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Autore: Emmastory    16/07/2016    5 recensioni
Esisteva il regno di Aveiron. Fiorente sin dalla notte dei tempi, era governato da un Re e da una bellissima regina, scomoda all'intero regno. Scosso da una tragedia, ospita ancora i suoi abitanti, ridotti alla fame, al freddo e alla povertà. La colpa è da imputarsi a uomini e donne chiamati Ladri, e prima che il regno soccomba alle loro continue razzie, qualcuno deve agire. Rain è una ragazza sola, figlia di un amore che le genti definiscono proibito. Gli incubi la tormentano assieme ai ricordi del suo passato, e con il crollo della stabilità che era solita caratterizzare le sue giornate, non le resta che sperare.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-I-mod
 
 
 
Capitolo II

Anni dopo

Quando le persone affamate di potere danno inizio ad una guerra, a loro non importa della gente comune. Distruggono tutto, lasciandola a soffrire il freddo e la fame. Questo mondo non è più come soleva essere. Crimini su crimini, uomini che ne uccidono altri per mangiare o trovare un riparo,  niente leggi né regole per fermare questa pazzia. Ora come ora, pochissimi sono i sopravvissuti. Coloro che ce la fanno vivono nel terrore, nella paura e nella povertà. C’è un gruppo di persone che trae vantaggio da questa situazione. Si fanno chiamare Ladri, perchè questo è quello che sono. Rubano qualunque cosa, uccidono per divertimento e mai nessuno prova ad affrontarli. Forse non sono né sarò mai in grado di proteggere il mondo intero, ma non sono tanto stupida da vivere nelle mie fantasie. Camminavo fra la neve, e mentre questi pensieri spaziavano nella mia mente, mi sentii improvvisamente debole, tanto da cadere e non riuscire a rialzarmi, non sentendo altro che il battito del mio giovane cuore unito allo scorrere del mio sangue, che viaggiando all’interno del mio corpo, lo riscaldava. Nel tentativo di risparmiare le energie, assunsi la posizione fetale, per poi scegliere di chiudere gli occhi. In quel momento, una voce maschile raggiunse le mie orecchie. “Ho trovato qualcosa.” Diceva, riferendosi al mio povero corpo quasi consunto e bruciato dal gelo. “È… morta?” chiese una seconda voce,  appartenente ad un individuo diverso. “Respira ancora, ma debolmente.” Disse il primo ragazzo, posando il suo sguardo colmo di apprensione su di me. “Dobbiamo portarla con noi, o morirà congelata.” Aggiunse poi, chinandosi e sfiorandomi la mano alla ricerca del mio battito cardiaco. C’era, era debole ma presente. Ad ogni modo, il freddo deve avermi completamente stordita da quel momento in poi, perché non ricordo assolutamente nulla oltre all’essermi addormentata in un posto molto più caldo dell’asfalto cittadino, bagnato dalla pioggia e dalla neve che si scioglieva per fare posto a quella che intanto continuava a cadere. “Dove sono?” ebbi appena la forza di chiedere, quando mi svegliai dal mio lungo sonno. “Sei al sicuro ora. Nessuno ti farà più del male, perciò non preoccuparti.” Disse una voce che a causa della stanchezza faticai a riconoscere. Alzando lo sguardo, lo vidi. Era un ragazzo, lo stesso che ricordavo di aver visto poco prima di svenire e perdere definitivamente i sensi. “Mi chiamo Stefan, e tu?” azzardò poi, regalandomi un sorriso. “Rain.” Tardai a rispondere, scoprendomi completamente rapita dal suo sguardo. Due occhi marroni come le foglie in autunno, e per certi versi di un colore simile a quello dei miei, che erano sospesi fra il miele e  l’ambra. “Piacere di conoscerti.” Aggiunsi poco dopo, nel tentativo di rimediare a quello che vedevo come uno stupido errore. “Io e mio padre ti abbiamo soccorsa, stavi per morire. In più hai dormito per due giorni, non pensavo