In modo particolare dal momento in cui tra loro era nata, quasi del tutto spontaneamente, un’amicizia genuina e sincera. Così tante lacrime cominciarono a sgorgare dai suoi grandi occhi turchini, scorrendole lente lungo le gote rosee.

Il giovane Goten, rimasto spiazzato di fronte a quella reazione del tutto inaspettata da parte di una ragazza orgogliosa e cocciuta come Bra non riuscì a trovare parole per regalarle la consolazione necessaria a lenire quel dolore di cui non conosceva l’origine, così con sguardo carico d’apprensione le cinse i fianchi con le mani e la strinse contro il proprio petto marmoreo. Le avrebbe dato il conforto di cui aveva bisogno, sarebbe stato lo sfogo di cui necessitava.

Questo ed altro per la sua piccola, arrogante amica del cuore.

“Oh Goten!”

La ragazza si accoccolò con maggiore forza al petto del giovane mezzosangue, e cominciò a singhiozzare senza ritegno, cercando conforto tra le sue braccia, rifugiandosi nel suo profumo di buono.

Tentando invano di levare via dal proprio giovane volto quelle stramaledette lacrime amare decise di dare libero sfogo ai propri tormenti, nella speranza che fosse utile a farla sentire meglio.

“Mio padre… E’ soltanto un mostro. Mi ha trattata male senza motivo, e mentre andavo via gli ho persino sentito dire che le cose sarebbero state sicuramente migliori se il suo pianeta non fosse esploso… Te ne rendi conto Goten? Questo significa che non è felice di essere qui sulla Terra insieme a noi! Che avrebbe preferito essere altrove, a continuare a fare tutto ciò che di deplorevole ha sempre fatto! Non gliene importa nulla di noi capisci?”

Dopo aver pronunciato queste parole sentì il dolore all’altezza del petto farsi ancora più fitto e insopportabile. Incurante ormai del trucco che macchiava per intero la candida pelle del suo viso continuò a piangere sul petto di Goten, il quale per tranquillizzarla aveva preso ad accarezzarle fraternamente i capelli.

“Andiamo Bra, non è il caso che tu te la prenda tanto… Tuo padre non è mai stato un tipo molto sensibile, e questo immagino che tu lo sappia molto meglio di me. Magari oggi è semplicemente più di cattivo umore del solito e non voleva essere interrotto durante l’allenamento!! Cerca di perdonarlo, e non piangere… Tuo padre non è un mostro, non lo è più da tempo ormai.”

Le sorrise teneramente, asciugandole delicatamente con le dita le lacrime che le inumidivano il viso. Ma la piccola Bra non sembrò molto confortata da quelle parole. Abbassò tristemente lo sguardo.

“Lo so bene com’è fatto mio padre Goten. Come del resto so che prima di adesso non lo avevo mai sentito desiderare un ritorno al proprio passato. Io… Non potevo immaginare che fosse così infelice.”

Bra si staccò da quel caldo abbraccio per poi passarsi un braccio sugli occhi umidi.

“Andiamo a mangiare qualcosa Goten. Ho voglia di non pensare più a ciò che è successo.”

Così, preso a braccetto il giovane mezzosangue si diresse malinconicamente verso il buffet.

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“Hai visto? E’ esattamente come ti dicevo. Immaginavo che ci fosse qualcosa che non andava, Goku.”

Bulma cedette nuovamente alla disperazione lasciandosi scivolare sull’erba umida del prato con il viso coperto da entrambe le mani. Non aveva potuto fare a meno di sentire le parole della figlia. Il pianto della figlia. E ciò non aveva sortito altro effetto se non quello di incrementare la sua inquietudine. Cominciò a singhiozzare convulsamente, in preda alla più incontenibile tristezza. Non avrebbe avuto motivo di fingere un’ostentata tranquillità d’animo in quel momento, poiché si trovavano da soli, lei e la persona migliore sulla faccia dell’universo, lei e la persona che meglio di ogni altra avrebbe potuto aiutarla a risolvere gli enigmi che rendevano impenetrabile il cuore del suo amato principe dei Saiyan. Poiché era praticamente l’unica persona esistente sulla faccia della Terra ad essergli tanto simile e allo stesso tempo tanto diversa.

Il suo amico di sempre, il suo Son Goku. Colui che le avrebbe gentilmente offerto la consolazione di cui aveva bisogno, che per nulla al mondo le avrebbe negato un abbraccio e la rassicurazione che sarebbe servita a tranquillizzare il suo cuore.

