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Autore: Ink Voice    24/06/2016    0 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XIII
L’anello mancante

Le trafficate strade di Austropoli sono infernali già dalle prime ore del mattino. Gli ampi viali non bastano a contenere le centinaia di migliaia di macchine che si spostano da un lato all’altro della metropoli, alla guida delle quali autisti e tassisti irritati non esitano a far schiamazzare i clacson per ogni minima cosa. Pure i marciapiedi sono larghi e la situazione su di essi è decisamente troppo simile a quella che si presenta lungo le corsie nel mezzo dei vialoni: ragazzi che vanno a scuola in coppia o in piccoli gruppi; altri soggetti solitari che, con le cuffie alle orecchie e il volume della musica a livelli improponibili, non si rendono conto di cosa succede intorno a loro, venendo perciò apostrofati da chi è di fretta e si ritrova con quest’impiccio tra i piedi, e talvolta insultati da chi è particolarmente irascibile; anziane signore che chiacchierano mentre vanno a fare la fila dal medico, alle poste, al mercato o chissà dove… e poi un gruppetto di Legati che cerca di confondersi, con successo, nella marea umana.
Ad Austropoli ci sarò stata una volta sola da piccola, e in estate in vacanza, quando buona parte dei cittadini si era trasferita sulle coste della stessa Unima, di Kalos o Hoenn, sulle montagne di Sinnoh o nelle città d’arte di Kanto e Johto. Per questo sto soffrendo l’inquinamento acustico della capitale di Unima: tutta la mia vita, d’altronde, l’ho passata in luoghi estremamente tranquilli - nella silenziosa Nevepoli, nell’Accademia vicino Giubilopoli, nelle basi segrete delle Forze del Bene. Tutta questa confusione ha anche i suoi meriti, perché fa sì che io, Daniel, Ilenia e Luke possiamo spostarci più o meno liberamente senza essere notati. È vero che rischiamo in ogni momento di perdere uno di noi, ma finora non è successo niente.
Siamo tutti nelle nostre Forme Umane: è stato strano tornare bassina, dopo aver assaporato la magica prospettiva che si ha dall’alto di quasi un metro e ottanta. Alla fine Luke è il più alto di noi, mentre nella Forma di Mezzo è il contrario. Ilenia ha preso la drastica decisione di tagliarsi i capelli e ora la sua grande, folta chioma di ricci castani, un po’ rossi, è andata perduta; io mi sono munita, come Daniel e Luke, di una parrucca; la mia è nera e ho operato di conseguenza con una matita scura sulle sopracciglia. Siamo ben bardati con una serie di cappelli, sciarpe o scaldacolli, e anche truccati per apparire il più possibile diversi da come i Victory ci conoscono. Le nostre facce ora sembrano di ragazzi di più di vent’anni: allo specchio quasi non mi riconoscevo.
Sotto il largo impermeabile che indosso è nascosta una cintura con le mie Poké Ball. È stata una gioia rivedere i miei compagni prima di partire, in più non hanno nemmeno affrontato il trauma di vedermi nella Forma di Mezzo per la prima volta; non so se succederà mai perché voglio fare di tutto per impedirlo. Forse è stupido e infantile, ma ho paura che non siano in grado di riconoscermi. Mi spaventa ancora di più che possano credere che io li abbia abbandonati per seguire Ho-Oh per tutta la mia vita, e che abbia voluto dimenticare il mio passato con loro, il mio passato di Allenatrice e di semplice membro delle Forze del Bene. Certamente non è così, ma a volte mi chiedo se riuscirebbero a credermi, se cercassi di giustificarmi in questo modo: non ho mai fatto niente per dimostrare che voglio loro bene come a dei compagni umani, e che ricordo con una fitta nostalgica i tempi in cui avevano praticamente sostituito, in periodi depressi e passati perlopiù in solitudine, la presenza umana nelle mie amicizie. Ci chiacchieravo come con degli esseri umani e mi sentivo compresa molto meglio e molto più in profondità.
Mi aspettavo che Aramis fosse ancora un po’ freddo e distaccato, invece è stato contento di vedermi almeno quanto lo erano gli altri: i suoi modi riservati lo hanno trattenuto ma sembrava aver voglia di abbracciarmi in modo fraterno. Altair e Nightmare erano impazziti di gioia e quasi li ho dovuti ritirare nelle loro Ball con la forza.
«Mia figlia mi ha raccontato che a scuola hanno parlato dei Pokémon…»
Sarà il terzo o quarto genitore che sento cominciare così una frase, parlando al telefono o con una persona con cui cammina insieme. Inizialmente credevo che le orecchie non mi funzionassero a dovere, poi che fossi impazzita; solo alla fine mi sono ricordata - e con questo è tornato alla mente anche l’aspro diverbio con Hei Feng - che ormai i Pokémon sono sulle bocche di tutti, grazie o per colpa della mossa del Victory Team. Non so se mi abituerò tanto presto a questo cambiamento drastico nel panorama mondiale. Tendo le orecchie per cogliere altri stralci di conversazione che non sia solo un esordio o una premessa.
«Dubito che ci sia da fidarsi.»
«Guarda che carino!!»
«Su Internet c’è gente che li vende. Alcuni a prezzi irrisori, ma certe cifre sono esorbitanti!»
Non credo che si stiano sempre riferendo ai Pokémon, ma mi rendo conto del fatto che è possibile, se le “creature magiche” - come le sento chiamare ogni tanto - stanno entrando nella vita quotidiana di tutti, che ormai possano influenzare qualsiasi argomento. Anzi, è inevitabile: alcune delle tante domande che la gente si pone sono “cosa farò adesso che ci sono i Pokémon nella mia vita?”, “in che modo devo comportarmi con queste creature in circolazione?”, “quanto cambierebbero le mie occupazioni se mi facessi aiutare, sempre che sia possibile, da uno di quegli esseri?”. Le risposte non sono per niente scontate, visto che in questo clima di caos i Pokémon potrebbero rispondere in modo tutt’altro che pacifico, provocati dalla paura e dalla feroce diffidenza di masse di persone.
Negli ultimi giorni alla base segreta abbiamo tenuto d’occhio i telegiornali e ci siamo meravigliati di come, nel giro di pochissimo tempo, si siano fatti grandi progressi, in fin dei conti, nelle relazioni con i Pokémon. È vero che c’è ancora una grossa fetta della popolazione mondiale che mette in crisi l’influenza e il potere dei Victory, ma questi ultimi hanno fatto una pubblicità intelligente, furba, mettendo in luce l’utilità dei Pokémon con i bambini, i ragazzi e gli anziani - tutte le persone che hanno bisogno di assistenza, di essere seguite, insomma. Le critiche si sono fatte meno influenti e sempre più persone si schierano dalla parte del rivoluzionario Victory Team. I Pokémon sono diventati un mezzo di comunicazione, uno strumento per stringere amicizie, e questo aiuta i più piccoli e chi ha difficoltà a socializzare a trovare un argomento di conversazione per dare vita a nuove amicizie.
In televisione, oltre ai notiziari, impazzano programmi divulgativi sulla natura dei Pokémon - ho visto un paio di documentari che mi sono sembrati la versione televisiva del Pokédex - e altri di approfondimento sulle lotte, sull’allenamento per le competizioni e sull’allevamento. Altrettanto spazio è riservato alla riproduzione della specie e all’evoluzione e ai suoi metodi.
