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Autore: Leonhard    29/06/2016    6 recensioni
Un coniglio ed una volpe che lavorano insieme: solo a Zootropolis si potrebbe vedere una cosa del genere. Ma è solo un caso che Nick sparisca dalla stazione il giorno stesso in cui una sua vecchia conoscenza si presenta davanti alla sua scrivania?
"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps".
"Perchè?".
"Perchè ne sei coinvolta: il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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5. Un agnello per la volpe

La prigione era soffocante, con quelle sue spesse mura grigie e la luce del sole che passava attraverso finestre con le sbarre: persino il cortile, un piccolo spiazzo di terra battuta, era sormontato da un grossa griglia ed anche lì la luce disegnava indesiderati motivi d’ombra a terra, creando un mondo in grado di imprigionare anche la luce e chiudere fuori la serenità e persino il calore che era in grado di portare.

Dalla piccola finestra della cella poteva vedere solo la porzione di cielo che il grosso muro di cinta non arrivava a coprire, ma anche così trovava assurdo che per colpa di quel muro in cemento il tramonto per lei arrivasse almeno tre ore prima del normale. Dallo spioncino della porta, invece, poteva godere della vista di un lungo corridoio disseminato ordinatamente di porte tutte identiche, dentro le quali criminali incalliti ed incorreggibili come era stata etichettata lei scontavano la propria pena.

Bellwether era stata assegnata nella stessa cella di un tasso con cui non poteva dire di aver legato particolarmente: la sola cosa che li accomunava era la squadra da cui erano state incastrate.

Lei era stata il battesimo di Judy Hopps, la sua compagna quello di Nick Wilde.

Erano affiatati in squadra: ottimi agenti, compagni, mente e braccia intercambiabili a seconda della situazione. Li aveva sottovalutati e quello era il risultato che aveva ottenuto, ad un salto di pecora di distanza.

Dawn Bellwether aspettava.

Erano ormai mesi che lo faceva, ma non le pesava aspettare: era una pecora paziente. Non le pesava il materasso duro e scomodo, le vessazioni degli detenuti predatori, le prese in giro dei secondini, quella disgustosa zuppa di broccoli del giovedì. Nulla di tutto quello le pesava.

La faceva imbestialire, certo, ma di notte, sdraiata sul suo letto circondata dal silenzio, stava a fissare la luce della luna che s’infiltrava attraverso le sbarre della cella ed illuminava il pavimento verde, donando alla stanza una luminescenza quasi ultraterrena. L’aveva fissata per ore, per giorni, ripensando al motivo per cui era seduta su un davanzale sbarrato e non sullo scranno del sindaco di Zootropolis.

Ed infine, proprio quando era quasi arrivata ad ammettere il suo errore, era successo qualcosa. Qualcosa che le aveva fatto sbarrare gli occhi, fissandoli su un particolare irrilevante del grigio e morto panorama che guardava ma che non vedeva.

Davanti ai suoi occhi vedeva quel qualcosa nascere, crescere e radicarsi in lei, mettendo nuovamente in moto il cervello e spingendolo al massimo finché non aveva constatato che tutto quello che doveva fare era aspettare. Erano sorti nella sua testa quei due momenti, quei due particolari nel suo piano degli Ululatori Notturni.

Aspettare

Doveva portare pazienza ed aspettare, ma al contempo si era portata avanti con silenziosa solerzia ed inconfessata passione finché non era arrivata a sapere a memoria il cosa ed il dove.

Quel pomeriggio, il secondino che picchiò il manganello contro le sbarre della sua prigione le disse anche il quando.

“Ehi, pecora” sbottò con voce dura. “Hai visite. Mani contro il muro”.

La sua compagna di stanza era impegnata nella sua attività riabilitativa e ne avrebbe avuto per tre ore: Bellwether stava approfittando di quel momento per far riposare la schiena sul suo materasso, meno scomodo di quello su cui dormiva, ma scattò ugualmente in piedi ed appoggiò gli zoccoli superiori contro il muro, lasciando che la guardia glieli pinzasse con un paio di grosse manette.

