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Autore: WhiteSwann    29/06/2016    4 recensioni
Cyril è un ragazzo normale, ma dotato di grande immaginazione. Quando attraverserà uno specchio e si ritroverà nella forma di un lupo antropomorfo nella curiosa e multiforme città di Zootropolis, un labirinto di edifici e mammiferi, la sua vita cambierà per sempre. Sarà proprio lui, un essere sospeso fra due realtà, ad aiutare gli agenti Judy Hopps e Nicholas "Nick" Wilde a sventare la minaccia di Dawn Bellwether, la cui insaziabile sete di potere rischierà di portare la distruzione non solo della città di Zootropolis ma anche dello stesso mondo di Cyril.
Fanfiction che inaugura il mio ritorno in questo sito dopo anni di assenza.
La storia conserva lo spirito avventuroso e comico del film originale, con una dose di romanticismo che non fa mai male. L'impianto generale può sembrare un cliché, ma cercherò di essere il più originale possibile.
Il titolo è un omaggio alle opere di Lewis Carroll e al cinema di Tim Burton.
Leggete e recensite! Accettate critiche.
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Benvenuti a Zootropolis

 

 

Era stata l'esperienza più folle che avesse mai vissuto.

Ciò che aveva visto era una massa cristallina che lo attraversava tutto: era in grado di percepire l'essenza stessa della materia, con cui aveva interagito; gli sembrava di nuotare in una massa fluida e gelatinosa, ma tutto questo era durato molto poco. Nel tempo di un attimo, si era subito ritrovato con il viso sul pavimento: l'impatto doveva essere stato molto forte, perché percepì subito una punta di dolore allo zigomo; emise un gemito e si rialzò poco dopo, massaggiandosi la parte dolorante. Tuttavia, non gli sembrò strano percepire una superficie setosa attraverso una mano insolitamente grande, dal momento che sembrava essere la naturale conseguenza della caduta e che l'aver attraversato uno specchio era stata una cosa ben più strana; non gli sembrò neanche strano il fatto che i vestiti gli sembrassero essersi fatti più stretti. Non preoccupandosi di ciò, scosse il capo, perché avesse maggiore lucidità, e osservò il luogo dove si trovava; era anch'esso un bagno, il quale era però completamente diverso da quello da cui era venuto: le pareti erano molto pulite, dal colore metallico, il pavimento immacolato e bianco e soprattutto un gradevole odore dai gabinetti. L'unica cosa che accomunava tale bagno dal primo erano le luci al neon, che emettevano luminosità a intermittenza: probabilmente, anche queste erano fuori uso.

Ora che aveva compiuto letteralmente il salto più impegnativo, Cyril non si sentiva spaventato o disordientato, bensì unicamente e semplicemente curioso: poiché era riuscito ad attraversare una lastra di vetro e a trovarsi in un luogo sconosciuto, ebbe la sensazione che avrebbe potuto fare e scoprire molto di più; in quella situazione, comprese l'irrefrenabile scintilla di entusiasmo che di solito provano gli scienziati o gli scrittori, nel momento in cui scoprono o compongono qualcosa di nuovo, che nessuno si sarebbe mai potuto immaginare: l'esperienza vissuto gli spalancava un oceano di variabili così grande che a stento sarebbe stato in grado di contarle tutte o semplicemente di percepirle tutte. Lui stesso non era in grado di definire quel che stava provando: era una commistione di gioia, curiosità e...sete, non di acqua, ma di...sapere: non avrebbe potuto scegliere altra parola, anche perché il suo vocabolario si era ridotto a un numero esiguo di parole, da quanto era esterrefatto e stupito insieme; si sentiva come un bambino, che scopre qualcosa di nuovo ed è talmente meravigliato che balbetta parole sensa senso, muovendo goffamente le labbra per esprimere qualche cosa che è sì sensato, ma talmente confuso ed evanescente, allo stesso tempo, nel proprio profondo che non è in grado di descrivere ciò che vede, se è per esempio grande o piccolo, piatto o esteso. Ciò che percepiva dentro di sé gli sfuggiva dalle mani e ogni tentativo razionale di comprendere quanto avvenuto andava aldilà delle proprie capacità: era, insomma, un'esperienza aldilà di ogni parametro umano. Cyril continuava a osservare estasiato il luogo dove si trovava, girando più volte su se stesso e ridendo a voce alta: se qualcuno lo avesse visto gioire in tal modo, si sarebbe stupefatto appunto della sua gioia per la scoperta di un posto a lui così ordinario; eppure, a Cyril era straordinario, perché si trattava del frutto di un salto da nessuno mai compiuto: benché un passo sia di per sé banale, ciò che comporta la meraviglia e la straordinarietà di quel passo è il punto nuovo e sconosciuto che è raggiunto attraverso quel semplice atto, atto che Cyril aveva appena compiuto. Mentre continuava a rallegrarsi, con la coda dell'occhio notò che qualcosa di indistintamente scuro si muoveva vicino a lui; si bloccò di colpo, con le spalle rivolte verso lo specchio: stette in ascolto, ma non udì nulla. Tuttavia, sentiva che si trattava di qualcos'altro, di cui non era riuscito a distinguere le sembianze; il suo cuore batteva all'impazzata, mentre una scossa di adrenalina percorreva inquietamente tutto il suo corpo: benché non lo volesse, sentiva il dovere di voltarsi e di fronteggiare colui che lo stava osservando. Sì girò.