I rappresentati del Victory Team, dopo numerose apparizioni in televisione e interviste rilasciate sia sul web che sullo schermo, si sono ritirati dalle scene e sono rimasti a guardare gli effetti della loro efficace propaganda e della pubblicità fatta ai Pokémon. Ci è stato presto chiaro che la loro mossa era stata studiata nei minimi dettagli, forse per mesi, per rendere tutto perfetto: era inevitabile l’ostilità di buona parte della popolazione, ma di giorno in giorno sempre più persone chiedono di “adottare” - questo è il termine più usato - una delle straordinarie creature e finanziano i progetti di ricerca dei Victory stessi, che ormai devono essere economicamente indipendenti da chiunque. Anche questo doveva essere uno dei loro obbiettivi: smettere di essere parassiti dei governi, in cui fin dall’inizio si sono infiltrati, cercando di manovrarli. Adesso sono i governi a dover fare riferimento al Team - se non è così già da adesso, lo sarà presto.
Uno dei pochi vantaggi che i Victory ci hanno regalato è che almeno adesso possiamo usare pubblicamente i Pokémon in caso di bisogno: avendo squadre complete e allenate abbiamo preparato dei documenti falsi che ci identificano come membri dei servizi segreti di Johto. Nonostante questa copertura stiamo comunque facendo di tutto per non farci notare: saremmo sospetti con il nostro normale aspetto - più che altro saremmo ricercati - tanto quanto dicendo ai quattro venti che siamo agenti di un’associazione segreta.
Per il resto, i nemici hanno fatto terra bruciata attorno alle Forze del Bene. Ci hanno subito fatti identificare come pericoli pubblici, definendoci più volte terroristi, che possono distruggere gli ordinamenti costituiti nelle varie regioni per creare un impero internazionale, che sfrutti i poteri dei Pokémon e abbia il controllo totale sulle menti dei cittadini. Hanno praticamente dato la definizione che le Forze del Bene offrono per i Victory stessi.
«Ehi, ragazzi! Concedereste un’intervista a proposito del fenomeno Pokémon? Siamo del sito web…»
Scansiamo, fingendo di non aver sentito nulla, un paio di studenti tutti emozionati per il “fenomeno Pokémon”. I loro colleghi hanno adescato qualche signora e dei ragazzini che andranno al massimo in seconda media e, dal loro look che vuole essere alternativo e trasgressivo, sembra che siano intenzionati a marinare la scuola, quindi si concedono di buon grado alle domande dei ragazzi più grandi. Mi chiedo che razza di risposte possano dare, visto che sono poco più che bambini: le interviste fatte non sono niente di ufficiale, ma vanno ad ingrossare la lista dei siti e dei file che stanno inconsapevolmente al gioco dei Victory.
«Hanno rotto con ’ste interviste» borbotta Daniel camminando al mio fianco. A malapena lo sento, con tutta la confusione e lo scaldacollo che gli copre la bocca. «Il prossimo che cerca di fermarci…»
«Sarà ignorato allo stesso modo» lo interrompo.
Lui sembra sbuffare. «Prima c’era un banchetto che accettava le iscrizioni di reclute al Victory Team. Faranno anche un partito politico Victory, così ho sentito dire a più di una persona.»
«E quel banchetto ce l’aveva un’aria ufficiale o è l’ennesima stupidaggine che Austropoli ci offre?»
«L’ennesima stupidaggine. Nessuno aveva un distintivo né indossava la divisa delle reclute Victory. Ma non si pone mica il problema, eh, basta che andiamo al centro per trovare veri stand e veri Victory.»
«Non vedo l’ora» mormoro.
È proprio verso la zona centrale della città che ci stiamo dirigendo. Ogni tanto, quando la marea umana è abbastanza bassa da consentirmi di guardare, riesco a intravedere l’imponente fontana - che dicono segni il centro esatto della città - e la piazza stessa, la più grande di tutta Austropoli.
Non so quanto a lungo rimarrà così grande, penso una volta arrivati, vedendo le bancarelle spingersi sempre di più verso l’interno della piazza, i negozi espandersi e i palazzi in costruzione farsi avanti. La folla si è dispersa in gran parte lungo la via che abbiamo percorso prima, e ora nella piazza c’è abbastanza spazio libero per non sentirsi oppressi da tutta la gente che correva, in macchina o a piedi, per la strada. Ci avviciniamo alla fontana per evitare i venditori ambulanti con le loro rose, i caricabatterie dei telefoni cellulari e le asticelle per gli stessi, ma ben presto concordiamo nel preferire essere aggrediti da loro che passare vicino agli stand dei Victory in persona: si sono piazzati in due gruppi accanto alla grande fontana e attirano la maggior parte dei passanti.
Mi aggiusto nervosamente la sciarpa sulla bocca. Una recluta Victory, fiera nella sua tuta rossa, grigia, bianca e nera, ci lancia un’occhiata: non sembra sospettare nulla sul gruppetto di quattro ragazzi tutti imbacuccati e palesemente desiderosi di passare inosservati - ora che non c’è più la folla del vialone a nasconderci non siamo più anonimi e confusi con il resto delle persone. Ad ogni modo non ha possibilità di avvicinarci, magari per cercare di esporre un manifesto del Team o addirittura convincerci ad iscriverci ad un corso per il reclutamento di nuovi giovani Victory, perché un paio di uomini le chiedono qualcosa. Lei è tutta felice di poter rispondere.
«Non guardarla così a lungo» mi rimbecca Daniel avvicinandosi il più possibile per parlare a bassa voce.
«Non sospetta nulla. Guardala.»
«Io non la guardo» ribatte, «e lo so che non sospetta nulla, passerebbe per pazza se aggredisse dei ragazzi che camminano per la piazza… ma meglio evitare che ci avvicini, vedendoci che osserviamo lo stand.»
Per un po’ non gli rispondo, poi gli dico: «È solo che mi dà una strana sensazione… è così contenta di servire il Victory Team, se solo vedessi quanto sorrideva facendo il suo lavoro allo stand. Sicuramente non è una novellina, però è così… non capisco, insomma…»
«Certo che c’è parecchia gente per non essere neanche le otto del mattino, eh?» interviene Ilenia, interrompendo una frase confusa che non so neanch’io come sarebbe finita.
«A maggior ragione vediamo di non farci notare» dice Daniel. È palesemente nervoso: risponde sempre male, come se fosse di cattivo umore, quando è agitato. Luke invece se n’è stato in silenzio per tutto il tempo, a malapena parla se interpellato. Cammina a testa bassa e con le mani nelle tasche della giacca. Non so se rischi più lui, come ex recluta Victory e Legato fuggitivo, di noi, membri delle Forze del Bene e comunque Legati.
«Passando alle cose serie» prosegue Ilenia, senza curarsi del tono di Daniel, «da dove cominciamo a cercare?»
«Da nessuna parte, finché non avvertiamo qualcosa con i poteri psichici.»
Le direttive di Hei Feng a proposito della missione Leggendaria a Unima sono state poche e misere - anche un po’ deprimenti, a dirla tutta. Però stavolta non me la sento di incolpare le Forze del Bene per la loro scarsa preparazione, anche se è l’ennesimo punto di vista da cui fanno cilecca. Camille e George non hanno dato alcuna informazione utile all’organizzazione, come la città o anche solo la zona della regione in cui vivono Rongyin Yue e Anyang Zhao, se non delle loro fotografie e delle informazioni basilari. Nemmeno ai due Legati di Reshiram e Zekrom hanno dato indicazioni, né su basi segrete in cui sarebbero stati immediatamente accolti, né su dove farsi trovare appena qualche altro Legato fosse venuto a compiere per bene la missione Leggendaria.
