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Autore: Sandra Prensky    12/06/2016    2 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V.

 

You can’t undo what’s been done.

That will be with you forever.

But trying to hold onto this life,

clinging to the person you thought you could be

-That’s hell

(Melinda May)

 

Lobnya, Russia

56°01’N 37°29E

Sunday, 6th December 2015

5.23 pm

 

Un rumore la fece sobbalzare, afferrando la pistola che teneva nella borsa. Si girò, e si accorse che era stato solo un topo. La verità era che aveva i nervi ancora più tesi del solito. Di sicuro tornare ad avere a che fare con la Stanza Rossa non giovava alla sua salute. Si aggirò per lo spazio con passo felpato, facendo attenzione a non fare scricchiolare troppo le assi di legno. L’edificio sembrava vuoto, ma non aveva alcuna intenzione di abbassare la guardia. Sarebbe stato da imbecilli e da principianti, e lei non era né l’uno né l’altro. Riprese la sua perlustrazione. Era in una specie di base militare abbandonata a un piano solo, arredata alla meglio per avere la parvenza un appartamento. Era, come il suo informatore le aveva detto, vicino alla stazione dei treni, tanto che si sentiva il suono delle ruote sulla ferrovia in lontananza ogni venti minuti circa. Il pavimento nella stanza da letto, dove si trovava lei, era in legno e passarci sopra senza farlo scricchiolare si stava rivelando un’impresa. Esaminò dalle pareti ai tappeti, ma non c'erano tracce di nessun abitante recente, o almeno negli ultimi trent’anni. Anche il semplice arredamento non tradiva la presenza di qualcuno: i mobili erano ricoperti di polvere ed erano lungi dal poter essere definiti moderni. Le lampade appoggiate sui mobili erano alquanto malmesse. C’era una lampadina, spoglia di un lampadario, che pendeva proprio sopra la sua testa. Cercò con lo sguardo il suo interruttore, nella speranza che producesse più luce della torcia che stava usando in quel momento. Lo scorse nell’angolo opposto a dove si trovava lei, dietro alla testiera di un letto in metallo composto solo dal materasso. Si mosse sulle assi del pavimento con circospezione, dirigendosi verso il letto. Era arrivata a metà del percorso, sopra un tappeto, quando avvertì uno scricchiolio agghiacciante, e sentì il terreno mancarle sotto i piedi, a seguito di un colpo secco. Si ritrovò ad agitare le braccia nell’aria, in cerca di un appiglio, fino a quando cadde rovinosamente sul duro cemento. L’impatto la lasciò senza fiato per qualche secondo, portandola ad annaspare in cerca d’aria mentre intorno a lei si sollevavano nuvole di polvere e calce. Dopo qualche attimo, ignorando il dolore conferitole dalla botta, si alzò in piedi. La luce triste e tremolante di un neon si accese. Si trovava in un corridoio bianco e asettico, strettissimo, con le pareti ingiallite e scrostate. Tra la scarsa illuminazione intermittente e l’inquietante somiglianza con gli ospedali psichiatrici che si vedono nei film, la vista era piuttosto sinistra. Guardò sopra di sé. Un buco, quello nel quale lei era caduta, era stato fatto sul soffitto e poi probabilmente coperto frettolosamente dalle assi di legno del pavimento della stanza soprastante. Tolse alla meglio la calce dai propri pantaloni e si diresse verso l’unica porta che quel corridoio sembrava avere, la pistola salda nella mano e puntata di fronte a lei. Aprì la porta, cautamente, e un fetore orrendo la prese alla gola. Trattenendo un conato e con le lacrime agli occhi, alzò lo sguardo. Si trovava in una stanza che era uno strano miscuglio tra una sala di esperimenti e una sala operatoria. C’erano diversi lettini, e su ognuno di questi, attaccati a delle flebo, c’erano i cadaveri di ragazzine, mutilati fino al punto di rendere difficile distinguere le parti del corpo. Non dovevano essere lì da troppo, perché, sebbene fossero in decomposizione, non erano ancora ridotti a scheletro. Il sangue era ovunque, impregnava le lenzuola dei lettini, colava sul pavimento, sporcava le pareti bianche. Spinta da una forza a lei sconosciuta, si avvicinò ai corpi. Le lacerazioni non sembravano, tuttavia, essere state prodotte da armi, sembrava quasi che la ferita fosse stata prodotta da dentro il loro corpo. Avvicinandosi, e trattenendo la sensazione di nausea che le si era aggrovigliata sul fondo dello stomaco, riuscì a notare che dai bordi delle ferite, insieme al sangue, si scorgeva anche una strana sostanza liquida blu. Si chinò sotto il letto di una bambina il cui ventre era stato totalmente lacerato e, controllando la propria respirazione, immerse due dita nella pozza di sangue ormai quasi totalmente rappresa. Portò la mano vicina agli occhi, cercando di identificare la natura della sostanza blu ormai diventata tutt’una col sangue, ma senza successo. Si alzò da terra e si diresse verso un armadietto posto in un angolo. Lo aprì, cercando di ignorare le ampolle contenenti qualcosa di inquietantemente somigliante a organi umani, in cerca di una siringa. Non riuscendo a trovarne, si accontentò di una piccola provetta. Tornò a prelevare un campione di sangue nel punto dove aveva provato prima e ripose il tutto nella sua borsa, preoccupandosi di isolarlo dentro un panno. Lo avrebbe analizzato in seguito. Sospirando, riprese la sua perlustrazione. In fondo alla stanza, c’era il corpo di una ragazzina quasi integro che attirò subito la sua attenzione. La ragazzina non doveva aver avuto più di nove anni e al contrario delle altre sul suo cadavere non vi erano ritratte le eco di una lotta, né smorfie di dolore. Era seduta. Le sue orbite erano buche e da esse era sgorgata una grande quantità di sangue, quasi sembrava che stesse piangendo lacrime rosse scese fino a profanare il bianco perfetto del suo camice. Pareva quasi fissasse il muro davanti a sé e Natasha, senza rendersene conto, si girò a fare lo stesso. Fu allora che notò le scritte. Su quella parete, a differenza delle altre, vi erano scritte con una sostanza che non poteva che essere il sangue delle ragazzine, due parole ripetute allo sfinimento: навсегда красный (forever red).

