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Autore: Leonhard    02/07/2016    7 recensioni
Un coniglio ed una volpe che lavorano insieme: solo a Zootropolis si potrebbe vedere una cosa del genere. Ma è solo un caso che Nick sparisca dalla stazione il giorno stesso in cui una sua vecchia conoscenza si presenta davanti alla sua scrivania?
"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps".
"Perchè?".
"Perchè ne sei coinvolta: il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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6. Mi fido di te

Aveva davanti una fila ordinata di denti aguzzi pericolosamente vicina al muso. Si sentì il naso fremere e colse ogni odore esistente nell’aria: percepì l’odore della pioggia e dell’erba bagnata, del muschio, del cuoio della sua divisa. E l’odore di Nick li sovrastava tutti, facendoli passare in secondo piano.

Era Nick. E le stava ringhiando contro.

Non seppe bene cosa provare in quel momento; l’aveva trovato, ma non sembrava in sé. Per un istante pensò ad una contaminazione del siero, la stessa che la volta precedente avevano così scaltramente evitato, ma l’idea venne smantellata dal fatto stesso che la volpe le stava mostrando i denti anziché usarli. Non le schiodava gli occhi di dosso e lei non poté fare a meno di sentire un profondo senso di preoccupazione, unito a rabbia e gioia contemporaneamente.

Buffo che non sentisse nemmeno una linea della paura che avrebbe dovuto giustamente provare.

“Nick…” mormorò, sfiorandogli una zampa. La reazione della volpe fu fulminea: la prese e, con una rapida mossa, gliela torse dietro la schiena, facendola scattare immediatamente in piedi. Senza dire una parola, la sospinse fuori dal cespuglio, verso lo stabilimento.

“Nick, che stai facendo?” chiese Judy, alzando uno sguardo su di lui. “Mi fai male, lasciami!”. Per tutta risposta, la volpe torse ancora di più la zampa dietro la schiena; lei tacque, chiedendosi improvvisamente se la riconosceva. Possibile che l’avessero davvero infettato con gli Ululatori?

L’interno del capannone era fatiscente e pieno di muffa ed incrostazioni; il tetto a cupola era costellato di crepe gocciolanti e spaccature da cui entrava fitta la pioggia. Nick la condusse verso una scala a chiocciola che scendeva al di sotto di una botola in pietra e, quando si trovò davanti ad una spessa porta metallica, Judy avvertì il pericolo celarsi dietro di essa. Alzò nuovamente il viso verso Nick, ma la sua espressione confusa ed impaurita non trovò niente altro che il muso della volpe rivolto davanti a sé, accigliato e feroce.

“Nick…” ripeté. “Che stai facendo?”. La domanda successiva fu contornata da una sottile linea di ansia e di preoccupazione, ma ancora nessuna traccia della logica, istintiva, giusta paura. “Nick…mi riconosci?”. Non ci fu risposta e nemmeno segno che l’avesse sentita. “Sono io…Judy”.

La volpe, sorda alle sue parole, spalancò la porta: l’interno del seminterrato sembrava un laboratorio. Le pareti erano bianche, asettiche, tavoli ricolmi di alambicchi, provette e fogli fittamente scritti erano posizionati apparentemente alla rinfusa e, in fondo alla sala, vi era una piccola incubatrice attraverso la quale poteva chiaramente vedere una tonalità di blu che riconobbe fin troppo bene.

Curva ad un tavolo, sopra un microscopio, vi era Vixen.

“Lo sapevo!” ringhiò. “Sapevo che eri coinvolta!”. La volpe si volse e la degnò appena di uno sguardo disinteressato, prima di rivolgersi a Nick.

“E lei?” chiese.

“L’ho beccata a curiosare qua fuori” replicò lui. Il tono serio e distaccato che usò costrinse la coniglietta ad alzare lo sguardo su di lui: non era arrabbiato o feroce, quanto piuttosto seccato. “Che ne facciamo? La mettiamo nella gabbia dei campioni?”. Vixen sorrise.

“Beh, direi proprio di sì Nicky” replicò, accarezzandosi la coda.

“E non chiamarmi Nicky” replicò lui. “O potrei cominciare a chiamarti Vivi”.

“Non lo faresti mai, Cola”.

“Mettimi alla prova, Viky…”.

“Ok, me la sono cercata” osservò lei, scuotendo la testa con un sorriso. “Ora vai, Piberius”. Nick ringhiò piano, scherzosamente.

“Ti va bene che tu non hai un secondo nome” borbottò, sospingendo Judy verso una stanza adiacente. La coniglietta non aprì più bocca, avvertendo uno strano peso allo stomaco.

“Tu sei una di loro, vero Vixen?” ringhiò, con voce rotta.

Esiste un ‘loro’ adesso?

Per tutta risposta, la volpe la seguì con lo sguardo ed agitò una zampa, salutandola con espressione pacata: era palesemente padrona della situazione, a differenza di Judy e di tutte quelle emozioni contrastanti che la stavano facendo diventare matta.