Perciò brancoliamo nel buio: siamo ad Austropoli solo perché è, a quanto risulta, la città natale di entrambi, e perché come ultima spiaggia possiamo ricorrere all’anagrafe. Possiamo anche setacciare tutta la metropoli con la mente, come ci ha detto di fare Hei Feng; potremmo dividerci in due gruppi per essere più veloci, anche se né Daniel né Luke hanno questo potere; ma le probabilità di successo sono in ogni caso tanto basse da risultare ridicole. Sono sicura che dopo una mattinata passata a camminare senza un momento di pausa, anche a passo sostenuto, persino Daniel accetterà di passare all’anagrafe, nonostante sembri intenzionato a seguire rigidamente le direttive dalla base segreta del Sentiero Din Don.
Dalla piazza principale ci spostiamo a Via della Moda, senza trovare niente di utile - e limitandoci pure a una ricerca superficiale, già desiderosi di passare a un piano B più semplice da attuare e che dia risultati immediati. Ci ritroviamo a tornare alla strada accanto alla litoranea e ai vari moli di Austropoli: stavolta ci dividiamo davvero, io caricandomi Daniel e Ilenia Luke, controllando ogni molo nella speranza che i due Legati siano abbastanza sentimentali e romantici da aspettare i loro colleghi in riva al mare. Purtroppo scopriamo che non sono per niente sensibili a questo genere di cose, e rientriamo in città.
Il tempo che passa si porta via la mattina; è con facilità che giungiamo alla conclusione, mentre decidiamo dove prendere qualcosa da mangiare mentre camminiamo, di andare davvero all’anagrafe. Ilenia chiede indicazioni ad un passante che ci indirizza verso Via Austropoli, seconda solo a Via della Moda per grandezza, fama e traffico. Si vede che è l’ora di punta: abbiamo scelto un pessimo momento per avventurarci nelle strade più celebri della metropoli e lo riconosciamo anche vedendo la quantità esorbitante di persone che si dirigono all’ufficio anagrafe; perciò aspettiamo, ciondolando per la via, facendo i vaghi osservando le vetrine dei negozi.
«A che ora chiudono gli uffici?» chiedo.
«Immagino nel tardo pomeriggio, come tutti» risponde Ilenia. «Abbiamo parecchio tempo da perdere. Avevo voglia di passare in libreria a dare un’occhiata, ce n’è una poco più avanti…»
Accontentiamo tutti il suo innocente desiderio perché non abbiamo alternative più allettanti: ci infiliamo con difficoltà nella libreria, affollata tanto quanto la via su cui si affaccia, se non di più. Ci separiamo di nuovo nelle coppie di prima: Luke segue Ilenia nel reparto di letteratura fantasy e fantascientifica, anche se sembra molto più interessato alla sezione dei CD; intanto io e Daniel abbiamo notato una parete tappezzata di schermi televisivi che, com’era prevedibile, sono sintonizzati ognuno su un canale diverso, ma sono tutti notiziari che trattano il tema dei Pokémon - di che altro si può parlare altrimenti in questi giorni?
Ci uniamo alle due o tre persone che si sono interessate a questa parte della libreria. Per sentire la televisione, a ogni modello è collegato un paio di cuffie. Sia io che Daniel scegliamo telegiornali da due differenti emittenti di Sinnoh: prima di indossare le mie lancio un’occhiata a lui e lo vedo crucciato fin dai primi momenti di ascolto.
«… appiccato ieri, alle tre del pomeriggio: gli inquirenti sono concordi nel ritenerlo di natura dolosa, ma sono state avanzate ipotesi molto differenti sui responsabili. Qualcuno suggerisce un ennesimo attacco terroristico delle cosiddette Forze del Bene, altri incolpano un gruppo di persone indipendente, che avrebbe agito di sua spontanea volontà; altri ancora si figurano l’esistenza di un’organizzazione estranea sia al Victory Team che alle Forze del Bene. Una dozzina di civili è ferita, tre gravi; i Victory lamentano ventiré morti e trentasei feriti.»
Cambio più volte cuffie, in cerca di un servizio sulle Forze del Bene; trovo qualcosa in un notiziario di Kalos. «Sono state rese note le identità di alcuni dei maggiori esponenti degli antagonisti dei Victory: la maggior parte di questi è però coperta da nomi in codice. Il più misterioso di tutti è Bellocchio, proveniente da Sinnoh, di cui non si conosce né la posizione attuale, né la storia personale, né la provenienza, l’età, il vero nome o qualsiasi altro dato che aiuti ad identificarlo. A Johto si nascondono Hei Feng alias Aaren Zhang e un tale Kaiser, a Kanto due uomini che si fanno chiamare Eisenhower e Winston…»
La presentatrice, impassibile e professionale, continua per un minuto buono a elencare nomi di personaggi che non conosco neanch’io, mentre sullo schermo si susseguono immagini di ognuno dei vertici delle Forze del Bene - quasi mi rincuora il fatto che i Victory non siano riusciti a rendere pubbliche le foto di ognuno dei nostri, segno che non conoscono l’aspetto di tutti: non eravamo gli unici a ignorare le identità di alcuni boss del nemico.
«Sulla lista nera del Victory Team, come se tutti i precedentemente detti non bastassero, compaiono molti altri nomi di individui potenzialmente pericolosi, i cui nomi ci sono stati dati, sembrerebbe, in ordine di importanza…» prosegue la presentatrice dopo aver ripreso fiato, con un tono ed un’espressione ironici, palesemente poco intenzionati a dar retta più di tanto ai Victory. Non riesco a nascondere un sorrisino, che svanisce appena una foto di Daniel si sostituisce a quella dello studio televisivo.
«Daniel Del Monaco, diciassette anni, nato a Porto Alghepoli, Hoenn, il primo novembre del 320.
«Eleonora Russo, sedici anni, nata a Nevepoli, Sinnoh, il sette giugno del 321.
«Oxygen, questo lo pseudonimo del ragazzo nella fotografia, diciotto anni, nato in una città di Hoenn il diciassette marzo del 319.
«George Halder, diciassette anni, nato a Mistralopoli, Unima, il tredici dicembre del 320.
«Camille Leroy, sedici anni, nata in provincia di Romantopoli, Kalos, il ventitré aprile del 321.
«Ilenia Borghesi, diciotto anni, nata ad Aranciopoli, Kanto, il cinque luglio del 319.
«Sara Cantoni, diciassette anni, nata in provincia di Celestopoli, Kanto, il ventisei gennaio del 320. Non mancheremo di farle gli auguri tra una settimana…
«Luke Holloway, sedici anni, nato a Zafferanopoli, Kanto, il diciotto agosto del 321. Affiliato al Victory Team fino all’inverno del 336, è riuscito a fuggire da solo dopo un breve periodo di prigionia. Non si sa se sia riuscito a mettersi in contatto con le Forze del Bene o se sia ancora in uno stato di vagabondaggio solitario.
