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Autore: Doineann    22/06/2016    4 recensioni
Porto Rico, inizi del diciassettesimo secolo.
San Juan è una città portuale, teatro della vita di soldati, marinai e pirati. Tra le tante meraviglie che la città vanta, vi racconterò della nascita della leggenda del fantasma di Borikén e del suo amore per il mare.
BRITTANA, non escludo accenni ad altre coppie.
Pirate!Santana; Mermaid!Brittany
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per amor della sua sanità mentale, aveva deciso di tenere il cappello senza chiedere troppe spiegazioni in giro. Non dovette neanche domandare a Puck se quello scherzetto era stato opera sua, perché quando rincasò con quell’accessorio tra le mani le prime parole dell’ebreo furono «Per la bandana di Barbanera, non posso crederci! A chi hai fregato quel cappello, zappaterra fortunata?» 

Certo, l’idea che quella sua presunta allucinazione fosse in realtà accaduta realmente non era più allettante di quanto lo fosse la possibilità di una burla del destino, specie perché se fosse stato un dono di Puck o di qualche abitante del paese non avrebbe dovuto torturarsi al pensiero dell’esistenza delle sirene. 

Apprese, dopo una lunga consultazione con l’amico che osservava il cappello come il più grande tesoro, che era sicuramente appartenuto ad un pirata, perché “le donnine della marina britannica non hanno tanto buongusto” . Dalla condizione della stoffa, a dir di Noah, doveva trattarsi del copricapo di un pirata di ottimo calibro, proveniente da un’altra terra. “Non ne fanno di gioiellini del genere nei Caraibi”.

Santana pur di sbarazzarsi dell’oggetto che la costringeva a ricordare la non-più-allucinazione avuta in mare, si era offerta di regalarlo all’amico, che a giudicare dagli amorevoli commenti e complimenti che indirizzava al cappello sembrava apprezzarlo molto più di lei. Per sua sfortuna, Noah aveva rifiutato la sua offerta. Riteneva che fosse più appropriato sulla testa del fantasma di Borikén che su quella di un apprendista fornaio con un debole per l’oceano, e dire che Santana aveva evitato di nominare la sirena nel suo racconto anche per evitare che la superstizione di Noah potesse essere usata come pretesto per rifiutarsi accettare quel dono di seconda o terza mano. All’amico non aveva confessato tutta la verità anche perché mostrare le sue debolezze era un comportamento che la latina aveva sempre ripudiato. 

Tuttavia, non era riuscita a nascondere sufficientemente bene la sua preoccupazione in merito all’accaduto, così fu costretta a confessare di aver avuto un qualcosa di vagamente familiare ad un malore al largo. 

Dapprima Noah si era offerto - per meglio dire, le aveva imposto - di mollare quello straccio di lavoro che aveva guadagnato con impegno per dedicarsi interamente a Santana: non s’era mai vista una ragazza veleggiare nella vastità dei mari da sola. Anche ai mozzi, nelle stive e sui ponti che pulivano quotidianamente, spettava un compagno. Puck avrebbe preferito veder dannata la sua anima piuttosto che favorire le condizioni perfette per la scomparsa della ragazza tra le onde affamate di lupi di mare.

Santana ne fece una tragedia: non si era mai fatta mettere i piedi in testa da un uomo e non avrebbe certo cominciato da quell’energumeno. Le urla di rabbia provenienti da casa Lopez risuonarono con forza nel quartiere di San Juan Adjacent e per dimostrare che faceva sul serio la latina gli tenne in muso per tutta la sera, rifiutandosi inoltre di parlargli. Puck, in un tentativo disperato, provò a buttarla sulla sicurezza, perché di quello si trattava, ma la mora non vide ragione. Per quanto lui cercasse di farle capire che la reputava al pari di un uomo, questa continuava a dargli contro sostenendo che quell’improvvisa scenata fosse dovuta a null’altro che al senso di superiorità sessista del ragazzo.

Per l’ennesima volta fu Noah a fare un passo indietro, come aveva dovuto fare in numerose occasioni dalla nascita della loro amicizia. Essendo il senso di protezione verso Santana maggiore del suo orgoglio personale, l’ebreo le propose un compromesso accomodante per entrambi. Santana giurò, croce sul cuore, di esternare senza vergogna i momenti di debolezza fisica e Noah in cambio le promise di prendersi cura di lei sulla terra ferma. Quello era l’unico strumento in mano al ragazzo: stabilire assieme all’aiuto del medico del paese un tempo ragionevole di “riabilitazione” da trascorrere a terra in seguito a manifestazione di cedimenti del suo fisico.

