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Autore: Noel11    01/07/2016    1 recensioni
Una ragazza. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
[Dal Capitolo 1:
Si alza in piedi e si mette ai margini del cornicione. Guarda la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scuote la testa energicamente "No" disse "è inutile pensare a un passato che non esiste" e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospira guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre "è ora di andare, si va in scena" .]
Quanto siete disposti a pagare per la libertà?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13
Il gioco delle domande



Correva.
Correva da quelli che sembravano minuti, ore. La salivazione assente rendeva la sua bocca secca e ogni boccata d’aria che respirava faceva bruciare la sua gola, come se ci fossero impiantati dentro degli spilli che pungevano sempre più a fondo ogni volta che aveva bisogno di ossigeno.
Le gambe non rispondevano più ai suoi comandi ma come automi continuavano a muoversi senza un preciso motivo. I ricci biondi erano ormai diventati una massa informe e sudaticcia attaccata alla sua fronte e gli occhi iniziavano a bruciare per il costante sforzo.
Si girò per vedere se quell’ombra lo stesse ancora seguendo. Con sollievo notò che non era più così e si permise di rallentare la corsa, fino a farla diventare una camminata malforme finché le sue gambe non cedettero, ritrovandosi così in ginocchio e poi a terra.
Continuava a respirare, a cercare di calmare i battiti del suo cuore che ora sentiva anche nelle orecchie. Strisciò faticosamente fino ad un muro, cercando di girarsi lentamente per mettersi con la schiena poggiata sopra di esso. Chiuse gli occhi, una volta riuscito nella sua impresa, e si passo lentamente le mani sulle cosce doloranti.
Un’ombra minacciosa l’aveva seguito. Aveva le sembianze di un uomo, ma con la differenza che non c’erano caratteristiche in quel corpo. Era solo un’ombra. Con gli occhi bianchi e vuoti, privi di iride e pupilla.
Rabbrividì al pensiero e cercò di levarselo più in fretta possibile dalla testa. Ora era al sicuro. Quell’ombra era sparita, aveva smesso di seguirlo, ora doveva solo raccogliere le forze e-
Un gemito strozzato.
Aprì gli occhi di scatto a quel suono.
Rumore ferroso di qualche attrezzo che veniva a contatto con qualcosa di morbido e viscido, poi… un odore acre. Quell’odore che ormai sapeva distinguere bene perché troppo insediato nella sua testa, nella sua memoria, nei suoi ricordi. Quell’odore che sentiva sempre anche quando non era presente nelle vicinanze.
Un ringhio di dolore.
Non smettevano. Quei rumori continuavano ad esserci. E la paura dell’ignoto l’avrebbe continuato a divorare e a torturare finché non fosse stato lui a sconfiggerlo.
Si issò in piedi, con le gambe ancora doloranti per la lunga corsa, e si appoggiò ancora di più alla parete, concentrandosi su tutti i suoni che riusciva a percepire, attento a ogni minimo particolare.
Una risata leggera volò nell’aria, rimbombando in quel silenzio assordante.
Deglutì, mentre le sue mani tremavano, strette fra di loro, con sempre più forza. Prese un paio di respiri profondi, cercando di calmarsi ma soprattutto cercando il coraggio per guardare oltre quel muro, in quel vicolo così familiare, il creatore di quei rumori. Il padrone di quella risata agghiacciante.
Si sporse lentamente con la testa, cercando di vedere in quel buio pesto ma non riuscendo nel suo intento.
Doveva avvicinarsi.
I rumori continuavano ad esistere. Metallo, risata, gemiti di dolore e ringhi di rabbia mal trattenuti. E l’odore diventava sempre più intenso, sempre più forte. Passo dopo passo.
La luce del lampione si accese a scatti, accecandolo per la fonte di luce improvvisa in quell’immenso luogo che prima era fatto interamente di oscurità.
I suoi occhi bruciarono per il contatto diretto, e iniziò a vedere sfocato. Puntò lo sguardo verso il basso vedendo due figure. Una sovrapposta all’altra. Apri e chiuse gli occhi più volte cercando di mettere a fuoco meglio quello che stava succedendo. Riusciva a vedere i colori. Viola, marrone, verde, nero… rosso. Tanto rosso.
Si portò una mano alla bocca, cercando di trattenere il vomito davanti a quella scena.
Una delle due persone aveva le ali nere e si trovava sopra all’altra, a cavalcioni sul bacino, bloccando ogni sua via di fuga, intrappolandola come un’animale in una gabbia. La preda indifesa e debole ormai nelle mani del crudele cacciatore.
La persona con le ali aveva un coltello in mano e continuava ad alzarlo ed abbassarlo, ripetutamente. Una volta. Due volte. Tre volte. Quattro volte. Ogni colpo centrava il suo bersaglio. Ogni colpo finiva al centro del petto della vittima. Sembrava che non le importasse che il sangue stesse sgorgando dall’apertura sul petto e stesse formando una pozza di sangue intorno a loro, e sembrò non importargli neanche il fatto che alcuni schizzi le arrivassero addosso, macchiando i vestiti e la faccia.