«Lewis Jewers, sedici anni, nato a Ferrugipoli, Hoenn, il quattordici ottobre del 321.»
I miei occhi storditi, esterrefatti, fissano lo schermo quasi senza riconoscere i volti conosciuti dei miei compagni e il mio. La presentatrice blatera qualcosa riguardo la perplessità generale di chi ha già visto queste foto da qualche parte e ha constatato come questi “individui potenzialmente pericolosi” siano tutti ragazzi, molti dei quali nemmeno maggiorenni, e come, tralasciando una preparazione militare curata dai migliori istruttori delle Forze del Bene, non sembrino avere un’aria particolarmente minacciosa. Tutti i personaggi elencati, tra capi e ragazzi, sono ricercati assolutamente vivi e in buone condizioni di salute: il compenso per chi li - anzi, ci consegnerà nelle mani dei Victory è incredibile, spropositato per gli standard di chiunque.
Nella lista mancavano Rongyin, Anyang, Laura e Hans. Il sollievo di essere in vantaggio, anche solo di poco, sui Victory mi riporta con i piedi per terra: mi tolgo con uno scatto improvviso e brusco le cuffie dalle orecchie, quasi mandandole a sbattere contro uno degli schermi televisivi. Persino Daniel, che è tutto intento a guardare il suo notiziario, si accorge dei miei movimenti a neanche un metro di distanza da lui, e mi lancia un’occhiata interrogativa che io ricambio con una spaurita ed eloquente. Capisce subito che gli devo parlare, ma è quasi a malincuore che abbandona il suo telegiornale. Guardo velocemente lo schermo su cui lui seguiva il programma ma non c’è nessuna nostra foto ad allarmarmi.
«Usciamo? Troppa gente qui dentro, si soffoca.» Lo prendo per mano e anche lui si mette a recitare la parte del ragazzo ad un appuntamento o in un’uscita con una sua amica.
Una volta fuori aspetto qualche secondo prima di abbracciarlo: con questo pretesto, che una volta tanto non mi fa arrossire di piacere e di felicità per essere a stretto contatto con il ragazzo che amo, avvicino la bocca al suo orecchio, fingendo - purtroppo! - di strofinare il naso tra i suoi capelli.
«Hanno mandato le nostre foto in televisione.»
«E quindi? Siamo coperti, e non sarà nemmeno la prima volta che lo fanno.»
«Entro stasera il trucco sarà rovinato, come se adesso non lo fosse già… è meglio passare nelle nostre Forme di Mezzo. Io non avrò un aspetto particolarmente vistoso, dovrò solo rimettere le lenti a contatto…»
«E io e Ilenia, che diventiamo altissimi e abbiamo anche i capelli di colori improponibili?»
«Ilenia si è tagliata i capelli, può andar bene così, almeno per ora. Ma tu e Luke, è meglio che vi trasformiate.»
«Non capisco a cosa possa servire, siamo perfettamente camuffati così e…»
«E-ehi!»
Mi stacco da Daniel e mi volto a guardare, un po’ sorpresa, Luke, che è corso improvvisamente fuori, e guarda prima me e poi l’altro ragazzo, tutto rosso in viso. Daniel borbotta qualcosa che non capisco, dopo aver degnato il Legato di Raikou di una brutta occhiata arrogante, e poi gli dà le spalle mettendosi le mani sui fianchi, fingendo di guardare i passanti e Via Austropoli con aria disinteressata. «Che c’è, Luke?» gli chiedo.
«Cosa stavate… ehm… cosa ho interrotto?»
Immagino sia meglio non domandargli come mai è uscito fuori così di corsa, perché sarebbe notevolmente in imbarazzo nel dover rispondere e stavolta preferisco evitargli questo problema. «Niente. Dopo ti spiego» dico. «Ilenia dov’è?»
«Sta uscendo… credo» aggiunge a bassissima voce quello che forse avrebbe voluto che rimanesse un pensiero.
«Di certo non è lei la ragazza che lo preoccupa» esclama Daniel continuando a guardare, imperterrito, la strada, standosene con le braccia incrociate. Luke si appresta a ricambiare le spalle che il Legato di Dialga gli offre così volentieri, fingendo però di non averlo sentito. Mi rendo conto all’improvviso di ritrovarmi sola, come una scema, tra due maschi in rapporti poco rosei, perciò esco di scena e mi affaccio alla porta della libreria. Non riconosco subito Ilenia a causa del suo nuovo taglio di capelli, ma sta venendo verso l’uscita.
Continuiamo a fare le vasche per tutta la lunga Via Austropoli, fermandoci a guardare senza alcun impegno le vetrine dei negozi, finché non scende la sera: ci riavviciniamo alla nostra meta e andiamo a chiedere a che ora chiuda l’ufficio anagrafe a un signore lì fuori, che sta fumando una sigaretta mentre, forse, aspetta qualcuno. «Alle sei e mezza. Avete ancora un’oretta di tempo.»
«C’è tanta gente dentro?» domando.
«Eh sì. Ma è sempre così a quest’ora, eh. Dovreste venire di mattina.»
«Perché siamo passati anche nel primo pomeriggio credendo di non trovare quasi nessuno, invece c’erano un sacco di persone.»
«Ah, ma è proprio un periodaccio per venire qui, ho visto. Tra i Pokémon e i terroristi…»
«Grazie mille, buona serata» lo interrompo, decisa a non avventurarmi in alcuna conversazione che verta su uno dei due argomenti - men che meno su entrambi, sia perché non ne ho voglia, sia perché non voglio rischiare di tradirmi e di mettere i Victory sulle nostre tracce.
«Altrettanto, altrettanto. Arrivederci.»
Un’occhiata e un cenno della testa di Daniel, che ha avuto modo di confrontarsi con Ilenia e Luke mentre io scambiavo due parole con il signore, mi fanno capire che hanno deciso di entrare adesso: forse è meglio, in effetti, almeno per evitare delle noie con gli uomini della sicurezza che entreranno in servizio alla chiusura degli uffici.
Non ci prendiamo la briga di metterci a fare la fila, e ignoriamo sia le occhiate interrogative che ci si posano addosso al nostro arrivo - chi mai entra in un ufficio strapieno a meno di un’ora dalla fine del servizio? - che le voci agli altoparlanti che, ogni quarto d’ora, ricordano la chiusura imminente. Ci preoccupiamo soltanto di non farci vedere dagli impiegati e dagli inservienti. Nel frattempo rubiamo alcune riviste da un mobiletto e andiamo a sederci dove troviamo miracolosamente dei posti liberi, nascondendo la faccia con i giornali.
A meno di cinque minuti dalla chiusura degli uffici, ci spostiamo dalle sale d’aspetto ai bagni. Daniel mi si accoda subito, come se non volesse - e penso proprio sia così - che sia Luke a venire con me: questa sua preoccupazione mi fa arrossire, ma contemporaneamente mi spingo a far finta di niente e a credere che non ci sia niente di strano. Ma Luke ci tiene a rendersi utile e persino Daniel, che lo ha proprio preso in antipatia, brontola sommessamente che ha avuto una buona idea a disattivare le telecamere, grazie al suo potere del fulmine e dell’elettricità, quando pochissimo dopo è annunciata la chiusura degli uffici: è veramente una questione di mezzo secondo prima che gli altoparlanti esortino tutti i presenti, i pochi che ancora non se ne sono andati, a lasciare l’anagrafe, che riaprirà alle otto e mezza del giorno seguente.
