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Autore: Tomoko_chan    07/06/2016    1 recensioni
Hinata si trova in ospedale, accanto alla sorella malata. La sua vita non è stata abbastanza difficile, sembra dire il fato. Tutto sembra accanirsi su di lei, ma come è cominciato tutto? Viaggeremo all'interno del suo passato, dalla morte della madre, al difficile rapporto con il padre, ai primi sintomi della sorella e al suo primo grande amore. Scopriremo tutte le sue difficoltà, le origini del suo dolore, per poi chiederci: Hinata tornerà mai a vivere?
Tratto dalla storia:
"Lo osservò bene. In qualche modo le sembrò che quel sorriso non stesse bene con i suoi connotati. Non era a tono. Stonava. Quel viso era fatto per spandere sorrisi a trentadue denti, di quelli che irradiano anche gli occhi, che illuminano una stanza. Invece, quel sorrisino lì, era sbiadito. Come una piccola fiamma che si consuma lentamente. Non bastava. Non scaldava abbastanza.
«Lei non sa mentire.»"

[I pairing e il genere cambieranno andando avanti con la storia per non rivelare troppo]
[C'è della dolcezza anche nell'angst][Angst][Sturmunddrang][Ritorno][Esistenzedifficili]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Han, Hanabi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Naruto Uzumaki, Un po' tutti | Coppie: Kiba/Hinata
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Come foglie secche.
Capitolo primo

Cinque anni prima

 
Era il suo primo giorno di università. Il primo, capite? E non era un primo giorno semplice! Era diverso dal primo giorno di scuole elementari, medie o superiori, diverso dal primo giorno di palestra o dal primo di danza, completamente diverso. In quell’università, in quei dipartimenti, in quelle aule, fra quei banchi, iniziava la sua vita da adulta. I diciotto anni non contavano niente, erano solo un numero; adesso ne aveva quasi venti ed era quello il momento di cominciare. Era lontana da casa – neanche tanto, erano solo quarantacinque minuti di autobus, ma c’era della distanza, ok? Conta. – la sera prima aveva lasciato le valigie nel suo alloggio, una camera da condividere con una sconosciuta, senza i suoi genitori, la sua famiglia, aveva piena libertà e le si stava offrendo il cemento per costruire la sua bella vita. I mattoni no, quelli l’Università non glieli dava, li doveva mettere lei: con la sua attenzione, il suo studio, le sue capacità, la sua volontà. Era sola davanti al mondo, finalmente adulta, e si sentiva… nauseata. Nauseata? E’ pazza, direte voi, ma avete presente quella sensazione sulle montagne russe, appena dopo aver mangiato un frullato o dello zucchero filato? Era troppo, tutto insieme, sembrava quasi che ci fosse una mano, nel suo intestino, pronto a premere e far casini. Le stava risalendo tutto! Tutto! E non aveva neanche mangiato! Al dire il vero, non aveva neanche messo piede in Università; se ne stava lì, davanti alla grande arcata di mattoni vecchia di duecentottanta anni ricoperta da una leggera edera, mentre di fianco a lei passavano persone, coppie, gruppi che, mentre chiacchieravano, non avevano paura di compiere quel passo. Lei stava lì, a fissare i mattoni, il nome dell’Università, il pavimento in pietra, la gente che passava e si sentiva nauseata. Aveva quasi voglia di tornare al suo alloggio, dire che non stava bene e rimanerci per almeno una settimana.
Nessuno badava a lei, ferma lì ormai da un pezzo. Nessuno ci faceva caso, sembrava quasi che fosse…
«Ouch!»
…invisibile. All’improvviso si ritrovò a terra, il fianco dolente e il cardigan bianco sporco di terra e polvere, con una certa massa sopra di lei. Quasi le mancava il fiato.
«Scusascusascusascusascuscascusa!» ripeté velocissimamente il ragazzo che l’aveva investita come un carro armato, atterrandola. Si sollevò e le tese una mano bruna «Stai bene?»
Hinata prese la mano gentile che l’aiutò ad alzarsi e si spolverò i vestiti, senza neanche osservare il suo interlocutore «Sì, t-tutto be-bene.» balbettò a pena, leggermente infastidita dall’accaduto. Balbettava sempre quando qualcosa la infastidiva, provocando in lei sensazioni diverse dalla solita calma: che fosse rabbia, disagio o paura non aveva importanza. Balbettava.
«Sei sicura?» ecco, sicuramente penserà che sono debole, pensò lei, non mi darà pace, se non sarò convincente, si disse. Così sollevo lo sguardo, mormorando un «Sì...» che le morì in bocca non appena i loro sguardi si incrociarono: occhi d’un nocciola chiarissimo, con pezzettini d’ambra, capelli scuri, volto gentile, pelle abbronzata ed un sorriso leggermente imbarazzato in volto. «…sicurissima.» completò in un sussurro.
«Ah bene!» commentò lui, dandole una pacca sula spalla e facendo una strana risatina «Di solito non sono così goffo! Davvero! Io corro, sono un atleta, sono addestrato a controllare il mio corpo, ma oggi proprio non sono riuscito a fermarmi e si sai è il primo giorno e sono un po’ agitato e ti avevo vista sai ma non sono riuscito a fermarmi in tempo non so perché e stoparlandotroppovero?» si interruppe di colpo lui, dopo essere riuscito a dire più di cinquanta parole in meno di mezzo minuto. Le guance gli si erano fatte rosse, il respiro accelerato e stava sudando freddo. Ok, forse non era l’unica esagitata per quel primo giorno. Questo, in qualche modo, la rasserenò.
«Un po’.» affermò, sorridendogli «Ma non ti preoccupare. Anche io so-sono agita-ta e quando lo so-sono ba-balbetto.»
Si guardarono per un attimo senza dire una parola. I loro occhi si incrociarono in quel silenzio imbarazzato e... scoppiarono a ridere.
«Beh, abbiamo qualcosa in comune, mi sembra, no?» disse il ragazzo davanti a lei «Però questo non toglie che ti ho praticamente placcato. Offrirti un caffè mi sembra il minimo. Ti va? Sempresehaitempoeh!»
Lei rise appena, di quella risata delicata e candida che ti scioglieva il cuore.
«Magari prendiamo un tea, va bene?»
 