La ragazza, aveva constatato visto i lunghi capelli e le forme abbastanza femminili, continuava a ricevere colpi senza ribellarsi. Stava lì, facendo alcune smorfie di dolore, come se non la stessero trafiggendo ripetutamente, come se quello che gli stessero facendo fosse dargli fastidio con alcuni pizzicotti. E questo sembrò infastidire la figura con le ali, perché si fermò e la guardò con disgusto e rabbia.
Tutto si fermò. Il tempo non sembrava più scorrere, e tutto sembrava essere immobilizzato. La ragazza respirava lievemente, come se non riuscisse ad incanalare dentro di lei troppo ossigeno. La figura angelica invece respirava affannata, data la forza messa ogni volta per trapassare la carne della vittima. Poi sorrise, spalancando gli occhi. La faccia di una che aveva vinto, di una che avrebbe preso quello che aveva agognato da tempo. Una faccia di chi aveva visto tutto e che voleva tutto.
Alzò in aria il coltello, impugnandolo con entrambe le mani strette fra loro e con uno scatto repentino fece uno squarcio lungo sul petto della vittima. Da lì in poi si sentirono solo urla e risate.
La ragazza stava urlando a pieni polmoni, questa volta cercando di liberarsi da quella morsa letale, ma senza risultati. La figura fece un altro squarcio, però in verticale questa volta. La ragazza, se possibile, urlò ancora più forte di prima, inarcando la schiena per la ferita appena ricevuta e digrignando i denti per quel dolore così forte e così nuovo per lei.
E poi girò la testa.
Matteo scosse la testa. Iniziò ad indietreggiare ma cadde sui suoi stessi passi, trovandosi direttamente a contatto con il suolo. Chiuse gli occhi all’impatto ma appena li riaprì se ne pentì subito. Lei era lì.
<< Alice…>> sussurrò quasi senza forza.
I suoi occhi verdi erano puntati su di lui, fissi, spalancati per il dolore ma mai chiusi. Erano rivolti verso di lui e non riuscivano a spostarsi neanche di un centimetro, nemmeno quando la creatura gli aprì il petto, lei continuò a guardarlo.
Voleva distogliere lo sguardo da quello scenario così macabro e cruento ma non ci riusciva. Alice lo teneva incatenato con i suoi occhi. Quegli occhi verdi che sembrava stessero chiedendo una silenziosa richiesta di aiuto. Chiedevano di essere salvati in un modo o in un altro. L’importante è che fosse lui a farlo.
La creatura angelica prese il cuore di Alice in mano e lo osservò. Ad Alice scappò una lacrima da quei occhi ormai diventati lucidi.
Matteo si riprese dallo shock e cercò di alzarsi il più velocemente possibile per raggiungerla, cadendo più volte e trovandosi a gattonare per non perdere tempo.
La creatura sorrise gelida davanti all’organo ancora pulsante della ragazza e poi, con un solo colpo, lo trafisse.
Un urlò stozzato uscì dalle labbra di Alice, prima che lasciasse un ultimo respiro e poi chiuse gli occhi.
Matteo arrestò la sua ormai inutile corsa e si accasciò a terra. Gli occhi gli pizzicavano e lacrime iniziarono a rigare le sue guance. Si prese i ricci fra le mani e iniziò a tirarli frustrato e arrabbiato davanti a tutto quello, davanti alla sua incapacità nel salvarla, davanti al suo ennesimo fallimento. Non riusciva a togliere lo sguardo dal corpo esanime di Alice, tutto ricoperto di sangue e terra. Non avrebbe mai più visto i suoi occhi verdi, non l’avrebbe mai più sentita ridere, non l’avrebbe vista più arrabbiarsi senza motivo o fare una delle sue osservazioni taglienti. Non avrebbe mai più potuto assaporare di nuovo le sue labbra.
La creatura si alzò, soddisfatta, dal corpo inanimato della sua vittima. Buttò il cuore con ancora il pugnale a trapassarlo da una parte, non curandosene troppo.
Lo notò.
Si girò verso di lui, mostrando finalmente la sua intera figura, la sua faccia ormai dissetata dal sangue e dalla carneficina.
Matteo credé che qualcuno lassù lo stesse prendendo in giro. Non poteva credere a quello che stava vedendo.
<< Noelle.>> urlò, arrabbiato e allo stesso tempo impaurito da quello che sarebbe successo poi.
Lei sorrise, occhi marroni puntati su di lui, e si pulì una macchia di sangue sulla maschera con la mano.
Matteo scosse la testa, premendosi i palmi delle mani sugli occhi. Tutto quello non poteva essere vero, non poteva essere reale.
Si avvicinò lentamente a lui, portando la sua mano sulla coscia, prendendo il coltellino di riserva e impugnandolo saldamente alla mano destra.
Gli si bloccò il respiro vedendola avanzare. Cercò di allontanarsi il più possibile, ma la paura, il panico, la rabbia, lo ancoravano a terra con pesi di cemento legati intorno alle sue caviglie.
Noelle arrestò la sua avanzata. Lo guardò sorridendo e alzò lentamente il braccio con in mano il coltello.
Era troppo lontana per fargli qualcosa, non avrebbe mai potuto attaccarlo o centrarlo da quella distanza.