Sullo specchio vide il riflesso canino di un lupo: il suo muso era tipicamente animalesco, allungato, ma con tratti insolitamente umani – tale era la sensazione che percepì Cyril; il pelo era nero e arruffato, i suoi occhi dal colore marrone scuro penetranti come spilli, così penetranti da raggelargli il cuore: l'animale, stranamente, non era a quattro zampe, come si aspettava, ma era in postura eretta, perlopiù con degli abiti addosso. Cacciò un grido di sorpresa e indietreggiò di un passo: stranamente, anche il lupo nello specchio fece altrettanto; si voltò indietro per sicurezza e, come si aspettava, non c'era alcuna creatura alle sue spalle: si doveva trattare per forza di un riflesso; eppure, era così grottesco che non poteva essere...Cyril si pose una mano sulla guancia: anche il lupo compì lo stesso gesto, appoggiando una grande zampa sul proprio muso; allora, un'idea attraverso il suo cervello rapida come il lampo e affilata come il coltello, paralizzandolo dal terrore: se fosse stato così, sarebbe stata la cosa più strana mai capitata.

"Sono proprio io" si disse con un filo di voce, che risuonava irreale per le parole che aveva appena pronunciato.

Probabilmente, la caduta gli aveva causato una sorta di danno celebrale: non poteva essere vero, perché era troppo strano; tuttavia, era così strano da avere una remota possibilità di essere verosimile: infatti, quello che aveva passato non era strano e verosimile insieme? Prese un gran respiro e si allontanò dallo specchio: rimase sul posto per qualche minuto, facendo respiri profondi e dondolando le braccia, sperando che l'esercizio fisico gli avrebbe fatto ottenere una reale distinzione delle cose; si voltò indietro, con lo specchio sulla parete e sopra il lavandino: prese un altro respiro e avanzò lentamente. Il cuore pompava velocemente, impaurito ed eccitato di quello che avrebbe potuto vedere: sarebbe comparso un volto umano o un muso animale? Dentro di sé, la seconda possibilità gli appariva stranamente attraente. Si sporse nel campo visivo dello specchio: il muso canino del lupo affiorò di lato. Cyril sobbalzò e mormorò fra sé:

"Devo stare calmo. Devo stare calmo".

Probabilmente, si trattava di un'allucinazione molto intensa e allo stesso tempo lucida; fu allora che gli venne l'idea di darsi dei pizzicotti: abbassò lo sguardo e vide un paio di zampe dal pelo scuro, dotate di grandi artigli. Il cuore di Cyril ebbe un tuffo e prese ad afferrare ciocche di peli nel tentativo di strapparli, come si fossero trattati di una sorta di costume eccessivamente incollato alla pelle: tuttavia, i peli rimasero saldamente attaccati a lui. Si guardò le mani divenute zampe: avevano grandi artigli, bianchi e ricurvi, con una parte morbida in tutto e per tutto uguale a quella dei gatti; la toccò, incuriosito e scoprì che era davvero morbida: facendo ciò, gli artigli fuoriuscirono maggiormente. Si scosse un'altra volta il capo: stava delirando, non era possibile. Allora, decise di schiaffeggiarsi: era un'opzione a cui aveva già pensato, ma che aveva rigettato nel timore di farsi eccessivamente male; però, era una situazione tanto grottesca quanto delicata, perciò ogni cosa era necessaria per dissipare ogni dubbio. Si dette un colpo incerto sulla guancia, non avvertendo poi alcuna sensazione dolorosa. Quindi, si prese coraggio e colpì il proprio muso con maggiore forza, facendosi male sul serio: il risultato fu che non solo non si svegliò dall'ipotetico sogno, ma si mise anche a guaire per il dolore. Nonostante tutti gli sforzi, il muso del lupo era sempre lì, deformato in un'espressione di sofferenza. Non c'era alcun dubbio: Cyril era divenuto un lupo dal mantello nero.

