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Autore: Lella Duke    14/04/2009    3 recensioni
E' più dura la testa dei ragazzi Dukes o di Maudine la mula? Di sicuro zio Jesse saprebbe rispondere a questa domanda.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Enos Strate, Luke Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre: In banca

 

Ore 9:30

Samuel stava guidando il suo furgoncino color bianco sporco verso casa. Si sarebbe detto che stesse passeggiando per quanto andava piano. Il braccio sinistro era poggiato sul finestrino, reggeva lo sterzo con la punta delle dita. Con la mano destra afferrò una sigaretta dal cassettino portaoggetti e se la accese. Aspirò avidamente dal filtro e sbuffò un paio di ricche volute di fumo, l'abitacolo ne uscì completamente annebbiato. Non stava prestando la minima attenzione alla strada che aveva davanti, procedeva a memoria. Nella sua mente stava già prendendo corpo uno strano pensiero. Un’idea che forse avrebbe fatto meglio ad abbandonare, ma che invece fremeva dalla voglia di assecondare.

Parcheggiò il furgoncino sullo spiazzale adiacente la sua fattoria, balzò fuori dall’abitacolo e si diresse verso l’entrata. Notò con stupore che i suoi genitori non erano in veranda. Da quando il vecchio Jeremiah era rimasto nuovamente bloccato con la schiena, soleva trascorrere le sue giornate seduto all’aria aperta su di una grossa poltrona di vimini. Accanto a lui la moglie talvolta pelava le patate, talvolta sgranava le pannocchie, talvolta lavorava a maglia. Per essergli di compagnia espletava la maggior parte dei suoi lavori domestici all’esterno della casa.

Si arrestò sul pianerottolo domandandosi dove potessero essere finiti, quando d’un tratto si ricordò che proprio quella mattina il padre aveva una visita di controllo presso lo studio del Dott. Appleby. Di sicuro non erano ancora tornati.

L’assenza dei suoi genitori fu lo sprone decisivo per fargli compiere un passo di cui presto si sarebbe pentito. E vergognato.

Raggiunse in tutta fretta il piccolo studio del padre e aprì l’armadietto di legno che si trovava dietro lo scrittoio. Ammirò una ad una tutte le pistole da collezione che il vecchio Jeremiah custodiva da anni. Alla fine scelse quella che, tra tutte, sembrava la più moderna e funzionante: una Colt 45.

Tirò fuori una chiave da uno stipetto e la usò per aprire un altro cassetto. Ne estrasse dei proiettili. Sganciò il tamburo e li posizionò all’interno.

Entrò nella sua stanza come una furia e rovistò freneticamente nell'armadio. Afferrò una sciarpa e un cappello di lana, prese un paio di occhiali da sole sul suo comodino e si avviò verso l’uscita.

Riprese posto sul furgoncino, innestò la marcia e partì.

Direzione: Hazzard.

 

Ore 11:30

Bo stava percorrendo distrattamente il breve tratto di strada che dall’officina di Cooter, arrivava fino in banca. Il suo consueto buonumore quel giorno era elevato all’ennesima potenza; il giovane stava contando i minuti che lo separavano dall’atteso incontro con Melinda Sue.

Saltellò agilmente sui gradini che gli avrebbero consegnato l’ingresso della banca. Una volta entrato, sbuffò contrariato. Non si era aspettato di trovare tante persone in fila all’unico sportello. Era convinto che se la sarebbe cavata in un paio di minuti ma, dopo un rapido calcolo mentale, considerò che gli sarebbe occorsa una buona mezzora. Doveva aspettare che avessero finito le sei persone che aveva davanti, prima di poter essere servito. Con estremo disappunto, si incrociò le braccia sul petto e si mise pazientemente in fila.

La sua insoddisfazione, tuttavia, durò poco: gli bastò ripensare alla serata che aveva di fronte perché il sorriso gli tornasse sulle labbra.