Il braccio si fermò all’altezza della spalla e con la lama lucida e tagliente, indicò un punto imprecisato dietro le spalle di lui.
Matteo si girò lentamente, senza però lasciare il campo visivo verso di lei, continuando a fissarla finché la torsione non fosse del tutto completa e allora avrebbe dovuto abbandonarla con lo sguardo.
Una volta voltato si ritrovò davanti di nuovo degli occhi bianchi. Trattenne il respiro e si girò di nuovo verso Noelle ma quando lo fece lei non c’era più. Il corpo di Alice non c’era più. Era sparito tutto.
Era ricoperto dall’oscurità di quell’ombra. Iniziò a sussurrargli diverse parole, in diverse lingue. Tutte le voci provenivano da posti diversi e lui compariva prima da una parte e poi da un’altra, spostandosi sempre più velocemente. Continuò a girarsi velocemente, perdendo l’orientamento, non riuscendo più a distinguere destra da sinistra. Tutta quell’oscurità lo stava opprimendo e le voci iniziarono a diventare sempre più forti e cercarono sempre di più di entrare dentro la sua mente.
Si ritrovò con le ginocchia a terra e i palmi delle mani a spingere forte sulle orecchie, in un vano tentativo di trovare silenzio in tutto quel caos.
Poi tutto diventò silenzioso.
Alzò lo sguardo lentamente e l’ombra davanti a lui si mise alla sua stessa altezza, guardandolo negli occhi, scrutando la sua anima, imprigionandola in quel solo sguardo.
<< Tempo scaduto.>>
Il buio.
 
<< NO!>> urlò Matteo, alzandosi di scatto e svegliandosi.
Annaspò in cerca di aria, la sua fronte era imperlata di sudore e gli occhi viaggiavano frenetici da una parte all’altra della stanza.
Si passò le mani sul tutto il corpo per vedere se fosse tutto a posto e una volta costatato, chiuse gli occhi ed emise un profondo sospiro. Era al sicuro.
Una fitta forte alla testa lo riportò di nuovo alla realtà. Immagini e suoni della sera precedente si ripresentavano confusi e disordinati davanti ai suoi occhi. Non era a casa sua, di questo ne era certo, e dalla schiena leggermente dolorante capì che aveva dormito su un divano.
Girò la testa verso il tavolino da caffè in legno, dove in quel momento si trovavano un bicchiere d’acqua e un’aspirina. Rimase a fissarli per qualche minuto, ancora con il corpo intorpidito, non ancora del tutto sveglio e ora pesante dopo la scarica di adrenalina ricevuta poco prima.
Spostò finalmente la coperta dal suo corpo e si avvicinò alla bustina, aprendola. Il suono frizzante della medicina che si scioglieva nell’acqua gli faceva ricordare quanto avesse bevuto, e quanto poco sopportasse quei risvegli fatti da mal di testa martellanti e udito così sensibile che anche il cinguettio di un passerotto aveva lo stesso impatto di una trombetta da stadio puntata nel suo orecchio. Si infilò le scarpe velocemente, e poi cercò il suo telefono nelle sue tasche. Lo trovò e guardò che ore fossero.
Le dieci e mezza. Aveva dormito davvero poco per i suoi standard. Scorse i vari messaggi e le varie chiamate perse. Aveva cinque chiamate perse e un messaggio minaccioso da sua madre con solo due parole “Dove sei?”. Una volta a casa avrebbe dovuto subirsi l’ennesima ramanzina. Sperava che sua madre fosse a lavoro. Rispose velocemente a sua madre con un “Sto bene. Torno tra poco.” E poi passò ai messaggi lasciati da Giorgio. Erano tutti una massa confusa di “Che fine hai fatto?” e “Spero di ritrovare il tuo culo ancora vivo domani mattina”. Mandò un messaggio per rassicurare anche lui e poi ripose di nuovo il telefono all’interno della sua tasca.
Prese il bicchiere e ingoiò tutto d’un fiato la sostanza amara, facendo una smorfia di disgusto per il pessimo sapore. Si passò una mano sulla faccia, ma la allontanò all’istante appena passò sopra il livido sullo zigomo. Faceva male, tanto male.
L’odore di caffè gli entro prepotentemente dentro le narici, distogliendolo dai suoi pensieri e ricordandogli che non era da solo in quella casa. Si alzò lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile, per paura di disturbare quella quiete così rassicurante e pacifica. Seguì l’aroma fino a trovarne l’origine, la cucina. Appoggiò la spalla sullo stipite della porta, guardando con occhi ancora stanchi l’immagine che gli si presentava davanti.
Alice era girata di spalle, mentre spengeva il fuoco sotto la macchinetta del caffè. Indossava una tuta troppa grande per il suo corpo, e i capelli ricci erano raccolti in una coda disordinata. Sorrise. Avrebbe potuto abituarsi ad un risveglio così tranquillo, fatto di silenzi armoniosi e non di urla spacca timpani.
<< Buongiorno.>> disse lei senza girarsi << Dormito bene?>> chiese, mentre versava il caffè dentro una tazzina.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso di come avesse potuto capire che era dietro di lei. Forse non era stato tanto silenzioso.