Si lasciò accompagnare fuori in silenzio, ascoltando i fischi provenienti dalle altre celle ed i galeotti che la chiamavano ‘Beehl’. I primi giorni li aveva folgorati con gli occhi, ma dopo un po’ si era risparmiata quella pena: era in galera e lì poco importava chi fosse stata o che posizione avesse ricoperto. In galera, aveva scoperto, non c’era un ero, un sarei stato, un ho fatto, ma solo il presente che le diceva che non era diversa da un qualunque ladruncolo che avrebbe passato la notte in guardina o da un pluriomicida destinato a guardare la luce del sole a strisce per il resto della sua vita.

Nel giro di pochi minuti, il suo quando si palesò davanti ai suoi occhi e trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto nel vedere attraverso il vetro l’agente Hopps stringere in maniera convulsa un bicchiere di carta con la più soddisfacente espressione affranta che potesse sperare. La tristezza su quel muso si volatilizzò quando Bellwether si sedette sulla sedia oltre il tavolo.

Solo un tavolo a frapporsi tra lei e la sua carceriera: era un occasione ghiotta, ma non sarebbe riuscita nemmeno a saltare: lei non aveva che la sua giacca da detenuta, le zampe ammanettate e due guardie dall’altra parte della sala, troppo lontane per sentire ma a portata di pistole stordenti.

“Bene bene” disse, lasciando libero il suo ghigno soddisfatto. “Agente Hopps; spero ti stia godendo la fama che ti ho regalato”. La coniglietta non rispose; l’espressione affranta che aveva illuminato la giornata a Bellwether aveva lasciato il posto ad un paio di occhi fermi, ad una espressione professionale talmente finta che poteva quasi percepire cosa stessero nascondendo. Fece scivolare sul tavolo due foto: ritraevano una giovane volpe fulva, chiaramente femmina.

“La conosci?” chiese semplicemente.

“Mai vista in vita mia” fu la risposta. “Io per questi animali sono una preda: se posso, me ne tengo alla larga”.

“Non sei una preda” replicò lei. “Lo saresti stata se non ti avessimo fermata”. La pecora sorrise ed incrociò le zampe come poté.

“Beh, con le volpi non ho avuto molti contatti nella mia vita” disse. “Non dovrebbe essere di competenza del tuo amichetto? Cos’è, aspetta fuori? State giocando a poliziotto buono e poliziotto cattivo?”. Ci fu un sussulto e qualcosa nell’espressione di Judy si ruppe per quell’istante necessario a spiegarle la situazione.

“È impegnato” rispose lei. “Siamo solo io e te qui”.

“Sembra il suo tipo” osservò lei: era crudeltà immotivata, inutile per entrambe, ma che male c’era a divertirsi un po’?

Il gioco lo stava portando lei e Hopps non se ne stava nemmeno rendendo conto.

“Parlami del siero” disse lei, glissando completamente l’argomento.

“Il siero?” replicò lei. “L’avete confiscato quando mi avete messo le manette, coniglietta: se ci fosse ancora una produzione di siero in città, io sarei l’ultimo animale a saperlo”. Judy sospirò scocciata e ritirò le foto. Quando fece per alzarsi, Bellwether fece scattare la sua trappola. “Ma potrei sapere a chi chiedere”.

L’aria si gelò: la pecora si godette la sensazione di importanza che sicuramente aveva acquisito agli occhi di Judy guardandosi gli zoccoli e lustrandoli contro la divisa con sguardo innocente, canticchiando un motivetto senza senso a bocca chiusa.

“Di che stai parlando?” chiese infine la coniglietta.

“Chi lo sa?” sogghignò lei, tornando con lo sguardo sui suoi occhi. “Magari possiamo trovare un accordo…”.

“Un accordo, eh?” ringhiò Judy. “Che cosa vuoi?”.

“La cauzione pagata” fu la risposta. “Fammi uscire ed io ti dirò quello che so”.

“Pensi sul serio che cederò ad un ricatto simile?”.

