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Autore: Leonhard    04/07/2016    7 recensioni
Un coniglio ed una volpe che lavorano insieme: solo a Zootropolis si potrebbe vedere una cosa del genere. Ma è solo un caso che Nick sparisca dalla stazione il giorno stesso in cui una sua vecchia conoscenza si presenta davanti alla sua scrivania?
"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps".
"Perchè?".
"Perchè ne sei coinvolta: il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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7. Un pezzo della scacchiera

Al museo di storia naturale, Judy Hopps era stata azzannata al collo da una volpe.

Per finta, certo: era servito ad estorcere ad una certa sgradevole pecorella petulante la confessione che l’avrebbe inchiodata, ma ugualmente lei aveva sentito contro la delicata pelle della gola le zanne di quello che sarebbe diventato

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

l’unico agente con cui avrebbe sempre preteso di lavorare. Non c’entra nulla il suo ripudio dei pregiudizi sulle le volpi, animali con dei sentimenti esattamente come i suoi genitori: sarebbe già bastata la compagnia di un qualsiasi altro predatore, una qualsiasi altra volpe per non farle nemmeno prendere in considerazione l’idea.

Aveva accettato l’idea di farsi azzannare al collo perché il suo finto carnefice sarebbe stato Nicolas Piberius Wilde. Nick l’aveva capito e non aveva più avuto bisogno di sapere se lei si fidasse di lui o no: un coniglio che si lascia deliberatamente azzannare da una volpe

la nemica naturale per eccellenza dei conigli

o era un coniglio con seri, serissimi problemi oppure un coniglio che sentiva nella volpe con cui aveva a che fare qualcosa che faceva l’occhiolino all’ultraterreno, due parti di un tutto, estensioni di un unico grande corpo che se si fosse rotto avrebbero sentito dolore entrambi.

Lei sapeva che lui non l’avrebbe mai ferita e lui sapeva che da lei non avrebbe mai avuto strane sorprese: era una cosa a cui non avevano mai pensato di dare un nome, ma era nata e cresciuta e si era fatta grande e forte. Un gigantesca fortezza di fiducia e rispetto che lei e Nick sorreggevano e rafforzavano tutti i giorni.

Al suono delle parole della volpe quella fortezza non crollò, ma ebbe un brusco scossone. Davanti alla sua incredulità, condita con una punta di mortificazione, la volpe si volse verso Clawhauser.

“Spiega alla coniglietta ottusa quello che sta succedendo” disse con voce melliflua, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate.

“Cosa sta succedendo, Clawhauser?” chiese Judy guardandolo con occhi umidi, a supplicarlo di far scoppiare i petardi con coriandoli, far volare i palloncini e far entrare tutto il commissariato nella stanzetta a prenderla in giro per quello stupido scherzo fino a qualche vita più avanti, in cui magari lei si sarebbe reincarnata in qualcosa di assurdo come un grande animale bipede tutto rosa con la criniera in testa.

“Beh, cosa sta succedendo” commentò lui. “Bellwether ha avuto un grande idea, ma i presenti hanno molto più il pallino per gli affari: hai la minima idea di quello che pagherebbero certe persone per avere il siero? O per non usarlo?”.

“Soldi” commentò Judy, esterrefatta. “Lo fate per soldi”.

“E per quale altro motivo dei predatori produrrebbero un siero che fa impazzire i predatori?” osservò il ghepardo. “Bellwether, quella stupida pecora buona solo nello stomaco, voleva usarlo per liberare la città: noi vogliamo usarlo per arricchirci”.

“Perché?”.

“Stai chiedendo perché?” esclamò il ghepardo. Il sorriso stupido sul muso fece spazio ad un’espressione del tutto nuova, che stonava incredibilmente con l’immagine che Judy si era costruita in tutto quel tempo di lui. “Ma tu lo sai quanto paga la polizia ad un agente il cui unico compito è presidiare la reception? Hai idea di quanti sogni infranti, di quanti giorni passati ad ascoltare gente lamentarsi? Lo sai che sono entrato nel corpo di polizia per diventare un detective? Oh, si”. Si batté un dito contro la tempia. “La stoffa ce l’ho: ho studiato per anni, fatto sacrifici, i miei genitori si sono rotti la schiena a lavorare per aiutarmi a realizzare il mio sogno. Immagina come mi sono sentito quando mi hanno assegnato alla reception: un posto temporaneo, mi hanno detto, e mi hanno dimenticato lì per tre anni, Hopps”. In qualche modo, Judy sentiva di capirlo e non solo; cercò con lo sguardo Nick, ma lo trovò a contemplare il nulla poco sotto il soffitto con occhi persi, in perfetto silenzio.