Si schiarì la voce, con evidente imbarazzo, << Si. Grazie per avermi fatto restare qui.>>
<< Nessun problema.>> prese un cornetto da un sacchetto e lo poggiò sopra un piatto. Posò la loro colazione sul tavolo e poi si sedé al suo posto.
Matteo rimase ancora fermo sulla soglia della porta, sentendosi pietrificato, come se fosse circondato in un campo di mine ed ogni passo potesse essere quello letale. Alice lo guardò, gli sorrise, e lo invitò a sedersi con un cenno del capo. Lui si staccò finalmente dal suo posto e lentamente, con gesti coordinati alla perfezione, si mise seduto sulla sedia opposta a lei.
Rimasero in silenzio per i primi minuti. Lei a sorseggiare il suo tè e lui a mangiare il suo cornetto al cioccolato. Fu lei, come al solito, a prendere l’iniziativa.
<< Come va la testa? Ieri sera devi aver bevuto molto.>> disse tranquillamente, con la bocca coperta leggermente dalla tazza di tè che teneva stretta delicatamente fra le sue mani.
Lui si grattò la testa a disagio e poi immagini della sera prima si presentarono di nuovo inevitabilmente nella sua mente. Non aveva bevuto abbastanza per dimenticarsele, purtroppo. << Sto meglio, grazie all’aspirina che mi hai lasciato. E… ricordo tutto della sera prima.>> rivelò, leggermente imbarazzato.
Alice sembrò preoccupata all’inizio, ma cercò di mascherarlo al meglio che poteva con uno dei suoi sorrisi di cortesia. << Oh, bene.>> posò la tazza delicatamente davanti a sé e poi riprese ad osservarlo ma questa volta con un sorriso divertito sul volto << Allora, potresti raccontarmi come hai fatto a finire nei guai con quel gruppo di ragazzi, no?>>
Matteo rise, sentendo la tensione abbandonarlo leggermente << Non ho fatto niente di che. È solo che quando bevo faccio cose stupide. Molto stupide.>> sottolineò alla fine. Alice sembrò essere d’accordo e poi il silenzio regnò di nuovo sovrano in quella piccola cucina.
<< Posso chiederti una cosa?>> sbottò lui improvvisamente, mentre raccoglieva le briciole della sua colazione.
Alice piegò la testa da un lato sorridendogli << Dipende. Io che ci guadagno?>> disse sfidandolo.
Matteo ghignò << Facciamo il gioco delle domande. Io faccio una domande a te e tu me ne fai una a me. Puoi chiedermi qualsiasi cosa.>>
Alice sembrò pensarci su, indecisa e preoccupata da quel gioco che doveva sembrare così innocente. Ma la curiosità prese e il sopravvento e si ritrovò ad accettare.
Matteo iniziò per primo. << Dove sono i tuoi genitori? Non li ho visti ieri sera e neanche questa mattina. E, francamente, mi aspettavo di essere cacciato da un momento all’altro da un padre furioso.>>
Alice sorrise << Io non ho genitori, sono orfana fin dalla nascita.>> rispose semplicemente.
Matteo spalancò gli occhi, sentendosi improvvisamente in colpa per aver proposto quel gioco. Ma Alice sembrò rassicurarlo con lo sguardo, facendogli capire che non aveva problemi a parlagliene e infatti continuò << Sono stata in orfanotrofio per un po’. Non ho idea di chi siano i miei genitori e, sinceramente, mi interessa poco e niente. Ora che ho raggiunto la maggiore età non ho bisogno di nessuno, ma fino a tre anni fa avevo chi si prendeva cura di me. Però ora io mi trovo qui e loro da un’altra parte.>>
Matteo annuì, non aggiungendo altro per paura di fare qualcosa di sbagliato, attento in ogni suo piccolo gesto e registrando ogni parola, ogni informazione che riguardava lei. << Tocca a te.>> disse, passando la parola a lei.
<< Giorgio. Perché sei preoccupato per il ritiro del vostro spacciatore di fiducia?>> chiese a bruciapelo, senza mostrare esitazione nella voce.
<< Ho paura che Giorgio ritorni dal nostro vecchio spacciatore. Elios, quel bastardo greco, ha fatto cadere Giorgio nella dipendenza da cocaina. Lui gli vendeva la peggior roba in circolo. Giorgio è ricco, o meglio i suoi genitori lo sono, e il fatto che spendesse solo pochi spiccioli per dell’erba o delle pasticche fece infuriare Elios. Quindi trovato un pollo da spennare, approfittando del fatto che Giorgio stesse male in quel periodo, gli ha fatto provare altro. E Giorgio non si tirò indietro, a quella testa rossa piaceva quella merda. Ogni volta sempre di più, sempre più dosi e Giorgio gli dava tutti i soldi che aveva pur di averne sempre a disposizione. Una volta si faceva solo nei weekend. Mi aveva detto che non era una dipendenza, che lui non ci sarebbe cascato e lo faceva solo per divertirsi.>> chiuse gli occhi e strinse i pugni al ricordo delle parole del suo amico << Ma non era vero. La sniffata del weekend divenne anche quella del lunedì, poi si passò al due giorni sì e uno no, fino ad arrivare al punto che non si sentiva più il naso per quanta ne tirava su tutti i giorni. Sono riuscito a portarlo via da lui e i genitori lo hanno rinchiuso in un centro di disintossicazione. Ora sono 6 mesi che è ‘pulito’, a parte qualche pasticca e qualche canna, non ha più toccato coca da allora.>>
Matteo restò a fissare il fondo della tazzina vuoto. Tutto quello gli aveva fatto ricordare che aveva poco tempo per trovare un sostituto. Giorgio si era disintossicato, questo era vero. Ma ci sarebbe potuta essere una ricaduta in qualsiasi momento. La tentazione è come una sirena, ti attira con il suo canto melodico e celestiale ma quando ti avvicini a lei, ti trascina giù facendoti affogare insieme a essa.
