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Autore: Nymeria90    20/06/2016    0 recensioni
La mia storia è una sorta di autobiografia di Hawke con qualche appunto di Varric.
L'intenzione è di ripercorrere tutta la sua vita: dal suo primo ricordo fino agli eventi di DA Inquisition.
" [...] Hawke tiene a te tanto quanto tu tieni a lei. Non ti ha dimenticato. Ma so che le parole non ti convinceranno, non le mie, almeno. Credo sia arrivato il momento che tu riceva la tua eredità.
Hawke me l’affidò prima che partisse per la fortezza dei Custodi Grigi, nel lontano Nord.[...] Mi ha affidato quest’oggetto perché io te lo consegnassi, cito testualmente “al momento opportuno”. Quel momento, secondo la mia modesta opinione, è arrivato. [...] L'eredità di cui parlo è il suo diario."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hawke, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Hawke
 
Mentre richiudevo la porta e pensavo al mio “paziente” inerme nell’altra stanza, elencai nella mia mente tutta una sfilza di ottime ragioni che avrebbero giustificato una mia azione violenta nei suoi confronti. Avrei persino potuto motivare la sua morte agli occhi dei suoi compagni templari e, chissà, forse persino di mio padre.
Non ero una guaritrice, l’avevo subito messo in chiaro, e la mia diagnosi era assolutamente superficiale. Se aveva un’emorragia interna, cosa che non avevo completamente escluso, non c’era nulla che potessi fare per salvarlo; se invece la mia diagnosi era corretta avrei potuto facilmente, con un guizzo del pensiero, provocargliene una. Chi avrebbe mai scoperto che ero stata io a causarla e non l’orso? La mia sola colpa sarebbe stata una diagnosi sbagliata.
Ero fisicamente in grado di ucciderlo e sapevo di doverlo fare perché era un templare ed era mio nemico. Ma era anche un ragazzo con la faccia allungata e grandi occhi scuri pieni di paura.
Non aveva fatto niente per meritare il mio odio e, onestamente, non avevo alcun motivo reale per detestare i templari. Ero cresciuta scappando dalla loro ombra ma ogni volta che mi ero imbattuta in uno di loro, come quel pomeriggio, non erano mai stato altro che gentili con quella che per loro era una semplice ragazza di campagna.
All’epoca in me convivevano due persone diverse: la maga e la giovane donna. Per la maga i templari erano una minaccia da eliminare, per la donna dei semplici guerrieri che non le avevano mai fatto nulla di male.
Ma tutte le mie elucubrazioni filosofiche sfumarono quando entrai nella stanza e vidi che stava cercando di alzarsi. Corsi da lui, non per fargli del male, ma per aiutarlo. Fu in quel momento che capii che non ero in grado di uccidere per un ideale. Non ancora.
- Non devi muoverti.- lo rimproverai – Non sappiamo ancora se sei fuori pericolo.-
Lui impallidì – Ma tu hai detto …-
- Io ho detto quello che penso che tu abbia. Ma non sono un medico.- gli appoggiai una mano sulla spalla e lo costrinsi a sdraiarsi di nuovo – Dovrai avere pazienza finché non torna mio padre.-
Il ragazzo sospirò – Credi che sarò il primo templare ucciso da un orso? Non è una morte di cui essere fieri.- sembrava più avvilito che spaventato.
Presi una fiasca di vino e gliela porsi – Esistono morti di cui si può andare fieri?-
Lui bevve un lungo sorso – Quelle che diventano leggenda. Quelle degli eroi morti per combattere il male.- mi porse la fiasca che mi portai alle labbra. Il vino era acidulo e caldo, eppure mi parve delizioso.
- E tu per quale atto eroico vorresti essere ricordato?-
Non lo sapeva, ma dalla sua risposta dipendeva la sua vita.
In nostri sguardi s’incrociarono: aveva gli occhi di un uomo buono, non ancora corrotto dai mali del mondo.
- Per aver salvato delle vite. Per aver compiuto il mio dovere. Per aver protetto gli indifesi da quello che c’è là fuori.-
Abbassai lo sguardo sulle mie mani – Cosa c’è là fuori di così terribile, giovane templare?-
Lo sentii sospirare – Gli uomini.-
Lo fissai, piena di stupore: non era la risposta che mi ero aspettata, ma mi piaceva. Mi piaceva molto.
Era la risposta che avrei dato io.
Gli sorrisi e questa volta sinceramente, senza doppi fini o oscure intenzioni da mascherare. Mi stava simpatico quel ragazzo dalla faccia allungata che indossava un’armatura di cui, all’improvviso, non mi importava più nulla.
- Non ci siamo ancora presentati a dovere.- sussurrai, sentendo un insolito calore salirmi al viso.
Lui mi porse una mano e sorrise. Un sorriso che lo faceva sembrare più maturo, più uomo – Ser Eric Darnley.-
Ricambiai la sua stretta: era energica e decisa – Etain Hawke.-
- Grazie.- mormorò lui, lasciandosi andare sui cuscini.
- Per cosa?-
- Per avermi aiutato anche se non eri tenuta a farlo. Per esserti presa cura di me, anche se non sapevi come fare. Non lo dimenticherò.-
Arrossii e mi alzai. Provavo più vergogna che imbarazzo. Lui non sapeva le orribili cose che avevo pensato mentre io, purtroppo, non potevo cancellarle.
- Non ho fatto nulla per cui tu debba ringraziarmi.- andai alla finestra e chiusi le imposte, sprofondando la stanza in una penombra illuminata solo dal flebile bagliore di una candela consumata – Cerca di riposare Eric.-
- Sei preoccupata per me?- nella sua voce percepii una lieve sorpresa.
Mi avvicinai alla porta e alzai lo sguardo – Sì. Desidero il tuo bene, Eric Darnely.- mi stupii nel rendermi conto che era la verità: non volevo che lui morisse – Sei una bella persona, questo mondo ha bisogno di te.-
Lo pensavo davvero: il mondo aveva bisogno di lui.
E anch’io.
 