La sala accanto era un lungo corridoio pieno di gabbie vuote; si avviarono verso una particolarmente piccola e, quando la porta si chiuse, si volse nuovamente verso di lui, agitata.

“Nick” chiamò. “Nick, sono io: sono Judy! Mi hai portato una confezione di ciambelle alla carota giorni fa! Mi hai promesso di dirmi dov’è la pasticceria che le prepara!”. Niente, come parlare al muro. “Nick, ti prego! Non ci posso credere che non mi riconosci! La penna! Ti ricordi che mi hai registrato quando sono venuta a chiederti scusa? Ti ricordi?”. Ansia, affanno, preoccupazione. E paura.

Finalmente la paura, anche se non era quella giusta: non aveva paura di lui quanto per lui, per quello che gli era successo, per quello che, ormai ne era convinta, Vixen gli aveva fatto. Avrebbe dovuto avere paura per sé stessa, chiedersi perché quelle gabbie erano tutte vuote e cosa le sarebbe successo.

Paura per quello che Nick le avrebbe fatto. O che avrebbe permesso a Vixen di farle.

Venne spinta all’interno di una piccola gabbia metallica ed il braccio immobilizzato tornò a respirare. Si volse in tempo per vedere la zampa rossiccia della volpe chiudere un lucchetto sul chiavistello ed allontanarsi di qualche passo.

“Nick, ti prego…” mormorò affacciandosi attraverso le sbarre, mentre sentiva le lacrime salirle per gli occhi. “Ti supplico; guardami e dimmi che mi riconosci!”.

“Adesso devi stare calma ed in silenzio” replicò lui, con voce ferma. Pochi istanti e fece un sorrisetto. “E per la cronaca, coniglietta ottusa, non ho mai promesso di dirti dove ho preso quelle ciambelle”. La paura si volatilizzò come per magia, lasciando il posto ad un’ondata di sollievo e di gioia che tramutò le sue lacrime, dando loro un gusto più salato e meno amaro. Tese una zampa verso di lui, in cerca di un tocco che non le facesse male, ma lui rimase immobile, fuori dalla sua portata.

“Nick…ma che ci fai qui?” chiese, passandosi il braccio libero sul naso. Lui sorrise.

“Sto lavorando carotina” replicò. “E ti avevo anche detto di non cercarmi”.

“Mi sono preoccupata!” esclamò lei.

“Ah ma che carina…” commentò lui. “Va bene che mi adori, ma questo non è un po’ esagerare?”. La coniglietta rimase muta davanti a quella provocazione; era tornato, anzi era sempre stato lui. Non riusciva a togliersi il sorriso dal muso. “Allora, la faccenda è parecchio grave” disse, abbandonando il sorrisetto.

“Cosa?” mormorò lei.

“Sto lavorando sotto copertura” puntualizzò lui. “Questo laboratorio non è per la produzione del siero degli ululatori, ma non ho ancora capito cosa stanno facendo. Ed ora, grazie a te, devo accelerare le cose”.

“Ero preoccupata!” ripeté Judy, sorpresa che non la capisse.

“Ti avevo espressamente detto di non venirmi a cercare” disse lui, scuotendo la testa. “Hai messo in pericolo il mio lavoro carotina, ed anche le nostre vite; credi che sia facile per me comportarmi di nuovo come un truffatore, come una di quelle volpi che ti costringono a

andare in giro con un repellente per volpi?

controllare costantemente il portafoglio se te le trovi dietro in fila dal gelataio? Devo farlo, non posso fidarmi di nessuno”.

“Di me ti puoi fidare!” esclamò Judy, ritrovandosi a desiderare che quella gabbia sparisse per potergli saltare al collo ed assicurarsi che fosse veramente lui.

“Certo, lo so” annuì lui. “Ma è del commissariato che non posso fidarmi”. Si avvicinò alla gabbia, attento a non alzare troppo la voce. “Sono quasi sicuro che qualcuno nel dipartimento sia coinvolto in questo progetto”.

“Cosa?” mormorò lei; le fremette il naso per la sorpresa ed anche per un pizzico di quella paura sbagliata che tornò a farsi sentire.

Tu hai paura di me?

“Ma ci sono quasi” annuì Nick. “L’ho quasi incastrato, e credo di aver capito chi è”.

“Perché avevi un campione di siero nel freezer?” chiese improvvisamente la coniglietta. Il sorriso fu istantaneamente spazzato via dal muso di Nick, mentre la guardava con gli stessi occhi colpevoli di quando gli aveva snocciolato la sua situazione fiscale.

“Ehm…” mormorò, tamburellando con le dita sulla camicia. “Diciamo che è una storia lunga e parecchio complessa…”.

“Va bene così, Nick” replicò lei con un sorriso. Riuscì a raggiungere la sua zampa e la prese, stringendogliela lievemente. “Mi fido di te”. Le orecchie guizzarono verso l’alto e gli occhi si dilatarono, esprimendo tutto lo stupore che avevano portato il suono di quelle parole già note da tempo. Ridacchiò davanti a quell’espressione. “Nick…ho lasciato che mi prendessi il collo in bocca” fece presente.