Così possiamo felicemente chiuderci in bagno sicuri che nessuno ci veda andarci a nasconderci: io e Daniel in uno e Luke in un altro, mentre Ilenia si cela in una barriera d’invisibilità creata con il potere della mente: aspettiamo che arrivino gli inservienti e gli addetti alla sicurezza per toglierli di mezzo e poter agire indisturbati.
Un vociare allegro e ad alto volume arriva alle nostre orecchie ancor prima che la porta dei bagni si apra: sono un uomo e una donna, gli addetti alle pulizie. Non vedo Ilenia ma la percepisco muoversi: si rende visibile solo quando l’uno si piazza inconsciamente davanti alla mia porta, per aprirla e pulire come suo solito, e l’altra davanti quella di Luke, inconsapevole allo stesso modo del suo collega. Appena la ragazza fa per imporre le mani su di loro, i due svengono, istantaneamente privati delle loro energie. È stata talmente rapida che non mi aspettavo di sentire il tonfo dei loro corpi caduti a terra così presto.
«Bene» sentenzio uscendo dal bagno, mentre Ilenia va a chiudere la porta, aspettando che si avvicinino anche gli addetti alla sicurezza. «Io mi vorrei trasformare.»
«E con i vestiti come la metti?» ribatte Daniel. «Non sono più della tua taglia quando cresci di venti centimetri.»
«Ma stai zitto, sono larghissimi.» Rientro nel bagno, svestendomi e poggiando i vestiti - che avevo scelto più grandi di una o due taglie apposta - sopra la porta, poi tolgo le lenti a contatto, mettendole nel piccolo contenitore apposito, e la parrucca mora: una volta pronta passo nella Forma di Mezzo, e con difficoltà mi spoglio dell’ingombrante kimono nello spazio angusto del gabinetto.
«Non abbiamo tutto il tempo del mondo, Eleono’, sbrigati» continua a rimproverarmi Daniel.
«Un attimo, un attimo.» So che però ci sto mettendo un sacco di tempo: appena mi ritrovo con il kimono tra le mani, fortunatamente non si presenta il problema di dove poggiarlo, perché si dissolve nel nulla scomparendo in una fiammata arcobaleno. Mi tolgo dalla testa il vistoso affare che mi tiene i capelli legati e scompare allo stesso modo del kimono.  Riprendo i vestiti normali, che ora mi stanno quasi perfettamente - le maniche del maglioncino e le gambe dei pantaloni sono un po’ corte, ma almeno le scarpe vanno ancora bene.
Esco, scavalco serenamente il corpo privo di sensi dell’inserviente panciuto e vado allo specchio a rimettere le lenti a contatto marroni. «Ile, ti va una parrucca?»
«Volentieri, anche se quei capelli hanno un’aria infiammabile» mi risponde Ilenia andando a recuperare la finta chioma scura e indossandola con facilità, ora che non ha più tutti i suoi capelli ricci.
«Ma che dici, hanno fatto un lavorone per farli sembrare veri.»
Anche Luke si è trasformato mentre mi cambiavo: ora viso e capelli non sono più riconducibili a quelli della sua Forma Umana. Ilenia schiude la porta e osserva la situazione all’esterno: è quasi nello stesso momento che si sentono altre due voci, che inizialmente penso siano degli uomini della sicurezza, ma che risultano nuove quando questi ultimi rispondono loro. La Legata di Lugia richiude la porta silenziosamente e annuncia con in viso un’espressione grave e seria: «Sono arrivati alcuni Victory.»
«Per le telecamere, no?» Daniel fa un cenno stizzito verso l’alto.
«Mi sembra di aver sentito così.»
Il ragazzo sbuffa un “Fantastico” e Luke gli risponde candidamente: «Fatti un’idea migliore della mia e torna indietro nel tempo a mettere a posto la situazione, allora.» L’altro lo ignora, io faccio un sorrisetto.
Ilenia guarda di nuovo fuori e qualche momento dopo ci aggiorna: «Gli addetti alla sicurezza sono usciti.»
«Allora andiamo a sistemare i Victory?» domando.
Ilenia sorride. «Perché no?»
Apre la porta e il rumore fa voltare subito le reclute, che girano a volto scoperto. In un istante estraggono delle pistole dalla fondina e sparano colpi a ripetizione; tutte le pallottole si disintegrano contro una barriera psichica eretta da Ilenia. Nel frattempo io, approfittando della difesa, mi concentro al massimo sulle gambe di una delle tre reclute: questione di pochi secondi - dovrei metterci ancora di meno! - e si ritrova con una gamba avvolta dalle fiamme arcobaleno, strillando per il dolore e abbandonando le sue armi. Gli altri due si precipitano ad aiutarlo quando capiscono che stanno sprecando tempo cercando di colpirci; un’improvvisa folata di vento li investe e li sbatte contro il muro più vicino: uno batte forte la testa e sviene, l’altro la schiena.
Daniel si fa avanti e protende un braccio in avanti, con la mano aperta: quando la chiude a pugno, le pistole dei Victory si accartocciano su sé stesse. Luke non vuole perdere il suo turno e invia delle scariche elettriche ai tre ancora coscienti, abbastanza forti perché perdano i sensi come il loro collega già svenuto.
Io e Ilenia andiamo fuori a sistemare gli addetti alla sicurezza, che appena ci vedono impallidiscono, senza però riuscire a far niente, neanche a dare l’allarme. «Ehi, ehi!» li chiama lei. «Qui non è successo niente, e poi oggi non siete nemmeno mai andati a lavorare.»
«Meglio che vi prepariate al licenziamento imminente» aggiungo.
I due annuiscono con un’espressione ebete in volto, poi girano i tacchi e se ne vanno, in balia dei nostri poteri psichici. Daniel ci raggiunge e sbarra la porta con dell’acciaio, prendendolo direttamente dai rivestimenti metallici delle pareti. Poi si volta verso noi due e fa: «I vostri poteri psichici mi inquietano.»
«Spiace anche a me aver fatto perdere il posto di lavoro a quei due, ma…»
«No» mi interrompe. «Quelle cose con il vento e il fuoco.»
Io e Ilenia ci scambiamo un’occhiata e un rapido sorriso d’intesa, poi torniamo ai nostri affari. Nessuno di noi si è stupito del fatto che i Victory siano riusciti a mettere alcuni dei loro a controllare l’anagrafe e i registri di tutti i cittadini. Sono proprio i luoghi in cui conservano questi ultimi che dobbiamo trovare, per raccogliere tutte le informazioni necessarie sui Legati di Reshiram e Zekrom.
Corriamo come pazzi per l’unico corridoio presente, a parte quello piccolo per il bagno, che parte dalla sala con gli sportelli degli uffici e la zona di attesa. Due o tre porte si affacciano su di esso ma, seguendo un sesto senso che pare sia comune a tutti e tre, ci precipitiamo su quella in fondo, sulla parete di fronte a noi - anche perché è l’unica che, accanto a un paio di avvisi “Riservato” e “Accesso limitato al personale autorizzato”, presenta lo stemma del Victory Team in bella mostra. Ilenia si è curata di controllare se ci fosse qualcun altro nelle vicinanze ma sembra che l’anagrafe non sia ancora nelle mani dei Victory. «Sono sicura che tra poco arriveranno, se sono stati assegnati a questo posto a tempo pieno» dice, ansimando per lo sforzo compiuto. «Si metteranno a lavorare quando crederanno che neanche gli inservienti e gli addetti alla sicurezza siano qui. Abbiamo poco tempo.»
