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Autore: Manu75    17/06/2016    4 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
Capitoli:
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Come sempre ringrazio chi legge e segue questa storia, in particolare miss Gold_394 e Morgana 89 Black (ma ragazze, nomi più semplici no?? Tipo Pina o Lina XD) per aver recensito! Vi annuncio che "Un gelido destino" si ferma fino a settembre: non è umanamente possibile che io continui così ora che mia figlia sarà a casa dall'asilo e, si spera, potremo andare al mare. Siccome voglio continuare a scrivere con lo stesso impegno che ho profuso fino ad ora, ho deciso di prendermi una pausa, visto che non avrò materialmente tempo e non voglio buttare su capitoli a caso. A settembre riprenderò la regolare pubblicazione dei nuovi capitoli e vi assicuro che porterò a termine questa storia. Grazie e spero di ritrovarvi qui, buona lettura!

 

Dante’s Prayer

 

Quando la selva oscura calò dinnanzi a me

E tutti i sentieri coperti

Quando i preti dell’orgoglio dicono che non c’è altra maniera

Ho arato la sofferenza di pietra

Non ho creduto perché non ho potuto vedere

Eppure sei venuta da me nella notte

Quando l’alba sembrava persa per sempre

Mi hai mostrato il tuo amore nella luce delle stelle

Posa i tuoi occhi sull’oceano

Naufraga la tua anima nel mare

Quando la notte oscura sembra senza fine

Ti prego ricordati di me

Poi la montagna fiorì dinnanzi a me

Dal profondo pozzo di desiderio

Dalla fontana del perdono

Sotto il ghiaccio ed il fuoco

Eppure noi condividiamo questo umile sentiero, da soli

Come è fragile il cuore

Oh, dona a questi piedi d’argilla ali per volare

Per toccare il volto delle stelle

Respira vita in questo debole cuore

Solleva questo mortale velo di paura

Prendi queste speranze sgretolate, impresse con le lacrime

Ci solleveremo sopra queste terrene preoccupazioni

Ti prego ricordati di me…

 

(by Loreena Mc Kennitt)



 

“Un gelido destino”

 

(Evan)

 

Cinquantasettesimo capitolo

 

L’alba era vicina, ad est il sole stava iniziando a tingere d’oro pallido il cielo della Scozia. C’erano già delle nubi ad increspare quella distesa blu, gialla e verde; c’erano anche le stelle che ancora sostavano ma andavano spegnendosi.
Evan rimase qualche istante fermo a fissare tutto ciò; dal cottage di Kerenza la vista di spandeva a perdita d’occhio lungo la valle: a est le colline, a nord il Castello di Hogwarts, che dominava tutto sotto di sé, a sud Hogsmeade e ad ovest il bosco, fitto e scuro.
Il giovane osservò tutto e non vide nulla, gli occhi nocciola riflettevano la luce mattutina che si faceva strada in modo prepotente.
Il suo corpo era rilassato e sazio, grazie all’amore che Kerenza gli aveva donato quella notte, la sua mente era piena degli eventi accaduti in Bulgaria, durante il suo scontro con Lucius.
Il suo cuore, semplicemente, non batteva più.
In realtà lo aveva perso tanti anni prima quando, tramite una breve lettera, gli era stato annunciato che l’amata Gwenhwyfar non esisteva più in questo mondo; che le sue spoglie mortali riposavano e il suo spirito volava libero, probabilmente lungo le bianche scogliere della Cornovaglia.
Il moncherino duro e spoglio che aveva collocato al posto di quel cuore svanito nel nulla era stato preso, irretito e squartato da un’altra donna.
Lui si era spogliato di ogni insegnamento e di ogni dignità e aveva lasciato che Bellatrix arasse la sua anima e vi piantasse i suoi semi di odio, follia e cattiveria.
Ma non era così stupido da non sapere di essere stato un terreno fin troppo fertile dove tutte quelle cose orribili erano cresciute con forza, mentre era marcito tutto quello che sarebbe valso la pena salvare.
Sorrise amaro.
Respirò a fondo l’aria pura di quel giorno luminoso e chiuse gli occhi.

 

(Vent’anni prima)

 

- Devi comportarti bene, Evan!- la donna lo aveva fissato severa, con le mani sui fianchi prominenti e il viso dozzinale pieno di biasimo - Ricordati che sei solo un ospite in questa casa! Non puoi continuare a fare danni, rispondere male e andare in giro conciato come un selvaggio!-
Lui aveva restituito lo sguardo con aria ribelle, i capelli scompigliati e i vestiti trasandati.
La donna aveva sospirato profondamente e poi aveva ripreso la sua predica - Questa sera ci sono ospiti importanti! Nessuno vuole essere disturbato da un ragazzino di otto anni maleducato e disubbidiente! Bada Evan, se combinerai ancora dei guai lo dirò a tuo zio e verrai cacciato anche da questa casa!-
Lui aveva socchiuso gli occhi e si era voltato, scappando via e andando a nascondersi in una delle stanze vuote al pian terreno.
Odiava quella casa e odiava i suoi parenti ipocriti.
Si curavano di lui solo per dovere e perché, ai suoi tutori, era stato concesso un bel po’ di denaro per vestirlo, istruirlo e crescerlo fino al compimento della maggiore età.
Ad un certo punto aveva sentito le voci degli invitati alla festa scemare pian piano e un’arpa aveva preso a suonare dolcemente.
Il suono più bello e soave che avesse mai udito e, subito dopo, un suono ancora più splendido e irreale: una voce di donna quasi ultraterrena.
Pian piano si era affacciato e aveva fatto capolino nella stanza: tutti erano seduti in un semicerchio e tacevano, ascoltando assorti.
Un uomo alto e dai capelli di un biondo chiarissimo era appoggiato al muro, molto vicino a lui, e fissava la donna che suonava l’arpa, al centro della sala, con uno sguardo come Evan non ne aveva mai visti.
Gli occhi chiari di quell’uomo erano pieni di una luce calda e avvolgente.
Il bambino aveva osservato la donna e aveva capito perché tutti ne fossero così rapiti: non solo la sua voce era celestiale ma anche il suo aspetto era splendido. Sembrava una regina delle fate, così come ne aveva viste sui libri che ogni tanto rubava dalla biblioteca di sua zia.
E cantava una canzone dolce e struggente che, se n’era vergognato profondamente, gli aveva fatto venire voglia di piangere:

 

Amore, guarda dentro il tuo cuore, *

l’albero santo è lì che sta fiorendo;

dalla gioia i santi rami si partono,

e tutti i frementi fiori che essi sostengono.

I color cangianti dei suoi frutti

hanno adornato le stelle con luce serena;

la saldezza delle sue radici profonde

ha radicato la quiete nella notte;

il cullare della sua chioma frondosa

ha donato alle onde la loro melodia,

e le mie labbra ne sposarono l’armonia

nel mormorare per te un magico canto.

Là vanno gli amori danzando,

nel giro fiammante dei nostri giorni,

vorticando, turbinando qui e là

nei vasti incoscienti viali coperti di foglie;

rammentando quella gran chioma agitata dal vento

e come sfrecciano i sandali alati

i tuoi occhi si colmano di tenerezza:

guarda, guarda dentro il tuo cuore, amore mio.

...

Non guardare più nello specchio amaro

che i demoni, con la loro sottile scaltrezza

ci pongono di fronte, passando,

o almeno lanciaci appena uno sguardo;

poiché vi si forma un’immagine fatale

che raccoglie la notte di tempesta,

radici seminascoste nella neve,

rami spezzati, foglie annerite.

Poiché ogni cosa sterile diviene

in quello specchio opaco che i demoni reggono,

specchio dell’espressa stanchezza,

creato mentre Dio riposava nel suo tempo senile.

Là, tra i rami spezzati, passano i corvi

del pensiero senza requie;

volando, gridando, qui e là,

con i loro artigli crudeli e la gola vorace,

oppure rimangono immobili a fiutare il vento,

e scuotono le loro ali cenciose, ahimè!

I tuoi teneri occhi perdono la loro dolcezza:

no, non guardare più in quello specchio amaro.

...

Amore, guarda dentro il tuo cuore,

l’albero santo è lì che sta fiorendo;

dalla gioia i santi rami si partono,

e tutti i frementi fiori che essi sostengono,

rammentando quella gran chioma agitata dal vento

e come sfrecciano i sandali alati

i tuoi occhi si colmano di tenerezza:

guarda, guarda dentro il tuo cuore, amore mio. “

 

La canzone si era conclusa e, per qualche istante, nessuno aveva avuto il coraggio di rompere quel silenzio.
L’uomo biondo aveva seguitato a fissare la donna con intensità e lei, una volta finito di cantare e suonare l’arpa, aveva sollevato lo sguardo, cercando quello di lui.
I loro occhi si erano incatenati e Evan aveva potuto avvertire qualcosa di potente passare tra di loro.
Un profondo senso di solitudine lo aveva pervaso e si era allontanato senza essere visto, andando in giardino e cercando di reprimere le lacrime.
- Dimmi, ti è piaciuta la canzone?- una voce dolce e femminile lo aveva riscosso e si era girato con il cuore in gola.
La regina della fate si era seduta accanto a lui, sui gradini della scalinata esterna, e gli aveva sorriso.
Lui non aveva mai visto nulla del genere: occhi così intensi, pelle così perfetta, capelli così lucenti.
Non aveva potuto far altro che annuire.
Lei gli aveva sorriso più ampiamente, inclinando la testa.
- Hai più o meno l’età di mio figlio, ma lui non ha degli occhi così tristi né un cuore così solo...posso sapere come ti chiami, mio bimbo disperato?-
Il groppo in gola gli aveva impedito di parlare.
- Hai compreso cosa dice la canzone che ho cantato?-
Aveva scosso la testa.
- Parla di due alberi molto diversi l’uno dall’altro: uno rappresenta la vita e uno rappresenta la morte. Uno è la luce e uno è l’ombra. Uno è l’amore e l’altro il peccato.- gli aveva sorriso ancora - Parla anche di come gli uomini possano scegliere la strada buona o lasciarsi condurre nei tormenti e nella disperazione...e parla anche d’amore. L’amore vero, quello dove un uomo e una donna si guardano e i loro cuori si congiungono; oppure l’amore non corrisposto che dona solo tormento…-
L’aveva fissata a bocca aperta, troppo soggiogato da lei per comprendere davvero fino in fondo ciò che gli aveva detto.
Lei aveva riso gentilmente e gli aveva accarezzato i capelli castani.
- Non piangere cuore innocente, arriveranno giorni migliori…- e poi si era alzata ed era rientrata lasciandolo solo.
Una settimana dopo suo zio gli aveva detto, a denti stretti, che Abraxas Malfoy, un uomo molto potente, aveva chiesto di poterlo ospitare a casa propria per un periodo indefinito, perché cercava compagnia per suo figlio che aveva sei anni.
Evan si era chiesto chi fosse quest’uomo e perché mai avesse chiesto di lui senza conoscerlo.
Era arrivato a Malfoy Manor, l’enorme casa di questo sconosciuto, e, quando era entrato, aveva compreso: sulla soglia, ad attenderlo con un sorriso, c’era la regina della fate, la donna più bella e dolce della terra, la strega più abile del mondo.
Il suo più grande amore: Gwen.

