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Autore: Sandra Prensky    26/06/2016    2 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII.

 

And all the people say,
"You can't wake up,

this is not a dream,
You're part of a machine,

you are not a human being,
With your face all made up,

living on a screen,
Low on self esteem,

so you run on gasoline."
I think there's a flaw in my code

These voices won't leave me alone
Well my heart is gold

and my hands are cold.

(Halsey – Gasoline)

 

Moscow, Russia

55°45’06”N 37°37’04”E

Tuesday, 8th December 2015

7.56am

 

Natasha scese dal treno della metropolitana, facendosi strada tra la folla di pendolari. Era perfettamente consapevole del suo aspetto stropicciato, persino più del solito. Quella mattina non sarebbe bastato tutto il trucco che aveva con sé per nascondere le occhiaie... Non che nei mesi precedenti fosse servito a molto, in effetti. Era semplicemente stravolta, avrebbe pagato oro colato solo per una notte di sonno. Tutto le costava una fatica immensa, persino camminare o pensare. Si trascinò verso il primo bar che trovò sulla strada, sentendo l’impellente bisogno di una discreta dose di caffeina. Mentre aspettava al bancone, scorse la propria immagine in uno specchio dietro allo scaffale dei liquori. Non si ricordava l’ultima volta che era stata così disordinata nell’immagine. A parte le occhiaie ben evidenti sotto gli occhi, i suoi capelli erano un disastro. Spettinati e caotici, riusciva quasi a vedere i nodi nello specchio tanto erano grossi. Era più pallida del solito e i vestiti che indossava, per quanto puliti e profumati, avevano un’urgente bisogno di una stirata. Sembrava quasi una senzatetto. Se qualcuno l’avesse vista la sera prima al Bolshoi, elegante e ordinata, non avrebbe saputo riconoscerla ora. Mentre soffiava sulla tazzina, aspettando che la bevanda si raffreddasse, si guardò intorno. Nel bar c’erano diversi studenti che si apprestavano ad andare a scuola, lavoratori che si erano fermati per prendere, come lei, un caffè ai fini di svegliarsi e una coppia che stava discutendo animatamente su chi sarebbe dovuto andare a recuperare i figli a scuola quel giorno. Natasha osservava tutti, in silenzio, e per l’ennesima volta si chiese come sarebbe stato avere una vita normale. A lei era sempre stata negata, fin dall’infanzia... Si immaginò per un attimo come sarebbe stato se lei avesse avuto dei genitori, fosse andata a scuola, si fosse laureata e avesse trovato un lavoro, messo su famiglia. Non riusciva a pensare a un mondo in cui lei aveva problemi normali e quotidiani, le bollette da pagare, il mutuo, dei figli, degli amici. Aveva sentito un sacco di volte le persone lamentarsi per quelle questioni e lei avrebbe tanto voluto far capire a tutti loro quanto fossero fortunati. Avrebbe dato via qualsiasi cosa pur di non essere se stessa almeno per un giorno. Non Natalia Alianovna Romanova, non la Vedova Nera, nemmeno un’Avenger. Semplicemente Natasha Romanoff, una perfetta sconosciuta che viveva la sua vita anonima. Certo, senza la Stanza Rossa lei sarebbe invecchiata normalmente e a quel punto sarebbe ormai anziana. Chissà se sarebbe stata contenta della sua vita, se avrebbe avuto figli e nipoti che sarebbero andati a trovarla spesso, un marito con cui invecchiare e andare a fare passeggiate la domenica mattina, o chissà se sarebbe stata sola e piena di rimpianti, in una casa piccola e mal curata a urlare ai bambini che giocavano nel suo giardino. O magari non sarebbe mai arrivata a quell’età e sarebbe morta in guerra negli anni Quaranta. Scosse la testa. Doveva smettere di fantasticare su qualcosa che non avrebbe mai potuto avere. Lei era una Vedova Nera, non sarebbe mai riuscita a scrollare gli anni della Stanza Rossa via da sé. Il suo passato era indelebile, tutti le azioni che aveva compiuto. Una vita normale non era destinata a lei, non lo sarebbe mai stata. E in effetti, a pensarci bene, non era nemmeno così sicura di meritarsela. Finì di bere il suo caffè e lasciò una banconota di fianco alla tazzina. Si trascinò stancamente fuori dal bar. L’aria fredda del mattino la aiutò a svegliarsi del tutto. Le temperature erano scese ancora rispetto a una settimana prima, Mosca si stava preparando a un altro rigido inverno. Natasha si strinse nel suo cappotto e si avviò sulle strade ghiacciate in direzione del negozio di una sua vecchia conoscenza. Sperò vivamente che fosse ancora aperto dopo tutti quegli anni, o che lui non fosse stato arrestato per contrabbando e per attività illegale. Fu sollevata nello scorgere da lontano l’insegna sudicia e piena di fori che recitava a caratteri sbiaditi “антикварный магазин (negozio di antiquariato)”. Si affrettò verso la porta. Era tutto come se lo ricordava: buio, con un odore di marcio piuttosto pungente, pieno di cianfrusaglie in legno divorate dai tarli. Con le labbra increspate a un piccolo sorriso si avvicinò al bancone, facendosi strada tra i mobili accatastati. Suonò il campanello e sentì un rumore di oggetti che cadevano proveniente dal retro, come se qualcuno si fosse svegliato di scatto e avesse fatto crollare una pila di oggetti in bilico. Sentì uno scalpicciare venirle incontro, e una voce stridula dire:

-Добро пожаловать в мой магазин, как я могу помочь … (Benvenuto nel mio negozio, come posso aiutar...- L’uomo uscì dalla tenda sul retro del bancone e si bloccò. Era decisamente basso, più di Natasha, e aveva pochissimi capelli grigi pettinati in un riporto che rimaneva appiattito solo grazie alla generosa dose di brillantina che vi era applicata. Portava degli occhiali giganteschi dalla montatura marrone che rendevano i suoi occhi acquosi ancora più evidenti. Da come era vestito si sarebbe potuto dire che fosse rimasto indietro di qualche decennio in fattore di moda.

-Вы не можете остаться здесь. (Non puoi stare qui).- Disse in fretta, sbiancato appena aveva visto la ragazza.

-Рад видеть вас тоже, Лев. (Anche per me è un piacere rivederti, Lev)- Replicò la ragazza con un sorriso di scherno, per niente turbata dalla reazione dell’altro.

-Natasha, non so cosa ti abbiano detto, ma io non faccio più il lavoro di una volta. Ho smesso, okay? Finito. Non voglio più mettermi nei guai, ho una famiglia da mantenere. Quindi, a meno che ti interessi un armadio in compensato beh, ti suggerirei di uscire da qui prima che chiami la polizia.- Farfugliò l’altro con voce stridula in un inglese stentato, impallidendo se possibile ancora di più. Natasha ridacchiò.

-Non chiamerai la polizia, lo sappiamo entrambi. Dovrebbero esaminare i tuoi documenti, e il mio sesto senso mi dice che non sono a norma... Non vorresti essere rispedito in Ucraina con la tua famiglia, soprattutto non in questo periodo.- Disse con voce melliflua. Lev sbuffò.

-Per favore, vattene. Vorrei aiutarti, davvero, sai che l’ho sempre fatto. Sto davvero cercando di rimettermi in riga, capisci? Rischio già lo sfratto, non chiedermi di fare... Niente di ciò che facevo.

-Andiamo, Lev, è solo un’analisi di un campione di sangue... Non è niente di incredibile, con le tue abilità ritroveresti la corrispondenza in un attimo. Suvvia. Fallo per me.- Sorrise nel modo più convincente possibile.

-Perché non lo chiedi a uno dei tuoi amici americani, i famosi Avengers? Quel... Stark, o qualunque sia il suo nome. Sembra molto più intelligente di me e di sicuro ha attrezzature migliori.

Natasha storse il naso.

-Diciamo che non sono nella lista delle persone preferite di Tony Stark. Lavoro da sola, adesso.- Disse, non capace di nascondere l’amarezza nella propria voce.

-Sapevo che non sarebbe durata. Sei un lupo solitario, tu.- Lev sospirò. Natasha fece un gesto noncurante con la mano.

-Lev, devo ricordarti che sei in debito con me? Sai che sei rimasto in Russia solo perché ho interferito con la polizia e fatto in modo che non ti riportassero a casa... Non sarebbe un peccato se domani tornassero qui dopo una chiamata anonima e io non fossi qui a fermarli?- Chiese la rossa, una falsa nota di dispiacere nella voce. Lui si irrigidì.

-Non oseresti.-Cercò di replicare, ma i suoi occhietti lucidi avevano già iniziato a zigzagare spaventati e la sua voce si era fatta nuovamente stridula.

-Ah no?- Chiese lei con un sorrisetto innocente. Osservò compiaciuta l’altro sbuffare e passarsi una mano nei pochi capelli.

-D’accordo.- Ringhiò Lev. -Ma solo un’analisi. Nient’altro.

-Sapevo avresti fatto tutto in nome della nostra amicizia.- Natasha sorrise maliziosa e oltrepassò il bancone per accedere al retro, seguita dall’uomo. Lo osservò mentre spostava casse di cianfrusaglie e ne tirava fuori una più grande. Da quella estrasse diverse attrezzature da laboratorio, boccette, microscopi, pipette e tutto il kit base di un chimico. Prese anche un computer dall’aria costosa, presumibilmente rubato.

-Allora, fammi vedere con cosa abbiamo a che fare.- Tese la mano verso Natasha, che gli passò la boccetta con il sangue prelevato nella base di Lobnya.

