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Autore: Cioppys    09/07/2016    3 recensioni
[HanaRu]
Sbuffo. Ultimamente ho strani pensieri per la testa.
Dovrei essere felice per come mi stanno andando le cose – sono insieme alla persona che amo, riprenderò a giocare a basket – eppure è come se mancasse qualcosa, o che ci sia qualcosa di sbagliato. Ci sono momenti in cui mi sento tremendamente insoddisfatto, di tutto e di tutti, e fatico a capirne il motivo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Alla Luce del Sole
di Cioppys

 

Capitolo 6

Dopo circa mezz’ora, l’infermiera esce a chiamarmi. Entro e occupo la sedia libera accanto al lettino dove Kaede è sdraiato. Osservo attentamente la testa fasciata, i due grossi cerotti sulla guancia e il braccio destro appeso al collo.
Yohei non ci è andato leggero, e questo mi fa ancora più male.
La donna ci osserva in piedi dal fondo del lettino. «Il tuo amico non ha detto una parola» dice seccata. «Sicuro che tu non hai visto nulla?» mi chiede, socchiudendo gli occhi.
Scuoto il capo. Sono troppo agitato per parlare e temo che la mia voce mi tradisca.
Lei sbuffa e finalmente sembra desistere. «Ho capito. Comunque Rukawa deve andare in ospedale».
Io la guardo a bocca aperta. «Cosa?!» sussurro, incredulo.
«Pur piccola che sia, sospetto abbia una frattura al braccio» dice, sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando la cartella che tiene in mano. «Puoi rimanere con lui finché l’antidolorifico che gli ho dato non fa effetto. Ora vado ad avvisare i professori delle vostre classi» conclude, prima di tirare la tenda e lasciarci soli.
Una frattura al braccio?
Stringo i pugni sulle ginocchia, ma non riesco a fermare il tremore dettato dalla rabbia, dietro cui si nasconde il senso di colpa di quello che è successo. E’ vero, non sono stato io a picchiare direttamente Kaede, ma Yohei è il mio migliore amico, cazzo! Sarà forse un ragionamento stupido, infantile, ma io mi sento responsabile dell’accaduto.
Guardo con angoscia il ragazzo steso sul lettino con il volto girato dall’altra parte, nel tentativo di capire cosa stia provando e cosa possa fare. Il suo silenzio inizia a pesarmi come un macigno, ma non ho il coraggio di infrangerlo. Allungo una mano e gli tocco la spalla. Subito sento che si irrigidisce e so che è turbato. Non sapendo che altro fare, mantengo quel contatto, fino a quando non sento la porta aprirsi. L’infermiera è tornata.
Mi appoggio allo schienale e osservo fuori dalla finestra il cielo plumbeo, che rispecchia molto il mio umore del momento: grigio e cupo. Chissà se nevicherà oggi.
Rimaniamo in infermeria fino al suono della campanella pomeridiana. A quel punto Kaede si alza e mi lancia un’occhiata, pensando che non lo stessi osservando, poi si avvia verso il corridoio. Lo seguo, sempre in silenzio, fino a quando non raggiungiamo le scale.
«Ti accompagno» dico, e non è una domanda.
«Non è necessario» risponde lui atono, senza nemmeno guardarmi. «Se manchi anche tu agli allenamenti, chi lo sente il capitano».
«Sei sicuro?» chiedo, contrariato dal volermi escludere, mentre ci avviciniamo alla sua classe.
«Si». Non aggiunge altro e varca la decima sezione del primo anno.
Rimango a fissarlo mentre raccoglie le sue cose ed esce, incurante degli sguardi dei compagni di classe e non solo che osservano la scena da una certa di distanza, parlottando tra loro. Ovviamente il pensiero di tutti è che sia stato io a ridurlo in quelle condizioni, ma come biasimarli? Fino a dieci giorni fa, l’avrei pensato io stesso.
Raccolta la borsa in classe, raggiungo la palestra. Quando entro negli spogliatoi c’è solo Mitsui, che si sta infilando la maglietta. Raggiungo il mio armadietto e inizio a cambiarmi anche io.
«Ehi, Sakuragi» mi chiama corrucciato, notando la strana espressione sul mio volto.
«Non chiedermi nulla, Mitchi» lo anticipo.
Non ho molta voglia di parlare. Ma lui ovviamente non mi ascolta.
«Problemi con chi sappiamo noi?».
«Beh, non proprio» mi passo una mano tra i capelli, non sapendo che altro dire. «O meglio…».
«Hanamichi!»
Mi volto e vedo Ryota entrare nel locale come una furia, seguito a ruota da Ayako.
Il nostro playmaker mi viene incontro e mi afferra per la maglia con entrambe le mani, tirandomi verso di sé.
«Che cazzo gli hai fatto?» mi urla contro.
E’ ovvio che hanno saputo di Rukawa.
«Non sono stato io!» rispondo di getto.
«Si, certo, come no!» ribatte lui, strattonandomi con più forza.
Mitsui interviene e gli afferra un polso, cercando di allentare la presa.
«Si può sapere che è successo?» chiede.
Ryota si volta a guardarlo, ma non ha la minima intenzione di lasciarmi.
«Davvero non lo sai? Questo idiota ha pestato a sangue Rukawa! Ecco cosa è successo!».
Mitsui mi fissa incredulo. Io scuoto il capo e abbasso la testa.
«Si può sapere che ti è preso?» continua a accusarmi Ryota, digrignando i denti. «Capisco che essere baciato da lui sia stato uno shock…».
«Diglielo».
Tutti ci voltiamo verso Mitsui, mentre lui mi fa un cenno del capo scrutandomi negli occhi.
Eh? Dovrei dirgli che… no! Nono sono pronto!!
«Dirci cosa?» chiede Ayako, accigliata.