 

(Presente)

 

Evan riaprì gli occhi e un profondo senso di vuoto lo colse: era sempre così quando pensava a lei.
Lei che non c’era più da tanto, troppo tempo.
Gettò un ultimo sguardo all’abitazione di Kerenza, un’altra donna splendida che lui, in un certo modo, aveva amato e che era l’incarnazione quasi perfetta di Gwen.
Pensò a Bellatrix, che gli si era avvicinata in un momento di grande confusione ed esaltazione.
Bella che si era offerta a lui, chiedendogli di fare di lei una donna, facendogli credere di volere lui per primo perché era bello e potente.
Solo dopo aveva capito il perché della sua fretta di crescere ed essere donna.
Lo aveva usato anche quella volta, come sempre e per sempre.
Si, l’avrebbe irretito per sempre se lui non avesse fatto qualcosa per spezzare quello specchio demoniaco e quel tormento.
La voce di lei, carica di odio, gli rimbombava nella mente, le sue parole, dure come pietre, erano ancora conficcare nel suo petto.

 

(Poche ore prima)

 

“Non l’hai ucciso?!” lo aveva guardato con gli occhi sgranati.
“Non proprio...l’ho ferito a sufficienza per dargli una morte lenta e dolorosa a meno che non decida di salvarsi, ovvio. Gli ho lasciato una scelta, glielo dovevo…” le si era avvicinato: era andato a cercarla appena rientrato dalla Bulgaria, dopo lo scontro con Lucius.
“Che ti importa? Ha capito la lezione, non è uno stupido...non farà mai nulla contro di te, credimi. Lascia Rodolphus e andiamocene: io, te e nostro figlio…” le aveva sorriso, posandole una mano sul grembo “Nessuno oserà farci del mare e, se mai tentassero, che il Diavolo li protegga perché li ucciderò uno alla volta!”
Lei lo aveva guardato con gli occhi scuri accesi di odio.
“Idiota! Dovevi ucciderlo adesso! Non domani, tra un mese o tra un anno ma adesso! Stanotte!” era fuori di sé.
“Calmati Bella, non ti fa bene agitarti così...Lucius non è un problema, credimi...i Lestrange non sono più un problema, nessuno potrà mai esserlo per noi.”
“Non c’è nessun noi, Evan! Non c’è mai stato né mai ci sarà!” gli aveva urlato con quanto fiato aveva in gola “E non c’è nessun bambino! C’era e non c’è più e, credimi, non era tuo!”
L’aveva fissata incredulo, troppo ferito per afferrare davvero quello che gli aveva detto.
“Ma tu…” aveva scosso la testa, osservando il volto di lei deformato dall’ira e dalla rabbia.
“Sei un povero idiota! Una sola cosa avresti potuto fare per me e non l’hai fatta! Adesso cosa credi che dovrei fare, io? Scappare da mio marito, dal Signore Oscuro, dalla mia vita...per te?” aveva sospirato reprimendo una risata incredula e poi aveva ripreso a parlare con una voce più bassa e calma “Ho il ventre del tutto bruciato, un maledetto veleno avanza dentro di me! Ho solo pochi giorni per poter intervenire ed evitare di morire per un’infezione del sangue!” ad un certo punto aveva chiuso gli occhi scuri “ Sparisci Evan, vattene dalla mia vista! Non siamo altro che due strade che mai si incontreranno in questa vita maledetta, vattene via: sparisci, scappa, muori...fa ciò che ritieni meglio ma non comparirmi mai più davanti!”
L’aveva fissata per dei lunghi istanti nello stesso modo in cui si può fissare qualcosa di abominevole che, fino a quel momento, era rimasto celato agli occhi.
Avrebbe voluto afferrare il suo lungo collo da cigno e stringere, stringere fino a togliere qualsiasi alito di vita in quel corpo che tanto aveva amato.
Invece non aveva potuto far altro che sentire la voce di Gwen, l’unico suono amorevole che avesse mai udito nella sua vita:

 

“...Non guardare più nello specchio amaro

che i demoni, con la loro sottile scaltrezza

ci pongono di fronte, passando,

o almeno lanciaci appena uno sguardo;

poiché vi si forma un’immagine fatale

che raccoglie la notte di tempesta,

radici seminascoste nella neve,

rami spezzati, foglie annerite.

Poiché ogni cosa sterile diviene

in quello specchio opaco che i demoni reggono…”

 

“Addio Bella, prima o poi ci rivedremo all’Inferno. Almeno di questo ne sono sicuro…” si era smaterializzato, andando da Kerenza, in cerca di quella contrapposizione al dolore che solo lei avrebbe potuto regalargli.

 

(Presente)

  Evan sorrise, ormai il sole stava facendo la sua comparsa: un nuovo giorno da vivere, un altro giorno da affrontare, ancora un giorno per lottare.

Rigirò la bacchetta tra le mani e si smaterializzò.