"Calma Cyril, non perdere la testa".

Come ultima stranezza, fra le cose più strane avvenute in una sola giornata, ora che aveva capito ogni cosa, Cyril fu preso nuovamente dalla curiosità: non era più spaventato dall'avvenuta trasformazione, ma era piuttosto attratto dalla nuova forma, nella quale si era ritrovato. Iniziò a esplorare, incerto, il proprio corpo: le scarpe giacevano accanto a lui, completamente rotte a causa della grandezza delle zampe posteriori, le quali, come quelle anteriori, erano molto sviluppate a livello muscolare; le orecchie erano divenute triangolari e diritte. Si toccò il collo irto di pelo nero: percepì la tensione di una grande fila di muscoli, come si aspettava, dal momento che era una caratteristica tipica dei lupi; erano, infatti, animali, che avevano destato sempre in lui grande ammirazione, per esempio nel senso del branco e della famiglia, la bellezza del mantello, l'intelligenza nella caccia e tutti i pregiudizi che la cultura umana aveva costruito su di essi. Solo gli occhi erano rimasti immutati. Spalancò la bocca e vide chiaramente una lunga fila di denti, candidi e appuntiti: li sfiorò e constatò che erano davvero appuntiti. Infine, un pensiero balenò nella propria mente. Torse la testa all'indietro e guardò in basso, riuscendo a vedere una grande coda dal pelo scuro e folto, che ondeggiava regolarmente: la toccò con la zampa e un brivido gli corse lungo la schiena, suscitando un'involontaria risata; sembrava essersi fatto il solletico. Perciò, non si stupì dell'improvvisa sensazione di avere i vestiti stretti: la sua corporatura si era allungata e irrobustita, tanto che la camicia bianca a maniche corte era quasi sul punto di strapparsi; era una sensazione spiacevole, a cui avrebbe posto rimedio il più presto possibile.

D'improvviso, udì sopra di lui una porta aprirsi e richiudersi, seguito da un rumore di passi pesanti e regolari. Cyril si voltò rapidamente, con il pelo irto dalla paura.

Chissà cosa mi farebbero, se vedessero un lupo, che è perlopiù su due zampe! Scommetto che mi spareranno e faranno di me un animale impagliato, così da essere l'orgoglio del cacciatore. Si è forse mai visto un lupo a due zampe, Cyril?

Quello che vide, lo confuse, lo spaventò e lo incuriosì ancora più di prima. Nel bagno entrò un grosso ippopotamo, vestito con degli abiti tipicamente estivi: una maglietta rossa con un motivo floreale e un paio di pantaloncini bianchi, con tanto di grossi sandali; la fisionomia era identica a quella che aveva già visto nei documentari, con tanto di grosso muso, occhi e orecchie piccoli e spaventose zanne, ma era così familiarmente umano da ricordagli un uomo. Eppure, in cuor suo si sentì grato di aver trovato un altro essere che si ritrovasse nella sua stessa situazione e non una persona con un fucile pronto a sputare fuoco e piombo; che fosse anche lui un uomo, che, come lui, aveva subìto una trasformazione. L'ippopotamo avanzò pesantemente verso uno dei gabinetti, ma si voltò: aveva, infatti, avvertito lo sguardo rapito di Cyril, il quale non si era ancora deciso di staccare gli occhi di dosso dall'animale. Quello che accadde dopo fu un altro colpo straniante per lui, perché l'ippopotamo spalancò la bocca e parlò con una voce profonda e roca da far quasi tremare le pareti attorno a lui.