Varric
 
Non c’è nulla di più paradossale dell’amore tra un mago e un templare, eppure lo vedo accadere continuamente. Penso a Cullen e all’Inquisitrice. Un uomo che ha visto il peggio della magia e una donna che ha subito le più atroci umiliazioni dai templari. Li ho visti odiarsi intensamente e poi amarsi perdutamente.
Ma non è un amore su cui scriverei un romanzo. Non uno a lieto fine.
 
Hawke
 
Lo stupore di mio padre nel trovarsi un templare in casa fu smisurato. Non riusciva a capacitarsi che, proprio io, avessi aperto le porte del nostro regno al nemico di sempre. Mi resi conto quel giorno che lui aveva temuto, fin dalla mia prima scintilla magica, che io fossi esattamente il tipo di persona che, per un istante, avevo rischiato di essere: un’assassina. Ma ero ancora ingenua e innocente come una bambina. Non conoscevo il male anche se l’avevo corteggiato da vicino.
Passata l’iniziale sorpresa Malcom Hawke si comportò come sapevo si sarebbe comportato: si prese cura di quel templare che ai suoi occhi era solo un ragazzo. Mi fece persino i complimenti perché la mia diagnosi era corretta e per aver mantenuto la calma in un frangente così delicato.
Il più turbato dalla presenza del templare fu Carver: non riusciva a capire perché dessimo asilo all’incubo della nostra infanzia.
- Questo ci porterà solo sventura - mi disse la mattina successiva mentre eravamo fuori a raccogliere legna - Aprendo la nostra casa ai templari hai condannato la nostra famiglia.-
Risi delle sue paure, mi presi gioco di lui - Che pericolo corriamo con un così prode spadaccino a vegliare su di noi?- lo provocai, stuzzicandolo proprio laddove sapevo che gli faceva più male: nelle ore passate a esercitarsi con uno stecco di legno, alla disperata ricerca di un talento con cui distinguersi per sfuggire all’ombra, soffocante, delle sue sorelle maghe.
Carver non mi rispose, si limitò a lanciarmi un’occhiata di fuoco e rientrare in casa, le braccia cariche di pezzi di legno.
Attraverso la porta socchiusa intravidi Eric muovere i primi passi, sorvegliato dall’occhio attento di mio padre; i nostri sguardi s’incrociarono per un istante: io sentii le ginocchia cedermi e i ciocchi di legno appena raccolti mi sfuggirono dalle mani mentre tentavo un goffo saluto.
Fino a quel momento non sapevo cosa fosse l’amore.
Avevo letto qualcosa nei libri, avevo sentito mia madre parlarne ridacchiando con le sue amiche, ma nessuna parola né scritta né orale mi aveva preparata alla burrasca che sconvolse la mia anima solitaria.
A diciotto anni ero ancora inesperta e goffa come una bambina qualunque. D’altronde non avevo mai avuto occasione di confrontarmi da vicino con altri esseri umani prima dell’arrivo di Eric.
Non conoscevo quel ragazzo, non sapevo nulla di lui: se fosse permaloso o facile al perdono, irascibile o mansueto, arrogante o modesto. Non m’interessava. Sapevo solo che quando incontravo il suo sguardo, anche solo per un istante, il resto del mondo diventava sfocato e non c’erano più maghi e templari, non c’erano più i miei fratelli, non c’era più lo sguardo indagatore di mia madre puntato su di me. C’era solo quel ragazzo e la gentilezza del suo sguardo.
Quanto può essere stupido l’amore? Quante cose sciocche si compiono in suo nome?
  
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