«Prima o poi lo verranno a sapere» insiste Mitsui. «Diglielo e chiudiamo qui questa discussione».
Nelle pupille della nostra manager passa un lampo e mi guarda a bocca aperta.
«Non dirmi che tu e Rukawa…» non conclude la frase, lasciando a me il compito di confermargli il dubbio con un cenno della testa.
Ayako chiude di scatto la bocca, mentre le sue gote si colorano di un tenue rosso.
«Qualcuno vuole spiegarmi?! » esclama Ryota, non afferrando il senso di quello scambio.
«Svegliati Miyagi!» sospira Mitsui, esasperato. «Sakuragi e Rukawa stanno insieme!».
Ryota fissa il compagno di squadra con occhi spalancati, ripetendo a bassa voce le sue stesse parole.
La presa sulla mia maglia si allenta, fino a scomparire, e io mi allontano di un passo, sistemandola.
«Ma Haruko?» chiede poi, quando finalmente riesce ad articolare una frase di senso compiuto.
«L’ho lasciata» ammetto, con sguardo schivo. «Senti, so che sembra assurdo, ma io…» non riesco a concludere la frase, troppo imbarazzato dalla verità che dovrei dire, ovvero che lo amo.
Direi che per oggi può bastare.
Nello spogliatoio cala il silenzio e io vorrei tanto svanire e levarmi da questa situazione spiacevole.
Purtroppo non faccio in tempo a fare un passo che sulla soglia della porta appare la figura minacciosa del Gorilla.
Ora che ci penso, è la prima volta che lo vedo da quando ho lasciato Haruko. Chissà cosa gli avrà raccontato. Che l’ho lasciata per Kaede? Ad essere sinceri, non ha importanza. Immobile, resto in attesa che cali i suoi pugni su di me.
Kogure, che entra subito dopo di lui, si mette in mezzo. «Akagi fermati!».
«Levati» gli intima, ma lui non si sposta.
Nel frattempo, altri componenti della squadra entrano negli spogliatoi, rimanendo ad osservare la scena.
Sospiro. «Senti Gori, mi dispiace per…».
«Brutto deficiente che non sei altro!» mi urla, con tanta rabbia. «Ho saputo che Rukawa è andato in ospedale!».
Eh? Rukawa?
Sbatto le palpebre, incredulo. Non è della sorella che sta parlando?
In mia difesa interviene Mitsui. «Akagi, per una volta non è lui ad averlo picchiato».
«E ci dovrei credere?!» ribatte il capitano. «Non fanno che litigare, venire alle mani appena ne hanno l’occasione! Era ovvio che prima o poi uno dei due si sarebbe fatto male seriamente! Ma non dovrei stupirmi di come l’ha ridotto dopo quello che mi ha detto mia sorella della notte di capodanno».
«Io e Kaede stiamo insieme, questo Haruko non te lo ha detto?».
Ok, sono stupito di me stesso per essere uscito con una frase del genere!
Guardo i miei compagni, uno più sorpreso dell’altro, e per un istante mi chiedo se ho fatto bene a chiarire la situazione. Ma il dubbio dura solo un battito di ciglia.
«Beh? E’ forse un problema?» chiedo corrugando la fronte e infilando le mani nell’elastico dei pantaloncini.
«Insomma, non proprio» mi risponde Kogure, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Cioè, sorvolando sul fatto che siete due maschi – non che la cosa personalmente mi dia fastidio! – quello che più mi stupisce è il fatto che non vi sopportavate a vista e ora state… insieme? Scusa, ma questo ha davvero dell’incredibile!».
Il suo sorriso è sincero e, in parte, mi sento sollevato.
«Credi che la cosa non stupisca pure me?» gli dico, alzando le spalle. «Comunque è andato in ospedale per una lastra al braccio. Più tardi passo a sentire che gli hanno detto e vedere come sta».
La tensione che si respirava fino a qualche secondo prima svanisce di colpo. Vedo compagni di squadra annuire, altri farmi un sorriso, altri darmi una pacca sulla spalla. Nessuno sembra giudicarmi in malo modo o provare ribrezzo e ciò non può che rendermi felice. Solo, non vorrei che la voce si spargesse ai quattro venti.
Mi schiarisco la voce attirando l’attenzione di tutti. «Potete evitare di raccontarlo in giro?» chiedo, con la faccia che probabilmente è del colore dei miei capelli. «Insomma, un conto è che lo sappiate voi, un conto, ecco…» l’imbarazzo mi attorciglia la lingua e non riesco a dire altro.
Mitsui ghigna, dandomi una pacca sulla schiena. «Non ti preoccupare, scimmia! Sarà il nostro piccolo segreto».
Finiamo di cambiarci e, uno dopo l’altro, usciamo per iniziare gli allenamenti.
«Sakuragi» mi chiama il Gorilla, quando sono nel corridoio a pochi passi dalla palestra
Io mi fermo e, quando mi raggiunge, attendo che parli.
Lui rimugina un attimo prima di aprire bocca. «Senti, mi dispiace di averti accusato del pestaggio di Rukawa».
Ok, raccoglietemi la mascella dal pavimento! Cioè, il Gorilla sta chiedendo scusa a me?!
«Non fare quella faccia, razza di idiota!» e mi agita minaccioso un pugno davanti al mento. «D’altro canto, anche se ha sofferto, sono sollevato che tu non stia più con mia sorella. La anche sola remota possibilità di averti come cognato era terrificante!» conclude, entrando in palestra senza darmi possibilità di ribattere.
Lo seguo, varcando la porta proprio nel momento in cui arriva Haruko con le sue amiche per assistere agli allenamenti. Lei alza una mano e mi saluta, accennando un sorriso. Io ricambio il gesto, sollevato nel vedere che stia bene e non sia troppo arrabbiata con me. Poi mi guardo intorno e noto che, tra le fila della mia banda, manca proprio Yohei.