"Che guardi?" fece velenosamente.

A Cyril non smettevano di succedere cose sempre più cose straordinariamente folli, al che le fauci si spalancarono in un'espressione di sopresa; ma, dal momento che vedeva lo sguardo dell'ippopotamo farsi sempre più minaccioso, capì che era meglio non insistere oltre: si limitò a voltarsi dall'altra parte, tornando a fissarsi allo specchio. Mentre vedeva il riflesso dell'animale aprire e rinchiudersi la porta del gabinetto, Cyril iniziò a metabolizzare quanto accaduto, cosa non certo facile: le variabili si moltiplicarono a livello esponenziale, fino a raggiungere un numero infinito; alla luce dei fatti, quanto sarebbe stato meraviglioso e strano il luogo in cui era capitato? Benché non avesse piena consapevolezza di una visione generale delle cose, sapeva che c'era ben altro di un ippopotamo: l'idea lo elettrizzava e lo spaventava al tempo stesso.

E se ce ne fossero altri?

Il motivo per cui era arrivato lì sarà stato forse ignoto: l'unica cosa certa era che doveva andare avanti, avanti e non voltarsi indietro; una volta imoboccata la via, non doveva affatto ritornare sui propri passi: l'ignoto si faceva sempre più inquietante e straordinario, così tanto da non poter essere ignorato. Ciò che era fuori dallo specchio era noto, quello invece aldilà dello specchio era invece sconosciuto: perché ridursi alla banalità? Perciò, Cyril si voltò e iniziò a salire la rampa di scale poco più avanti: man mano che si avvicinava alla stretta porta in cima, il suo cuore pompava sempre più forte dall'emozione; davanti a lui, oltre lo specchio, oltre la porta, c'era un mare di possibilità tutte da studiare e da vivere. Era fatta, non si poteva tornare indietro. Giunto alla fine del percorso, Cyril allungò una zampa tremante e abbassò la maniglia.

 

I suoi occhi di lupo contemplavano luce e colore.

Il sole splendeva alto nel firmamento azzurro, spalancando le proprie braccia radiose sui tasselli metallici della città: perciò, i grattacieli, alte e superbe punte di lancia, scintillavano come le facce del diamante ed erano caldi come lingue di fiamma; erano frammenti di lampo e fulmini di fuoco, che si ergevano sugli abitanti e ferivano aggressivi le pupille ardite con le loro punte affilate. Le auto parevano astri in movimento o stelle cadenti, che si muovevano chi lentamente e chi velocemente sul bollente asfalto scuro. Gli orologi, le penne, le monete e i gioielli rilucevano come scaglie di luce, sprizzando chiarore in ogni direzione e attirando lo sguardo degli intenditori e dei ladri. A questo si univano i colori psichedelici dei cartelloni pubblicitari, che cambiavano a seconda del gusto della massa, ora pubblicizzando una marca di cosmetici ora mostrando la panoramica della città. Centinaia e centinaia di macchie colorate di ogni tipo, accese e intensificate dalla luce solare, si muovevano in modo caotico: talora procedevano in un blocco preciso, il quale si rompeva per ogni problema possibile, per poi ricomporsi subito dopo, come un ordinato esercito di insetti; sfilavano animali di ogni tipo, dai piccoli topolini ai mastodontici elefanti, dai possenti orsi bruni alle agili lontre.

Una tale esplosione di macchie colorate accecò Cyril per un brevissimo istante, che bastò per fargli perdere l'equilibrio: si era impossessata di lui una sorta di vertigine, che gli aveva fatto comprendere quanto vasto fosse l'ignoto, che aveva deciso di abbracciare; a ciò si univa il penetrante rumore dei clacson, il rumoreggiare assordante degli slogan pubblicitari e il vociare disordinato degli abitanti: con gli occhi feriti e le orecchie otturate, Cyril aveva la sensazione di svenire da un momento all'altro; come aggravante, il suo udito si era fatto molto più sensibile, a tal punto che ogni suono parve essersi ingigantito del doppio dei decibel, cosa che non aveva di certo provato nella forma umana: poteva chiaramente distinguere una giovane antilope battere nervosamente lo zoccolo contro la strada, attendendo probabilmente l'arrivo di un taxi, la dirompente sfuriata di un'elefantessa al cellulare, le risate gioiose di cuccioli di ghepardo. Cyril si appoggiò sfinito contro una parete. I vestiti gli impedivano di respirare a fondo, il calore gli bruciava la testa, il rumore assordava ogni sua traccia di pensiero e la luce colorata e i colori lucenti bruciavano e tagliavano le sue pupille.

