Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Katies_    16/06/2016    0 recensioni
Samantha Oner e Justin Bieber, è un quartiere della bassa San Francisco, l'Heart Village.
- Come hai potuto?- urlò, Sam in lacrime contro la figura del ragazzo dagli occhi ambrati , gonfi per le lacrime.
-Dovevo farlo, per il tuo bene!- ribatte il ragazzo dal ciuffo biondo cadergli davanti la fronte.
-So io cos'è giusto per me!- urlò, ancora una volta la ragazza portandosi le mani all'altezza del seno.
-L'ho fatto perché ti amo, Sam, con tutto il cuore.- disse, a denti stretti il ragazzo che sentiva le lacrime rigare le sue guance.
La ragazza a quelle parole, zitti fissandolo, nascose il suo tremare.
-È un'errore, e avrei voluto non conoscerti.- disse con durezza provocando al ragazzo una crisi di nervi, che lo fece avvicinare a lei, ma si allontanò, voltandogli le spalle.
-SAM, SAM, SAAAM!- urlò, Justin Bieber in lacrime trattenuto da due uomini dalle braccia, mentre Sam percorrendo quel corridoio piccolo e stretto chiuse gli occhi , coprendo le sue piccole labbra, con la mano, urlando dentro dal dolore, mentre il suo cuore implorava Justin Bieber.
Ma dovevo farlo.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Bondage, Tematiche delicate
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2. Goodbye Joshua Ero uscita da quella stanza d'ospedale, e mi ritrovavo in piedi con ancora poche forze ma a sufficienza per esser presente, alla commemorazione di mio fratello Joshua. Eravamo venuti i suoi amici più stretti, e la nostra vicina di casa anziana , Aibleen, che si era presa cura di noi per tutto questo tempo ma era troppo anziana per accorgersi delle nostre vite. Piccola di statura, capelli bianchi che teneva sempre legati ad uno chignon ben ordinato. Il viso completamente rugoso, degli occhiali tondi che nascondevano i suoi occhi piccoli e castani. Il lungo vestito nero che copriva le imperfezioni del suo corpo creati dal tempo che passava su di lei. Le sue piccole mani rugose che tremavano per la sua malattia che le avevano diagnosticata all'età di sessant'anni. Ma era lì, al mio fianco che mi teneva sotto braccio, mentre io tenevo gli occhi fissi sulla fredda lapida grigia. " Joshua Oner, 1993-2016." E la sua foto sopra, sorridente, l'aveva scattata per i suoi sedici anni, per la patente, era così entusiasto quel giorno che mi portò in macchina in giro per San Francisco,completamente vuota illuminata dalle sue mille luci. Ricordo ancora quella notte che rise per tutto il tempo durante il viaggio, dove mi portò al piccolo campo per battermi ad una partita di football, e per la sconfitta mi regalò una rosa rossa colta nel giardino più vicino. Chiusi gli occhi a quel pensiero i brividi percorsero la mia schiena. Sentivo il vento accarezzare i miei lunghi capelli che avevo lasciato sciolti ondulati cadermi fin sotto il seno. Come se lo avessi sentito lì vicino a me. Ma c'erano loro due, Big Mike, che teneva il capo basso mentre ogni amico stringeva la sua mano grande, e poco più distante c'era, Ross. Che guardava da lontano, non amava affrontare il dolore, lui lo gestiva in modo diverso, mi voltai per guardare la sua figura. Teneva tra le sue labbra rosee la sigaretta accesa incastrata, aspirando il fumo a pieni polmoni, incontrai i suoi grandi occhi castani ma velati dalla tristezza che lui cercava di nascondere. Spalle larghe, fisico palestrato ma non molto, alto, con pochi capelli quasi rasati, e la sua pelle all'altezza del braccio sinistro ricoperta di tatuaggi. Teneva le labbra serrate, il dolore lo stava lacerando, essendo il fratello maggiore tutto ricadeva su di lui, Ross Oner, era la pecora nera della famiglia, lo era sempre stato fin da piccolo. Continuo a fissarlo mentre lui si tiene lontano dalla perdita che avevamo subito perché per uno come lui, era una sconfitta. Ross, ha sempre avuto un carattere che lo ha reso diverso da ognuno di noi. Mentre lo guardavo ricordai tutte quelle notti che la polizia chiamava a casa dicendo che era stato arrestato dopo un'inchiesta di droga, o perché avesse scagliato un pugno ad un'ufficiale o per rissa, passava maggior parte del suo tempo tra le sbarre che alla Black House. Non è mai riuscito a cambiare la sua vita e migliorare se stesso, avercela contro il mondo intero ormai era diventato il suo lavoro. Ma era un fratello presente. Ross, abbasso lo sguardo e indossando i suoi occhiali neri, ci voltò le spalle. Si allontanò sotto i miei occhi e quelli di Big Mike, Finalmente arrivai davanti al portone grande, dalle vetrate pulite. Aprendo la porta, entrai, trovando le due ragazze, che come me, facevano le cameriere. Akexandra e Scottie. Le conoscevo da circa cinque mesi, ed erano una buona compagnia ma nient'altro non ero un tipo del tutto socievole, amavo la mia solitudine. Alessandra, smise di pulire il bancone e mi rivolse i suoi grandi occhi castani su di me, i suoi capelli folti e ricci corti sistemati, la sua statura bassa, il septum che portava al naso incastrato. -Mi dispiace per tuo fratello..- disse con tono dispiaciuto, io la guardai prima di proseguire verso il ripostiglio. -Grazie.- mormorai risultando dura, ma era l'effetto del mio dolore mandai giù week modo alla gola guardandola, mi sorrise, ma in quel momento non pensai ad altri che tutte le volte che si era concessa a Ross senza ricevere nulla dalla parte sua. Stare al fianco di mio fratello non era facile. -Stai bene?- mi chiese Scottie, la ragazza dalla statura media. Dai capelli raccolti in freccine che piccole sembravano capelli naturali, erano castani chiari come i suoi occhi. Indossavano entrambe il grembiule nero legato in vita da un nodo ben saldo. -Si, grazie._ mormorai quasi sforzando le parole oltre che al sorriso. Sospirai. Mi diressi verso il ripostiglio, chiusi la porta. Scoppiai in lacrime, perché continuavo a fingere che tutto andava bene? Io ero a pezzi , la mia vita lo era, la mia famiglia lo era. Portai una mano sulle mie labbra, in modo da zittire la crisi di pianto che mi avvolse ,nel silenzio, mi lasciai cadere per terra con la schiena premuta contro la parete. Piansi come se ogni muscolo del corpo facesse male. Come se il bruciore al petto potesse essere guarito, ma tutto faceva così male che non ero più in grado di accertare la perdita di Joshua.
   
 
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