Finiti gli allenamenti, lascio velocemente la palestra e raggiungo di corsa la casa della Volpe. Mentre mi avvicino alla porta cerco di essere positivo, con scarsi risultati. Il fatto che Yohei possa avergli fratturato il braccio, mi mette di cattivo umore. E la cosa non migliora affatto quando lui mi apre la porta e vedo il gesso che gli copre la pelle dal gomito alla mano.
«Kaede» sussurro, allungandomi verso il braccio, senza però toccarlo.
Lui non proferisce parola e arretra all’interno della casa, facendomi segno con la testa di seguirlo. Raggiungiamo il salotto e mi accomodo sul divano al suo fianco. Lui si rannicchia, portando al petto le ginocchia, e vi appoggia sopra la fronte, nascondendomi così il viso.
Sono in ansia, terribilmente in ansia.
«Hai parlato con Mito?» mi chiede.
«No» rispondo secco. «Perché ti ha picchiato?».
Ho bisogno di sapere.
«Devi parlarne con lui» insiste.
«Ma…»
Kaede alza la testa e mi guarda dritto negli occhi, con tanta serietà da spaventarmi.
«E’ il tuo migliore amico, no?» non è una domanda. «Dovete parlarne, Hana. E’ importante».
Annuisco e mi avvicino, prendendogli il volto tra le mani. Lo bacio, mentre calde lacrime mi solcano le guance. Quando mi allontano e lui le vede, le asciuga con una mano e le labbra, sussurrandomi parole dolci e numerosi “do’hao” nel tentativo di tranquillizzarmi, invano. I singhiozzi si fanno più forti. Lo abbraccio, affondando il volto nell’incavo tra la spalla e il collo. Una mano mi accarezza i capelli.
«Non è grave» mi sussurra all’orecchio. «Solo una micro frattura. Un mese e il braccio sarà come prima».
Io mi scosto e lo guardo. «E per un mese non potrai giocare a basket» gli dico, tra un sussulto e l’altro.
So quanto ci tiene, quanto sia importante nella sua vita quello sport. L’idea di non vederlo in campo a giocare fa soffrire me, non oso immaginare come si senta lui.
Con le braccia mi cinge il collo e mi tira verso di sé. «Vorrà dire che dovrai tenermi occupato come solo tu sai fare» sussurra malizioso, soffiandomi sul collo.
Sei una maledetta Volpe!
Lo stringo alla vita e lo bacio, chiedendo subito accesso alla sua bocca. Sposto le mani sui glutei sodi e la schiena, invitandolo a stendersi sul divano. Lui capisce le mie intenzioni e mi aiuta a togliere qualche indumento di troppo.
La camera è lontana e noi sentiamo la necessità di amarci ora, in questo preciso momento.

