Capitolo
tre: In banca
Ore
9:30
Samuel
stava guidando il suo furgoncino color
bianco sporco verso casa. Si sarebbe detto che stesse passeggiando per
quanto
andava piano. Il braccio sinistro era poggiato sul finestrino, reggeva
lo
sterzo con la punta delle dita. Con la mano destra afferrò
una sigaretta dal
cassettino portaoggetti e se la accese. Aspirò avidamente
dal filtro e sbuffò
un paio di ricche volute di fumo, l'abitacolo ne uscì completamente
annebbiato. Non stava prestando la minima attenzione alla
strada che aveva
davanti, procedeva a memoria. Nella sua mente stava già
prendendo corpo uno
strano pensiero. Un’idea che forse avrebbe fatto meglio ad
abbandonare, ma che
invece fremeva dalla voglia di assecondare.
Parcheggiò
il furgoncino sullo spiazzale adiacente
la sua fattoria, balzò fuori dall’abitacolo e si
diresse verso l’entrata. Notò
con stupore che i suoi genitori non erano in veranda. Da quando il
vecchio
Jeremiah era rimasto nuovamente bloccato con la schiena, soleva
trascorrere le sue
giornate seduto all’aria aperta su di una grossa poltrona di
vimini. Accanto a
lui la moglie talvolta pelava le patate, talvolta sgranava le
pannocchie,
talvolta lavorava a maglia. Per essergli di compagnia espletava la
maggior
parte dei suoi lavori domestici all’esterno della casa.
Si
arrestò sul pianerottolo domandandosi dove
potessero essere finiti, quando d’un tratto si
ricordò che proprio quella
mattina il padre aveva una visita di controllo presso lo studio del
Dott.
Appleby. Di sicuro non erano ancora tornati.
L’assenza
dei suoi genitori fu lo sprone decisivo
per fargli compiere un passo di cui presto si sarebbe pentito. E
vergognato.
Raggiunse
in tutta fretta il piccolo studio del
padre e aprì l’armadietto di legno che si trovava
dietro lo scrittoio. Ammirò
una ad una tutte le pistole da collezione che il vecchio Jeremiah
custodiva da
anni. Alla fine scelse quella che, tra tutte, sembrava la
più moderna e
funzionante: una Colt 45.
Tirò
fuori una chiave da uno stipetto e la usò per
aprire un altro cassetto. Ne estrasse dei proiettili.
Sganciò il tamburo e li
posizionò all’interno.
Entrò
nella sua stanza come una furia e rovistò
freneticamente nell'armadio. Afferrò una sciarpa e un
cappello di lana,
prese un paio di occhiali da sole sul suo comodino e si
avviò verso l’uscita.
Riprese
posto sul furgoncino, innestò la marcia e
partì.
Direzione:
Hazzard.
Ore
11:30
Bo
stava percorrendo distrattamente il breve
tratto di strada che dall’officina di Cooter, arrivava fino
in banca. Il suo
consueto buonumore quel giorno era elevato all’ennesima
potenza; il giovane
stava contando i minuti che lo separavano dall’atteso
incontro con Melinda Sue.
Saltellò
agilmente sui gradini che gli avrebbero
consegnato l’ingresso della banca. Una volta entrato,
sbuffò contrariato. Non
si era aspettato di trovare tante persone in fila all’unico
sportello. Era
convinto che se la sarebbe cavata in un paio di minuti ma, dopo un
rapido
calcolo mentale, considerò che gli sarebbe occorsa una buona
mezzora. Doveva
aspettare che avessero finito le sei persone che aveva davanti, prima
di poter
essere servito. Con estremo disappunto, si incrociò le
braccia sul petto e si
mise pazientemente in fila.
La
sua insoddisfazione, tuttavia, durò poco: gli
bastò ripensare alla serata che aveva di fronte
perché il sorriso gli tornasse
sulle labbra.
Era
immobile con lo sguardo perso sul soffitto,
quando si sentì poggiare una mano sulla spalla:
“ehi Bo! Qual buon vento?”