 

(Malfoy Manor)

  Da quando era giunta a Malfoy Manor, nell’ottobre di un anno e mezzo prima, Narcissa non aveva più lasciato quella casa.
All’inizio aveva dovuto abituarsi soprattutto alla presenza costante di Kraffy, l’elfa domestica che comandava la servitù e che un tempo aveva servito la madre di Lucius.
Quella querula creatura non la lasciava mai da sola e aveva preso a dormire su di un tappetino davanti alla porta della sua camera.
Dopo aver finalmente preso confidenza con questo particolare “problema” se ne erano presentati diversi altri e, con un certo stupore, si era resa conto che l’organizzazione di quella grande magione lasciava abbastanza a desiderare: Abraxas e Lucius, evidentemente, non erano molto attenti e avevano anche poco tempo per dare un certo criterio al lavoro degli elfi.
Dopo un primo momento in cui si era sentita un’ospite, e quindi non aveva avuto il coraggio di prendere in mano la situazione, aveva finito con il riorganizzare del tutto il lavoro della servitù, guadagnandosi la devozione di Kraffy.
- Signorina come Signora Gwen!- aveva strillato estasiata - Signorino Lucius sceglie bene come suo padre!-
Cissy aveva ignorato l’elfa e fatto finta di non udire.
Un giorno si era fermata, come aveva fatto decine di volte, davanti al salottino in cui Aloise Alderman aveva scagliato la sua maledizione nove anni prima.
Si era morsa le labbra, indecisa se entrarvi o meno, così come era stata indecisa un sacco di volte anche durante la sua prima visita a Malfoy Manor.
Alla fine aveva detto a Kraffy, che poteva uscire a piacimento dalla casa e fare tutte le commissioni che desiderava, che voleva cambiare tutto quello che si trovava in quel salotto: tappezzerie, divani, moquette e persino le pietre del camino.
L’elfa l’aveva guardata con occhi sognanti, aveva raccolto la lista dei desideri di Narcissa e poi aveva fatto in modo di accontentarla in tutto e per tutto, facendo le compere necessarie:  “Signorino Lucius dice che denaro è tutto suo se signorina vuole! Di comprare tanti vestiti e tutto quello che piace e tante, tantissime camicie da notte!”.
La ragazza l’aveva guardata al colmo dell’imbarazzo - Ti ha detto così?!-
Kraffy aveva annuito con innocenza e lei aveva preferito non approfondire.
Una volta che quel salotto era stato completamente rivoluzionato dagli elfi operosi lei vi aveva preso possesso, senza nemmeno capire perché volesse considerare suo quel luogo, che aveva assistito a eventi così tragici e pesanti.
Incapace di stare con le mani in mano aveva preso ad apportare piccoli cambiamenti qua e la: “Tanto, se non gli andrà bene, potranno rimettere tutto come prima ma è assai più probabile che non se ne accorgano nemmeno!”.
Ormai la casa marciava a dovere, i cambiamenti più importanti erano stati effettuati e lei iniziava ad andare in sofferenza: desiderava uscire da li e capire cosa fare della propria vita.
Aveva accettato l’ospitalità in quella casa per far partire Lucius più tranquillo e sereno ma, non avere mai sue notizie dirette, la sconfortava in modo profondo.
Quando era arrivata a Malfoy Manor aveva trovato una pergamena, scritta rapidamente dal giovane, in cui le chiedeva di sentirsi a casa propria, di usufruire di tutto quello che le serviva, di non uscire per alcuna ragione al mondo e di avere fiducia aspettando che si facesse vivo lui.
E così aveva fatto ma, dopo tanto tempo, iniziava ad essere profondamente inquieta e a chiedersi quando lo avrebbe rivisto.
Vergognandosi profondamente, una sera in cui era riuscita a sgattaiolare fuori dalla propria stanza senza svegliare Kraffy , si era intrufolata nella stanza di Lucius.
Si era chiusa la porta alle spalle e aveva osservato la grande camera quadrata, studiando il tutto con profondo interesse: il letto era grande e a baldacchino, in legno scuro; c’erano un tappeto e un grande comò antico, una sedia e un tavolino rotondo. E basta.
Nel complesso sembrava la stanza di una persona che la usa esclusivamente per dormire e, quasi sicuramente, era proprio così.
Poi aveva notato una porta di mogano e l’aveva aperta: era la cabina armadio di Lucius.
Aveva represso un grido di sorpresa, vedendo la quantità di indumenti vi si trovavano: abiti e, soprattutto, camicie di ogni tipo e colore, principalmente di seta bianca o nera, decine di pantaloni, stivali in pelle di ogni genere, mantelli finemente decorati con alamari d’argento e lo stemma della casata, guanti di tutti i tipi, cinture e nastri per legare i suoi lunghi capelli biondi.
“E’ proprio un vanesio!” aveva esclamato e, reprimendo un sorriso, si era avvicinata alla fila ordinata di camicie e ne aveva presa una nera con i ricami in filo d’argento, come gliene aveva viste addosso decine di volte.
Poi, arrossendo per la vergogna, non aveva resistito all’impulso di annusarla per sentire se fosse impregnata del suo odore e, infine, se l’era drappeggiata addosso.
Era rimasta la, come una scema, per un tempo indefinito, beandosi della carezza della seta e del profumo di lui sulla pelle.
Aveva lasciato la stanza a malincuore, sentendosi una stupida e avvertendo la mancanza di Lucius in modo insostenibile.
Una delle cose che faceva abitualmente era quella di passeggiare per la galleria dei ritratti degli antenati dei Malfoy, passava sempre a salutare Gwen e non mancava mai di andare da Draco.
Ne studiava il volto e cercava di trovarvi delle somiglianze con Lucius, con Gwen o anche con Kerenza.
Ricordava la cotta che aveva per lui cinque anni prima e, in effetti, non era del tutto passata visto che, ogni volta che lui le rivolgeva un’occhiata, lei arrossiva e sorrideva in modo abbastanza sciocco.
Quella notte particolare si svegliò di soprassalto, con il cuore che batteva forte e un senso di agitazione profondo che la turbava, si alzò dal letto e, incapace di calmarsi o riprendere sonno, si infilò la vestaglia e uscì dalla propria stanza, scavalcando agilmente Kraffy che russava sommessamente sul suo tappeto.
Si diresse in modo quasi automatico verso la galleria dei quadri, illuminata dalla luce della Luna che ancora si stagliava in cielo, nonostante l’alba non fosse così lontana. Per prima cosa cercò conforto nello sguardo intelligente di Gwen - Proteggi tuo figlio…- le sussurrò e la donna la guardò sorridendo, poi passò a Draco e rimase li diversi istanti studiandone il volto, l’armatura elegante, il Drago morente alle sue spalle e ogni altro dettaglio che, ormai, conosceva a memoria.
- Uno di questi giorni, quel quadro lo staccherò da la e lo metterò in soffitta…- Narcissa si voltò con il cuore in gola e un guizzo di grande gioia e di puro sollievo - Con buona pace di Draco e tua!-