Mi alzo più presto del solito, con l’intento di incontrare Yohei prima dell’inizio delle lezioni e chiarire una volta per tutte questa situazione. Mi incammino verso l’istituto Shohoku, con l’aria fresca del mattino che mi accarezza il viso, arrivando di buon ora nel punto in cui le nostre strade si congiungono e proseguo verso casa sua.
Durante il tragitto, rimugino per l’ennesima volta sul motivo del suo comportamento. Ammetto di avere il vago sospetto che riguardi proprio la Volpe, ma fino a ieri solo quattro sapevano cosa fosse accaduto la notte di capodanno e solo Mitsui era a conoscenza dell’effettivo rapporto tra noi.
E se lo avesse scoperto in qualche modo? E se la cosa lo ripugnasse?
Questo pensiero mi travolge, tanto che mi blocco nel bel mezzo della strada a fissare l’asfalto.
L’idea che il mio migliore amico non possa accettarmi per quello che sono fa male.
Peggio, l’idea che possa addirittura perderlo mi mette addosso un’angoscia terribile.
Tremo, e non è per il freddo.
Serro i pugni dentro le tasche del mio piumino nero e, con un profondo respiro, riesco in qualche modo a calarmi.
Riprendo il cammino perso nei miei pensieri e, svoltando l’angolo successivo, non mi accorgo della persona che sopraggiunge di corsa dall’altra parte: irrimediabilmente ci finisco addosso ed entrambi roviniamo a terra. Mi alzo, pronto a scusarmi, quando mi ritrovo davanti proprio Yohei. Anche lui è già in piedi, ma non gli lascio il tempo di allontanarsi: lo afferro per un polso e una spalla, bloccandolo contro il muro perimetrale della casa che mi ha nascosto il suo arrivo. E’ inquieto: la mano trema, mentre stringe i denti ed evita di guardarmi negli occhi.
«Yohei, noi dobbiamo parlare» dico, stringendo la presa sulla spalla.
«Ti ho già detto che non abbiamo niente da dirci» sussurra, tenendo la testa bassa.
«Davvero?» chiedo, ironico. «Nemmeno del perché tu abbia preso a pugni Kaede?».
Lui sospira. «Adesso lo chiami per nome?».
«Tu sai di noi due, vero?».
Non è proprio una domanda, ma Yohei accenna un “si” con la testa.
«E allora perché?» chiedo, con una rabbia che mi monta dentro. «Cazzo, sei il mio migliore amico!».
«Appunto». Sospira di nuovo, poi mi guarda fisso negli occhi. «Sono solo il tuo migliore amico».
Sbatto le palpebre un paio di volte. Il dubbio si insinua nella mia testa, ma fatico a crederci.
«Erano alcuni giorni che non ti facevi sentire, per cui sono venuto a cercarti». Sento il suo corpo irrigidirsi, mentre lo sguardo si fa triste. «E vi ho visto. Al campetto. Lo stavi baciando. Stavi baciando Rukawa». Socchiude gli occhi e emette l’ennesimo sospiro. «Tu non hai idea di quanto avrei voluto essere al suo posto».
«Yohei, tu…» non riesco a concludere la frase.
Come ho fatto a non accorgermi di quello che provava per me? Ora che mi ha aperto gli occhi è così evidente e tante situazioni, gesti e parole assumono un significato diverso. Mi sento uno stupido.
 «Mi ero rassegnato quando ti sei messo con Haruko» continua. «Poi arriva quel “ghiacciolo” e capisci che non sono le ragazze ad interessarti davvero? Non sopportavo che lui fosse riuscito in quello che io desideravo da tempo».
Lascio liberi polso e spalla, allontanandomi di un passo.
«Mi dispiace». Sento una fitta al cuore. «Io non posso darti quello che mi stai chiedendo».
«Lo so». Yohei mi guarda, e un sorriso triste si allarga sul suo viso.
Rimaniamo uno di fronte all’altro in silenzio. Poi, Yohei raccoglie la cartella, caduta prima durante il nostro scontro, e si incammina verso la scuola. Senza che me lo chieda o altro, lo affianco.
«Come sta Rukawa?» domanda, quando l’edificio dello Shohoku è ormai visibile in fondo alla strada.
«Ha una micro frattura sul braccio: non potrà giocare per un mese, ma sta bene» rispondo, senza pensarci.
Lui si ferma e mi fissa a bocca aperta.
«Non volevo davvero fargli del male!» esclama. «Non mi odiare per questo».
Io gli poso una mano sulla spalla, sfoderando il mio miglior sorriso. «Non potrei mai odiare il mio migliore amico».