«Ci sarà sufficiente» afferma Daniel. Ha scrutato Luke per tutto il tempo e continua a farlo: il Legato di Raikou, con precisione meticolosa, prima di girare ogni angolo ha individuato e disattivato tutte le telecamere nelle vicinanze, cosicché non ci riprendano. E poi, prima di andarcene dagli uffici, dovremo cancellare la memoria delle reclute che abbiamo lasciato svenute in un angolo della sala principale, visto che l’unica alternativa che altrimenti ci rimarrebbe è ucciderle.
«C’è comunque la possibilità che quelle fossero le uniche reclute che lavorano qui, e che nessun altro arriverà prima di domani» dico, sforzandomi di essere ottimista. La sensazione che i Victory si siano infiltrati ovunque, tuttavia, è troppo forte perché riesca ad avere qualche convinzione a riguardo. Gli altri non mi rispondono, segno che dubitano altamente di questa possibilità.
Daniel si fa avanti e rivolge un’ultima occhiata al gruppetto esiguo dietro di lui, poi apre la porta rimodellando le parti in metallo che la tengono serrata. La situazione non cambia di molto: un corridoio non molto lungo si apre davanti ai nostri occhi, stavolta non vuoto: su un lato, fino alla fine di esso, corre una parete di armadietti piuttosto piccoli. Sulla parete opposta ci sono tre porte, tutte, stavolta, con un’indicazione: la prima recita semplicemente “Servizi”, la seconda “Sala computer”, e infine l’ultima, l’unica senza un cartello, sembrerebbe per questo quella che fa al caso nostro. Daniel sblocca di nuovo l’entrata e varchiamo la soglia.
È come essere entrati in una biblioteca di armadietti. Sono molto più alti e spessi di quelli nel corridoio: sono stretti i passaggi tra l’uno e l’altro, il che la dice lunga su quanti ce ne siano in una stanza che, a occhio e croce, sarà delle dimensioni di una sala per gli allenamenti Pokémon nelle basi segrete delle Forze del Bene. Su uno di essi c’è scritto “Registro popolazione - Censimento straordinario anno 338”. Con un pennarello rosso è stato sottolineato “straordinario” ed aggiunto “in corso su ordine di Alaric Ghecis, 17 gennaio”.
«E adesso?» mormora Luke, sconfortato dal numero inimmaginabile di cartelle contenute in ogni armadietto.
«Cerchiamo alle lettere A, Z, R e Y» risponde Daniel, riferendosi alle iniziali di nomi e cognomi dei nostri Legati, Rongyin e Anyang.
Ci dividiamo, uno per ogni lettera: Ilenia e Luke non trovano niente alla Z e alla Y, finendo subito di cercare visti i pochi cognomi, rispetto alle altre due, che cominciano con queste lettere. Luke mi raggiunge alla R, che ha bisogno di almeno due file di armadietti: ci spostiamo subito ai cognomi in Ro-, poi Ron-, e dopo qualche minuto troviamo finalmente la nostra Rongyin. Rubiamo il suo fascicolo e quello dei suoi genitori e richiudiamo l’armadietto grazie al potere dell’acciaio di Luke, secondario a quello del fulmine, che ci ha pure consentito di aprire i vari cassetti.
Andiamo ad aspettare Daniel e Ilenia davanti la porta e ci raggiungono in neanche un minuto, con le cartelle contenenti le informazioni di Anyang e famiglia. Rongyin non ha fratelli e il suo cognome è unico.
Ci precipitiamo di fuori, io e Luke ad aprire la strada a Daniel e Ilenia che si sono caricati tutte le cartelline: il Legato di Dialga riesce a mettere a posto pressoché alla perfezione la porta, che sembra non essere mai stata aperta in modi affatto convenzionali. Lo stesso si può dire per la successiva, che ci riporta al primo corridoio da quello piccolo con gli armadietti.
«Adesso rallentiamo» dice Luke, voltandosi verso gli altri due mentre io osservo il corridoio. «Potrebbe essere arrivato qualcuno.»
«Dobbiamo anche cancellare la memoria delle reclute» ricorda Ilenia a bassa voce, prima che proseguiamo.
Camminiamo silenziosamente, anche piuttosto lenti, come se avvertissimo la presenza di qualcun altro ma non ne fossimo certi. E ad essere sincera con me stessa, devo ammettere - un brivido mi fa quasi trasalire nel pensarlo - che non mi sento per niente tranquilla: spero sia suggestione, ma è una sensazione davvero troppo forte, quella che qualcun altro sia arrivato mentre noi facevamo le nostre ricerche e si sia appostato da qualche parte, aspettando che cadiamo in trappola.
I miei peggiori sospetti trovano conferma quando passo accanto ad una porta, mentre sono a capo della fila, e la trovo socchiusa. Prima mi ero accorta di come tutte fossero bloccate, sicuramente chiuse a chiave. Inspiro profondamente, cercando di calmare i battiti accelerati del cuore, e mi fermo davanti ad essa. Subito arriva la domanda di Daniel: «Che c’è?»
«Prima questa era chiusa» sussurro, portando lentamente una mano alla maniglia. Sento gli occhi di tutti che mi fissano e tiro a indovinare le loro emozioni: scetticismo e diffidenza da parte di Daniel, preoccupazione e timore di Ilenia e Luke. Sposto la mano sulla porta e spingo, mormorando: «Aspettatemi qui, torno subito.»
Nessuno ci tiene a unirsi a me e per qualche ragione sconosciuta sono contenta di poter andare a curiosare da sola, nonostante la paura, come se fossi convinta che dentro la porta si celi qualcosa che voglio vedere solo io. Lascio la porta spalancata e anche gli altri, così, possono vedere l’ennesimo corridoio degli uffici anagrafe. È sconfortante scoprire di essere in una specie di labirinto, con infiniti passaggi e stanze indistinguibili le une dalle altre, ma la sensazione sparisce all’istante quando vedo un movimento a poca distanza da me. Mi dirigo verso di esso a passo deciso ed entro nella porta in cui sembra essere andata la figura di prima, fingendo di non percepire Daniel che, insicuro sul da farsi, ha preferito seguirmi, mantenendosi però abbastanza lontano.
Il mio cuore deve certamente fermarsi, ma nemmeno gli do importanza, appena i miei occhi riconoscono il Victini cromatico che per la prima - e credevo unica - volta incontrai nel boschetto vicino Giubilopoli, dopo l’attacco improvviso del Victory Team all’Accademia. Il Victini mi dà le spalle, ma sembra capire quando sono sicura di non essere in preda ad una sorta di allucinazione, perché in quel momento si gira e mi osserva con i vispi e intelligenti occhioni azzurri. Fa un sorrisetto che scopre i canini lunghi e appuntiti, per poi correre via. Senza rendermi conto della porta che si chiude alle mie spalle e delle imprecazioni e delle grida di Daniel quando si ritrova chiuso fuori, lo seguo. La stanza non conteneva altro che una rampa di scale che porta verso l’alto.