Era immobile con lo sguardo perso sul soffitto, quando si sentì poggiare una mano sulla spalla: “ehi Bo! Qual buon vento?”

“Enos, amico mio!” Esclamò Bo voltandosi. “Anche tu vieni a sorbirti la fila allo sportello?” Aggiunse poi ricambiando la pacca sulla spalla.

“E’ una mattinata tranquilla e non ho molto da fare in ufficio. Ho chiesto allo sceriffo se potevo allontanarmi qualche minuto ma, a giudicare dalla gente che c’è, penso ci vorrà molto di più.” Appurò Enos sporgendosi per osservare la fila di persone.

“Hai ragione, anch’io speravo di sbrigarmela in poco tempo, ma pazienza. Aspetteremo!” Constatò divertito Bo.

“Ehi, ehi! Non penso proprio di sbagliarmi. A quanto pare qualcuno oggi è su di giri. Allora? Qual è il motivo? Tu e Luke avete messo a punto il Generale Lee per la gara di sabato? Oppure si tratta di una ragazza?” Chiese quindi Enos sorridendo ampiamente.

“Melinda Sue Robbins.” Rispose Bo con un’espressione a metà tra il sognante e il trionfante.

Enos afferrò la mano dell’amico e gliela strinse con vigore: “caspita vecchio mio! Questo si che è un bel colpo! Ah se fossi bravo come te con le donne!” Aggiunse poi sospirando rassegnato.

“Credi a me Enos. Sarebbe un talento sprecato su di te. Che te ne faresti del dono di ammaliare giovani fanciulle se tanto a te ne interessa una sola? E sappiamo bene di chi stiamo parlando!”

Enos avvampò all’istante e si passò un braccio dietro la testa con fare imbarazzato: “è vero, il mio è un caso disperato.”

Con Enos al suo fianco, il tempo passò più velocemente per Bo. Davanti a lui c’erano ormai solo un paio persone.

I due amici stavano continuando a chiacchierare del più e del meno, quando d’un tratto videro il vecchio Charlie alzare le braccia al cielo imitato poi a breve anche dalle altre persone presenti. Ignari di quanto stava accadendo, si voltarono verso la porta d’ingresso della banca e videro un uomo con un grosso cappello di lana calato sulla testa, gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole a specchio e una sciarpa che gli copriva metà viso fin sopra al naso. Pistola alla mano, si diresse con passo svelto verso lo sportello e puntò la canna in faccia alla povera Laverne, l’impiegata della banca: “fai come ti dico donna e nessuno si farà male.” Sentenziò usando un tono di voce molto basso.

Bo, preso alla sprovvista, rimase immobile ad osservare la scena, mentre Enos istintivamente estrasse la propria arma dalla fondina: “getta la pistola e alza le mani.” Fu l’ordine che impartì con voce incerta.

L’uomo, che non si era reso conto in banca ci fosse un rappresentante della legge, si voltò nella sua direzione, ma Enos non era in grado di dire se lo stesse guardando. Non c’era verso di oltrepassare lo specchio degli occhiali che portava indosso.

“Abbassa quella pistola!” Gridò nuovamente Enos.

L’uomo dimenticò Laverne e si avvicinò di qualche passo al vicesceriffo tanto che le canne delle rispettive pistole vennero quasi a contatto.

Improvvisamente sollevò la gamba destra e con un calcio fece volare via l’arma del suo avversario. Enos, del tutto impreparato ad un simile attacco, perse l’equilibrio e cadde in terra.

Nella frenesia del momento, il vicesceriffo fece in tempo solo a sentire una serie di spari. Il rumore assordante unito ad una pioggia di calcinacci, lo costrinse a chiudere gli occhi.

Quando li riaprì, l’uomo non c’era più e si ritrovò in un vortice di gente che fuggiva e urlava.

Ma qualcos’altro catturò la sua attenzione: “Bo…” Sussurrò avvicinandosi tremolante all’amico riverso a terra.

   
 
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