 

7.47 pm

 

Aprì il rubinetto della doccia per la terza volta in un’ora. Per quanto stesse sotto l’acqua, le sembrava di non riuscire a liberarsi dell’odore di quella stanza, del sangue di quelle bambine. Il suo corpo era scosso da tremiti e non era colpa della temperatura. Rivedeva i visi e i corpi mutilati delle ragazzine appena chiudeva gli occhi, e aveva l’impressione che da quel giorno un nuovo incubo si sarebbe unito alla solita, interminabile successione di immagini e ricordi che la visitava ogni notte. Lasciò che l’acqua le scivolasse addosso e si sedette sul pavimento della doccia, privata di ogni forza. Sapeva che la Stanza Rossa aveva sempre adottato metodi crudeli con le proprie Vedove Nere, ma non avrebbe mai detto che si sarebbe spinta a tanto. Le pareva strano, era uno spreco di forze. Se i superiori della Stanza volevano uccidere qualcuno, di solito non si sporcavano le mani, ma lasciavano il compito alle altre ragazze. Qualcosa in tutta quella storia non le tornava per niente. Eppure, per quanto si scervellasse, per quanto leggesse e rileggesse il taccuino che aveva preso a Vasnetsov, non riusciva proprio a capire cosa. Anche dopo tutti quegli anni, anche conoscendo la maggior parte degli schemi, non riusciva a comprendere la Stanza Rossa. Si alzò in piedi, chiudendo il rubinetto dell’acqua. Uscì, si asciugò alla svelta e si rivestì, abbondando con la dose di profumo. Buttò alla rinfusa tutti i suoi vestiti nella solita sacca, e uscì frettolosamente dalla camera del motel sgangherato di Lobnya. Si diresse di corsa verso la stazione, cercando di non pensare alla casa poco lontano. Doveva sbrigarsi, aveva un treno per Mosca da prendere.