Così, il giorno seguente, Santana fu costretta a restare sulla terra ferma. Attese con molta impazienza il ritorno di Noah dal lavoro, non riuscendo ad ingannare l’attesa in nessun modo. Era come se la vita senza il mare, per lei, fosse priva di emozioni. Si era alzata di buon ora per dare una ripulita alla casa che, fino a quel momento gestita dal ragazzo, cominciava ad assumere le fattezze di un porcile. Per quanto lavoro ci fosse da fare, in breve tempo la ragazza si ritrovò con le mani in mano a fissare il soffitto. 

Ad ogni modo, pur dopo un tempo che le parve infinito, Noah rincasò e senza neanche perdere un minuto per pranzare porse il braccio alla latina, che lo prese con riluttanza, e l’accompagnò fino alla casa dei curatori della città. 

H. y L. Berry leggeva l’insegna fatiscente inchiodata sopra alla porta. Santana ricordava cosa le aveva detto sua padre una volta su quei due.

Hiram e LeRoy erano giunti all’isola da ormai dieci anni e si diceva che fossero cugini alla lontana, con lo stesso cognome. Non avendo tracce alcune della loro vita prima dello sbarco in Porto Rico, i nativi furono costretti a credere a quello che i due guaritori, o meglio medici come preferivano essere chiamati loro due, dicevano quando interrogati sulla loro vita personale. 

Erano due persone per bene, riservate sì, ma con un gran cuore. Anche loro erano ebrei come Noah, ma a differenza sua i due avevano deciso saggiamente di insediarsi nel ghetto ebreo della città per comodità di professione. I portoricani, coloni spagnoli, non amavano vedere sbandierate fedi diverse da quella cristiana ed il fatto che gli ebrei si radunassero quasi in segretezza aiutava la convivenza generale, che alle volte manifestava comunque qualche screzio.

Quando Hiram e LeRoy giunsero a San Juan, con loro v’era anche una bambina della stessa età di Santana, dal carattere egocentrico e, per essere una femmina, un po’ troppo estroverso. Rachel Berry era figlia legittima di Hiram, dal quale la gente diceva non avesse preso neanche un capello, e viveva come immaginabile assieme al padre e allo zio, che non mancava mai di chiamarla e trattarla come una figlia. Non era raro sentire LeRoy richiamare l’attenzione della mora con un dolcissimo mija

I due misero su in fretta uno studio di cura aperto a tutti. Nonostante la religione differente, grazie alle conoscenze mediche dei Berry, sconosciute agli altri guaritori di San Juan, quel posticino divenne presto il centro di cura più frequentato della città portuale. Ciò aiutò moltissimo i Berry economicamente e socialmente, fu solo dopo essersi affermati come dottori rinomati che i tre cominciarono a vivere pienamente della vita politica ed artistica della capitale. 

«Noah! Cos’hai combinato questa volta? Ha di nuovo lasciato la mano sotto al – Doña Lopez!» La ragazza spuntata da dietro la porta per accogliere i nuovi pazienti di suo padre interruppe il suo monologo alla vista di Santana. Le aveva sempre incusso una specie di timore quella fanciulla dagli occhi neri privi di sensibilità. Squadrò per ben due volte la strana coppia che aveva davanti prima di farsi da parte, mettendosi a lato della porta. «Vi prego di perdonarmi, giuro di non aver perso le buone maniere. Per favore, accomodatevi.» 

I due fecero come detto e mentre Puckerman s’intratteneva a parole con la giovane Berry, Santana girovagò con lo sguardo all’interno della sala d’aspetto. La stanza in questione non era niente meno che il salotto di Hiram e LeRoy. La casa infatti era strutturata su due piani: quello inferiore veniva usato come studio medico vero e proprio, mentre al piano alto c’erano le stanze da letto dei tre. 

Davanti agli occhi di Santana, proprio di fronte a lei, c’era un clavicembalo premuto contro il muro. Aveva sentito dire che la ragazza lo suonasse per ingannare l’attesa dei parenti intrappolati nella sala, in attesa di notizie dei familiari trattati da Hiram e Leroy. Attaccati alle pareti, invece, c’erano diversi dipinti  raffiguranti paesaggi immaginari, esistenti solo nella fantasia di LeRoy, visto che ne portavano la firma. In opposizione allo strumento musicale si trovavano le scale che portavano al piano superiore e a fianco al primo scalino c’erano due panche di piccola misura, Santana si era messa a sedere su una di quelle.

