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Autore: Leonhard    06/07/2016    7 recensioni
Un coniglio ed una volpe che lavorano insieme: solo a Zootropolis si potrebbe vedere una cosa del genere. Ma è solo un caso che Nick sparisca dalla stazione il giorno stesso in cui una sua vecchia conoscenza si presenta davanti alla sua scrivania?
"Questo è un caso che preferirei non affidare a te, agente Hopps".
"Perchè?".
"Perchè ne sei coinvolta: il caso Wilde potrebbe richiedere soluzioni che tu non saresti in grado di attuare...".
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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8. Nascondino

Vi sono sottili indizi della presenza dei predatori che solo altri predatori possono cogliere: gliel’avevano fatta passare come una leggenda metropolitana ma ricordava che funzionava bene da bambino, quando giocava a nascondino nel cortile sul retro del condominio dove abitava assieme ai suoi amici.

Era sempre stato piuttosto bravo a sentire i piccoli sbuffi dei cuscinetti delle zampe, a notare un ciuffo d’erba con un’angolatura diversa da quello accanto, a percepire un silenzio assolutamente fuori posto. Intuiva che quel senso di osservazione, che in attimi che non erano mai spariti del tutto l’aveva trovato stupefacente a livelli inquietanti, era l’ultimo baluardo di quello che era un tempo ormai antico, che non esisteva più.

E conosceva anche quell’appena percettibile solletico sulla nuca, più precisamente dietro l’orecchio sinistro, che gli diceva con celere urgenza che in quel momento c’era qualcuno che vedeva in lui quello che non era e che non avrebbe mai voluto essere.

I predatori avevano un debole istintivo per il gioco del nascondino: riportava alla luce gli istinti della caccia, una realtà antica come la loro stessa natura. Quanti cuccioli di tigre, leone, lupo, volpe, orso, lontra aveva visto giocare a quel gioco nei cortili della città, tra i ruderi di un cantiere abbandonato, nelle piccole macchie boscose dei parchi e delle zone verdi della città?

Ogni volta li vedeva guardarsi intorno, fiutare l’aria e tendere le orecchie, consapevoli che la loro solitudine era solo apparenza, che assieme a loro c’era un gruppetto di altri animali appostati dietro tubi di cemento, cespugli ed arbusti impegnati in quel suo stesso studio, con la concentrazione al massimo per cogliere la minima distrazione dell’amico che faceva la conta: anche un solo istante andava bene, perché sapevano grazie al loro istinto che non sarebbe loro servito altro.

Erano ormai anni che non giocava più a nascondino: gli amici del cortile erano ormai spariti, ognuno per la propria strada. Chi si era accasato, chi aveva deciso di esplorare il mondo, chi era andato al college ed impiegava più tempo sui libri che tra le sterpaglie, a rievocare momenti che tanto non sarebbero tornati.

Ma ci ripensava ogni giorno: tornava volentieri con la mente a quel tempo e c’era stata una sera, nell’intima solitudine del suo appartamento, che aveva ricordato di come le prede giocassero malvolentieri a quel gioco. Perché le prede lasciavano altri indizi, simili ma diversi: quelle piccole tracce nell’erba e nella polvere, quegli innaturali silenzi e quegli sbuffi di cuscinetti avevano un qualcosa di sconosciuto in più che accendeva nei piccoli predatori una specie di lampadina nella testa, che si rifletteva in una luce sinistra negli occhi.

Era la natura, quell’istintivo brodo primordiale che non poteva essere soppresso.

Ed i sensi diventavano più acuti, i passi erano silenziosi come fantasmi ed alcuni si mettevano addirittura a quattro zampe, drizzavano il pelo, abbassavano le orecchie. L’udito diventava percezione, il fiuto li faceva entrare nella realtà stessa, gli occhi arrivavano quasi a vedere attraverso gli oggetti; il respiro regolare, il battito del cuore rallentato, l’assoluta immobilità dei muscoli che allo stesso tempo la carezza nelle vene di ogni singola goccia di sangue: Nick l’aveva sperimentata, l’aveva vista.

Una grande partita a nascondino, che durava tutta la vita ed a cui bastava un momento sbagliato per trasformarsi da un’eccitante gioco al più tremendo degli incubi.

Nel laboratorio, il silenzio era innaturale. Nick alzò istintivamente una zampa davanti a Vixen, obbligandola a fermarsi.