 
«Hina-chan!»
Lo vide sbracciarsi seduto ad un tavolo di legno nel cortile del campus, un vassoio con un piatto di patate e salsicce davanti e due ciotole di mousse di fianco. Appena l’aveva chiamata tutti si erano girati verso di lei, squadrandola, e Hinata non aveva potuto fare a meno di arrossire.
«Hinataaa!» chiamò ancora a gran voce, come se non si fosse accorto della figura che stava facendo. In quei dieci minuti passati insieme durante la mattinata aveva perfettamente capito che Kiba Inuzuka non era un tipo normale: era ingenuo, gentile e a volte terribilmente sfrontato – di sicuro non gli importava di fare brutta figura. Era il tipo di persona che diceva subito quello che pensava, amava gli animali e perciò si era iscritto a veterinaria nonostante odiasse lo studio ed era un tremendo casinista. Si erano conosciuti in un modo un po’ goffo, ma aveva capito che era il tipo a cui piaceva fare cuori infranti esattamente cinque minuti dopo, non appena aveva cominciato a fare sorrisi ammiccanti alle sue future compagne di corso. Nonostante tutto, è un tipo apposto, pensò sedendosi davanti a lui con un sorriso delicato in volto. Basterà evitare di essere la sua prossima preda, si disse.
«Sei tutta rossa!» commentò lui, ingoiando un pezzo enorme di salsiccia «Vuoi andare dentro? Mi sono messo fuori perché è una così bella giornata! E poi ho sentito dire da quelli del terzo anno che i “novellini” non si siedono mai qui fuori, per una sorta di rispetto, come se fosse il loro posto, e allora io ho pensato-»
«Non è questo.» lo interruppe lei, ridendo internamente di quel modo agitato di parlare. «Inuzuka-kun, potresti evitare di chiamarmi alzando la voce? Mi metti in-»
«Imbarazzo?» l’altro rise «Ah, Hina-chan, fregatene! Tanto qui non ci conosce nessuno. Sai cosa mette in imbarazzo me, invece?»
L’altra negò piano col capo.
«Che tu mi chiami col mio cognome!» sembrava quasi arrabbiato «Potresti chiamarmi semplicemente Kiba? Siamo amici, no?»
«Emh… presumo di sì.» un amico in più non farà male.
«Bene. E poi non mi piace molto il mio cognome.» nei suoi occhi nocciola qualcosa cambiò, ma durò solo un attimo.
«E… perché?»
«Tu sei Inuzuka-kun?» disse una voce nuova, ma conosciuta. Hinata alzò lo sguardo dal suo piatto di riso e vide Sakura Haruno, la sua compagna di stanza. Era una bella ragazza, con quei capelli rossi così chiari da sembrare rosa e gli occhi smeraldini. Aveva un fisico statuario e il modo in cui si poneva con le persone era forte, proprio come il suo essere. Era completamente diversa da lei, una mora minuta e con troppo seno per il suo fisico, timida e silenziosa, perciò ancora non era riuscita bene a legarci. Però ci stava provando, ecco perché prima, quando si erano incontrate mentre cambiavano aula, le aveva raccontato del suo incontro mattutino. Non pensava potesse presentarsi lì.
«Chi lo chiede?» domandò Kiba, indossando la maschera del rubacuori. Le fece un sorriso che sarebbe stato capace di sciogliere migliaia di donne, ma non Sakura.
«Sakura Haruno, diciannove anni, iscritta a Medicina e coinquilina di Hinata. Tu fai parte di quella famiglia Inuzuka?» chiese l’altra, cercando di affievolire il proprio tono duro.