 

 

Moscow, Russia

55°45’06”N 37°37’04”E

Monday, 7th December 2015

8.38 pm

 

Natasha affrettò il passo, facendo lo slalom tra le fiumane di gente che ancora occupavano le strade della capitale. Non voleva di certo perdersi lo spettacolo... Nel giro di un quarto d’ora aveva già raggiunto le grandi colonne del Teatro Bolshoi. Ignorò il groviglio che le si formava alla bocca dello stomaco ogni volta che le ripensava ai giorni in cui non entrava dall’entrata principale, ma da quella delle ballerine, ai giorni in cui non indossava un vestito elegante per vedere il balletto, ma indossava il tutù per eseguirlo, ai giorni in cui non era un viso tra la folla, ma l’unico viso che tutti guardavano. Ai giorni in cui credeva che tutto quello fosse reale. Entrò, indossando la sua solita sicurezza come un’armatura a celare la montagna di incertezze che popolava la sua mente. Una volta,a una festa organizzata da Stark, Clint aveva detto a Steve, scherzando: “Non puoi mai sapere cosa passa nella testa di questa ragazza. Nasconde tutto così bene che quando ti guarda potrebbe pensare qualsiasi cosa da ‘Ti ucciderò nel sonno’ a ‘Questa sera ho proprio voglia di mangiare una cheesecake’. Tu non saprai mai la verità, ma speri vivamente di trovarla a mangiare una torta quando torni a casa, perché credimi che svegliarti con lei che ti punta un coltello alla gola non è mai piacevole.”. Ovviamente Occhio di Falco l’aveva resa in maniera divertente, ma non sapeva quanto avesse ragione. Persa nei suoi pensieri, quasi non si accorse di un guardarobiere che stava aspettando con aria scocciata che lei si togliesse la giacca e gliela passasse. Mormorando delle scuse, lasciò che il ragazzo gliela sfilasse e se ne andasse con aria stizzita. Lo osservò andarsene. Era giovane, probabilmente studiava ancora. Lei avrebbe potuto essere sua madre. O sua nonna, pensò considerando la propria età effettiva. Si sitemò il vestito, in attesa del momento di entrare in platea. Indossava un lungo abito blu che le fasciava le curve e i suoi riccioli rossi, raccolti da un lato, ricadevano morbidamente sulla spalla sinistra. A vederla, non si sarebbe mai indovinata la presenza di una Beretta calibro 7,65 sotto la gonna o dei taser nascosti sotto quella che pareva un’innocua coppia di bracciali d’argento. Finalmente aprirono le porte, e lei andò a sedersi al suo posto, verso il fondo. Dovette aspettare un’altra mezz’ora prima che lo spettacolo iniziasse. Finalmente, le luci si spensero e le note del Lago dei Cigni si impossessarono della sala. Una ballerina stava già volteggiando sul palco, leggera come una piuma, il vestito che pareva risplendere di luce propria. Natasha conosceva a memoria la musica, i passi. Erano stati impressi talmente bene che quasi le sembrava di averlo ballato davvero un migliaio di volte. Il groviglio che avvertiva dentro di sé si strinse. Si morse un labbro nell’oscurità e si costrinse a rimanere composta. Si prospettava una lunga serata.

 

Dopo un’ora e un quarto di lotta contro i ricordi imposti dalla Stanza Rossa, arrivò finalmente l’intervallo. Sgusciò inosservata tra gli spocchiosi rappresentanti dell’aristocrazia russa e le loro mogli dai sorrisi finti. Si diresse in silenzio verso i camerini. Sapeva per certo che lei avesse solo creduto di essere stata una ballerina lì, però sapeva anche che non era raro che la Stanza Rossa spedisse le sue allieve al Bolshoi sotto copertura. Sgattaiolò per i corridoi, evitando gli sguardi dei pochi ospiti presenti in quell’ala dell’edificio. Passò dietro al sipario, con le corde e i pesi che lo sostenevano, e arrivò davanti ai camerini, sorvegliati da un addetto alla sicurezza grosso come un armadio. Facendo attenzione a non farsi vedere lo studiò per un secondo, nascosta dietro a un muro. Attese pazientemente che l’intervallo finisse e le ballerine ritornassero sul palco, sfilandole davanti con l’innata grazia a lei molto nota. Sospirò e indossò la sua migliore espressione innocente e spersa, avvicinandosi all’uomo.