«Avviso subito mio zio del vostro arrivo.» Sentì dire da Rachel, che come un gatto salì le scale per richiamare LeRoy. Era lui, solitamente, ad occuparsi dei casi meno gravi, ossia di tutti coloro che si presentavano alla loro porta con gli arti ancora attaccati alle giunture corrette e privi di sanguinanti visibili. Hiram, invece, si occupava del resto. 

«Potremmo prendere spunto da qua per casa nostra, ‘Anita.» Suggerì Noah, sedendosi accanto a Santana. 

«Casa mia è perfetta così com’è. Se non ti piace puoi sempre tornare a vivere dove vivevi prima.»Brontolò in risposta la mora, tropo irritata dall’intera situazione per rispondere pacatamente all’idiozia dell’amico.

Noah si ammutolì e rimasero in silenzio finché Rachel e LeRoy non si fecero vivi. Assieme, tutti e quattro, si accomodarono nello studio del pian terreno     dove dissero abbondantemente della situazione di Santana.

«Non è raro che accada tra la gente del mare.» Aveva inizialmente decretato l’uomo dai capelli ricci e la carnagione olivastra. «Immagino che i vostri pasti siano composti principalmente da pesce?» 

«Esclusivamente.» Si era intromesso Noah, che proprio non poteva stare con la bocca chiusa. «Non i miei, signore, io so variare. Accetto il pane e le verdure che la terra offre, ma lei è un palato difficile da accontentare.»

Santana aveva messo su un bel broncio, indispettita, ma non era bastato a scamparle l’amara diagnosi con conseguente cura: una dieta più corretta e completa per attrezzare il suo corpo di tutta la forza necessaria a tenerla in piedi anche sotto al sole cocente e la completa astensione dalle acque del mare per almeno una settimana. 

«Dovete riposare, pequeñita, se volete rimettervi in sesto.»

Sulla porta, come colpo di grazia, Rachel la congedò dicendo:«Non dovete preoccuparvi, il tempo passerà prima ancora che possiate accorgervene. Verrò a farvi visita giorno per giorno!»

Santana si era sentita morire. Le risposto che non era necessario, ma la giovane ebrea non sentì ragioni. 

Quelli furono i sette giorni più lunghi della sua vita. Rachel arrivava ogni giorno alla stessa ora e per quanto la sua compagnia fosse meglio di nessuna compagnia, la latina non riusciva a non considerare  come pura tortura i periodi di tempo a contatto con quella ragazza logorroica. Era certa che a fine giornata, pur non avendo fatto niente, era più stanca di quanto sarebbe stata se solo fosse uscita a pescare. Le uniche note positive arrivavano quando la piccola Berry anziché inondarla di parole le chiedeva di parlarle del mare, unico luogo in cui per mancanza di coraggio e di possibilità non era mai stata.



Dopo una settimana trascorsa lontano dal suo unico grande amore, la latina non poteva dire di sentirsi realmente rigenerata né felice e come un assuefatto all’oppio in astinenza, la mattina dell’ottavo giorno aveva deciso in gran segretezza di tornare al molo per ricominciare la sua mansione. 

Era uscita prestissimo e si era mossa nel silenzio più religioso: non aveva nessuna intenzione di svegliare quell’orso di Noah che sicuramente avrebbe tentato di dissuaderla e fermarla, facendole perdere tempo prezioso.

Il cielo era cupo, non per l’assenza del sole che ancora doveva nascere ma per i grossi nuvoloni di tempesta che appesantivano l’orizzonte. Ma a Santana, che per sette estenuanti lunghe notti non aveva toccato l’acqua salata dell’isola e si era sentita morire giorno dopo giorno, tutto ciò non importava. 

Il mare era sempre stato gentile con lei e lei non era una stolta. Sapeva quando rispettare le sue leggi, sapeva quando realmente era necessario portare la barca a riva al riparo dalle onde, conosceva la potenza del mare in burrasca e quel cielo non le sembrava richiedesse tali misure. 

Sopra San Juan la volta celeste non gridava morte e distruzione. Pittoresco, si disse mentre armeggiava per slegare la cima che teneva Bailarina vincolata al molo. Era vero, se non altro il paesaggio aveva acquisito quel gusto in più che i villeggianti Spagnoli tanto amavano. 

Nero sul cielo lontano, azzurro misto a grigio sopra alla sua testa. Qualche barchetta come la sua ormeggiata in porto, le ombre dei marinai assopiti solo immaginabili lungo il legno del molo. Poi lui, il mare, oggetto di ogni suo pensiero: un deserto di blu intervallato dalla schiuma bianca delle onde che s’infrangono l’una sull’altra. 