<< È il tuo turno.>> lo avvertì Alice, cercando di distrarlo dai suoi pensieri.
<< Ieri, quando Erica se n’è andata, lei ha detto che non voleva avere più niente a che fare con questa roba perché era per quel motivo che si era trasferita. Per roba immagino si riferisse alla droga. Quindi la mia domanda è: da cosa è scappata Erica? Cosa aveva la vostra città natale di così spaventoso?>>
<< La nostra vecchia città non l’abbiamo mai considerata come un luogo da chiamare 'casa'. Era piccola, nascosta da tutti, con pochi abitanti. Un mucchietto di casa ammassate insieme con la peggior gente che ci potesse mai abitare, lo scarto dello scarto. Passava inosservata a tutti, anche le cose che accadevano all’interno non le notava nessuno, o si faceva finta di non notarle. Erica e i suoi genitori hanno avuto l’opportunità di scappare, senza avere ripercussioni. Io a quel tempo, non mi era permesso e rimasi lì, finché non riuscì ad andarmene. In un modo o nell’altro.>> Alice si strinse nelle spalle, improvvisamente infreddolita dai ricordi << Erica è scappata dalla malavita di quel posto, dalla falsità, dall’ingordigia, dalla sete di denaro e potere. E giustamente non vuole più saperne niente. Lei è stata svezzata prima, era ancora una bambina quando se n’era andata, io invece ho dovuto crescere ancora in mezzo a quello schifo. È per questo che a me non fa né caldo né freddo, ci sono abituata.>> si alzò e racimolò le tazze sporche per metterle nel lavandino. Restò ancora girata, dandogli le spalle, con le spalle ancora tese. La tensione nell’aria si poteva tagliare con un coltello.
<< Perché Anastasia non beve mai alcolici? Sembra che voglia ma che si trattiene dal farlo. E pare molto infastidita quando Giorgio la porta a feste dove ce ne sono a quintali.>>
<< Anastasia è un alcolista. O meglio era. Buffo no? Due dipendenti che si mettono insieme. È proprio vero quando dicono che bisogna trovare qualcuno che sappia giocare bene con i tuoi demoni.>> scosse la testa ridendo.
Alice finalmente si girò, guardandolo confusa.
<< Anastasia e Giorgio si sono conosciuti in riabilitazione grazie a me. Io facevo da tramite perché si trovavano in reparti diversi, visto i loro problemi diversi. Parlavo ogni giorno a Giorgio di Anastasia e viceversa. Una volta fuori dal quel luogo promisero l’uno all’altro di rimanere puliti e di non lasciarsi mai. Insomma una di quelle cose che si vede nei film sdolcinati.>> rise, contagiando anche Alice così.
<< Ho visto una foto tua e di Erica di quando eravate piccole in salone. Hai un braccio ricoperto dal polso fino alla spalla di tagli di varie lunghezze e spessore. Perché hai tutti quei tagli sul braccio? Chi te li ha fatti?>>
Lo sguardo di Alice da spensierato divenne improvvisamente più cupo, << Nessuno. Ero una bambina molto avventurosa e sconsiderata, mi facevo male spesso.>> rispose in modo gelido, fermo e deciso.
Matteo scosse la testa << Balle.>> disse senza paura, sentendosi preso in giro con quella bugia. Aveva accettato di giocare a quel gioco, ora doveva dire la verità e non prenderlo per il culo.
<< Non è possibile che tu ti sia fatta male sullo stesso braccio più di una volta, per non parlare del fatto che alcuni sembrano più freschi degli altri. Alice dimmi la verità.>> la guardò serio negli occhi verdi, sostenendo il suo sguardo gelido.
<< Te l’ho già detta. Ero una bambina vivace. Questo è tutto.>> sibilò incrociando le braccia al petto, per segnare la fine di quel discorso.
Matteo si alzò di scatto dalla sedia e la fronteggiò << Balle. Smettila di mentirmi Alice. Voglio la verità, sono stato sincero con te fino ad ora, adesso è il tuo momento di ricambiare il favore.>>
<< Io penso che tu ora debba andare.>> lo avvisò sgusciando fuori dalla cucina in un muto invito a seguirlo alla porta. E Matteo non se lo fece ripetere due volte, ma non lo fece per accontentare lei, lo fece perché almeno questa volta voleva vincere lui.
<< Vuoi cambiare domanda?! Perfetto! Perché ieri sera hai risposto al mio bacio?>> chiese, alzando forse troppo il volume della sua voce.