E infatti Son Goku era lì, pronto a sorreggerla nei suoi momenti di debolezza, come era stato dal primo momento in cui si erano incontrati, come avrebbe continuato ad essere per sempre. La sua ancora di salvataggio non l’avrebbe abbandonata neppure quella volta, quel piccolo, strano, generoso moccioso sarebbe rimasto lì, dov’era sempre stato ogni volta che ne aveva avuto bisogno. Accanto a lei.

Le si sedette infatti accanto, cingendole le spalle con un braccio, donandole la sensazione di calore e benessere che unicamente sarebbe stata in grado di darle la forza necessaria per non abbattersi più di quanto non avesse già fatto.

“Non è da te cedere così passivamente alla tristezza Bulma. Non disperarti, sono certo che sia una cosa passeggera. In fondo sappiamo tutti che Vegeta ormai è ben lontano dall’essere ciò che era appena è arrivato qui… Non può essere tornato quello di prima senza avere neppure un motivo valido. Stai tranquilla amica mia, si risolverà tutto.”

La turchina alzò lo sguardo, fino ad incontrare quello dolce e comprensivo di Goku. Non avrebbe mai trovato le parole adeguate per ringraziarlo della sua presenza. Per ringraziarlo di tutto.

Eppure non riuscì comunque a calmare lo stato di tensione che le si era creato in fondo al cuore. Avrebbe tanto voluto credere alle belle parole di Son Goku, ma il suo sesto senso femminile le suggeriva che questa volta le cose non sarebbero state facili.

“Oh Goku, non hai idea di quanto mi piacerebbe crederti… Ma proprio non riesco a capire. Cosa può essergli successo? Perché mai proprio adesso, dopo tanto tempo si ritrova a rimpiangere il suo passato?”

Lo sguardo di Goku divenne ad un tratto serio e assorto. Il Saiyan parve riflettere su una possibile risposta da fornire alle domande di Bulma.

Che erano in fondo domande alle quali neppure lui era in grado di dare una risposta adeguata e attendibile.

Cosa poteva mai aver sconvolto Vegeta a tal punto da fargli congetturare simili pensieri? Beh, non ne aveva la più pallida idea.

Aveva avuto l’illusione che si fosse perfettamente integrato in mezzo a loro, tanto da essere diventato ormai uno del gruppo. Perché in fondo era come se ci fosse sempre stato. Era diventato un suo alleato prima ancora di smettere di essere un suo nemico, aveva combattuto al suo fianco tutte le più strenue e difficili battaglie che la Terra si fosse ritrovata a fronteggiare. Ma effettivamente quella non era stata altro che una sciocca, effimera illusione, troppo surreale per essere anche solo lontanamente considerata vera.

Perché Vegeta probabilmente uno di loro non lo era mai stato. E loro avrebbero dovuto capirlo fin dall’inizio. Avrebbero dovuto saperlo da sempre.

Che era rimasto sulla Terra unicamente perché non aveva nessun altro posto in cui andare. Perché nessun altro al mondo si sarebbe mai sognato di offrirgli fiducia, amicizia, ospitalità.

Perché in fondo, alternative per lui non ce n’erano state.

Era un guerriero senza più un obiettivo.

Era un Principe senza regno.

Un clandestino, senza una meta e senza una casa.

Era stato lui stesso a fare in modo che fosse trasferito sulla Terra insieme a tutti gli altri, prima dell’esplosione di Nameck. E lì il principe dei Saiyan era rimasto, senza ribellarsi al destino che gli era stato imposto. Era rimasto lì ad attendere per anni la vendetta di distruzione che non gli sarebbe mai stata concessa.

Aveva per anni cercato di mantenere salda la propria integrità morale, la propria indole Saiyan, facendo gratuitamente sfoggio della propria innata malvagità.

Ma alla fine aveva ceduto. Il grande Principe dei Saiyan si era lasciato sopraffare da quella vita, da quelle abitudini che mai tuttavia avrebbe potuto far proprie fino in fondo.

E ogni qualvolta si sentiva scoppiare in quell’angusta prigione di sottomissione a delle regole che mai gli sarebbero appartenute il vecchio, autentico Vegeta si ribellava, uscendo fuori dai profondi meandri del cuore del principe per rivendicare la propria presenza, la propria repressa identità.