Avrebbe piovuto? Con ogni probabilità. Le onde sarebbero diventate grandi? Sicuramente, ma la latina contava di avere almeno un paio di ore prima che tutto ciò accadesse ed era decisa a sfruttarle al meglio. 

Con il cappello in testa salpò alla volta del mare aperto, se non raccogliere i frutti di una grande pesca almeno per godere della quiete che la distesa di blu aveva da offrire. 

Don Comacho le aveva ripetuto allo sfinimento che un vero pescatore ha fiducia nel mare e accetta le sue scelte e le sue sfide. Un pescatore non si oppone al suo destino perché giorno dopo giorno gli abissi portano alle loro reti i loro frutti, vite e vite di esserini squamati senza i quali un uomo come lui, e adesso una donna come lei, perirebbero in breve tempo. Le aveva detto che capitava quindi che, in cambio di tutta questa gentilezza, l’anima del mare prendesse qualche nave, per tenerne i tesori rubati, o la vita di qualche uomo sciagurato, che pagava il prezzo per l’intera umanità. 

Il vecchio lo aveva visto più volte: navi spezzate dalla forza delle onde, uomini a mare trascinati in basso dalla corrente. 

Per gentilezza o per dimostrare l’apprezzamento del pasto, capitava anche che la distesa blu sputasse qualche vestito, pezzi d’indumenti. 

Dà qualcosa su cui piangere alle vedove, diceva, e qualcosa da rubare ai pirati di fortuna

Sapeva di poter sfruttare la tempesta al meglio prima dell’arrivo della pioggia. 

Negli anni, con l’esperienza e la documentazione, aveva imparato molte cose sui pesci. Aveva scoperto, ad esempio, che questi tendono a cibarsi maggiormente prima dell’arrivo di un abbassamento di temperatura. La ricerca disperata di cibo li spinge a cercare anche a pelo d’acqua. Alcuni di loro, forse impazziti, cominciavano anche a saltare in presenza di un cielo in tempesta, come per avere uno scorcio del mondo degli umani prima di ritornare, soddisfatti, tra le alghe e le stelle marine. Se Dio desiderava, qualche pinna sfortunata anziché ripiombare tra le acque in cui era nata finiva nel legno della barca di qualche pescatore e allora la festa era doppia. 

Santana diede uno sguardo alla debole ombra della barca riflessa sull’acqua: l’ora era ottimale e il punto raggiunto dalla mora si rivelò vincente: gettata la rete, dopo poco tempo cominciò a raccogliere i primi frutti. 

Tra la meraviglia verso il mondo marino e la felicità per la prospettiva di un’ottima giornata di pesca dopo sette giornate di secca, il tempo volò. Passò talmente in fretta che trascorse senza che Santana se ne accorgesse. Quando le prime gocce di pioggia le bagnarono il viso, la ragazza capì il suo errore e quasi si mangiò le dita: aveva atteso troppo a lungo. Si era lasciata incantare.

Alzò lo sguardo verso il cielo, che mai fu clemente verso gli uomini, e tutto ciò che vide fu nero. Anche verso la costa il tempo sembrava essere cambiato, non c’era più traccia di quell’azzurro grigio delle nuvole amiche. Come aveva fatto a non notarlo?

Rombo di tuono in lontananza, onde spettacolari ma poco amichevoli all’orizzonte, la barca piegata dal lato della rete ormai stracolma di pesci d’ogni tipo. 

Tutto ciò che poteva fare, oltre al remare in direzione del porto troppo, troppo lontano, era pregare: pregare perché Bailarina resistesse anche a quell’avventura, pregare che il mare le concedesse salva la vita un’altra volta.

Se ritorno a riva giuro che per prima cosa imparo a nuotare.

Tentando di tenere lontana la paura, stillò alla svelta una lista di priorità da tenere in quella situazione, poi agì. Non aveva fatto tutta quella strada per niente e non era intenzionata a lasciare il suo bottino alle onde.

Si sbrigò a raccogliere la rete, troppo pesante per essere caricata a bordo con la solita velocità e leggerezza. Ci mise il doppio del tempo che impiegava solitamente e dovette anche alzarsi in piedi per sfruttare al massimo le sue forze. A minare la sua stabilità, sferzate di vento improvvise. 

Era come se il cielo ed il mare fossero in competizione in una gara a chi ha più forza. Una sfida a braccio di ferro tra le forze della natura in cui Santana si ritrovò sfortunatamente schiacciata tra i palmi dei due opponenti. 