-Прости, сударыня, вы не можете быть здесь (Mi dispiace signora, non può stare qui.)- Scattò subito l’uomo, muovendosi verso di lei con la mano tesa per stopparla.

-О, слава Богу, я нашел тебя! Боюсь, я потерян. Я искал туалет, и я не могу найти свой путь обратно... Вы были бы достаточно любезны, чтобы сопровождать меня обратно?(Oh, grazie a Dio ho trovato lei! Ho paura di essermi persa. Stavo cercando i servizi e ora non riesco a trovare la strada per tornare indietro... Sarebbe così gentile da riaccompagnarmi?)- Replicò lei, la voce camuffata in modo da sembrare molto preoccupata.

-Мне очень жаль, но я не могу … (Mi dispiace, ma non posso...)- La voce dell’uomo venne subito interrotta da quella di lei.

-Я прошу вас, это место является настолько большой и страшный... (La supplico, questo posto è così grande e spaventoso...)- Sbatté un po’ le ciglia, provando un misto di soddisfazione e repulsione nel vedere ancora una volta quanto recitare la ragazza vulnerabile e francamente abbastanza idiota avesse effetto sul sesso opposto. Osservò l’uomo osservarla, rifletterci, in preda all’indecisione, e poi scrollare le spalle, in segno di assenso. Lei sfoderò un sorriso grato e continuò a sorridere anche quando, appena fu abbastanza vicino, lo folgorò con i taser nascosti sotto i suoi braccialetti. Идиот (idiota). Si diede un’occhiata intorno, a controllare che nessuno la vedesse, ed entrò nei camerini. Erano proprio come se li ricordava: la luce soffusa intorno agli specchi illuminava il disordine che regnava lì intorno. Gli oggetti di scena, in legno e in cartapesta, erano sparsi ovunque, così come diversi costumi di tulle o maschere dalle forme più bizzarre e i colori vivaci. Il tutto, proiettava ombre piuttosto curiose, che nella penombra risultavano essere abbastanza inquietanti. Sui tavolini corrispondenti a ogni specchio c’erano scatole su scatole di cerone e trucchi assortiti, ferri e forcine per i capelli, gesso e i più disparati effetti personali, da telefoni cellulari a foto autografate, da chiavi di chissà quale armadietto a romanzi rosa. Senza produrre il minimo rumore si avvicinò agli specchi, in cerca di qualsiasi traccia di un’infiltrata tra le ballerine. Diversi minuti e numerose scatole di antidepressivi e integratori dopo, non aveva ancora trovato niente che potesse presagire la presenza di una Vedova Nera. Ovvio, era probabile che non vi fosse, di fondo non aveva mai trovato nessuna prova a confermarlo, ma era sicura che se la Stanza Rossa stesse cercando di risollevarsi quello sarebbe stato il primo posto dove avrebbero mandato le spie. Anche dopo tutti quegli anni, il Bolshoi era ancora luogo di ritrovo di personaggi di spicco della società, spesso e volentieri troppo incauti nel parlare di questioni di stato con i propri vicini. Con gli anni e con la fine della Guerra Fredda la gente non si aspettava più di essere circondata da spie. Natasha aprì l’ennesimo cassetto, quasi rassegnata. Altre pillole. Con un sospiro di sconforto, le lasciò cadere nel cassetto. L’impatto, però, produsse uno strano rumore vuoto che la fece insospettire. Lo svuotò dal contenuto e picchiettò un po’ sul legno. Il suono che produceva non lasciava sospetti: c’era un doppio fondo. Tentò di rimuovere l’asse che lo nascondeva, invano. Estrasse il cassetto e afferrò la pistola che teneva nascosta sotto l’abito. Maledicendosi per non aver portato un coltello, decisamente meno rumoroso, diede un colpo secco sul legno con l’impugnatura. Il suono rimbombò per qualche secondo nella stanza. Fortunatamente, fu sufficiente a rivelare il secondo contenuto del cassetto. Vi trovò un libro, Anna Karenina, in un’edizione piuttosto antica, anche se be conservata. Lo sfogliò, per capire il motivo per cui si dovrebbe nascondere un libro piuttosto comune. Le pagine erano completamente intonse, fatta eccezione per qualche cerchio sui numeri di diverse pagine, ma nient’altro. Anche leggendole, non suggerivano nessun indizio utile. Presa da quel rompicapo, non udì la porta dietro di lei aprirsi. Si accorse di non essere sola soltanto nel momento in cui si ritrovò a terra, senza fiato per l’impatto e per la sorpresa. Sentì un secondo calcio in prossimità della sua testa, ma questa volta non si fece cogliere impreparata e rotolò sul fianco per evitarlo. In men che non si dica era di nuovo in piedi, in posizione di combattimento. Osservò un secondo il suo avversario, o meglio, la sua avversaria. Ancora nel costume del ballo, una ragazza che non doveva avere più di vent’anni la stava fronteggiando. Era più alta di Natasha e altrettanto magra, aveva i capelli neri raccolti in uno chignon e gli occhi azzurri e gelidi. Natasha riuscì solo a darle una veloce occhiata prima che l’altra tornasse all’attacco, tentando di sferrarle un pugno sulla mandibola. Lei inarcò la schiena all’indietro, schivandolo, e riuscì ad afferrarle il braccio e a scaraventarla per terra. L’altra evitò l’impatto con una capriola, e come se niente fosse si tirò nuovamente in piedi. Natasha fece per avvicinarsi, quando vide che l’altra aveva preso la pistola che le doveva essere caduta pochi istanti prima. Udì lo sparo, e si gettò dietro una scultura in cartongesso raffigurante la luna, evitando il proiettile di un soffio. Gattonò, nascosta dal cartone raffigurante il resto della volta celeste, in cerca di qualsiasi cosa da usare come arma. Trovato un tubo di metallo, si rialzò in piedi, alle spalle dell’altra, e cercò di colpirla ma lei si girò di scatto e bloccò la sua mossa con una mano. Puntò nuovamente la pistola verso Natasha, che però le prese il polso e riuscì a torcerglielo prima che partisse il colpo. Vide l’altra digrignare i denti mentre lei le sfilava la pistola dalle mani. Ora le parti erano invertite, Natasha puntava la pistola contro la ballerina, armata solo del tubo di metallo. Premette il grilletto e l’altra saltò, esibendosi in un salto mortale per aria che stupì persino la rossa, scansando senza apparente fatica il proiettile. Atterrata, le tirò una gomitata in modo da farle cadere la pistola, che finì a qualche metro da loro. La ragazza fece per andare a prenderla, ma Natasha fu più veloce nel saltare e atterrarla, le gambe attorno al collo dell’altra nel tentativo di soffocarla.