“Non è un ricatto: vedi, tu hai bisogno di me e, per quanto poco mi piaccia la cosa, io ho bisogno di te. Tu hai bisogno di una pista, io di una cauzione pagata: vedi, non è un ricatto

sono solo affari, dolcezza

ma un favore reciproco. Allora, ci stai o no?” punzecchiò lei, mostrandole il suo sogghigno. L’espressione avrebbe parlato a Judy, certo, ma ormai l’aveva in pugno e poco importava quello che avrebbe intuito.

(Nick dovrà darmi una valida spiegazione) pensò inferocita, rientrando nella cella con la ricevuta della cauzione stretta nel pugno: aveva appena speso i suoi risparmi per scarcerare quella che probabilmente era la pecora più pericolosa di tutta Zootropolis, il che stava a significare che il salotto dell’appartamento nuovo avrebbe dovuto aspettare ancora prima di vederla entrare con quel fantastico televisore nella Zoony da trentacinque pollici. Si sedette nuovamente sulla sedia davanti a Bellwether e le sventolò sotto il naso la ricevuta pagata.

“Ecco fatto: sei libera” disse. “Adesso parla”.

“Sai, non credevo l’avresti fatto” osservò lei, sorridendo. “Sei proprio affezionata a quella volpe; se non ti conoscessi, potrei azzardare qualcosa di più della semplice amicizia”.

“Beh, non mi conosci” sbottò lei. “Allora?”.

“Poco dopo la tua breve dimissione dal corpo di polizia si è presentata da me una volpe” confessò lei. “Un muso veramente intelligente ed un paio di occhi svegli, se posso dire la mia; ha parlato di un accordo, di diventare soci in affari per la produzione e la diffusione del siero ed io ho accettato. Se il siero è ancora in giro, se ne sta occupando il mio socio in affari”.

“Un socio in affari?” ripeté Judy, inorridita. “Quindi il siero…viene ancora prodotto?”.

“Beh, io non lo so” replicò innocente la pecora. “Io sono in galera…ancora per poco, ma sono qui: come potevo gestire la cosa?”.

“Una volpe hai detto?” chiese. Bellwether annuì una conferma che a Judy non serviva. Anzi, non era nemmeno una conferma, ma un’occasione che lei l’avrebbe presa al volo. Si volse ed uscì dalla prigione senza più degnare la pecora di un’occhiata.



“Hai pagato la cauzione di Bellwether?” chiese il capitano Bogo, tentando con scarsi successi di mantenere la calma: la voce era bassa e vibrante di una tale rabbia che Judy si sentì in dovere di abbassare le orecchie e farsi ancora più piccola sulla sedia. Lui sembrava invece farsi sempre più grosso, sempre più furente. “Hai una vaga idea di quello che hai fatto?”.

“Ho raccolto informazioni…per il caso Wilde?” azzardò la coniglietta, ben sapendo che non se la sarebbe cavata così a buon mercato.

“Hai liberato Bellwether” muggì il capitano, talmente forte da far vibrare il vetro della porta. Subito dopo sospirò, abbassando la voce. “Ascolta Hopps, in qualche modo posso anche capire la tua apprensione per Wilde ma ciò non toglie che per questo tuo attaccamento hai reso legale la scarcerazione di quella pecora”.

“Capitano, io devo trovare Nick” ribatté Judy. “Non è per me, ma per lui: ho la sensazione che…”.

“I casi non si aprono sulle sensazioni, Hopps!” muggì nuovamente lui. Ritrovò la calma in pochi minuti, poi parlò nuovamente. “Mi sono arrivate le registrazioni del carcere e le ho analizzate: l’unica cosa che ha attirato la mia attenzione è il pericolo del siero degli Ululatori Notturni e su quello verterà il caso Wilde”. Judy drizzò le orecchie, sinceramente felice di quelle parole.

“Fantastico capitano!” esclamò. “Mi metto subito all’opera e…”.

"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps" puntualizzò lui, serio. La coniglietta fu lesta a trasformare il suo sorriso in un’espressione confusa.

"Perchè?" chiese, smarrita.

"Perchè ne sei coinvolta” fu la risposta, lapidaria e secca come uno schiaffo. “Il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".

“Ma cosa sta dicendo, capitano?” mormorò lei. “Nick è un agente di polizia!”.