Quando ebbe finito di caricare la barca, si mise nuovamente a sedere e per quanto sapesse che fosse controproducente e sfiancante, prese i remi e cominciò a vogare verso casa.

Indipendentemente da quanto Santana remasse, la corrente sembrava volerle impedire di far porto a San Juan. 

Le raffiche di vento ad intervalli quasi regolari la tiravano indietro, verso il largo, ogni metro guadagnato con fatica e sudore della fronte era un metro perso per volere del cielo. 

In poco tempo la sua camicetta era già fradicia dal misto tra pioggia e acqua salmastra, era un miracolo che il cappello di cui aveva accettato la presenza fosse ancora seduto sul suo capo e non fosse ancora volato via. 

In quell’inferno la barchetta gialla e rossa non faceva che prendere gran boccate di acqua, offerta dalle onde che sballottavano il legno da una parte all’altra senza pietà. 

Era davvero l’inferno: il continuo scrosciare dell’acqua non dava pace alla sua anima e le onde, una dopo l’altra, continuavano ad infrangersi sulla prua della barca. Non un attimo di respiro.

Prima a destra, poi a sinistra, acqua su acqua, colpo su colpo. Imperterrito il mare costringeva Bailarina a salire e scendere in un moto eterno di dannazione, non importava quanto Santana stesse facendo per mantenere un po’ di stabilità, non era destinata a mantenerla. 

Le onde le si infrangevano addosso senza pietà da ogni fronte. Nel momento di risacca era il vento a tormentarla, i suoi capelli sembravano aver preso vita da tanto svolazzavano nell’aria. 

Una stretta al cuore. Se cado in acqua è la fine.

Il fragore dei tuoni le ricordavano costantemente che no, non sarebbe riuscita ad uscirne viva. Non era il pessimismo a parlare, bensì la realtà dei fatti: avrebbe potuto dire due volte la coroncina del rosario che le sue preghiere questa volta non sarebbero state ascoltate.  

E di nuovo, colpo su colpo, acqua su acqua, non un attimo di respiro. L’impatto con il mare burrascoso la portava talvolta a colpire con gli arti inferiori la parte interna della barca, i pesci pescati non riuscivano più a capire se era il mondo degli umani quello in cui si trovavano o quello in cui erano nati. 

Nella disperazione, per far guadagnare qualche centimetro in superficie alla barca, Santana mollò i remi per gettare freneticamente l’acqua fuori da Bailarina

Per un attimo ebbe la sensazione di esser salva perché il mare dietro di lei pareva esser diventato piatto. Non fu che un istante di pura illusione: il mare alle sue spalle era sì piatto, ma solo perché l’aveva spinta sull’orlo di un’immensa onda fronteggiata, dall’altra parte, da un muro d’acqua anche maggiore. 

Santana ebbe solo il tempo di prendere l’ultimo respiro prima di essere travolta dalla potenza del mare. 

Gli ultimi istanti avvennero a rallentatore: il vento aveva spostato la barca perché anziché infrangersi di prua contro l’onda, Bailarina picchiò di striscio, sul fianco. Quando l’onda si chiuse su sé stessa, come una bocca affamata che si chiude sopra al proprio boccone, la barca fece come un lampo a rovesciarsi. 

Guardando in alto, Santana si disse che per una come lei, questo era forse il modo più dolce di dire addio alla terra dei vivi. Vide il cielo nero darle un ultimo saluto, poi come un sipario che si chiude per celare le quinte, così il mare fece la sua comparsa e centimetro dopo centimetro coprì, sopra la sua testa, ogni straccio di nuvola.

L’acqua fu l’ultima cosa che vide.

 

 

La prima cosa che sentì, fu il dolce sciabordare che tanto le era familiare. Nulla di paragonabile allo scrosciare del mare in tempesta: il dolce rumore che l’acqua crea quando, con amore, abbraccia la riva. Quando insistentemente, a intervalli regolari, ricorda alla terra ferma che in qualsiasi stagione, in qualsiasi condizione, l’unica certezza è la sua presenza. Una promessa, mare e terra come marito e moglie. Solo più fedeli.

La seconda cosa che sentì, fu una strana sensazione. Come uno zampettio sul braccio, di zampe piccole e appuntite. Avrebbe volentieri aperto gli occhi per controllare chi o cosa causasse lo strano formicolio, ma tutto ciò che vedeva era il buio. Nero completo. Non riusciva neanche ad ordinare ai suoi muscoli di muoversi.

Se questo è l’inferno, si disse, potrei abituarmici.