“Perché non ce l’hai detto?” mormorò la coniglietta.

“E cosa avreste fatto?” sbottò il ghepardo. “Avreste parlato con Bogo? Con il sindaco? Alla fine non sarebbe cambiato nulla: io sono l’addetto alla reception, mi ingozzo per la fame chimica che mi provoca ogni istante passato a quel bancone. Tu lo sai che qualche tempo fa ero il più veloce dell’intera accademia?

“Wilde è entrato in affari con Bellwether ed io l’ho seguito a ruota: dapprima contavo di incastrarlo e farlo finire in prigione così da dimostrare a Bogo che sapevo fare qualcosa che non fosse sorridere come un idiota tutto il giorno ed ingozzarmi di ciambelle, ma poi sei tornata tu e mi avete battuto sul tempo. Sparita Bellwether, le redini sono passate a lui e così sono rimasto al suo fianco”.

“Ah, grazie per i nobili propositi” commentò Nick, sogghignando. Clawhauser si affrettò a correggersi.

“No, capo…intendevo…” balbettò, con la voce tornata umile. “Cioè, non intendo più fare una cosa del genere, naturalmente…”.

“Naturalmente” assentì Nick annuendo.

Mi fido di lui

“Quindi? Che ne facciamo di lei?” chiese il ghepardo, indicando Judy. La volpe lanciò alla gabbia un’occhiata sterile, indifferente: se era una finta, era fatta maledettamente bene, tanto che persino lei percepì con un fremito la trappola scattare, l’immensità del casino in cui si era cacciata.

“Naturalmente diverrà parte dell’operazione” replicò Nick. “Ma tutto a suo tempo; sai Clawhauser, non dubito che tu saresti potuto diventare un agente di tutto rispetto, un signor poliziotto”. Il ghepardo era confuso, ma altrettanto lusingato.

“Signore?” mormorò, mentre si mordicchiava emozionato il labbro inferiore.

“Il tuo stratagemma per incastrarmi era ottimamente studiato, te lo concedo” continuò Nick. “Se le parti fossero state invertite, io avrei fatto lo stesso”.

“È molto lusinghiero da parte vostra” annuì Clawhauser.

Mi fido di lui

Nick infine, finalmente, sorrise; lasciò libero quel ghigno soddisfatto, il ghigno, il suo ghigno, quello stesso ghigno che Judy aveva imparato a temere ogni volta che lo vedeva sul suo muso. Non aggiunse altro: con un movimento fluido ed un senso di deja-vu della coniglietta, alzò la zampa in cui era stretta una piccola penna arancione a forma di carota. Premette il pulsante quasi invisibile a lato della penna ed il suo ghigno divenne più ampio.

-noi vogliamo usarlo per arricchirci-

Clawhauser rimase impietrito, Judy venne invasa da un’ondata di talmente tante emozioni tutte insieme che lì per lì ci si perse e non seppe quale esternare per prima.

“Non hai mai giocato a scacchi, vero Clawhauser?” commentò serafico Nick. “Il pezzo più forte della scacchiera è il cavallo. E lo sai perché? Perché è l’unico pezzo in grado di scavalcare gli altri”. Il ghepardo si volse verso la porta del laboratorio in tempo per veder comparire Vixen sulla soglia: il ghigno sul suo muso era identico a quello di Nick.

“E lo sai qual è la fregatura?” chiese lei, sorridendo. “Che sulla scacchiera, non ce un solo cavallo”. Nella sua zampa comparve uno scintillante distintivo, su cui riluceva in acciaio placcato blu la sigla Feral Bureau of Investigation. La voce di Vixen divenne autoritaria, ferma e professionale. “FBI: Benjamin Clawhauser, sei in arresto”.