“Nick?” mormorò, ma lui le fece cenno di tacere.

“Lo senti?” chiese semplicemente.

E lo sentiva, oh se lo sentiva. Entrambi lo sentivano: il sangue pulsare, il cuore battere, il respiro rimestare nei polmoni e prendere ogni volta la via per la bocca. Sentivano il silenzio aleggiare, il debole, impercettibile ronzio dei led che illuminavano i fiori, l’odore della pioggia che, svariati metri sopra di loro, si abbatteva al suolo, i cuscinetti delle zampe, il ciuffo d’erba con un’angolatura diversa da quello accanto.

Il formicolio dietro l’orecchio sinistro.


Vixen imprecò sottovoce.

“Nick…”sussurrò. “È un ghepardo”. Lui le fece nuovamente cenno di tacere.

Deglutì secco e mosse gli occhi in direzione della porta. Percepisci. Entra nella realtà. Guarda attraverso gli oggetti. Quel pensiero gli entrò come una furia nella testa, tanto da farlo rintuzzare leggermente; era come se fosse scritto sulla porta d’ingresso.

Sono una preda.

Nick si volse verso l’angolo del tavolo e, in quello stesso istante, Clawhauser fece capolino. Sentì una scarica di adrenalina ed il corpo s’impietrì sul posto: il grasso ghepardo era a quattro zampe, silenzioso come se non fosse lì, e lo guardava.

Si chiese come diavolo avesse fatto nel museo naturale ad ingannare Bellwether fingendo di essere un predatore in modo così vergognosamente finto. Clawhauser s’immobilizzò per qualche secondo, poi mosse qualche passo nella sua direzione; i movimenti erano ipnotici e la testa ferma, come se fosse sospesa in aria, la bocca semiaperta a mostrare quei lunghi canini che non aveva mai veramente notato. Ciò che tuttavia gli fece gelare il sangue furono gli occhi, fermi su di lui, in un espressione indecifrabile. Due pozzi pieni di nulla non lo lasciavano nemmeno per un istante. Nel miscuglio di percezioni che sentiva avvertì Vixen irrigidirsi.

“Non pensarci nemmeno” sussurrò lentamente, attento a non fare movimenti bruschi. “Se quello scatta siamo molto morti”.

“E allora che pensi di fare?” replicò lei. “Chiamare i rinforzi con la telepatia?”. La sua voce era bassa e ferma, lucida e padrona della situazione. Nick rispose estraendo dal taschino il suo jolly; la piccola biglia blu riluceva nella sua zampa e roteò piano, quasi non vedesse l’ora di entrare in azione. Se così fosse stato, sarebbe stata l’unica.

“Tu chiami i rinforzi” disse, prima di chiudere il pugno attorno alla pallina. Clawhauser scattò verso di loro, con una rapidità innaturale per la sua stazza. Vixen estrasse la pistola e sparò un colpo verso il ghepardo. Sulla piastrella comparve un foro e l’assordante scoppio che saturò l’aria spaventò l’animale, che deviò sapientemente dietro un tavolo di provette e becker.

“Bisogna pensare a qualcosa in fretta” disse la volpe, voltandosi. “L’ho spaventato, ma…”. La frase le morì in gola: gocce azzurre di

sangue…

siero macchiavano il candore delle piastrelle e la pelliccia del poliziotto, scoperta poco sopra il colletto della divisa. La cravatta toccava terra e la coda era alta, puntata verso il soffitto.

Nick Wilde era a quattro zampe e respirava con la bocca aperta, con quello stesso sguardo vuoto che aveva visto negli occhi del ghepardo.



Judy stava trafficando con il lucchetto della gabbia da qualche minuto quando sentì lo sparo nella stanza accanto. Le orecchie si drizzarono di colpo e lei sussultò all’improvviso boato, come se non avesse mai sentito prima quel rumore. Senza che lei potesse far nulla, la sua testa si riempì delle immagini di Nick, del suono della sua voce, dell’odore della sua pelliccia.

(No, Nick…) pensò. “Resisti, ti prego…”. Il passepartout s’incastrò finalmente nella serratura del lucchetto e, con un piccolo ticchettio la sicura scattò e l’anello andò fuori sede. Judy con zampe tremanti gettò a terra il lucchetto ed aprì la gabbia con una spallata, precipitandosi nella stanza accanto.