Alice si fermò sul posto e si girò di scatto, presa alla sprovvista da quella domanda << Eri ubriaco.>> rispose semplicemente, prima di incamminarsi di nuovo verso l’ingresso.
Matteo rise di gusto << Certo che lo ero! Ma tu no! Era qualcosa da cui non ti sei tirata indietro. Tu lo volevi tanto quanto me.>>
Alice aprì la porta d’ingresso di scatto e si girò di nuovo verso di lui << Okay, ci siamo baciati. E allora? L’hai detto persino tu che quando sei ubriaco fai cose stupide. Ora vattene, per favore.>>
Matteo sospirò e si incamminò verso l’uscita ma si fermò all’ultimo per girarsi ancora una volta verso di lei.
<< Pensi davvero che sia stata solo una cosa stupida?>> chiese Matteo.
Alice guardò a terra, non volendo guardarlo in faccia mentre gli rispondeva << Si. Eri ubriaco, non voleva dire niente.>>
Matteo si irrigidì di colpo a quelle parole. Non poteva crederci che lo pensasse davvero. Chiuse le mani a pugno lungo i fianchi e iniziò a respirare pesantemente. Mille pensieri gli stavano passando per la testa in quel momento, così tanti che credeva sarebbe scoppiata da un momento all’altro.
<< Oh, al diavolo!>>
Prese il volto di Alice fra le mani, lo alzò e poi la baciò.
Anche questa volta lei era rimasta sorpresa dal gesto, ma non si tirò indietro. Sentì il corpo di Alice lentamente rilassarsi sotto la sua presa e poggiare le braccia intorno al suo collo. Una volta appurato che non si sarebbe allontana spostò anche lui le mani sui suoi fianchi, stringendoli leggermente. Continuarono a baciarsi lentamente, esplorando l’uno la bocca dell’altro. Quando Matteo decise di approfondire ancora di più il bacio questa volta Alice non si tirò indietro, al contrario, lo tirò ancora più vicino a se. Indietreggiarono, senza staccarsi da quel contatto tanto cercato, finché Alice non toccò la porta con la schiena, trovandosi così intrappolata, con il corpo di Matteo ormai a ricoprirla interamente. Matteo sentì ancora una volta il sapore di pesca sulle labbra di Alice. E, come una dipendenza, ne voleva sempre di più.
Decisero di interrompere quella danza fatta di lingue e morsi quando si ritrovarono senza più fiato nei polmoni.
Ansimanti si guardarono negli occhi, lucidi di passione, e Matteo poggiò la fronte contro quella di lei.
<< Pensi ancora che sia qualcosa di stupido?>> chiese flebilmente.
<< Io…>> iniziò Alice, non trovando le parole per continuare. Si morse il labbro con forza e cercò di allontanarsi da lui il più possibile, allontanarsi da quella stretta che ormai la stava facendo sentire claustrofobica. Il suono del citofono fece sobbalzare tutti e due dalla sorpresa. Alice chiuse gli occhi con forza, infastidita da quel rumore assordante, prese l’apparecchio in mano per poi premere due pulsanti contemporaneamente.
<< Sali, Erica.>> disse atona.
Matteo rise per l’ottimo tempismo di Erica, sempre pronta a salvare la sua amica. Sospirò, scuotendo la testa capendo che era ora di sparire. Si avvicinò ad Alice frettolosamente e gli lasciò un veloce bacio sulla guancia.
<< È meglio che vada. Ci vediamo.>> disse senza aspettare risposta da lei, percorrendo le scale e accingendosi a lasciare il più in fretta possibile quell’edificio. Sfortuna volle che incontrò proprio la persona che non voleva incontrare. Per poco non si scontravano per la fretta che avevano tutti e due.
Gli occhi di Erica si posarono freddi e accusatori sopra la figura di Matteo, iniziando a formulare ipotesi sul perché lui si trovasse lì in quell’edificio, lo stesso dove abitava la sua migliore amica. Le coincidenze della vita. Ma non disse nulla, rimase lì a fulminarlo con lo sguardo. Però lui aveva assolutamente bisogno di uscire e di andare nel suo posto speciale.
<< Erica. Mi dispiace per ieri, non credevo che quelle cose ti dessero fastidio. E prima che mi blocchi qui a parlare, o nel tuo caso ad insultarmi, ti devo chiedere la cortesia di lasciarmi perdere e farmi andare il più lontano possibile da qui. Una vittoria per tutti e due, no?>>
Erica non proferì parola, si limitò ad accontentarlo e a procedere la sua scalinata verso l’appartamento di Alice. Per una volta Matteo gliene fu grato.
 
 
Buttò le chiavi di casa sul mobiletto vicino alla porta e si passò una mano fra i capelli. Si diresse lentamente e controvoglia verso la sua camera, tempo di riposarsi e poi ripartire verso il mare. Non fece caso a niente, troppo stanco per tutto, anche per accorgersi che non era solo.
<< Dove sei stato?>> chiese sua madre, con un tono di voce troppo calmo vista la situazione.
Matteo continuò a dargli le spalle, deciso a non girarsi, non voleva rimanere tutto il pomeriggio a spiegare a sua madre perché la sua faccia era diventata improvvisamente un disastro viola e giallo, con un bel taglio sul sopracciglio.