La terza cosa che sentì, fu l’acqua che timidamente le bagnava i piedi nudi. Per un momento, per un momento soltanto, le sembrò che l’acqua fredda fosse riuscita a risvegliare le sue dita, che rabbrividendo al contatto si erano ritratte, impaurite.

La quarta cosa che sentì, fu un pizzico, dolorosissimo, sul labbro inferiore. 

Quello la portò ad aprire gli occhi e, come se fosse venuta alla vita per una seconda volta, si tirò su di scatto per tossire, quasi non fosse più abituata a respirare l’aria che le bruciava i polmoni. Non era sicura di ciò che era successo, ma nel movimento si era sentita urlare. Quando aprì gli occhi un’altra volta, trovò subito la luce del sole fastidiosa, specie quella riflessa sulla spiaggia formata da fine sabbia bianca. Una tortura.

Peggio della voce di Berry? No, niente di tanto insopportabile.

Il pulsare del suo labbro inferiore le ricordò che doveva esserle successo qualcosa proprio in quel punto. Quindi, mentre con la coda dell’occhio osservava un granchio giallastro di modeste dimensioni allontanarsi, si portò il dorso della mano alla bocca. 

Doveva essersi tagliata, perché una buona dose di sangue riversava dal suo labbro. Mi mancava il labbro spaccato

Fortunatamente per lei, si diceva che il sale del mare curasse ogni ferita. 

La quinta cosa che sentì, fu una risata. Una risata familiare, incantevole, delicata. 

Quella risata. 

Santana alzò immediatamente lo sguardo per portarlo verso il mare: il deserto. Una distesa d’acqua calma, sgombera. Uno scroscio portò la sua attenzione verso un gruppo di scogli poco lontani dalla riva. Le sembrò di scorgere un guizzo argentato.

Malamente si mise in piedi, per avvicinarsi maggiormente ai grossi sassi di mare, ma dopo pochi metri cadde. Le sue gambe, stanche, avevano qualche problema a tenerla in piedi. Glielo stava gridando ogni fibra muscolare, siediti Santana

Ma testarda, Santana si rialzò. Ondeggiò come un fuscello scosso dal vento, con i piedi ancorati nella sabbia, ferma, in attesa di un segnale. 

Un gabbiano si avvicinò similmente agli scogli immersi nell’acqua, ma fu subito allontanato dalla coda argentata, che sembrava parecchio infastidita dalla presenza. 

Santana non ebbe dubbi e neppure il suo cuore, che come un pazzo aveva cominciato a martellarle il petto: si lanciò in una maldestra corsa verso il mare. «Tu!» Urlò, come una pazza, mentre con l’acqua che già le arrivava alle ginocchia avanzava passo dopo passo dentro alla distesa di blu. Un altro scroscio le fece temere che l’apparizione che si era presentata a lei se ne fosse già andata, o fosse in procinto di farlo. «Aspetta!» 

Fece giusto in tempo a terminare la parola che intravide nell’acqua davanti a lei una chiazza gialla, seguita da una maestosa coda di pesce, avvicinarsi a lei. Santana fece dei grossi passi indietro, come impaurita da un possibile attacco. 

Nel giro di un secondo, ad un metro da lei, la creatura si erse statuaria dall’acqua. Il suo corpo era nudo, le sue gambe tremanti ed instabili quanto quelle della latina giusto pochi secondi prima. Il suo volto era rilassato, in grado di trasmettere una certa quiete. 

«Ben svegliata.» Azzardò incerta la creatura. Prima che potesse anche solo provare a muovere un passo verso la latina, l’incalzare dell’onda flebile dietro di lei le fece perdere l’equilibrio. Santana fu lesta nell’andarle incontro.

Le sue braccia si strinsero attorno al busto della bionda e a quel contatto un ricordo confuso affiorò alla sua mente. 

Immagini appannate e sfuocate si susseguirono davanti ai suoi occhi. Si ricordò di come l’acqua attorno a lei diventasse sempre più scura e la superficie solo una luce lontana. Poi di nuovo quella coda argentata, una stretta ferma attorno alla vita. Le forze farsi più rare, la continua disperata e illogica ricerca di ossigeno anche in mezzo al mare.

«Mi hai salvata.» Non fu che un sussurro, ma bastò alla bionda perché annuì flebilmente. «Perché? Il tuo lavoro non è salvare i marinai, ma annegarli.»

«Ma tu non sei un marinaio, Santana. Non è quello che desidero per te.»