In che guaio ti sei cacciato, Cyril?

Non poteva di certo starsene lì a boccheggiare. Provò ad avanzare di qualche passo: all'improvviso, si sentì mancare le forze, un velo di sudore si diffuse su tutto il corpo e la sua vista si offuscò per qualche secondo; il calore era insopportabile e aveva bisogno di respirare. Annaspando, perse di nuovo l'equilibrio e cadde all'indietro verso la strada. Per evitare l'impatto, si appoggiò alla zampa, che attutì il colpo, ma riportando a sua volta un certo danno, dal momento che avvertì una fitta dolorosa; nonostante avesse tentato di evitare di essere investito dalle automobili, il suo corpo semidisteso andò a intralciare il viaggio di una piccola auto, il cui guidatore suonò il clacson e fece una manovra pericolosa, che lo portò a sterzare e a proseguire indenne il proprio viaggio.

"Guarda dove vai, lupo!" urlò il criceto.

Cyril biascicò parole di scuse e tentò di alzarsi, perché evitasse di causare altri problemi; trovatosi in piedi, le sue ginocchia iniziarono a tremare e la sensazione di malessere si fece più intensa. Benché provasse in tutti i modi di camminare normalmente, era impedito da una sempre più progressiva mancanza di forze: la sua vista tornò a offuscarsi nuovamente e, in questo caso, senza riprendersi e una serie di macchie bianchastre e indistinte galleggiarono dinanzi a lui, come fuochi fatui che annunziano la perdizione dei viaggiatori. Cyril si sentiva effettivamente perduto. I suoi sensi parvero non funzionare più, perché anche il suo udito sembrò perdere la propria normale funzionalità: ora, ogni suono si faceva roco e distante. Egli si sentì cadere in avanti e un piccola punta di dolore lo colpì a entrambe le ginocchia: doveva essere caduto ancora, ma non riuscì ad alzarsi. A un certo punto, una massa alta e scura si pose davanti alla sua visuale: le sue orecchie captarono diversi suoni bassi, indistinti; non reagì. Dopo un poco, sentì che gli accostavano un bicchiere alle fauci: una volta che la sua lingua avvertì l'acqua fresca, prese rapidamente il contenitore e ne sorseggiò avidamente il contenuto; poi, sentì una sorta di brezza scivolare su di lui, donandogli una piacevole sensazione di freschezza.

La sua vista si fece finalmente più nitida: la massa scura prese le sembianze di un grosso muso di un leone, dalla criniera scura e folta e dagli occhi dorati spalancati dall'apprensione; nel tempo di un istante, tutti i documentari, nei quali si mostravano leoni che uccidevano brutalmente le prede, con le loro fauci imbrattate di rosso, si materializzarono nella mente di Cyril. Questi cominciò a tremare come una foglia.

"Caspita, che brutta cera!" esclamò una cerbiatta, che gli stava facendo aria con un ventaglio

"Ti senti bene, amico?" domandò il leone. "Sembra che tu abbia visto un fantasma".

Cyril fu incapace di parlare: aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono; poi, la vista tornò nuovamente a offuscarsi e le forze scivolarono via con la velocità di un torrente. Ormai consapevole di quanto stava per accadere, mormorò debolmente:

"Sto per svenire"

"Adesso?" fece il leone.

Appena l'animale aveva finito di parlare, il corpo di Cyril cadde in avanti come un birillo: fu afferrato appena in tempo dal leone e da un cervo, che aveva anche lui assistito alla scena; lo portarono in un luogo all'ombra e, poste le sue zampe in alto, iniziarono a ventilare il muso. Dopo aver chiamato un'ambulanza, il leone gettò uno sguardo sul lupi svenuto e, facendo un sorriso, disse fra sé:

"Che tipo strano".