<< Sono qui adesso, no?>> rispose. Non aveva voglia di parlare con sua madre, voleva solo dormire.
<< Matteo Bianchi rispondimi subito!>> alzò di più la voce questa volta.
Matteo strinse i pugni lungo i fianchi, strizzando gli occhi per il fastidio. Lo aveva chiamato in quel modo. Se gli avesse dato una pugnalata alla schiena avrebbe fatto meno male.
<< Non chiamarmi mai più in quel modo. Io non voglio più avere niente a che fare con lui.>> digrignò i denti, furioso al solo pensiero di avere il suo stesso sangue. Quel cognome lo legava in modo irreparabile all’uomo che più disprezzava sulla faccia della terra.
Sua madre sembrò pentita, per qualche secondo, ma non perse il pugno di ferro e decisa si avviò verso di lui.
<< Sono tua madre, pretendo un minimo di rispetto quando ti parlo. Quindi guardami in faccia e dimmi dove—>> si bloccò quando prese per una spalla suo figlio e lo girò con troppa violenza, forse, ma la faccia del suo bambino la lasciò senza parole. Si portò immediatamente una mano sulla bocca, per fermare le sue labbra tremolanti, mentre Matteo continuava a fissare il pavimento senza osare alzare lo sguardo verso di lei.
Sbatté più volte le palpebre, gli occhi ormai lucidi, pronti al pianto. Allungò una mano verso il mento di suo figlio, cercando di farglielo alzare e ispezionare meglio quell’orrore che si ritrovava sul volto, ma Matteo si tolse bruscamente dal suo tocco. Non voleva essere toccato, non voleva che qualcuno lo riparasse o provasse pietà per lui.
<< Chi ti ha…. Cosa è…?>>
<< Sto bene mamma, davvero. È stata solo una lite di poco conto.>>
Sua madre scosse energicamente la testa, ormai le lacrime che sgorgavano dalle sue guance << No Matteo, tu non stai bene. Non stai bene per niente! Hai bisogno d’aiuto! Lo so che tutto quello che ti è successo, che ci è successo, è stato pesante, ma io ora sto bene e credo che ora è il tuo momento per->>
<< Non ho bisogno di aiuto.>> bugia << Sto bene.>> bugia << Tutto quello di cui ho bisogno ora è di andare in camera mia a riposarmi.>> mezza verità. Poteva ancora migliorare, magari un giorno avrebbe detto solo ed unicamente la pura verità. Un giorno.
Sua madre allungò la sua mano di nuovo, nel tentativo di accarezzarlo, di aggiustare qualche pezzo, ma si fermò a metà strada rimanendo con la mano sospesa nel vuoto, non più sicura di cosa fare. Matteo gli diede le spalle e si avviò nella sua camera chiudendo con attenzione la porta, cercando di fare il meno rumore possibile. Il cuore spezzato di sua madre era ormai un rumore troppo potente e costante nelle sue orecchie.
 
 
Si svegliò di nuovo alle sei di pomeriggio, intorpidito e ancora con la faccia dolorante. Sembrava che non fosse successo niente, che tutto quello fosse stato solo un brutto sogno. Ma non era così.
Si stropicciò gli occhi, cercando di mandare via quella pesantezza data dal sonno, e iniziò a guardare intorno alla sua camera. Era un vero casino. Vestiti e fogli ovunque nella stanza. Non era mai stato un tipo ordinato lui, questo doveva ammetterlo, ma non era arrivato mai fino a quel punto, aveva cercato sempre di tenere una certa decenza per quella camera, tanto per far vedere che qualcuno ci viveva. Negli ultimi anni si era lasciato andare, non gli importava più niente di niente. Si spogliò, buttando i vestiti della notte precedente nel mucchio di panni che puzzavano, e si mise alla ricerca di qualche capo pulito in mezzo a quel casino. Una volta trovati, prese portafoglio e cellulare. Uscì piano dalla sua camera. Tutto era silenzioso all’interno della sua casa, segno che sua madre era andata a lavoro. Prese di corsa le chiavi di casa e si diresse correndo verso la fermata degli autobus, sperando di non perdere la corsa.
 
Si ritrovò al pontile troppo presto. Non c’era nessuno oltre a lui, nemmeno lei. Forse era stato stupido a sperarci, visto che si incontravano solo il Sabato sera e quel giorno era Domenica, ma il sole non era ancora calato e non aveva posti in cui andare quindi. Restò lì seduto per terra a godersi il tramonto, con il mare leggermente mosso e il vento che gli scompigliava i ricci biondi. Chiuse gli occhi, poggiando la testa su una delle travi di quel vecchio pontile. Si fece cullare dal suono delle onde e sentì ogni muscolo sciogliersi e ogni osso fargli meno male. Era senza pensieri in quel momento. Era in pace in quel momento. Tutti i problemi non potevano raggiungerlo nel suo posto speciale, la realtà non poteva raggiungerlo lì. Poteva considerarlo il suo Paese delle Meraviglie, senza conigli bianchi o regine di cuori urlone, senza lepre marzolina o cappellaio matto, e senza Alice. Beh, forse un giorno avrebbe portato un’Alice nel suo posto speciale. Forse.