Lucius avanzò versò di lei rapidamente, con le sue ampie falcate.
- Lucius!- Narcissa non poteva credere ai propri occhi: lui era reale e veniva verso di lei con il suo mantello nero ondeggiante sulle spalle. - Ma quando sei rientrato?! Sei arrivato adesso? Non parti più?- lo sommerse di domande ma lui gettò per terra il suo bastone scuro e non rispose nemmeno ad una.
- Dopo…- mormorò e la prese tra le braccia, baciandola avidamente.
Le braccia la stringevano e le mani le accarezzavano la schiena, lei ricambiò i baci ma si trovò in affanno perché non le dava respiro.
- A-aspetta…- ansimò Cissy, cercando di riprendere fiato - C-così mi soffochi!- ma lui le chiuse nuovamente la bocca con un bacio, alzandola da terra nell’impeto della passione.
Lei si aggrappò alle sue spalle per non cadere e Lucius prese a baciarle il decolleté con foga, continuando a tenerla sollevata.
- Si può sapere…- Narcissa cercò di parlare ma stava perdendo la propria lotta e iniziava a soccombere al desiderio che aveva di lui - H-hai promesso...sul tuo onore…- gli ricordò, poco convinta e tanto per dire qualcosa.
- Santo cielo, donna!- la rimproverò, continuando a tenerla saldamente tra le braccia e baciandola senza posa - Dovresti saperlo che sono un uomo senza onore!-
Narcissa avrebbe tanto voluto ribattere ma non ne ebbe la forza, si aggrappò a lui per paura di cadere e lasciò che la baciasse, chiedendosi confusamente come mai fosse così appassionato.
“Perché, in fondo, lui è così…” fu un pensiero coerente che riuscì a formulare, ricordando le volte in cui l’aveva baciata o si era infuriato.
Poco alla volta, il fatto che Lucius fosse la e non si trattasse di un sogno, che fosse accanto a lei, anche se avrebbe potuto tranquillamente dire che era su di lei, visto il modo in cui le era incollato addosso, si concretizzò nella sua mente e la mancanza di lui, che aveva avvertito in quell’anno e mezzo, esplose insieme a tutta l’ansia e alla paura che aveva accumulato dentro di sé, sapendolo disperso in qualche missione potenzialmente pericolosa.
Così gli afferrò i capelli con forza, quasi con rabbia, allontanandolo e iniziando a baciarlo su tutto il viso, sulle labbra, sul collo. Lui ebbe un moto di sorpresa e la lasciò scivolare lungo il suo corpo, facendole posare i piedi a terra e si chinò su di lei per poterla dominare in altezza, sovrastandola e impedendole di proseguire in quella tempesta di baci.
- Mio dolce tesoro, se fai così rendi nulli tutti questi anni di attesa…- ansimò piano e poi lasciò scorrere lentamente lo sguardo su di lei, che indossava ancora la vestaglia sopra la camicia da notte.- Ogni volta che ti rivedo sei sempre più bella e più...calda…- le sorrise nel suo solito modo sfrontato - La lontananza ti rende più tenera!- rise piano vedendo l’espressione imbronciata e leggermente offesa di Narcissa.
Accarezzò dolcemente la seta azzurra della vestaglia e sorrise soddisfatto - Vedo che hai speso bene i miei soldi, mi compiaccio!-
- In effetti spendere i tuoi soldi mi ha dato non poca soddisfazione! Mi ha fatto sentire una sorta di mantenuta, proprio una cosa gratificante!- gli disse, ancora offesa, si mise le mani sui fianchi e poi lanciò un piccolo grido.
La vestaglia era sporca di sangue che, di certo, non era suo.
- Lucius!- si dimenticò all’istante il broncio e si aggrappò alle sue braccia - Che hai fatto?! Da dove viene questo sangue?- lo toccò sul torace e, poco sopra il fianco sinistro, sentì le dita sfiorare la seta strappata e toccò una ferita slabbrata e sanguinante.
Impallidì e lo guardò con gli occhi grigi sgranati.
- E’ una ferita profonda! Perché non me l’hai detto subito?- lo studiò in volto e notò il pallore e le labbra esangui - Che stupida, come ho fatto a non accorgermene!- si passò una mano sul viso.
- Eri troppo presa dal baciarmi, cosa che ho apprezzato profondamente, credimi!- le sorrise stancamente e Narcissa lo afferrò per il braccio, trascinandolo lontano dalla galleria.
- Dove mi porti?- le chiese, insolitamente mansueto, lasciandosi condurre dalla ragazza, che non rispose alla domanda ma continuò a marciare a passo di carica - Uff...ti preferisco come baciatrice che come infermiera…- brontolò Lucius.
Lei lo ignorò di nuovo e lo condusse nel “salotto della collana” , come lo chiamava ora che lo considerava suo.
Entrarono e lei chiuse la porta, poi lo fissò con determinazione
- Spogliati, per favore!-  gli disse e, notando l’espressione di lui, arrossì e andò ad accendere una sola candela, in modo da non avere una luce troppo forte nella stanza.
Lucius represse un sorrisetto sornione e prese a sbottonarsi la camicia con studiata lentezza, senza abbandonarla con i suoi occhi azzurri.
Narcissa divenne paonazza - Non così! Dannato uomo impossibile!-
Lui scoppiò a ridere di gusto e poi la sua risata si trasformò in un lamento di dolore.
- Lo vedi?!- gli si avvicinò e lo aiutò a togliersi l’indumento con delicatezza e, quando vide la ferita, chiuse gli occhi per un attimo - Ma c-cosa...c-chi…- prese fiato - Perché non me l’hai detto subito? Sei un incosciente!-
Lui si sedette privo di forze e lei notò che anche i pantaloni erano zuppi di sangue.
- Ma quanto sangue hai perso?!- la disperazione cominciò a impadronirsi della ragazza, che cercò di fare mente locale. - Dovremmo chiamare un medico…-
Lui la guardò con gli occhi velati - Mi dispiace farti preoccupare, credimi.- le sussurrò - Ma non posso allertare nessuno perché nessuno deve sapere che mi trovo in Inghilterra…sto rischiando molto...- si fissarono e lei capì che una sola persona non doveva sapere del suo ritorno: una sola maledetta persona.
Represse la rabbia che sentì montare dentro di sé e cercò di non far trapelare l’odio misto a rancore che provava per il mago che teneva tutte le loro vite in scacco.
Glielo aveva già detto una volta e sapeva che avrebbe rischiato di perdere definitivamente Lucius manifestando quei sentimenti e, solo l’idea di perderlo…
- Bene - cercò di non rendere la propria voce troppo fredda - C’è una cosa che posso tentare per fermare l’emorragia e ridurre la ferita, ma è una cosa complessa e l’ho vista fare solo una volta...anche se poi me la sono fatta spiegare...- gli scoccò uno sguardo di sfuggita - Vado a prendere la mia bacchetta, arrivo subito - si alzò e lui la trattenne, afferrandole la mano.
Narcissa cercò di non guardare il marchio nero, che spiccava sulla pelle bianca di Lucius, e lo fissò nei suoi occhi chiari e sofferenti.
- Ritorno tra un attimo…- gli sussurrò, addolcita, e si chinò a baciarlo leggermente sulle labbra.
Lui fece per dire qualcosa ma Cissy era già uscita, lasciandolo solo.