Con la schiena appoggiata al muretto della e le mani infilate nelle tasche, alzo la testa e osservo il cielo terso. Le poche nuvole bianche presenti sono sospinte veloci dal vento. Kaede, seduto al mio fianco, tiene gli occhi chiusi e si crogiola al sole che, nonostante la stagione, è piacevolmente caldo.
Sembra addormentato, ma so bene che invece non lo è.
«Davvero non ce l’hai con Yoehi?» gli chiedo.
Il mio migliore amico è venuto a porgere le sue scuse al mio ragazzo, ricevendo come risposta il classico “mh” che vuol dire tutto e niente al tempo stesso. Da quando ci ha lasciato soli, sarà la terza volta che pongo la stessa domanda.
«Si, davvero» mi risponde, scocciato. «E se me lo chiedi un’altra volta, ti chiudo la bocca a mio modo».
Io sento le guance farsi rosse e mi lascio scivolare a terra, avvicinandomi a lui. Allungo una mano verso i suoi capelli e afferro una ciocca della frangia, lisciandomela tra le dita. Lui solleva le palpebre e mi fissa con tanta intensità che sento il cuore saltarmi in gola.
«Sai, quest’anno ho ricevuto il più bel regalo di compleanno che potessi mai desiderare» dice, afferrandomi la mano e stringendola nella sua.
«Compleanno?» chiedo, confuso. Effettivamente non so quando sia. «Ma quando? E di che regalo parli?».
«Il 1 gennaio» risponde, non aggiungendo altro.
E io capisco, felice di essere così importante per lui.
«Il mio è il 1 aprile» faccio, allargando un sorriso. «Almeno puoi già pensare adesso a che regalarmi!».
«Do’aho» sbuffa, poi incurva le labbra. «Lo sapevo già».
Avvicino il mio viso al suo e lo bacio con dolcezza.
«Non hai paura che qualcuno ci veda?» mi chiede, un po’ sorpreso, quando ci separiamo.
«Beh, si» affermo, non senza imbarazzo, abbassando il capo. «Ma vorrei tanto poteri amare alla luce del sole, senza preoccuparmi degli sguardi o dei giudizi degli altri» sospiro, sapendo che non sarà affatto facile.
«Da quello che mi hai raccontato, con la squadra te la sei cavata bene, o sbaglio?».
Io alzo le spalle. Sinceramente con loro è successo e basta, non è che sia stata una cosa spontanea o premeditata.
Kaede mi afferra il mento e mi alza il viso, affinché possa guardarmi negli occhi
«Un giorno ci riuscirai» sussurra, avvicinando le sue labbra alle mie. «Ne sono più che sicuro, do’aho».
Mi bacia, con trasporto, mentre il sole, dal punto più in alto del cielo, risplende su di noi.

FINE

 

  
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