La scena che vide oltre la porta le fecero sentire da qualche parte la mancanza della piccola, sicura gabbia. Vixen era premuta in un angolo, immobile ma fredda, che scrutava attraverso il mirino della pistola quello ciò che stava succedendo nel laboratorio.

C’era rumore di zuffa, vetri che s’infrangevano al suolo e guaiti e latrati e fischi. Clawhauser aveva i vestiti strappati e sanguinolenti e gli scatti che faceva erano fortemente rallentati dagli anni di ciambelle con cui aveva banchettato. Sentiva il dolore sparso per il corpo ed ogni tanto fioriva da qualche parte, accompagnato da un rumore di strappi. Erano definizioni che lui non collegava, non capiva: intuiva solo il

sangue…

dolore e che quella piccola creatura scattante che saettava sopra e sotto il suo corpo ne era la causa.

Judy rimase impietrita a guardare la scena. Gli occhi dei due predatori erano inespressivi malgrado la pessima situazione in cui si trovavano. Per la prima volta dopo tanto tempo, Judy si ritrovò a tremare e la paura infine la raggiunse, ghermendole le viscere.

“Io starei ferma, agente Hopps” disse Vixen; la voce era ferma e lucida, la pistola immobile e puntata sui due, il dito sul grilletto ed il cane che scricchiolava, spostandosi verso l’alto in modo quasi impercettibile.

“Che stai facendo?” chiese la coniglietta indecisa su quale scena la terrorizzasse di più.

“Ci sono due predatori che stanno lottando” disse, facendo notare l’ovvio. “Tu sei in pericolo, indipendentemente da chi sopravvivrà”.

“Nick non mi farebbe mai del male!” esclamò. La volpe osò spostare gli occhi su di lei.

“Quello non è Nick, coniglietta” replicò. “Quella è una volpe, la tua nemica naturale”.

Judy si volse verso di loro in tempo per vedere Clawhauser addentare Nick per una zampa e scaraventarlo lontano da lui; con un guaito selvatico, la volpe rimbalzò contro la parete e cadde in piedi, barcollando leggermente. Il ghepardo si acquattò pronto a scattare, ma il dito di Vixen si flesse.

Ci fu un secondo boato e sulla zampa del felino sbocciò un liquido fiore rosso. Clawhauser fischiò e cadde a terra, scoprendo il collo all’immediato contrattacco di Nick. Nell’aria risuonò uno schiocco, qualche rantolo ed infine un gorgoglio liquido; le zampe del ghepardo si fermarono e la coda si afflosciò teatralmente a terra, immobile. La testa della volpe, fermamente ancorata alla gola dell’animale diede qualche guizzante scrollone, poi si separò dalla pelliccia maculata e chiazzata di rosso

sangue…!

Nick fiutò l’aria e si volse nella loro direzione. Nella sua direzione; Judy scoprì il suo corpo, mosso di propria volontà, contro il muro, con il naso tremante ed il panico negli occhi che tentava con ogni mezzo di uscire. Si sentiva una preda, si sentiva braccata e chiusa in un angolo; il suo corpo tremava tutto tranne le braccia tese verso la volpe, che stringevano la pistola caricata con il vaccino. Se avesse sbagliato…

Il tempo si dilatò, perdendo importanza e fissandosi sui tre secondi più lunghi della sua vita. Si perse negli occhi fermi e sterili del suo compagno e decise che quella sarebbe stata l’ultima visione di un orrido incubo.

Fletté il dito.

CLIC





BANG!

e…





…morte!



NOTA DELL’AUTORE:

Signori e signore, è il comandante che vi parla. Dopo una corsa agli aggiornamenti assolutamente non da me (fidatevi) siamo arrivati alla fine; ebbene sì, il prossimo aggiornamento sarà l’ultimo. Ok, già vi vedo armati di forconi, occhiatacce e pessime intenzioni e posso anche capire dal parte vostra l’obiezione corale “ma Bellwether???”.

Bene ragazzi, sapete che vi adoro tutti e proprio per questo vi rimando al prossimo aggiornamento, in cui spiegherò ogni cosa. Per il momento vi saluto, ci leggiamo al prossimo capitolo.

Stay Tuned

Leonhard
   
 
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