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Autore: Pleurite98    21/07/2016    8 recensioni
|Con un fantastico sondaggio alla fine del capitolo 12|
Una casa da un pessimo arredamento finto moderno. Un solo ingresso. Nessuna finestra.
Quattordici concorrenti di un reality catapultati in un vortice di terrore, in un incubo da cui non possono fuggire.
Un gruppo di persone deciso a dimostrare quanto la società sia corrotta dai media e dalla televisione, pronto a smascherare l'ipocrisia e a mettere a nudo l'uomo nella sua brutalità con tutti i mezzi a disposizione.
Il pubblico da casa, il televisore fisso sul quinto canale giorno e notte.
Anziane, bambini, uomini d'affari incollati davanti allo schermo col cellulare nelle mani ed il cuore che batte a mille.
Quanto è realtà e quanto è finzione?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Capitolo 10
 

Moquette rossa, divano e poltrone in pelle bianca, un bancone da bar sulla destra.
Scott fu il primo ad accorgersi di essere in un locale esattamente identico a quello che avevano appena lasciato.
Gli altri erano completamente assorti nei loro pensieri, nel loro lutto, ma lui no.
Lui sapeva che se voleva sopravvivere non avrebbe dovuto abbassare la guardia neanche per un solo istante.
Doveva essere reattivo, sveglio, scaltro, proprio com'era stato durante la quarta stagione del reality.
“La vendetta dell'isola”, sorrise al ricordo.
L'edizione più finta del programma, così costruita da risultare quasi fastidiosa.
La folle idea di Chris di fingere che l'isola fosse una discarica di rifiuti tossici, l'assumere un team che curasse la parte degli effetti speciali per simulare animali mutanti e addirittura un team di make up artists per conciare Dakota in quel modo lo avevano abbastanza irritato.
Senza dubbio prima di fare il provino era già dell'idea che quelle trasmissioni erano in qualche modo pilotate, mai vere al cento per cento, e così ne ebbe la conferma.
-Sorpresa!- esclamò entusiasta l'uomo con la pistola agitando le mani.
Courtney alzò lo sguardo vedendo ciò che il rosso aveva visto poco prima.
Non era possibile. I suoi neuroni lavoravano il più velocemente possibile, cercando di elaborare tutti i dati che provenivano dall'esterno.
Due set identici. Perché? Qual era lo scopo? Perché usare uno al posto dell'altro?
Eppure, per quanto si sforzasse, le risposte non si materializzarono chiare davanti ai suoi occhi com'era abituata.
Quella volta non riusciva a dare un senso a quello che la circondava. Non era abituata, aveva sempre tutto sotto controllo, la sua vita, le sue scelte, i rapporti con gli altri.
Era stata prelevata e posta in un contesto estraniante.
Era alienata, le sembrava di vivere ogni cosa che le succedeva da spettatrice.
Seduta su una poltroncina di tessuto rosso masticava i popcorn guardano un'ispanica aggredita nel suo appartamento, una ragazza che fuggiva in un deposito di containers per poi essere catturata nuovamente.
Sarebbe stato anche un bel film se non fosse stata lei la protagonista.
E se fosse morta? Titoli di coda? Schermo nero e si riaccendono le luci in sala?
No. Sarebbe morta e basta.
Non sarebbe tornata a casa spaventata da un film dell'orrore, ma conscia e rassicurata dal fatto che fosse tutta finzione. Perché quella, purtroppo, era la realtà.
Ci volle poco prima che i ragazzi riconoscessero tutti gli altri ambienti della casa.
La palestra, la piscina, la sala da pranzo, la cucina, le camere, il giardino, la sala svago e la libreria erano in tutto e per tutto identiche a quelle dove nello stesso istante si muovevano altre dieci vittime.
Ovvio. La piscina era vuota, ma almeno non era piena di maiali squartati e sangue.
Noah guardò la porta in fondo al corridoio. La porta chiusa. Avrebbe forse scoperto cosa c'era dietro lì e nell'altro set?
Poggiò la mano sulla maniglia con assoluta calma, l'abbassò e l'aprì.
Sussultò. Davanti a lui si ergeva un muro di mattoni rossi, provò a spingerli per vedere se si spostavano. Niente, avevano murato la parete.
Così cominciarono anche nel suo cervello le solite domande di routine.
Perché? Cosa c'è dietro?
-L'uscita.- la donna con la felpa azzurra sembra a avergli letto nel pensiero.
Se ne stava dietro di lui e lo fissava con un mezzo sorriso.
Avrebbe voluto sollevarla da terra a tirarle cazzotti fino a farla svenire.
Lui, Noah, con una tale rabbia in corpo che non riusciva più a riconoscersi.