Kiba lasciò andare la forchetta e la guardò duramente. «Che cosa vuoi?»
«Sono venuta qui solo per dirti che ti batterò. Siamo stati accettati in trenta quest’anno, e le statistiche dicono che almeno sei di noi lasceranno il programma di medicina migliore della regione, altri sette non passeranno gli esami e infine cinque verranno licenziati per qualche cavolata. Rimarremo in dodici, e tu non passerai solo perché hai una bella faccia e la raccomandazione dei tuoi. C’è chi non è nato con la laurea incisa nel culo come te, Inuzuka. E quel qualcuno ti batterà.»
«Sakura…» mormorò Hinata.
«Ok, accomodati.» rispose duro Kiba «Adesso te ne vai o vuoi guardare questo bel faccino firmato Inuzuka che mangia tranquillo fregandosene di una mammoletta come te?»
«Hnf, che stronzo.» la rosa si voltò arrabbiata e se ne andò, camminando fiera verso i suoi amici.
«Kiba-kun…» chiamò piano Hinata «Mi dispiace così tanto.»
«Non è colpa tua.» l’altro cominciò a ridere «Pensa piuttosto alla sua faccia quando scoprirà che non sono iscritto a medicina!»
Hinata strabuzzò gli occhi. «Già, ma perchè non le hai detto niente?» poi realizzò la tremenda figura che aveva fatto la sua coinquilina e cominciò a ridere «Sei crudele!»
«Beh, devo prendermi qualche rivincita. Sai, è per questo che odio il mio cognome. Tutti si aspettano che io diventi un chirurgo, compresa la mia famiglia… e invece, ho scelto veterinaria! Capisci? Per loro è un affronto.»
Se lo capiva? Ma certo che sì. Le bastava ricordare lo sguardo glaciale con cui l’aveva guardata suo padre quando gli aveva detto di voler intraprendere filologia, per buttarsi nella ricerca o, magari, diventare un’insegnante. Per lui era stata come un offesa personale. Aveva sempre pianificato per lei una bella vita, degli studi economici per poi diventare il business manager di una delle loro innumerevoli aziende. Non aveva detto neanche una parola, suo padre. Loro non si parlavano mai, non litigavano, non alzavano la voce. Ma quello sguardo… sentirselo perennemente addosso, così gelido, era come ricevere uno schiaffo.
Tese una mano e prese la sua, stringendola sul tavolo di legno da picnic, senza neanche pensarci. Qualche ora dopo, ripensandoci, se ne sarebbe pentita, ma in quel momento sentiva che era la cosa giusta da fare. Ne aveva bisogno.
«Hinata…?» mormorò lui, guardandola con occhi stupiti.
«Ti capisco, Kiba-kun, davvero. L’ho provato e mi sono sempre sentita sola. Non voglio che lo sia anche tu. Mi farebbe molto piacere essere una tua amica. Ti va?»
L’altro sorrise, contento. Quella strana sfumatura nei suoi occhi era sparita.
«Ti ho già detto di sì, Hinata. Ti dirò sempre sì.»

 



 


Angolo autrice.

Ecco qui il primo capitolo. Come scritto nell'intestazione,
si tratta di un ritorno al passato di circa cinque anni. Hinata
si ritrova ad affrontare il suo primo giorno in università.
Si tratta del primo incontro con Kiba: un tipo strano, un
latin lover (o almeno crede di esserlo), ma un buon amico,
gentile e divertente. Per Hinata è una novita: non ha mai
incontrato un ragazzo così. Cosa accadrà?


Ho bisogno di ritrovare un po' di fiducia in me stessa e di capire cosa non va. Vi va di lasciare un commento? 
 
   
 
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