 

(Vent’anni prima)

 

Malfoy Manor aveva lasciato Evan a bocca aperta quasi quanto la sua padrona, era un casa talmente grande e lussuosa che lui si era sentito davvero piccolo, con il suo misero bagaglio al seguito.
Abraxas l’aveva accolto freddamente e il bambino aveva compreso di trovarsi lì, solo ed esclusivamente, grazie a Gwen.
Lei gli aveva mandato incontro suo figlio: un bimbetto esile vestito in modo assurdamente ricco, con un volto talmente fine e delicato, incorniciato da un caschetto di capelli chiarissimi, da sembrare una bambina.
- Mi avevi detto che era un maschio!- era sbottato, rivolgendosi alla sua benefattrice senza alcuna cortesia - Non voglio far compagnia ad una femmina!-
Lucius aveva socchiuso gli occhi e non aveva detto nulla, mentre Gwen chiariva l’equivoco.
Poi, una volta che Abraxas si era assentato dalla stanza, il bambino che pareva una femmina gli si era avventato contro e gli aveva inferto un rapidissimo calcio all’altezza del ginocchio, sul retro per essere esatti, facendolo cadere rovinosamente.
- Sono un maschio, io!- aveva detto, stringendo i suoi piccoli pugni - E tu sei mio ospite, ti facciamo la carità!-
- Lucius!- Gwen l’aveva rimproverato duramente e si era precipitata a soccorre Evan ma lui si era alzato di corsa, avventandosi su quel moccioso effeminato.
Se l’erano date di santa ragione finché Gwen non aveva rovesciato sulle loro teste calde un catino di acqua gelida, fatto comparire dal nulla.
Non era stata né la prima né l’ultima volta che si erano azzuffati ma, da quel momento in avanti, si erano ben guardati dal farlo davanti a lei.
E poi, pian piano, erano diventati davvero come due fratelli e i momenti in cui erano stati costretti a separarsi, visto che Abraxas mal lo tollerava sotto il suo tetto, erano diventati dolorosi mentre i momenti in cui si erano potuti ritrovare erano stati di grande gioia, mal celata dietro ad una cortina di orgoglio da ambo le parti.
Poi lei era morta e loro erano cresciuti, ognuno nel proprio modo distorto.