Quella sera li lasciarono in pace, il verdetto sarebbe stato il giorno dopo, d'altronde si era già fatto tardi, bisognava dare al pubblico il tempo di votare.
Jenna tirò un sospiro di sollievo.
Aveva altre 24 ore di vita, 1440 minuti, 86400 secondi.
Da piccola le capitava di passeggiare mano nella mano con i suoi nonni.
Andavano al bar, le compravano una brioche per la colazione e poi la portavano al parco.
Lei, inevitabilmente, si metteva a contare per gioco, ad alta voce, per far vedere che era capace.
Una volta arrivò fino a 547 prima di stancarsi, che sono circa nove minuti.
86400 era decisamente molto di più di 547.
Aveva moltissimo tempo.
L'uomo che aveva cercato di violentarla era morto.
Poteva coricarsi tranquilla, godersi ogni singolo istante di vita.
Aveva un giorno e lo avrebbe vissuto come fosse stato l'ultimo.

Sophia era preoccupata, stringeva fra le mani i bordi del lavandino bianco e si guardava intensamente nello specchio.
Aveva perso, non aveva lei l'immunità, e ancora peggio era nelle mani di quella psicolabile di Angeline.
Aveva ucciso Geoff per nulla, con grande probabilità si era tirata addosso l'odio di Jenna e del mondo intero.
Chissenefrega di Jenna, ma il pubblico...se il pubblico la odiava era un problema, l'avrebbero votata in massa.
Si vedeva seduta sul divano bianco.
-Sophia, hai un appuntamento speciale.- diceva l'uomo col fucile simulando una pistola con le dita e puntandosela alla testa.
No. Non sarebbe mai morta così.
Se la gente aveva tifato per Heather avrebbe tifato anche per lei, gli antagonisti avevano un loro fascino.
Era un'antagonista e ne era perfettamente conscia.
Poteva decidere se fingere di essere qualcun altro e sperare che gli altri la stimassero o essere semplicemente quella che era e augurarsi che qualcuno riuscisse ad apprezzarla.
Lei aveva scelto la seconda opzione.
Ma cos'era?
Era un'assassina. Aveva ucciso una persona, questo non poteva cancellarlo dalla sua mente.
Strinse il lavandino più forte, digrignò i denti.
Stava cedendo sotto la pressione?
Non poteva permetterlo, no. Lei era Sophia Sparks, nessun sostantivo avrebbe mai potuto sostituirla.

Così la serata passò in silenzio.
Kyte ascoltava la musica di Marylin aspettando che gli passassero i tremori al braccio, Killian accarezzava la fronte di Dante baciandolo delicatamente ogni quando si lamentava per il dolore, Jenna fissava il soffitto sdraiata sul letto fantasticando su come avrebbe sfruttato il giorno seguente, Lukas pensava all'uomo con la balestra mentre Angel lo guardava con la testa poggiata sul cuscino, Light cercava di prendere sonno, Seth scribacchiava su un diario, Sophia si dondolava sotto l'acqua corrente della doccia e Almond, qualche cabina a fianco, se ne stava seduta per terra a gambe incrociate, scrutando le piastrelle del pavimento.