 

Cyril emise un gemito e aprì gli occhi: il suo sguardo contemplò un grande e indefinito spazio bianco; allora, si accorse di essere disteso su un letto. Perciò, si mise a sedere e si guardò intorno: ciò che gli rammentava era un ospedale, perché era uguale in tutto e per tutto agli ospedali umani; colori neutri dalle pareti alle lenzuola, monitor al fianco del letto e una flebo piena di un liquido trasparente sul braccio. L'aria era decisamente più fresca di quella del centro urbano e vi regnava una profonda quiete: ora che si sentiva meglio in tutti i sensi, Cyril tirò un sospiro di sollievo e tornò a essere disteso, avendo poi la forza di riflettere con lucidità. Quanto era accaduto era folle e lucido al tempo stesso, traumatica ed eccitante. Ora, il mondo con cui era entrato in contatto era straordinariamente simile al suo: gli edifici, i mezzi pubblici, gli abitanti e ogni altra cosa possibile erano un'esatta replica di quanto esisteva nella propria realtà; ciò era assai curioso per Cyril. Che fare, ora? Una volta piombati in questa dimensione stupenda e inquietante, doveva pur fare qualcosa: come per lo specchio, l'unico modo era andare avanti; ma andare avanti dove? In quel momento, entrò un procione con una lunga veste bianca, un paio di occhiali da lettura e una penna infilata nel taschino.

Sta' calmo e sii naturale. Se questo mondo è immagine del tuo, avranno pur delle buone maniere.

"Ah, finalmente ti sei svegliato!" disse il procione, con un sorriso amabile

"Cos'è successo?" domandò Cyril

"A quanto pare, Lei ha avuto un brutto colpo di calore, aggravato dagli abiti che indossava: erano peggio di un corsetto".

Udendo ciò, Cyril si guardò il petto: si accorse che non indossava più i suoi vestiti, bensì un semplice abito grigio; non osò domandare oltre. Il procione era intento ora a scrivere qualcosa su una cartella, che era posta precedentemente su un mobiletto accanto al suo letto. Per un poco, nessuno dei due parlò e il silenzio si fece mano a mano sempre più imbarazzante; Cyril decise di parlare, cercando di uscire da quella situazione:

"Spero di non aver creato alcun problema"

"No, nessun problema, o almeno non uno grave" rispose il procione, senza alzare lo sguardo. "Mi sorprende il fatto che non Le sono stati rivenuti i documenti"

"Io..." mormorò Cyril. "Io non ho documenti".

Le orecchie del procione si rizzarono attenti e gli occhi dell'animale incontrarono quelli del lupo: l'espressione dell'uno era di perplessità, quella dell'altro di rassegnazione; il medico sbatté le palpebre e fece:

"Come sarebbe a dire che non ha documenti?"

"Non ho nessun documento, mi dispiace" rispose timidamente Cyril

"Neanche quello di identità?"

"No, signore"

"Immagino che conservi almeno il certificato di nascita"

"Non ho neppure quello, signore".

A quel punto, il volto del procione mostrava il più palese stupore, che si faceva più evidente non appena udiva le risposte di Cyril, che incominciava a essere nervoso della futura piega degli eventi; il dottore appoggiò su un tavolo la cartella su cui stava scrivendo e si avvicinò di qualche passo verso il letto. Chiese:

"Giovanotto, come posso curarLa, se non so nemmeno chi è?"

"Sono desolato, signore" rispose Cyril. "Ma non vengo da queste parti"

"E da dove, allora?"

"Da un posto molto, molto lontano da questo"

"Ebbene, dovrà pur avere qualche documento di riconoscimento!"

"Ho già detto che non ho nessun documento".

Ora, Cyril stava incominciando davvero a innervosirsi: non osando incrociare lo sguardo del medico, iniziò a giocare con l'orlo del lenzuolo; dal canto suo, il procione si tolse un momento gli occhiali per stropicciarsi gli occhi e, una volta indossatili di nuovo, sospirò:
"Spero che conosca il Suo nome"

"Sì, signore" rispose il lupo. "Mi chiamo Cyril"

"Cyril come?"

"Icestone"

"Quanti anni ha?"

"Diciotto, quasi diciannove".

Quando Cyril ebbe pronunciato queste parole, il medico tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un cellulare, digitò un numero a tre cifre e si mise in ascolto; un senso di inquietudine si impossessò di Cyril, mentre il procione era in attesa con il dispositivo all'orecchio, cosa che accrebbe in modo esponenziale non appena iniziò a parlare.