“Enos,
amico mio!” Esclamò Bo voltandosi.
“Anche
tu vieni a sorbirti la fila allo sportello?” Aggiunse poi
ricambiando la pacca
sulla spalla.
“E’
una mattinata tranquilla e non ho molto da
fare in ufficio. Ho chiesto allo sceriffo se potevo allontanarmi
qualche minuto
ma, a giudicare dalla gente che c’è, penso ci
vorrà molto di più.” Appurò
Enos sporgendosi per osservare la fila di persone.
“Hai
ragione, anch’io speravo di sbrigarmela in
poco tempo, ma pazienza. Aspetteremo!” Constatò
divertito Bo.
“Ehi,
ehi! Non penso proprio di sbagliarmi. A
quanto pare qualcuno oggi è su di giri. Allora? Qual
è il motivo? Tu e Luke
avete messo a punto il Generale Lee per la gara di sabato? Oppure si
tratta di
una ragazza?” Chiese quindi Enos sorridendo ampiamente.
“Melinda
Sue Robbins.” Rispose Bo con un’espressione
a metà tra il sognante e il trionfante.
Enos
afferrò la mano dell’amico e gliela strinse
con vigore: “caspita vecchio mio! Questo si che è
un bel colpo! Ah se fossi bravo
come te con le donne!” Aggiunse poi sospirando rassegnato.
“Credi
a me Enos. Sarebbe un talento sprecato su
di te. Che te ne faresti del dono di ammaliare giovani fanciulle se
tanto a te
ne interessa una sola? E sappiamo bene di chi stiamo
parlando!”
Enos
avvampò all’istante e si passò un
braccio
dietro la testa con fare imbarazzato: “è vero, il mio è un
caso disperato.”
Con
Enos al suo fianco, il tempo passò più
velocemente per Bo. Davanti a lui c’erano ormai solo un paio
persone.
I due
amici stavano continuando a chiacchierare
del più e del meno, quando d’un tratto videro il
vecchio Charlie alzare le
braccia al cielo imitato poi a breve anche dalle altre persone
presenti. Ignari
di quanto stava accadendo, si voltarono verso la porta
d’ingresso della banca e
videro un uomo con un grosso cappello di lana calato sulla testa, gli
occhi
coperti da un paio di occhiali da sole a specchio e una sciarpa che gli
copriva
metà viso fin sopra al naso. Pistola alla mano, si diresse
con passo svelto
verso lo sportello e puntò la canna in faccia alla povera
Laverne, l’impiegata
della banca: “fai come ti dico donna e nessuno si
farà male.” Sentenziò usando un
tono di voce molto basso.
Bo,
preso alla sprovvista, rimase immobile ad
osservare la scena, mentre Enos istintivamente estrasse la propria arma
dalla
fondina: “getta la pistola e alza le mani.” Fu
l’ordine che impartì con voce
incerta.
L’uomo,
che non si era reso conto in banca ci
fosse un rappresentante della legge, si voltò nella sua
direzione, ma Enos non
era in grado di dire se lo stesse guardando. Non c’era verso
di oltrepassare lo
specchio degli occhiali che portava indosso.
“Abbassa
quella pistola!” Gridò nuovamente Enos.
L’uomo
dimenticò Laverne e si avvicinò di qualche
passo al vicesceriffo tanto che le canne delle rispettive pistole
vennero quasi
a contatto.
Improvvisamente
sollevò la gamba destra e con un
calcio fece volare via l’arma del suo avversario. Enos, del
tutto impreparato
ad un simile attacco, perse l’equilibrio e cadde in terra.
Nella
frenesia del momento, il vicesceriffo fece
in tempo solo a sentire una serie di spari. Il rumore assordante unito
ad una
pioggia di calcinacci, lo costrinse a chiudere gli occhi.
Quando
li riaprì, l’uomo non c’era
più e si
ritrovò in un vortice di gente che fuggiva e urlava.
Ma
qualcos’altro catturò la sua attenzione:
“Bo…”
Sussurrò avvicinandosi tremolante all’amico
riverso a terra.