Light sentì un odore acre, pungente, un odore che mai avrebbe confuso al mondo.
Urina di gatto. Casa sua. Era a casa sua.
I gatti randagi del quartiere si infilavano fra i pannelli marci e sgattaiolavano dentro, usando il salotto come dormitorio e la cucina come latrina.
Da quando i suoi genitori se n'erano andati lasciandolo solo con il fratello era così che viveva.
Sporco, stanco, affamato.
Erik piangeva, dormivano insieme nel letto matrimoniale, la notte si svegliava e lo sentiva singhiozzare, piano, timidamente.
Lui era quello forte.
Sentiva dei rumori provenire dal piano inferiore, c'erano delle persone che gridavano, un piatto di porcellana doveva essersi appena rotto, o forse era un bicchiere.
Posò la mano sul corrimano, scese i gradini di corsa, una scheggia di legno gli si era infilata sotto il tallone, ma non sembrava accorgersene.
Due ragazzi tenevano fermo suo fratello a terra mentre scalciava con tutta la forza che aveva in corpo.
Un terzo rideva.
Light rimase impietrito sul ciglio della porta.
I due ragazzi fecero alzare il fratello, ma non sembrava lui, aveva i capelli più lunghi, diversi, era... Jenna?
Lo guardava terrorizzata, perdeva sangue dal naso e dalla bocca, le mancavano dei denti.
Quello che rideva aveva afferrato tra le mani un coccio del piatto.
Le andò contro, conficcandoglielo tra le costole.
Voleva urlare, ma non poteva, per quanto ci provasse gli usciva solo un flebile
sussurro.
Light si risvegliò sudato nel suo letto, era mattina.