“L’hai fatto…” ammise, grattandosi la nuca. Era strano vederlo in quel modo: serio, quasi smarrito, privo della sua solita aria irrispettosa, la sua espressione furba e disinteressata allo stesso tempo con cui squadrava il mondo che lo circondava come se nulla di tutto quello valesse più di una sua fugace occhiata.

“Nick…Vixen è in società con Bellwether” disse. “Prima che noi risolvessimo il caso, l’ha contattata ed è diventata sua socia in affari: adesso gestisce lei la produzione del siero, ma…”. S’interruppe. “…queste cose le sai già”. Lui sospirò e scosse la testa.

“Certo che le so, coniglietta ottusa” disse, sorridendo scaltro. Si chinò sulla gabbia e le scoccò QUELL’occhiata. “Lasciami fare il mio lavoro ed io ti lascerò fare il tuo”. In quella Vixen fece capolino dalla porta; Nick si affrettò a drizzare la schiena ed a voltarsi nella sua direzione.

“È arrivato” disse. Le orecchie di Judy saettarono verso il tetto della gabbia. “Deve aver seguito il coniglio”.

Dieci secondi dopo, Judy sentì le parole di mr.Big rimbombarle nelle orecchie. Bastò per farla riflettere e riconoscere l’ottimo suggerimento del padrino, ma anche che aveva sbagliato su un punto: le orecchie si erano rivelate fondamentali, ma non decisive.

In quel preciso momento capì che ciò che sarebbe stato determinante non era l’udito, ma l’olfatto: mosse il piccolo naso in maniera inconscia, esprimendo la preoccupazione per sé stessa e per il suo compagno alla vista della volpe e quelle poche molecole d’aria che entrarono le fecero finalmente vedere il quadro in modo completo, le regalarono un posto in prima fila per la recita che stava guardando, in cui era anzi riuscita a procurarsi una parte.

Sentì all’interno delle piccole narici un forte odore di chiuso e di chimico, ma con un retrogusto all’uovo, all’aroma di vaniglia e…ma non era granella di zucchero quel retrogusto appena percettibile? Non aveva realmente bisogno di vedere il pelo maculato di chi c’era veramente dietro tutta quella storia, né di sentire quei passi ritmici e marcati contro le piastrelle un tempo asettiche del pavimento, né tantomeno di voltarsi al suono di quella voce che per prima l’aveva salutata il primo giorno di lavoro e mai aveva smesso di farlo. Che diamine, non aveva mai nemmeno variato il saluto. E non lo fece nemmeno in quel momento.

“Ehilà agente Hopps” salutò Clawhauser, avvicinandosi alla gabbia e chinandosi su di lei. L’espressione era soddisfatta, gli occhi pieni di vivacità, ma c’era quella piccola, minuscola luce che mai aveva visto nei suoi occhi, una luce che a Judy ricordava gli occhi dei montoni nella metropolitana e quelli di Bellwether in quei sessanta secondi in cui era stata certa di avere la vittoria in pugno. “Mi fa piacere vedere che hai trovato Wilde”.

“Clawhauser…” mormorò la coniglietta, incredula della scena che aveva davanti agli occhi e decidendo a priori che da un momento all’altro si sarebbe svegliata seduta sulla sua scrivania.

Capita di addormentarsi al lavoro, che diamine!

“Che ci fai qui?” chiese Nick. Il tono di voce, che avrebbe dovuto essere sorpreso almeno quanto lo sarebbe stato il suo se si fosse trovata in grado di spiccicare anche solo una parola in più, era calmo e distaccato, come se fosse una cosa assolutamente normale che il ghepardo alla reception del distretto di polizia producesse come secondo lavoro il siero più pericoloso che Zootropolis avesse mai visto. Clawhauser si volse verso di lui e sorrise quello stesso sorriso gentile che aveva visto tutti i giorni.

“La coniglietta stava diventando troppo curiosa” disse. “Così l’ho seguita, ma a quanto pare mi sono preoccupato inutilmente”.

“No” scosse la testa Nick. “Va bene così”.

(Certo, va bene così…) pensò Judy. “Come puoi produrre il siero che ti ha quasi fatto perdere il lavoro?” chiese. “Allearti con Bellwether e con…quella volpe di là…”. Quelle ultime parole le sputò con stizza e disgusto, come se fossero la cosa più disgustosa che potesse avere sulla lingua. Il ghepardo, per tutta risposta, rise.

“Credi che ci sia Vixen a capo di tutto questo?” chiese. Si volse poi verso Nick. “Hai sentito capo? Te l’avevo detto che non sospettava minimamente di te”.

“Già, è vero…” borbottò lui, assolutamente tranquillo. Si volse poi verso Judy, che lo guardava con gli occhioni invasi dal disorientamento. “Carotina, guarda che il socio di Bellwether…sono io”.
   
 
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