La mora aggrottò la fronte, visibilmente confusa dall’affermazione della creatura marina che, come un agnello appena nato, si ergeva instabilmente tra le sue braccia. Brittany lesse i dubbi sul volto stanco della latina, le sue sopracciglia scure aggrovigliate chiedevano, esigevano gridando a gran voce una spiegazione. «Appartengo al mare e il mare appartiene a me. Conosco i suoi desideri perché i suoi desideri sono anche i miei.»

Santana prese il suo tempo per decifrare e comprendere quello che le era appena stato comunicato. 

Ripensò alla prima volta che era salita in barca con Don Comacho. 

Il giorno prima l’uomo si era lasciato convincere dalla bambina solitaria che sedeva triste sulla spiaggia e che instancabilmente guardava i marinai salpare luna dopo luna, con aria sognante. La ragazzina non poteva certo sapere che in quello che sarebbe stato il suo primo giorno in mare, quest’ultimo sarebbe stato agitato. 

«Conto fino a cinque, poi me ne vado senza di te.» Gracchiò il vecchio, che già si era pentito di averle dato la possibilità di prendere il largo assieme a lui. 

Santana era solo una bambina, spaventata dalle onde irrequiete che sballottavano la barca a remi dell’uomo. In più, il fatto che non sapesse nuotare non la invogliava certo a buttarsi nell’oceano con quel tempaccio. Ma era la sua unica occasione, prendere o lasciare. Così si fece forza e si convinse a lasciare andare il resto della gonna che fino a quel momento aveva stretto in pugni chiusi. «Lo faccio, lo faccio!» 

Sbottò veloce per fermare la conta del pescatore, che aveva già quattro dita alzate. 

Chiuse gli occhi dopo aver calcolato bene le distanze e posò prima un piede all’interno della barca, poi l’altro. Come fu seduta, il vento gradualmente cessò il suo incalzare e le onde si fecero più gentili. 

«Gli piaci», aveva semplicemente detto Don Comacho, con il sorriso di chi la sa lunga. Santana, troppo spaventata e troppo ingenua per indagare oltre, aveva semplicemente accennato un sorriso. 

Poi le tornò alla mente l’avventura dell’anno passato, quella che le aveva fatto conquistare il titolo di fantasma di Borikén. Quando la sua barchetta si era mossa tra i giganti della marina britannica, come mossa da uno spirito proprio. 

Le sue labbra si dischiusero lentamente, fino a formare una “o”. 

Brittany approfittò del momento per raccogliere un po’ di acqua con le mani e gettarla sul labbro inferiore della latina, tagliato dalla chela di granchio. Santana fu costretta ad abbandonare i suoi pensieri perché quel gesto la colse inaspettata. 

«Brucia un po’, lo so, ma almeno smetterai di sanguinare.» Si giustificò la bionda, con una breve risata.

«Sei stata tu.» Mormorò Santana, alla quale delle condizione del proprio labbro non importava più di molto. «Sei stata tu tutte quelle volte.»

Brittany annuì, ma lo fece senza il solito sorriso che accompagnava ogni sua movenza. Sapeva già che da lì a poco, Santana avrebbe messo insieme tutti i pezzi del puzzle e la riconoscenza sarebbe stata sostituita alla svelta da ben altri sentimenti.

«Sei .. stata tu.» Disse ancora, con voce ferma e testa alta. Poi, come disgustata, la mora sciolse la presa che teneva in piedi Brittany ed indietreggiò alla svelta. Se era in grado di controllare le correnti e le onde del mare, allora..

«La tempesta.. Sei stata tu! Sei stata tu a distruggere la mia barca!»

Il cenno del capo della bionda fu appena visibile, ma bastò come conferma. «Avevo bisogno di parlarti.»

Furiosa, con un diavolo per capello, Santana le girò le spalle e a grandi passi, calciando  impulsivamente l’acqua, tornò a riva. 

Non poteva credere alle sue orecchie. Aveva infranto la promessa fatta a Llorenço Comacho in punto di morte, non era stata capace di prendersi cura della sua barca ed il tutto perché quella bionda meravigliosa dalla mente diabolica doveva parlarle. 

Aveva perso letteralmente tutto quello che possedeva perché una sirena aveva bisogno di parlarle! 

«Brittany era tutto quello che avevo!» Le urlò rabbiosa, voltandosi solo per constatare che la sirena era rimasta dove l’aveva lasciata. 

Per un attimo la sirena sorrise, come rallegrata dal fatto che la latina ricordasse il suo nome, poi si incupì. «Perdonami,» rispose l’altra, con la testa bassa, «ero arrabbiata. Pensavo non volessi più vedermi dopo quello che hai detto l’ultima volta.»