-это правда, то ... Романова возвращается (è vero allora.... La Romanova è tornata...)- esalò con voce strozzata la ballerina, rossa in viso. Natasha non fece nemmeno in tempo a rispondere che l’altra si era liberata, le aveva tirato un pugno ben assestato sullo stomaco levandole il respiro per un paio di secondi e aveva ricominciato a correre verso la pistola. La rossa però era più veloce e la raggiunse, tirò un calcio alla pistola in modo da mandarla più lontano, si girò verso l’avversaria e la colpì con i taser. L’altra emise un gemito di dolore sotto le scariche elettriche, ma non cadde a terra. Passati una manciata di secondi rialzò la testa verso Natasha, ancora attaccata a lei con i bracciali, e le rivolse un ghigno. Natasha la guardò interdetta: i suoi taser lasciavano una scarica sufficiente ad atterrare un orso. Era stata presa talmente alla sprovvista da non fare niente per evitare il calcio che arrivò subito dopo, buttandola nuovamente a terra. Con una capriola all’indietro si rialzò e corse verso la pistola. La afferrò e sparò all’altra, lontana un paio di metri da lei, colpendola alla spalla. Si gettò dietro un altro cartone di scenografia. Prendendo fiato, controllò i taser. Magari erano scarichi, o si erano rovinati? Strano, li aveva progettati lei e li controllava ogni giorno... Persino Tony Stark aveva detto che non sarebbe riuscito ad applicarci alcuna miglioria. Infatti, pur riguardandoli diverse volte, non vi trovò alcuna anomalia. Iniziò a gattonare dietro al cartone, non sentendo i movimenti dell’altra, la pistola ben salda in mano. L’altra fu tradita solo dal fruscio del tutù mentre saltava, altrimenti sarebbe perfettamente riuscita a coglierla di sorpresa, atterrandole alle spalle. Natasha si girò di scatto, la pistola puntata, per vedere l’altra dietro di lei pronta a combattere. L’unica traccia della ferita inflittale dalla rossa era un buco nel costume, circondato da un po’ di sangue. Per il resto, non si vedevano segni di colpi di pistola e la ragazza era più in forma che mai. Senza avere idea di ciò che stava facendo, Natasha sparò nuovamente diversi colpi, colpendola allo stomaco e sperando almeno di rallentarla. La ballerina cadde sulle ginocchia, ansimando. La rossa non perse tempo: iniziò a correre disperatamente fino all’altra parte della stanza, afferrò il libro e fece per correre verso la porta, quando sentì l’altra, ancora dalla parte opposta della stanza, parlare probabilmente in un auricolare.