 

(Presente)

 

Evan stava in piedi davanti alla capanna di legno che gli aveva fatto da casa in quegli ultimi mesi.
Una bella differenza da Malfoy Manor ma, del resto, lui non aveva mai avuto una vera casa e quello era il massimo che aveva potuto concedersi contando sulle proprie forze.
Sorrise e poi, con un delicato movimento del polso, agitò la bacchetta e dette fuoco a quella capanna da pezzente.
- Ragazzo, vuoi dare fuoco a tutte le paludi o volevi solo farti trovare più facilmente?-
Il sorriso di Evan si fece più ampio.
Si voltò leggermente e fissò con affetto l’uomo che lo teneva sotto tiro con la sua bacchetta.
- Al, vecchio mio!- la voce era carica di simpatia - Se io non avessi voluto farmi trovare voi non mi avreste mai stanato lo sai, si? Sono anni che mi cerchi, te l’ho già detto che sei peggio di una donna innamorata: non mi dai respiro e mi tieni sempre gli occhi addosso! Ma, e ti ho già detto anche questo, non sei il mio tipo!-
Alastor Moody sorrise divertito.
- La tua latitanza è finita, ragazzo. Arrenditi senza crearci problemi e nessuno si farà male...Coraggio, lascia la bacchetta, sei sotto tiro.-
Il sorriso di Evan si fece ancora più ampio mentre il riverbero delle fiamme, che stavano divorando al capanna, lo illuminavano in modo sfavillante.
- Al, sei sempre così...retto, onesto....così corretto! Riesci sempre a commuovermi.- sospirò e volse lo sguardo poco oltre le spalle dell’Auror - C’è un’altra cosa che ti ho sempre detto, Al...- il sorriso si spense pian piano e Moody impugnò più saldamente la bacchetta, colto da un presentimento.
Il movimento di Evan fu talmente fulmineo che Moody reagì con un secondo di ritardo e, all’improvviso, il dolore gli esplose in faccia facendolo gridare contro la propria volontà.
Quasi contemporaneamente uno schiantesimo sfiorò Evan e lo fece indietreggiare con un salto.
- Ti avevo detto che ti avrei strappato quel tuo assurdo bel nasino da quella brutta faccia, Al!- urlò Evan ridendo forte e si nascose, con un altro salto, dietro ad un grande masso, evitando per un pelo un altro schiantesimo potentissimo.
Moody si era accasciato con il volto in frantumi, in naso tranciato e il sangue che gli bruciava negli occhi e ora era la, incapace di rialzarsi, nonostante la sua tempra notevole.
Riuscì solo ad emettere dei lamenti, cercando di riprendersi da quel dolore che lo accecava e gli impediva di ragionare.
Improvvisamente la collega che lo accompagnava fu al suo fianco, facendogli da scudo con il suo corpo e tenendo la roccia sotto tiro.
- Rosier! Esci e non essere vigliacco! Abbiamo gettato un incantesimo anti-smaterializzazione nel raggio di quaranta metri! Consegnati a noi e avrai salva la vita!- la ragazza aveva una voce determinata e non perdeva d’occhio il rifugio del Mangiamorte - Moody, cerca di andare a ripararti, ci penso io!- gli sussurrò.
- Do! Dod eddere ttupida!- l’uomo non riusciva a parlare e respirare contemporaneamente e continuava a perdere sangue copiosamente dal moncherino del naso.
Lei gli dette una spinta e si mise in piedi, con gli occhi accesi di una luce piena d’odio.
- Do!- Al cercò di rialzarsi ma lei lo spinse di nuovo e lo fece cadere malamente.
- Rosier! Esci o faccio esplodere quel sasso! Arrenditi!- la ragazza stringeva la bacchetta spasmodicamente.
Un secondo dopo una luce verde attraversò letteralmente la roccia con una potenza inaudita e la sfiorò appena, lasciandola esterrefatta e consapevole di aver rischiato la morte in un secondo.
- Reducto!!- urlò con quanto fiato aveva in gola e la pietra, dietro la quale stava Evan, si frantumò, esplodendo in mille pezzi.
Il giovane si gettò di lato e rotolò rimettendosi in piedi, sorridendo e brandendo la sua bacchetta.

 

“Seppelliscimi accanto a mia madre…”

 

“No, Lucius! Sei un maledetto e furbo bastardo, ma sarò io ad incontrare per primo Gwen, almeno questa volta starò accanto a lei prima di tutti voi!” pensò il giovane e roteò il polso ma, prima ancora che potesse fare qualsiasi altra cosa, la luce verde lo colpì in pieno petto e lui l’accolse a braccia aperte, stramazzando al suolo.
Il sorriso continuò ad aleggiare sul suo bel viso anche mentre la vita abbandonava i suoi occhi scuri.

 

Là, tra i rami spezzati, passano i corvi

del pensiero senza requie;

volando, gridando, qui e là,

con i loro artigli crudeli e la gola vorace,

oppure rimangono immobili a fiutare il vento,

e scuotono le loro ali cenciose, ahimè!

I tuoi teneri occhi perdono la loro dolcezza:

no, non guardare più in quello specchio amaro.”

 

La giovane Auror respirò a fondo e rinfoderò la bacchetta, poi corse dal suo compagno per accertarsi del suo stato di salute.
Lui alzò una mano e la bloccò, quindi si rialzò tamponandosi il volto con un fazzoletto, nel tentativo di bloccare l’emorragia.
- Don dovevi…- sussurrò con la voce colma di dolore, osservando il volto giovane e ancora pieno di rabbia della sua collega - Pedché Hellen?-
Lei contrasse il volto in un moto di autentica sofferenza.
- C’era anche lui quella notte e, forse, è stato proprio Rosier ad uccidere Michael...forse ha ucciso anche il Dott. Jones, non è una gran perdita e, se non l’avessi ucciso io, ci avrebbe uccisi lui.- la riposta non ammetteva repliche e la donna si voltò, allontanandosi per chiamare soccorsi e spegnere l’incendio della capanna.
Moody si avvicinò al corpo esanime di Evan e lo osservò per qualche istante, dimenticando il dolore al volto.
“Ragazzo...perché hai gettato via la tua vita?” pensò, osservando il viso quasi felice del giovane e la mano che ancora stringeva un semplice ed innocuo legnetto.
Si tolse il suo pesante cappotto di pelle e lo drappeggiò pietosamente sul corpo di Evan coprendo anche il suo bel volto, sul quale aleggiava un lieve sorriso.