«E hai pensato che tentare di uccidermi fosse un buon metodo per farmi cambiare idea?» 

«Se fosse vero quello che dici ora non saresti viva. Il mare ottiene sempre quello che desidera.» Mormorò timidamente la sirena, che nel mentre a gattoni era avanzata fino alla riva. «Non ti ho più vista per giorni, Santana, avevo bisogno di stare con te.»

«È colpa tua se sono sparita!» Sbottò acida la latina. 

«Non mentire a te stessa.» Rispose calma la ragazza del mare. «La paura è un sentimento umano ed è stata lei a tenerti schiava, non io.»

Santana non poté fare a meno di notare il modo in cui la sirena aveva pronunciato la parola umano, come se lei non capisse quel genere di emozioni. Eppure l’aveva vista con le sembianze umane, il suo viso era quello di una donna. Come poteva disprezzare parte di ciò che la componeva? 

«Ma non ha importanza, adesso. Sono felice che il tuo amore abbia vinto la paura. Ma tu non sembri felice di rivedermi.»

La mora si morse la lingua. Quella sirena l’aveva fatta impazzire, aveva sabotato la sua uscita in mare e le aveva distrutto la barca. Poteva essere felice di vedere lei?  

«Scusami se non capisco perché sia stato necessario coinvolgermi in una tempesta per vederci. » Optò per una risposta a metà. 

«Se te lo spiegassi non capiresti.» Disse inizialmente la sirena, con fare sbrigativo. Poi, notando che il viso della latina aveva già cominciato a farsi grigio di nuovo, si corresse. «Siamo creature impulsive, Santana, distruggere è nella nostra natura. Distruggiamo per ottenere quello che desideriamo, lo avrai di certo sentito dire.»

Santana, stanca e confusa, sconsolata e priva ormai della forza per ribattere si limitò ad annuire. Rivolse lo sguardo al cielo, domandandosi se mai fosse servito a qualcosa pregare Dio perché la salvasse dal mare tutte le volte in cui si era rivolta a Lui.

Il suo destino non sembrava più dipendere da quel Dio di cui tutti parlavano, alla luce delle nuove rivelazioni. Poi, con fare disfattista, ripose l’ascia di guerra e si avvicinò alla sirena seduta sulla sabbia. 

Si sedette accanto a lei e non poté fare a meno di notare quanto le sue gambe, pur ricoperte da qualche alga, fossero slanciate e marmoree. Era la prima persona così bianca che vedeva. 

«Non so nuotare.» Le confessò, come se fosse un gran segreto. Come se potesse cambiare qualcosa in tutto quello che era accaduto, come se piagnucolare ad una creatura marina potesse ridarle indietro Bailarina

«Lo so.» Rispose sorridente la bionda. Sembrava quasi andasse fiera di quella piccola informazione. Allora Santana le domandò:

«C’è qualcosa che non sai di me?»

La bionda annuì, posando la mano sul dorso di quella di Santana. «Non so quanto è grande il tuo amore per me.»

La mora sentì un brivido scenderle lungo la spina dorsale. Quel tono di voce, l’espressione insicura dipinta su quel viso ammaliante.. D’improvviso capì le storie dei marinai che aveva sempre ritenuto folli per aver consciamente detto addio a questo mondo per una sirena. In quel preciso istante anche lei avrebbe fatto di tutto per vedere un sorriso su quelle labbra.

«Come posso dimostrartelo?» 

Era sicura di averle già dimostrato fino a che punto si fidasse di lei, solo il fatto che più volte avesse sfidato il mare aperto senza neanche saper nuotare doveva pur significare qualcosa nei sentimenti non umani della sirena. 

La mano di Brittany sulla pelle di Santana cominciava ad essere più bagnata e leggera di quanto era sembrato in precedenza. 

Per sentito dire, sapeva che le sirene, dopo un lungo periodo fuori dall’acqua, si trasformavano in schiuma. Brittany sembrò avere la stessa preoccupazione perché, mentre tentava di alzarsi in piedi con poco successo, sussurrò confusamente «Ora è tardi, devo andare.»

A Santana si strinse il cuore. Si cinse le spalle con il braccio della sirena e sostenendola con la mano libera l’aiutò ad alzarsi. 

Dopotutto, le doveva la vita. Ritornarle il favore era il minimo che potesse fare. 

 




***
Spero il capitolo vi sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me. Nel prossimo avremo il vero inizio dell'intera vicenda, che renderà la storia più movimentata. Fino ad allora, ciurma dei 115, siete liberi di tracannare rum a galloni. 
A mercoledì prossimo! 

 

 

   
 
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