Judy assistette a quella che classificò come la scena più appassionante che avesse mai visto: si ritrovò a pensare che se fosse stato un film sarebbe saltata dalla poltrona con un urletto emozionato, disseminando pop-corn e patatine dappertutto.

Gli occhi del ghepardo si fecero larghi, esprimendo il panico che cresceva incontrollato in lui. Cominciò ad iperventilare, ma fu un attacco di pochi secondi. Era accerchiato, ma loro erano volpi. Erano piccole e veloci, ma piccole. E lui era un ghepardo. La soluzione si presentò davanti ai suoi occhi con tale naturalezza che non si soffermò a pensare alle conseguenze: scattò verso Vixen e la atterrò con una panciata prima che lei avesse modo anche solo di ritirare il distintivo.

“Vixen!” esclamò Nick, scattando verso di lei.

“Nick!” chiamò Judy da dentro la gabbia, in estasi. “Oh mio dio, ti adoro!”. La volpe di volse verso di lei con l’urgenza negli occhi.

“Carotina, è il caso che tu resti qui dentro” disse grave. “Sarà brutta, molto brutta…”.



Clawhauser dedicò gli ultimi secondi ai ricordi. Suo padre era un ghepardo di tutto rispetto, alto e muscoloso, capace di scatti e prove di forza che lui aveva sempre e solo potuto ammirare da lontano. Ricordò i muscoli sotto la sua corta e sottile peluria maculata, la sua espressione gentile e la sua voce burbera e determinata come se li avesse visti fino al giorno prima.

La madre aveva una muscolatura più aggraziata, più longilinea e sinuosa, meno prominente di quella del padre ma ugualmente potente. Ricordava, aveva gli occhi gialli perennemente aperti in un’espressione gentile, calda ed amorevole. Il primo giorno di servizio dentro la centrale di polizia di Zootropolis gli aveva stretto il nodo della cravatta e lo aveva congedato con un bacio sulla fronte.

“Il mio gattone macchiato…” aveva commentato, commossa ed orgogliosa di lui. Al tempo la voce stava calando e già presentava i segni di quella debolezza che l’avrebbe portata a spegnersi in una camera d’ospedale per una polmonite, souvenir da una gita al distretto di Tundratown. “Tuo padre sarebbe stato fiero di te…”.

Non ce l’aveva fatta: l’impegno, la costanza, la determinazione che per anni aveva bruciato inestinguibile nei suoi occhi si era inghiottita i suoi genitori ed in cambio gli aveva dato un sedia nella hall della centrale di polizia, con zero possibilità di carriera. La fame chimica portata dallo stress aveva trovato soddisfazione nelle ciambelle, che avevano provveduto a portare le sue possibilità di carriera nell’ordine dei numeri negativi.

Ed ora quello.

Era stato un perenne do ut des la sua vita: aveva dato la sua famiglia per uno squallido, snervante, deprimente bancone della reception, aveva dato il suo corpo scattante e longilineo per placare a colpi di ciambelle bisunte ed ipercaloriche una fame che non esisteva che nella sua testa ed infine il colpo di grazia. Aveva dato il buon nome della sua famiglia e la sua stessa dignità per essere incastrato da una volpe che aveva semplicemente avuto fortuna.

Era infine tornato il momento del do ut des, il momento in cui doveva dare qualcosa di suo per ottenere qualcos’altro. Ma se lui e la vita stavano giocando a poker, era arrivato il momento di portare la partita su un altro livello, renderlo più elettrizzante, più denso ed appassionante. Era il momento del

all-in, cara vita: vediamo cosa offri

tutto per tutto.

E la pallina azzurra rotolò placida nella sua bocca, frantumandosi sotto i suoi denti, sotto la potenza della sua mascella. Si sentì nuovamente forte e scattante e, dopo un’ultima immagine di sé stesso in divisa davanti ad uno specchio, gonfio d’orgoglio e di aspettative, il suo mondo si spense e non ci furono più pensieri.
   
 
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