Killian stava spalmando della marmellata di albicocche su una fetta biscottata, nonostante sembrasse aver riacquistato un po' di colore, Dante non se la sentiva ancora di alzarsi dal letto.
Magari il peggio stava passando per davvero.
Tutti, tranne il ragazzo, erano seduti al tavolo della sala da pranzo.
Sembrava quasi di essere tornati ai primi giorni, quando ancora nessuno avrebbe mai potuto immaginare quello che sarebbe successo, quando Angeline preparava biscotti per tutti e Seth rovesciava distrattamente bicchieri di succo.
Invece si guardavano di sfuggita negli occhi, per brevi istanti, prima di passare a studiare qualcun altro.
L'assassino di Marylin non era ancora venuto allo scoperto.
Killian pensò che potesse essere stata Pam, non era granché lucida il giorno della sua eliminazione, che l'aver ucciso Helen l'avesse fatta uscire di testa?
Non si trovavano in quel posto da molto, eppure gli sembravano passati mesi, anni, come se la sua condizione fosse sempre stata quella.
-Amico, stai facendo traballare tutto il tavolo, è snervante.- disse Light rivolto a Kyte, seduto dalla parte opposta.
Il moro si tirò indietro con la sedia. Lo stavano fissando tutti, non dovevano pensare a inzuppare i loro maledetti biscotti nel latte?
Cosa ci trovavano di tanto strano da guardare?
-Allora?- sbuffò alzando le mani -Ne avete ancora per molto?-
Sophia riprese a mescolare lo zucchero nella tazzina di caffè, il nettare degli dei, da quanto non si regalava un momento del genere?
Era così intenta a cogliere l'attimo che nemmeno si accorse di Jenna che la stava fissando, ma non da qualche secondo, da minuti, da quando aveva messo piede nella stanza.
Almond l'aveva vista, sì, ma aveva preferito restare zitta.
Angeline canticchiava a bocca chiusa mentre versava un altro po' di tè nella tazza di Lukas.
-Grazie.- le sorrise il ragazzo.
La bionda ricambiò e si sporse verso il centro del tavolo per prendere la caraffa di spremuta d'arancia, istintivamente Sophia strinse il coltello da burro sulla sua sinistra finché non la vide ritornare al suo posto.
Killian mise tre fette biscottate su un piatto e fece per uscire dalla stanza.
-Per Dante?- gli domandò Angel.
-Già.- rispose il ragazzo sul ciglio della porta.
-Siete così carini.- si complimentò con voce estremamente melensa la ragazza.
Seth guardò Jenna.
Killian fu percorso da un brivido lungo la schiena intanto che attraversava il salotto.
Jenna prese coraggio in una manciata di secondi, o agiva o non agiva, e lei si era stancata di subire e basta.
-Tu.- pronunciò velenosa puntando l'indice finemente smaltato contro Sophia.
Tutti i presenti guardarono prima l'una e poi l'altra.
Sophia si staccò la tazzina di caffè dalle labbra -Sì?- domandò noncurante, fissandola dritta negli occhi.
-Non credere di passarla liscia!- sibilò la mora.
La castana poggiò la tazza sul piattino e prese il tovagliolo dalle gambe -Che ho fatto?- le chiese con una nota fintamente allibita.
Jenna ebbe uno scatto d'ira, scaraventò la sedia a terra e si alzò in piedi.
Si stava prendendo gioco di lei?
-Che cosa hai fatto?!- gridò con tutto il fiato che aveva in corpo -Mi stai chiedendo che cosa hai fatto?!-
L'interpellata sorrise impercettibilmente, mantenere la calma con qualcuno che la sta perdendo sarebbe sempre stata la cosa migliore da fare.
Stava facendo venire allo scoperto un aspetto di Jenna che nessuno pensava potesse esistere e, chissà, magari non sarebbe più stata così tanto benvoluta nella casa.
-Davvero, non capisco, calmati Jenna.- disse lentamente, strabuzzando gli occhi e asciugandosi la bocca con il tovagliolo.
-E non dire di calmarmi!- sbraitò la ragazza.
Light le si era avvicinato -Jenna...- la chiamò cercando di prenderle la mano.
La mora lo spinse indietro. -Non toccarmi.- ringhiò.
Il ragazzo rimase interdetto, la guardò con la bocca semi aperta, Angeline continuava a canticchiare, Almond prese senza farsi vedere il coltello per il pane e lo nascose sotto la tavola.
Nel caso fosse scoppiata una carneficina non era intenzionata ad andarci di mezzo, Sophia poteva essere orgogliosa.
La castana si alzò in piedi, lentamente, facendo scivolare la mano nuovamente verso il coltello da burro. -Jenna... Se ti riferisci a Geoff...- cominciò.
-Non pronunciare il suo nome.- urlò di nuovo, questa volta con più rabbia.
Jenna sapeva cosa stavano pensando gli altri, credevano non ragionasse, Seth la guardava come un'aliena, invece lei non era mai stata così lucida.
Percorse con slancio la lunghezza del tavolo arrivando a pochi metri dalla ragazza.
Sophia la guardò accigliata. -E' proprio vero che la prima impressione è quella giusta.- esordì con assoluta calma -Sei solo una provincialotta.-
Il volto della mora si contrasse in una smorfia d'odio, un grido di rabbia squarciò l'aria.
Jenna le si avvicinò ancora di più, andandole addosso, poi alzò le mani e le afferrò il collo.
Almond fece per alzarsi, ma venne fermata da Seth al suo fianco, Lukas strinse la mano di Angel, la persona più vicina a lui.
Sophia cercò di ferirla con il coltello da burro senza nemmeno riuscire a graffiarla.
Jenna gridò per la seconda volta, allora la castana le andò contro facendo cadere entrambe rovinosamente sul tavolo, afferrò la teiera e colpì l'avversaria alla nuca, costringendola a lasciare la presa.
Light si scambiò uno sguardo d'intesa a Kyte, che rispose alzando gli occhi dal cielo.
I ragazzi corsero verso le due e riuscirono faticosamente a dividerle.
Sophia si pulì i vestiti dalle briciole dei biscotti mentre Jenna continuava a dimenarsi fra le braccia di Light.
-Credo che questo programma non si chiami “Picchia Sophia”.- disse la ragazza scocciata.
-Te le cerchi.- ridacchiò Angeline.
 