(Malfoy Manor)
 

Lucius si svegliò di soprassalto, quando sentì la porta aprirsi delicatamente, e capì di essersi addormentato.
Narcissa gli rivolse un piccolo sorriso e poi si inginocchiò accanto a lui, quindi posizionò la propria bacchetta a pochi millimetri dalla ferita, reggendola con entrambe la mani alle due estremità.
- Sei certa di quello che fai?- le chiese, con la voce arrochita dalla debolezza e anche lievemente preoccupata.
- Niente affatto - disse la ragazza a denti stretti - Ma non mi sembra che abbiamo tanta scelta.-
La luce nella stanza era soffusa e lei iniziò a muovere lentamente la bacchetta seguendo la linea della ferita e, contemporaneamente, iniziò a decantare una sorta di cantilena, mordendosi le labbra nel tentativo di rammentare le esatte parole che, ogni tre strofe, si ripetevano ipnoticamente.
Lucius riconobbe l’incantesimo all’istante e le gettò uno sguardo sorpreso; Narcissa avvertì il moto di stupore del ragazzo e il suo irrigidirsi e, maledicendo se stessa e benedicendo la semi oscurità, si sentì arrossire pericolosamente.
Cercò di concentrarsi, era faticoso ma, con sua somma gioia, il tutto sembrava funzionare a dovere e la ferita iniziò a ridursi e a smettere di sanguinare; pian piano la pelle prese a guarire e, dopo quasi venti minuti, si chiuse del tutto, lasciando solo un segno rosato sulla pelle diafana.
Narcissa sospirò, sentendosi stanca come se avesse corso dieci miglia.
Cadde il silenzio e lei non osò sollevare lo sguardo: in uno di quei rari momenti in cui sembrava carpirne perfettamente i sentimenti e i pensieri, comprese che lui era infastidito.
Si morse di nuovo le labbra e, tanto per fare qualcosa, passò delicatamente e lentamente le dita lungo il graffio ancora visibile, come per accertarsi che fosse effettivamente chiuso.
Le fece scivolare in su e in giù, sfiorando appena la pelle calda di Lucius, poco sopra il fianco.
Lui sussultò lievemente, gemendo piano, e Cissy sollevò lo sguardo preoccupata - Scusami, ti ho fatto male?-
Il giovane strinse le labbra reprimendo un sorrisetto e la fissò negli occhi - N-non esattamente…- aveva una gran voglia di ridere e, questa volta, il viso della ragazza avvampò in modo inequivocabile.

 

Amore, guarda dentro il tuo cuore,

l’albero santo è lì che sta fiorendo;

dalla gioia i santi rami si partono,

e tutti i frementi fiori che essi sostengono,

rammentando quella gran chioma agitata dal vento

e come sfrecciano i sandali alati

i tuoi occhi si colmano di tenerezza:

guarda, guarda dentro il tuo cuore, amore mio. “

 

Si fissarono negli occhi qualche istante e poi lei si sollevò leggermente sulle ginocchia e posò le sue labbra su quelle di lui, che la strinse a sé baciandola con dolcezza.
Pian piano il bacio divenne più profondo e sensuale, durando diversi minuti.
Si staccarono di pochi millimetri, la ragazza poteva sentire il proprio corpo ardere e il cuore battere forte in profondità.
- Sposami…- le sussurrò Lucius, accarezzandole dolcemente il viso.
- ...si…- mormorò Narcissa e posò la mano sulla sua, bloccandola contro la propria guancia.
La fiamma della candela si spense del tutto, mentre il chiarore dell’alba inondava la stanza con la sua luce vivida e pura.

 

Fine cinquantasettesimo capitolo.

 

* Si tratta della poesia “The Two Trees” scritta nel 1892 dal poeta irlandese William Butler Yeats, che la dedicò a Maud Gonne, una bella attrice, femminista e rivoluzionaria, che aveva donato il suo cuore all’Irlanda. La donna non volle mai ricambiare questi sentimenti ma lui l’amò per tutta la vita.
Questa poesia è stata messa in musica dalla splendida Loreena McKennitt, grande arpista ed interprete di musica celtica, che personalmente adoro.
I
l significato della poesia è spiegato più o meno dalle parole che Gwen rivolge a Evan: i due alberi contrapposti sono simbolo di dualità dell’animo umano.
Lo specchio di cui si parla è quello che venne forgiato da Satana mentre Dio riposava e rappresenta l’albero della conoscenza, una volta creato l’uomo perse la propria innocenza e ne trasse il libero arbitrio, ossia: il peccato.

 

Angolino simpatico (ossia le note dell’autrice): E’ stata dura dire addio ad Evan ma il suo destino si è compiuto o, se vogliamo dire, lui ha scelto il modo in cui farlo compiere...il libero arbitrio...meditate gente, meditate...a presto!! Buona vacanze, ferie, mare, sole o quel che sia. Divertitevi che settembre giunge in fretta!

  
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