“Non dovremmo essere qui” dice Ho-Oh. Per tutta risposta lo ignoro: l’incontro con Victini mi ha trasportata in una sorta di trance, e il mio unico obbiettivo e pensiero è raggiungerlo. Se c’è lui, c’è anche la bambina, che di giorno in giorno mi sono convinta sia la chiave per capire l’esistenza e i veri scopi del Victory Team - o meglio, di Nike e del suo fratello gemello. Lei è l’anello mancante per trovare le risposte a tutte le domande sui Victory… e forse anche sui Legami e sul perché siano stati creati molto prima dell’inizio del conflitto. Questa sicurezza mi assale all’improvviso e spinge le mie gambe ancor di più, recuperando il terreno perso con la fuga di Victini.
Rischio di scivolare e finire per terra su ogni pianerottolo, mentre il fiato si fa man mano più pesante a forza di correre a rotta di collo per le scale. Non so dove mi stia portando Victini, in quali guai mi stia cacciando: nessuna porta si affaccia sui pianerottoli e questo dovrebbe insospettirmi, ma non mi importa e cerco di non pensare alla stanchezza crescente.
Al quinto o sesto piano, Victini si ferma: io mantengo una certa distanza per evitare che scappi di nuovo, più rapido di prima. Il mio fiato affaticato fa fin troppo rumore nel silenzio di tomba generale: mi guardo intorno velocemente, cercando di capire qualcosa su dove mi trovo, ma subito Victini riprende la sua corsa e mi costringe a seguirlo, ancora senza aver recuperato le energie. La prima porta che vedo da interi minuti si apre senza che lui faccia niente, sicuramente grazie ai suoi poteri psichici: mi affretto ad oltrepassarla e poco ci manca che mi colpisca mentre, il più velocemente possibile, esco.
Mi ritrovo su una terrazza spoglia, scarsamente illuminata, se non da un paio di lampade accanto alla porta e dal pallido chiaro di luna di questa serata limpida. Per questo motivo ci metto un po’ a distinguere le figure, e nonostante credessi di essermi preparata psicologicamente, sono messa a dura prova quando riconosco la cascata di ordinati riccioli biondi, l’orlo di un vestitino bianco e due gambette magre che l’ultima volta avevo a malapena visto, dall’alto per giunta, nascosta tra le fronte di un pioppo del percorso 203. Il vento che mi aveva investita appena messo piede all’esterno si è acquietato, come per magia, quando i miei occhi hanno individuato “Vì”, e la corrente sospinge con inaudita dolcezza la chioma lucente e il suo abito.
Victini le si affianca e lei, senza girarsi, lo prende in braccio: negli stessi secondi mi avvicino, esitante, cercando di non far rumore quando i miei piedi toccano il terreno. Mi fermo dopo poco, a metà strada tra lei, che si trova pericolosamente vicina al cornicione del palazzo, e la porta. Non so cosa fare, non ho il coraggio di dirle niente, anche se credo stia a me parlare per prima… sempre che ci sia bisogno di scambiare qualche parola.
«No
È l’unica cosa che mi esce di bocca, uno strillo acuto, quando la bambina sale senza preavviso sul cornicione e, senza vacillare sulle sue intenzioni, muove un passo nel vuoto e si lascia precipitare. Il mio scatto fulmineo è del tutto inutile: metto le mani avanti e mi appoggio sul cornicione per evitare di andarci a sbattere, sporgendomi quanto basta per notare che della bionda ragazzina non c’è più traccia. Respiro pesantemente, scandalizzata e svuotata di ogni certezza.
Una domanda si affaccia alla mia mente confusa: era un’illusione? Possibile che sia stata preda di una sorta di allucinazione, dopo settimane passate a ripensare a quell’assurdo incontro nel bosco del percorso 203 a Sinnoh? Eppure era tutto così reale: le mie sensazioni, il sorrisetto astuto del Victini cromatico, il vento che muoveva i capelli e il vestito di “Vì”… e ancor prima la porta che si chiudeva all’improvviso alle mie spalle, separandomi così da Daniel. Non so se sono stata ingannata dalla mia immaginazione o da “Vì” stessa.
Potrei continuare a studiare Via Austropoli sotto di me, affollata dalla marea umana e da quella dei mezzi di trasporto, entrambe caratteristiche dell’orario di rientro a casa, mentre mi chiedo senza avere successo che fine possa aver fatto la ragazzina: ma il rumore della porta sulla terrazza che si apre mi riporta al mondo reale. Mi aspetto di vedere Daniel e gli altri che mi hanno finalmente raggiunta, ma il sangue nelle mie vene si ghiaccia quando mi ritrovo a fronteggiare nient’altri che un ghignante Ghecis, seguito dal fedelissimo Trio Oscuro.
Un istinto primitivo cancella ogni traccia di paura e sconvolgimento, tendendo i miei nervi e mettendomi sull’attenti, pronta a scattare come una molla al primo cenno minaccioso da parte dei nemici.
«Sorpresa di vederci, signorina fenice?» mi apostrofa il Generale, ridacchiando come un pazzo - non che la sua sanità mentale sia integra, da quel che so. «Tu e i tuoi amici puzzate di Legame in modo atroce. Ma è proprio strano che tu sia da sola, nemmeno io mi aspettavo di trovarti qui. Dove hai lasciato i tuoi compari?»
«Sono io a chiedere cosa ne avete fatto.»
«E chi li ha visti!» ride Ghecis, cominciando ad avanzare, imitato istantaneamente dai tre uomini alle sue spalle. «Siamo venuti qui e abbiamo trovato solo te. Mi stai dicendo che non abbiamo cercato con sufficiente cura?»
A malapena l’ho ascoltato mentre parlava: mi sono concentrata al massimo sulle sagome nere del Trio Oscuro, quasi mimetizzate con l’oscurità sempre maggiore. Ghecis sgrana gli occhi chiari e si blocca quando sente tre urli di dolore provenire da dietro di lui, e prima ancora di voltarsi balza in avanti appena percepisce il calore del fuoco scoppiato all’improvviso: le fiamme si sono materializzate addosso ai membri del Trio senza che lui o loro stessi sospettassero nulla. Aver colto alla sprovvista il Generale, però, non è abbastanza per farmi sentire al sicuro e per cantare vittoria: quando Ghecis si concentra di nuovo su di me, con in volto un’espressione spaventosa, gelida, che non credevo fosse in grado di esibire, scaglio un pugno verso di lui da cui si sprigiona una forte corrente d’aria. Gli uomini del Trio Oscuro rovinano a terra, dibattendosi come insetti tra le fiamme; lui si inginocchia, ancorandosi in qualche modo al terreno, scrutandomi con gli occhi minacciosi e improvvisamente pieni di odio.
Un momento dopo, un raggio rosso parte dalla sua figura: è una Poké Ball che si apre, quella di un Hydreigon. La bestia ruggisce e sfoga la rabbia sua e del suo padrone con un velocissimo Neropulsar, da cui mi difendo a malapena con una barriera psichica. Questa si rompe appena l’onda di energia oscura si infrange su di essa, come il mare agitato su uno scoglio, e Hydreigon, avvicinatosi, riparte alla carica con un Lanciafiamme. Mi scosto ma non abbastanza velocemente, e le fiamme mi lambiscono un fianco, bruciacchiandomi i vestiti e strappandomi un grido di lamento e sorpresa per la scottatura. Rialzo lo sguardo sul mio avversario Pokémon e mi evito una seconda fiammata color sangue, che probabilmente mi avrebbe causato un’ustione, con un gesto secco della mano, deviando la direzione del fuoco.