"Pronto? Dipartimento di Polizia? Sono il dottor Wide dell'Ospedale Starlight. Ho qui un paziente, che non ha nessun documento con il quale è possibile un qualsiasi riconoscimento; vi prego di intervenire, perché possiate far luce sulla faccenda. Vi ringrazio. Arrivederci"

"Cosa?" gridò Cyril, arretrando con la schiena verso il muro. "Perché ha chiamato la polizia?"

"Mi dispiace, giovanotto, ma è la procedura" spiegò il procione con tono grave. "Abbiamo bisogno di sapere chi sia veramente: non possiamo correre alcun rischio; mi dispiace, ma, come ho detto, è la procedura"

"Ma io non ho fatto niente di male!" esclamò Cyril

"Senti...posso darti del tu? Mi sembri un buon lupo e non ti voglio mentire: non dubito che tu non abbia fatto nulla di male, ma non avere alcun documento di riconoscimento comporta una serie di...complicanze, con cui nessuno dovrebbe avere a che fare; mettila pure su questo piano: sarebbe forse bello curare qualcuno di cui non sai praticamente nulla?" disse il procione

"No, signore" sospirò Cyril. "Il fatto è che, come Le ho detto, non sono di queste parti: sono in un posto completamente nuovo e non so niente di nessuno; sono accadute tante di quelle cose strane che non potrei più stupirmi di nulla"

"Cose strane?" ripeté il procione, socchiudendo appena gli occhi. "Spiegati"

"Ecco, so che Lei stenterà a crederci o che mi prenderà sicuramente per pazzo" iniziò Cyril. "Ma...quello che sono io ora non sono effettivamente io".

Lo sguardo perplesso del procione non diceva nulla di buono e ciò non fece altro che aumentare l'inquietudine di Cyril: forse non era una buona idea rivelare quanto accaduto; ma, del resto, che cos'altro poteva fare?

Ormai hai gettato il sasso: ora o mai più.

"E' come se avessi cambiato forma" riprese Cyril, dopo aver preso un profondo respiro. "Sono arrivato in questa città...attraverso uno specchio".

Il dottore non reagì, almeno all'inizio. Poi, si girò, prese un telefono attaccato alla parete e disse:

"Infermiera, richieda subito degli esami tossicologici per il paziente numero sette"

"Esami tossicologici?" ripeté Cyril con gli occhi sgranati. "Io non ho fatto uso di nessuna sostanza!"

"Dicono tutti così" ridacchiò il procione. "Ma, se tu fossi veramente un mammifero con la coscienza pulita, non dovrebbe cambiare la tua situazione, vero?"

"Faccia come vuole".

Dopo che il medico si allontanò, Cyril sprofondò nelle lenzuola e si ritrovò nuovamente a pensare. Che cosa avrebbe fatto o detto con la polizia, che sicuramente lo avrebbe preso per pazzo? Era una questione molto difficile da risolvere, ma era certo che tutto si sarebbe risolto: tali individui non hanno consacrato la loro vita al servizio dei cittadini più indifesi? Era certo – o almeno sperava – che avrebbe trovato aiuto; era stata una giornata stancante e le palpebre si fecero pesanti. Cyril non aveva alcun motivo per dibattersi in tante domande: avrebbe fronteggiato quello che sarebbe avvenutp, avrebbe trovato le parole giuste; ora, doveva riposarsi. Prima di scivolare nel torpore del sonno, le sue orecchie captarono una voce femminile, dal tono molto alto, che lo aiutarono a sciogliere il dubbio circa il luogo in cui era capitato: fu come togliersi un primo sasso dalle scarpe, qualora ne avesse indossate altre.

"Io sono Gazelle. Benvenuti a Zootropolis".

 

 

 

NOTE DELL'AUTORE

 

Buongiorno, bimbi! Come avete potuto constatare, questo capitolo è stato pubblicato più in anticipo del previsto (in quanto spero di pubblicare regolarmente ogni fine settimana) sia per gli esami di maurità che si stanno per concludere sia per il romanzo breve a cui voglio dedicare più tempo ed energie. Spero di avervi intrattenuto bene. Qualora notaste qualche errore, fatemelo sapere e provvederò alla correzione il più presto possibile.

Grazie per la lettura e recensite!

 

WhiteSwann

   
 
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