“Bellwether ha parlato di un socio nella produzione del siero: un socio volpe” replicò Bogo: sembrava oltre la calma, quasi paziente. “Se questo socio dovesse essere Wilde, provvederò personalmente ad espellerlo dal corpo di polizia”.

“Non può essere lui” sentenziò Judy. “E perché no?” chiese il capitano. Già: perché no? “L’assunzione di un socio da parte di Bellwether risale a quando hai rassegnato le dimissioni, quindi prima che Wilde prendesse anche solo in considerazione l’idea di entrare a far parte della polizia: se viene fuori che è solo andato in vacanza ovviamente non succederà nulla, ma in caso contrario…”.

“Ho un sospettato, capitano” disse Judy, quasi ricordandolo a sé stessa. “Sto indagando su questa Vixen…”.

“Hopps…” borbottò Bogo. “Mi sta sorgendo il sospetto che tutto questo caso è nato perché tu sei gelosa”.

“Ge-gelosa?!” esclamò lei, tamburellando istintivamente la zampa a terra e deglutendo secco. “Sono solo…preoccupata, capitano: il mio partner è sparito e voglio sapere perché”.

“Beh, se questa Vixen è sospettata fai tutte le indagini che vuoi” disse lui, sfogliando dossier all’interno di un grosso archivio. “Presentati all’armeria: si tratta del siero degli Ululatori Notturni e voglio che tu sia equipaggiata con un iniettore per la cura”.

“Ehilà, agente Hopps” salutò Clawhauser, felice come sempre di vederla. Judy si volse verso di lui: agitava la zampa grassoccia nella sua direzione e sorrideva. Ricambiò il sorriso e si avvicinò alla reception, desiderosa di una chiacchierata.

“Ancora nulla su Wilde?” chiese il ghepardo, preoccupato. Lei scosse la testa.

“Non lo so…” rispose. “Tutti pensano che la scomparsa di Nick sia collegata con la produzione del siero…”.

“Ah, brutta storia quella” commentò lui. “Però, hey: li hai fermati una volta e puoi farlo di nuovo”. Lei sorrise e lo salutò, chiudendosi nel suo ufficio. Prese una ciambella dalla confezione che le aveva regalato Nick e la addentò: era l’ultima ed ancora non lo aveva trovato per farsi dire dove le avesse prese.

Gelosa

Possibile? E se il suo astio nei confronti di Vixen fosse stata effettivamente gelosia? Beh, questo voleva dire che la sua preoccupazione, eccessiva a tutti tranne che a lei, non poteva che essere…

Scosse la testa, mandando briciole di pasta alla carota dappertutto: lei gli voleva bene, ma nulla di più. Ed anche se fosse, non avrebbe mai funzionato tra di loro: lei era un coniglio e Nick era

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

una volpe, senza contare la differenza d’età, di dieta, di abitudini. Come poteva anche solo pensare che una cosa del genere potesse funzionare? Stava spaziando e, con una seconda scrollata della testa, tornò concentrata; si cacciò in bocca l’ultimo pezzo di ciambella e corse fuori, nell’armeria.



Rainforest: altro ecosistema, altro clima, altri ricordi. Una pantera inferocita, una funivia, Nick che prendeva le sue difese dopo un giorno intero passato ad ostacolarla e rallentarla nel suo delicato incarico. Ma era lì che l’avevano condotta i tabulati telefonici del suo cellulare. Magari non avrebbe trovato il suo partner, ma sicuramente qualche indizio. Giunse davanti ad un enorme capannone apparentemente abbandonato, ma Judy non aveva dubbi: la triangolazione dei tabulati indicava proprio quel luogo.

E davanti al portone, di guardia, attento nella sua camicia verde e cravatta a righe viola, vi era Nicolas Wilde.

Ebbe appena il tempo di sentire le forze mancarle, poi la volpe si volse verso di lei. I loro occhi s’incrociarono per qualche secondo, poi Nick scattò verso di lei e la placcò; rotolarono dietro un cespuglio fradicio e, nel giro di pochi istanti, Judy si ritrovò nel fango, con il pelo zuppo ed una volpe ringhiante a pochi centimetri dal muso.
   
 
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