<< Devo essermi persa un bello spettacolo se sei ridotto così.>>
Matteo aprì gli occhi di scatto e alzò la testa troppo velocemente, finendo per sbatterla sopra l’altra trave di legno.
Noelle rise, mentre lui era intendo a massaggiarsi la testa e a controllare che non se la fosse rotta per quel forte impatto.
<< Quando sei arrivata? Che ore sono?>> chiese ancora stordito. Doveva essersi appisolato senza accorgersene. Notò che il sole era andato via da un pezzo e che ormai la notte aveva prevalso nel cielo.
<< Sono le otto e mezza. Sono qui da dieci minuti. Ti ho trovato addormentato e quindi pensavo di aspettare che ti svegliassi. Ma poi mi stavo annoiando così ho accorciato i tempi.>> finì sorridendogli innocentemente.
Matteo si rimise in piedi e poggiò i gomiti sulla balaustra, vicino a dove Noelle si era seduta. Non gli era mai stata così vicino. Poteva vedere con la coda dell’occhio ogni particolare delle sue ali, quasi quasi riusciva anche a contarle visto la vicinanza.
Si schiarì la voce << Mi dispiace se ieri sera non sono venuto, ho avuto da fare.>> disse a mo’ di scusa.
<< Ha a che fare con la tua faccia martoriata?>>
<< Più o meno.>>
Noelle rise, considerandolo forse solo un debole essere umano.
<< Non c’ero neanche io la scorsa notte. Anche io ho bisogno di riposo qualche volta.>> disse semplicemente.
Matteo annuì, come se avesse capito, ma alla fine non sapeva come potesse funzionare il suo corpo. Insomma erano a metà Novembre e lei indossava una canottiera! E non aveva neanche un brivido di freddo!
Scosse la testa ridendo. Aveva ancora tanto da imparare su di lei.
Come tutti gli incontri rimasero lì a guardare la vastità del mare che gli si presentava davanti agli occhi, in silenzio, godendosi l’uno la compagnia dell’altro.
Fu però in quell’oscurità che a Matteo venne di nuovo il mente il sogno fatto la sera precedente (o la mattina, dipendeva dai punti di vista). Ricordava il corpo di Noelle sopra quello di Alice. Ricordava il sangue. E in quel momento il suo cervello gli stava ricordando anche la domanda che si era posto per tutta la giornata.
<< Tu chi uccidi?>> chiese senza aver potuto frenare prima la sua maledettissima lingua.
Il corpo di Noelle si irrigidì di colpo, e si girò a guardarlo con un volto confuso e forse anche… offeso?
Matteo cercò di riprendersi alla bene e meglio << Cioè nel senso quali sono i tuoi criteri? Voglio dire, tutti gli assassini hanno i loro target, giusto? Avrai anche tu delle caratteristiche che accumunano tutte le tue vittime. Per esempio, magari lasci perdere le persone che hanno gli occhi chiari!>>
<< Non decido io.>>
Matteo rimase interdetto. C’era qualcun’atro dietro a tutto quel massacro? Lei era solo il mezzo, “l’arma”, per raggiungere il fine di qualcun altro.
<< Mi viene detto chi devo cercare. Lo trovo e lo uccido. È questo quello che devo fare.>> continuò, controllando il tono della sua voce, non facendo trasparire nessuna emozione. Come se non si stesse parlando di persone, di vite. Come se fosse una cosa da niente ‘prendere il posto di Dio’.
<< Hai detto che devi farlo. Quindi ti obbligano a farlo, non è vero?>> chiese, avvicinandosi lentamente verso di lei.
Noelle rimase lì a fissarlo, ancora più tesa di prima. Ogni suo senso era allerta, pronto a rispondere alla prossima mossa o a qualsiasi imprevisto.
<< Lo faresti lo stesso se non fossi obbligata?>> chiese posando una mano sulla sua.
Le sue mani erano fredde, tanto fredde. Eppure lei sembrava non sentirlo. Quel contatto creava un contrasto così forte che lo sentirono tutti e due. Arrivando fin dentro l’anima.
Riscaldò lei e congelò lui.
Noelle si alzò di scatto e con uno slancio volò via.
<< Aspetta! Scusa, non dovevo chiedertelo. Ritorna!>> urlò, sporgendosi sempre di più dalla balaustra verso il mare nero e ghiacciato.
Guardò freneticamente da una parte all’altra del cielo stellato, ma l’oscurità riusciva a nasconderla perfettamente.
Strinse con più forza il legno della balaustra, fino a farsi male alle mani. E poi urlò.
Buttò fuori tutta la rabbia, la frustrazione e la tensione accumulati fino a quel momento. Diede un calcio al lampione e poi senza pensarci due volte corse via da là.
Il suo Paese delle Meraviglie non gli bastava più.
Un anestetico. Aveva bisogno di qualcosa che mettesse ordine nel caos. Qualcosa che lo facesse sentire leggero.
Qualcosa che gli permettesse di volare e raggiungerla.







Angolo autrice
Fear of memories.
A presto.
E. xx


 
  
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