-Cos’è questa sostanza blu?-Chiese Lev.

-É esattamente ciò che speravo mi dicessi tu.- Rispose lei, sedendosi su un tavolo a poca distanza e lasciando oscillare le gambe. Lui annuì e tornò al lavoro, trafficando con specchietti e spostando campioni di sangue da una pipetta all’altra. Passarono così diversi minuti, e dovette passare più un’ora prima che uno dei due emettesse un fiato.

-Наташа, вы бы лучше взглянуть на это. (Natasha, forse è meglio che tu veda questo.)

La rossa scese con un movimento elegante dal tavolo, e si avvicinò a lui impaziente. L’uomo picchiettò sullo schermo del computer.

-Ho analizzato il sangue e la sostanza blu separatamente. La sostanza rossa è semplicemente sangue, non modificato. Non è come il tuo, non c’è nessun siero della Vedova o intrugli strani. Eppure ho trovato tracce di questo DNA qui.- Indicò un punto sullo schermo, l’immagine della struttura a doppia elica del DNA. -Dopo qualche ricerca e controllo incrociato con i registri della Stanza Rossa, ho trovato una corrispondenza al 99%.- L’immagine di una ragazza bionda, con gli occhi azzurri e le labbra sottilissime comparve sul desktop. Natasha scosse la testa.

-Non è possibile. La conoscevo, era entrata nel progetto Vedova Nera due anni dopo di me. È morta negli anni Settanta. Non può esserci il suo DNA nel corpo di una ragazzina, non in quelle quantità.

Lui annuì.

-Infatti per avere una corrispondenza così alta è improbabile anche che siano semplicemente parenti. Non può essere sua figlia perché voi Vedove non potete averne, vero?-L’occhiataccia di Natasha gli bastò come risposta.-Allora ho analizzato meglio la sostanza blu. È quella che porta tutto il DNA, è stato impiantato nella bambina. Non era già presente.

-E perché mai dovrebbero...

-Non lo so. Ma se la Stanza Rossa sta ricominciando a fare strani esperimenti sulle ragazzine, ho tutte le intenzioni di starne fuori. E ti consiglio di fare lo stesso, considerando i tuoi trascorsi con la Stanza.- Iniziò a mettere a posto freneticamente tutta l’attrezzatura, come se volesse sbarazzarsene al più presto.

-Lev, devo saperlo. Non posso permettere che ciò che è successo a tutte quelle ragazzine accada di nuovo.

-Come preferisci. Каждый волен выбирать свою собственную смерть (ognuno è libero di scegliere la propria morte).- Sospirò. -Anche volessi dirti qualcosa, non potrei. Non ho più contatti nella Stanza da secoli ormai, non so cosa abbiano in mente. Quello che so dirti è che non sarà niente di buono e finirà male per te se continui a ficcare il naso in queste faccende.- Pulì alla svelta i vetrini sporchi di sangue e nascose di nuovo tutto dietro alle casse di legno. Natasha si passò una mano tra i capelli, sospirando.

-Posso chiederti un’altra cosa?

-Oh no, avevamo detto solo un’analisi, io l’ho fatta. Non cambiare i patti...-Inziò lui, sulla difensiva

-Tranquillo, devo solo chiederti se questo ti dice qualcosa.-Natasha estrasse la copia di Anna Karenina che aveva trovato al Bolshoi dalla borsa e gliela tese. Lui la guardò in cagnesco per un secondo e poi afferrò il libro. Esaminò la copertina e poi la guardò interrogativo.

-Beh? L’ho letto. Noioso. Cosa ci dovrei fare e cosa c’entra con la Stanza Rossa?

-Ce l’aveva una Vedova Nera. O almeno credo che lo fosse...

Lev aprì il libro e iniziò a sfogliarlo. Dopo qualche minuto, glielo restituì, scuotendo la testa.

-Mi dispiace.

Natasha scrollò le spalle.

-Non importa. Grazie per il tuo aiuto.- Si girò e fece per andarsene. -Ah, una cosa. Se racconti a chiunque, anche solo al tuo postino, che io sono stata qui e cosa ti ho chiesto, ti assicuro che non ci sarà casa, bettola o capanna di paglia dove potrai nasconderti da me. Mi assicurerò personalmente che tu, tua moglie e i tuoi figli rimaniate senza nemmeno una goccia di sangue. Ci siamo intesi?

L’uomo, che era di nuovo impallidito, annuì.

-Come speravo. È stato un piacere rivederti, Lev. Porta i miei più cari saluti a Katen’ka e ai ragazzi. Arrivederci.-Con un sorriso di scherno, uscì dalla porta. Una volta fuori, avrebbe potuto giurare di aver sentito l’uomo bisbigliare “Al tuo funerale, forse.” 

   
 
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