«Lui ti sembra un avversario alla tua portata?» esclama Ghecis. «Non mi sei sembrata contenta dei miei uomini, li hai cacciati subito dal campo di battaglia. Spero che almeno lui riesca a intrattenerti!»
Al Dragopulsar di Hydreigon rispondo con una vampata di fiamme arcobaleno che neutralizzano l’attacco e arrivano a ferire il Pokémon, che normalmente non potrebbe competere con un essere umano con i poteri di un Leggendario. Ma questa sicurezza non mi porta a sottovalutare il mio nemico, anzi: i suoi colpi sono estremamente forti, di sicuro molto più dei Pokémon della sua stessa specie.
Nel frattempo Aramis si è liberato da solo dalla sua Ball: cerco di trattenerlo ma, senza degnarmi di uno sguardo, si lancia contro Hydreigon, scarta di lato evitando un suo Neropulsar e lo attacca con Zuffa, facendolo svenire sul colpo. Ghecis sbuffa e con uno scatto fulmineo prende quella che sembra essere una pistola, ma non è altrettanto svelto a sparare: scaglio un altro pugno, dal basso verso l’alto come un montante, e una forte raffica gli fa mollare la presa sulla pistola, a cui un momento dopo do fuoco.
«Non mi avevano detto che eri così brava. Non ho mai davvero avuto l’onore di combattere faccia a faccia con un Legato… per di più, con la ricercata numero due dei signorini!»
Non so perché, ma l’uomo ha ripreso a sorridere. Io lo osservo con sospetto, le sopracciglia aggrottate e la vista il più possibile affilata, per cogliere un qualsiasi movimento da parte sua, ma sembra essersi calmato. Avrà capito di essere in svantaggio e cercherà di fuggire, nel frattempo cercherà di distrarmi con qualche chiacchiera.
“Dovrei ucciderlo, ora che ne ho la possibilità” dico a Ho-Oh.
“Non puoi.”
“Perché?!” Si ripresenta la situazione vista più volte in passato: Raikou impedì a Luke di assassinare Giovanni quando poteva benissimo farlo, Xerneas non concesse a Camille di vendicarsi di quel che Elisio aveva fatto a lei e alla sua famiglia, Ho-Oh non mi lasciò uccidere Cyrus… e ora vuole fare lo stesso con Ghecis. Senza darmi una risposta, tra l’altro: non mi spiega perché non possa farlo. È proprio questo che accresce in me il desiderio estraneo, ma improvvisamente e inaspettatamente piacevole, di ammazzare uno dei nemici più importati e pericolosi.
«La ricercata numero due» ripeto. «Il numero uno è il Legato di Dialga.»
«Esattamente! Mi sarei preparato meglio allo scontro, se avessi saputo che te la cavi così bene con il tuo Legame. Meno in fretta, sai… ehi, cosa guardi?»
I miei occhi si sono spostati da Ghecis al di sopra di lui, al soffitto della scatola di cemento sulla terrazza da cui, attraverso la porta, sono uscita. Persino nell’oscurità ho colto un movimento con la coda dell’occhio, e ora riesco a vedere “Vì”, leggermente illuminata da una luce che non dovrebbe esserci. Spalanco le palpebre, basita, e i miei occhi cercano i suoi. Sono vitrei, privi di emozioni, di una fiamma di vita, ciechi per l’assenza di una qualsiasi sensazione: non so se stia ricambiando il mio sguardo o se stia osservando grosso modo la zona in cui mi trovo, o anche studiando l’intera scena tra me e Ghecis.
Il Generale, però, ha perso ogni significato: inizio a correre verso di lei, pronta a saltare aiutandomi con il potere dell’aria, dimenticando totalmente l’esistenza del nemico e di Ho-Oh, che invano ha gridato nella mia mente, svuotata di ogni pensiero, ordinandomi di fermarmi.
Ghecis approfitta di questo momento di confusione - o forse “Vì” era solo un’esca - per chiamare un altro Pokémon in aiuto, visto che i suoi uomini sono stati ustionati dalle fiamme arcobaleno: un Bisharp quasi non fa in tempo a materializzarsi dal luminoso raggio rosso che lancia un Nottesferza in mia direzione. Aramis tenta di intercettarlo con una mossa uguale, ma inutilmente: la scena si svolge davanti ai miei occhi come a rallentatore e, disorientata dall’improvvisa gran quantità di movimenti che mi ha distratta dall’apparizione della bambina, non ho avuto il tempo di capire cosa fare.
Il dolore sopraggiunge solo quando realizzo che mi è stato inferto un taglio profondo quasi fino all’osso sulla parte esterna dell’avambraccio. Lo strillo smorzato lanciato prima per la scottatura è un lieve sospiro in confronto all’urlo che mi toglie tutto il fiato dai polmoni e mi graffia le corde vocali. Il sangue sgorga a fiotti e ben presto arrivano le lacrime a gareggiarci, mentre esso inzuppa le maniche strappate dei miei vestiti. Mi piego su me stessa portando una mano alla ferita e nascondendo il braccio, come a volerlo difendere da altri attacchi; rialzo la testa quando sento un tonfo e vedo Aramis a terra dopo un colpo di Bisharp, ma evita subito il successivo e lo manda al tappeto come aveva fatto con Hydreigon, usando Zuffa.
Alzo ancora un po’ lo sguardo e vedo che “Vì” è sparita - o almeno credo, data la vista annebbiata e la mente confusa, rivolta soltanto al dolore e alla sensazione del sangue sulla mia pelle. Aramis indietreggia mentre Ghecis avanza in mia direzione, stavolta ghignando. «E adesso, signorina fenice? Sembra che le tue condizioni non siano più granché! Ma non temere, ti porterò a fare la conoscenza di qualcuno che ti farà sentire come nuova!»
Non fa in tempo a terminare la frase che una pista di fiamme arcobaleno parte dai miei piedi e raggiunge i suoi: balza indietro evitando i danni peggiori, ma le sue scarpe sono ugualmente fumanti. Non sono stata io, ma Ho-Oh, che è uscito dalla forma materiale del Legame: un filo di fuoco è partito dal frammento di prisma ed è cresciuto nell’aria, mentre le fiamme sgargianti si spostavano dietro di me e acquistavano una forma più definita. Un paio di braccia e mani umane mi cingono dolcemente le spalle e nel frattempo Aramis sparisce, sempre trasformandosi in un fuoco arcobaleno che si estingue nel nulla, ma tornando nella sua Poké Ball.
Ghecis non guarda più me con i suoi occhi sgranati e terrorizzati, ma oltre. So già di cosa - anzi, di chi si tratta, però non faccio in tempo a girare la testa per trovare una conferma: non ho nemmeno la forza di farlo, mi sembra di svenire. E vorrei davvero perdere i sensi, almeno per non provare più dolore, ma è proprio questo a tenermi con la mente nel mondo reale e con i piedi per terra, a cercare di frenare il flusso di sangue da quella che, credo, è la più grave ferita che mi sia mai procurata.
Ghecis si cruccia e fa per dire qualcosa, non so se a me o al corpo umano di Ho-Oh; sono già in un vortice di tutti i colori dell’arcobaleno, diretta in un luogo sicuro scelto dal Leggendario.
  
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