Una mancanza, un disperato bisogno di tornare ad essere se stesso, un disperato bisogno di fuga da una realtà che, monotona, si ripeteva in un susseguirsi infinito. Una rivendicazione, una vendetta ad un angusto e avverso destino.

Era certamente questo il motivo a spingere il principe dei Saiyan a rimpiangere il proprio lontano, stramaledetto passato percosso dal sangue e dal dolore.

                                    Improvvisamente per Goku fu tutto chiaro.

“Ho la soluzione Bulma.”

“Cosa? Spiegati meglio Goku, non ti seguo.”

“Se il problema di Vegeta si trova nel passato è evidente che anche la soluzione ad esso si trova nel passato. Se uno di noi partisse con la tua macchina del tempo sarebbe più facile risalire alla sua origine e trovare una soluzione.”

“Cosa? Ma ti sei ammattito Goku? E’ assolutamente fuori discussione! Non è mai un bene alterare il corso degli eventi, lo sai perfettamente! Rischiamo di mandare a rotoli tutto l’evolversi della storia, te ne rendi conto? E pensa un po’ che disastro sarebbe se, per un motivo o per un altro le cose non andassero come devono andare. Non sarebbe soltanto Vegeta a rimanerne coinvolto, ma anche tutti noialtri!!”

“Si Bulma, so perfettamente cosa comporta effettuare un viaggio nel tempo. Ma purtroppo non abbiamo molte altre soluzioni. E’ evidente che Vegeta non stia bene, e che il suo malessere derivi da tutto ciò che ha passato.” Goku volse lo sguardo verso Bulma, che palesemente lasciava trasparire dagli occhi la propria intima preoccupazione.

“Pensaci. E’ l’unico modo che abbiamo per aiutarlo…”

Bulma si fermò a riflettere sulle parole di Goku. Era evidente che avesse ragione. Ma correre il rischio di mettere a repentaglio tutto ciò che avevano costruito con fatica, l’esito di tutti i loro sforzi per estinguere i mali che avevano coraggiosamente combattuto, e persino l’esistenza dei loro figli le parve oltremodo irragionevole e assurdo.

D’altro canto tuttavia quali danni avrebbe mai apportato quell’ipotetico viaggio alla loro attuale esistenza, qualsiasi cosa fosse accaduta?

Praticamente nessuno.

Perciò forse valeva la pena di tentare. Valeva la pena di rischiare nuovamente per lui, per il suo Vegeta. Lo aveva sempre fatto del resto, perché mai smettere proprio nel momento in cui lui più che mai aveva bisogno del suo aiuto? In fondo ciò che più di ogni altra cosa desiderava al mondo era di vederlo sereno, appagato, felice. E avrebbe tentato il tutto e per tutto affinché quel desiderio si avverasse al più presto.

“Va bene Goku, che sia. Chi credi che sarebbe opportuno far partire? Potrei andarci io!”

“No Bulma, non credo che sia una buona idea. Sarebbe piuttosto difficoltoso per te farti passare per una Saiyan, senza contare il fatto che quel pianeta è un posto pericoloso… E’ necessario che a partire sia qualcuno che può facilmente essere scambiato per un Saiyan purosangue e che allo stesso tempo sia perfettamente in grado di far fronte alle possibili difficoltà … Faremo partire Goten e Trunks, che ne dici?”

“Mmm… Si Goku, forse hai ragione tu. Trunks e Goten sono sicuramente i più adatti a svolgere questa missione.”

La turchina sorrise, finalmente rincuorata da quel piccolo barlume di speranza. E Goku non poté far altro che esserne profondamente felice.

“Beh allora cosa stiamo aspettando? Andiamo subito ad avvisarli!”

Goku aiutò Bulma ad alzarsi dall’erba profumata sulla quale stava ancora appollaiata, e insieme si diressero verso il buffet per annunciare ai due ragazzi la grande decisione.

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Angolo dell’Autrice:

Ciao a tutti! Se siete arrivati fin quaggiù è evidente che abbiate letto per intero il primo capitolo di questa mia Long Fic, e non posso far altro che ringraziarvi di cuore. Che dire, spero che vi piaccia e che decidiate di proseguire la lettura dei prossimi capitoli! Mi raccomando, mi auguro di sentir presto il vostro parere. Naturalmente si accettano critiche costruttive. Un bacio :*

   
 
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