-Это Романовой. Она здесь. (è la Romanova. È qua.)

Prima che Natasha potesse raggiungere la porta, quella si era già aperta lasciando entrare l’uomo che aveva atterrato poco prima, armato di pistola e con una faccia che non presagiva niente di buono. Evitando lo sparo, fece inversione e corse verso un’altra porticina nascosta in fondo alla stanza, che lei sapeva condurre alle scale per l’uscita sul retro. Sentì l’uomo dietro di lei urlare la sua direzione e accelerò il passo, stringendo la copia di Anna Karenina al petto con una mano e la pistola salda nell’altra. Sentì lo scalpiccio di uno... due... tre uomini salire verso di lei, mentre dietro di lei l’uomo aveva iniziato a scendere per inseguirla e stava sbraitando con qualcuno, presumibilmente la ballerina. Si fermò dietro all’angolo di una rampa, aspettando che l’arrivo di quelli che stavano salendo. Appena vide il primo spuntare da davanti a lei gli tirò un calcio ben assestato, che gli fece perdere l’equilibrio cadendo sul secondo e trascinandolo giù dalle scale con sé. Natasha si sporse dal suo nascondiglio per sparare al terzo prima che avesse solo il tempo di alzare il fucile che portava a spalla, utilizzando così l’ultimo proiettile rimasto in canna. Prima che gli altri due potessero rialzarsi lei si aggrappò al corrimano, scivolando fino al fondo, arrivando in fretta all’uomo morto e sfilandogli il fucile per usarlo contro di loro. Nell’udire l’altro uomo e la ballerina avvicinarsi, si girò e riprese a correre a perdifiato, raggiungendo finalmente la porta d’uscita. Prima di aprirla, però, vi busso piano sopra. Come si aspettava, sentì una voce dall’esterno rispondere. Aprì la porta con tutta la forza che aveva, colpendo così l’uomo di guardia. Il fucile ben alto, uscì, sparando al compagno di quello che aveva appena messo fuori gioco. Consapevole del poco tempo che le rimaneva, corse a perdifiato, cercando di mischiarsi tra la folla e di girare per tutti i vicoli più nascosti. Ogni tanto si girava a controllare, non sicura di averli seminati. Quando ne ebbe la certezza, si fermò in un vicolo e si accasciò contro il muro, ansimante. Si lasciò scivolare piano per terra, poco importava che avesse nevicato da poco. Ripensò alla ballerina e al poco effetto che le sue armi avevano avuto contro di lei. Certo, allo SHIELD aveva visto file di soggetti capaci di rigenerarsi, ma Vedove Nere? Quali altre novità l’aspettavano? Quanto ancora non sapeva della Stanza Rossa?

 

 

 

 

   
 
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