di rivederti sveglia. Continuò lui, in tono calmo. Grazie di avermi salvata Stefan, tu e tuo padre siete troppo gentili. “Gli dirò che sei sveglia, non lasciare questa stanza per nessuna ragione.” Mi disse, avvisandomi con aria seria. Obbedendo a quella sorta di ordine, rimasi ferma e inerme, e con lo sguardo fisso in avanti, lo osservai mentre si allontanava. La sua figura sparì dal mio campo visivo solo pochi secondi dopo, e in quel momento, sentii la porta di legno chiudersi con uno scatto. Rimasta sola, mi fermai a pensare, tentando con tutte le mie forze di conservare la mia sanità mentale. “Sono prigioniera?” mi chiesi, parlando con me stessa e guardandomi intorno. Seppur lentamente, il mio sguardo si posò sulle coperte che mi avvolgevano. Bianche, immacolate e pesanti. Forse era vero, e forse Stefan stava cercando di tenermi in vita, ma a che scopo? Non potevo saperlo. Ad ogni modo, il tempo scorreva lento, e sdraiandomi, provai a dormire. Sfortuna volle che i miei tentativi di farlo si rivelassero vani, e che drizzandomi a sedere, mi specchiassi notando qualcosa. Incuriosita, mi chiesi cosa fossero quei piccoli segni sul mio viso, e dopo un’attenta analisi, capii che erano lacrime. Acqua desiderosa di rompere gli argini presenti nei miei occhi e uscire, sgorgando come un fiume in piena. “Mamma… Papà… portatemi con voi.” Pregai, a mani giunte come un fedele di fronte al suo Dio. Ero impegnata a pregare e chiedere consigli al cielo, quando improvvisamente, un suono interruppe il flusso dei miei pensieri, così come quello delle mie azioni. “Ti disturbo?” chiese un uomo alto e dagli occhi castani, entrando nella stanza al solo scopo di sedersi su una poltrona lì presente. Colta alla sprovvista dal suo arrivo, scossi il capo fornendo una risposta negativa, alla quale seguì un tombale silenzio. Nel tentativo di mostrarmi educata, mi alzai in piedi, e stringendogli la mano, lasciai che si presentasse. “Mi chiamo Patrick e sono il dottore di questa Casa. Lieto di vederti in piedi, Rain. Disse, mostrando una calma che definirei mostruosa. Ascoltando in silenzio, mi limitai ad annuire e sorridere a mia volta, per poi lasciare che riprendesse la parola. “Il nostro Leader non lascia spazio a nuovi membri. Non appena ti rimetterai dovrò costringerti ad andartene.” Aggiunse, con un tono che alle mie orecchie giunse serio e duro al tempo stesso. Le sue parole mi colpirono, ma facendo del mio meglio per evitare di scompormi, pronunciai solo poche parole. “Capisco, dottor Patrick. Dissi soltanto, chinando il capo in segno di resa e tristezza. “La tua presenza qui è un segreto. Se gli altri lo sapessero finirei nelle mani del Leader. Qualunque cosa accada, non lasciare questa stanza.” Continuò, per poi finire quella frase con durezza e serietà ancora maggiori. Per qualche strana ragione, le sue parole suonarono per la seconda volta come un avvertimento, e rimanendo ferma, annuii nuovamente. “Non voglio essere un peso per chi mi ha salvato, non lascerò la stanza fino al mio momento.” dichiarai, in tono solenne. “Vado a prenderti da mangiare, tu preoccupati solo di riposare.” Concluse il dottore, alzandosi da quella poltrona e lasciandomi completamente da sola con i miei pensieri come unica compagnia. Chiudendo gli occhi, provai a dormire, e scoprendomi nomade in una profonda dimensione onirica che riportava alla mia mente il ricordo di quanto avevo ormai perso, pregavo di riuscire a rimettermi il più presto possibile. Passai quindi una notte molto agitata, scandita dal bubolare dei gufi che nidificavano sui tetti delle case, e dalle tetre frasi pronunciate dalla gente con cui condividevo il mio nuovo rifugio.  
   
 
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