Jenna uscì sconvolta dalla sala da pranzo, Light le stava parlando, le chiedeva che cosa le era preso, non riusciva a rispondere, non era più in grado di accostare le parole per formare frasi che avessero un senso, nemmeno nella sua testa.
-Io...- bofonchiava cercando di raggiungere la sua stanza -Geoff...- sussurrava ogni tanto.
Light la afferrò prima che inciampasse contro una poltrona e la aiutò ad arrivare vicino al suo letto.
La ragazza si tirò uno schiaffo da sola.
Doveva riprendersi, che cosa le stava succedendo?
Forse era vero che aveva perso il controllo.
-Hey.- disse severamente il moro afferrandole il polso -Va tutto bene adesso.-
Jenna si perse nei suoi occhi blu oceano.
La bocca semi-aperta, il cuore che le batteva a mille, il fiatone che non accennava a passarle.
Avvicinò le labbra a quelle del ragazzo, alzandosi leggermente in punta di piedi.
Lui le lasciò il polso, permettendole di avvolgergli le braccia dietro il collo.
Continuò a baciarla fino a perdere fiato.
Ogni tanto uno dei due si staccava e prendeva un respiro profondo, come un naufrago che boccheggiava in mezzo al mare.
Light approfittò delle mani sui fianchi per sfilarle la maglietta, mentre lei faceva lo stesso.
Jenna indietreggiò fino a sdraiarsi sul letto, accompagnando il ragazzo sopra di lei e accarezzandogli i capelli mentre le baciava il collo.

Light. Light. Light.
Light è un eroe, Light è perfetto e non ha bisogno di nulla.
E' altruista, è forte, è bello, ha un passato oscuro e tormentato.
Doveva scriverci un libro su Light, sì.
“Le avventure del perfetto Light.”.
Seth sbriciolò la fetta biscottata che aveva tra le mani.
Ora aveva pure sedato una rissa.
Naturalmente Jenna lo avrebbe ringraziato a vita, senza mai scoprire che lui, Seth Alleyn lo scribacchino sfigato, aveva impedito ad Almond di avventarlesi addosso con un coltello per tagliare il pane.
Quello sì che le sarebbe entrato nella carne, altro che coltello da burro.
Quando Seth aveva quello sguardo, Almond non poteva sopportarlo.
Doveva svegliarsi un po', non sarebbe riuscito a combinare nulla se avesse continuato a comportarsi così.
Lo guardò storcendo le labbra, lui la fissò con fare interrogativo
-E vai no?!- esclamò scocciata la ragazza.
-Come?- balbettò Seth.
-Vai da Jenna!- lo rimbeccò la ragazza come una maestra che corregge il proprio alunno.

Seth la fissò ancora per qualche secondo, facendola sbuffare, poi decise di seguire il suo consiglio, si alzò in piedi ed uscì dalla sala da pranzo.
Era la prima volta che Almond lo trattava in quel modo, era anche la prima volta che Jenna perdeva le staffe.
Forse c'era la luna sfavorevole, ma sarebbe stato meglio che quell'osservazione se la tenesse per sé.
Non bussò alla porta della stanza della ragazza prima di entrare, perché avrebbe dovuto? Era sotto shock, probabilmente non gli avrebbe nemmeno risposto.
Il castano si pietrificò sulla soglia, sentì ogni muscolo del suo corpo diventare di cemento.
Light stava scendendo con la bocca lungo il corpo della ragazza, baciandole il ventre mentre lei inarcava la schiena.
Jenna gli staccò immediatamente la testa.
-Seth...- sussurrò sgranando gli occhi e sgusciando via dalla stretta di Light.
Seth non riusciva a muoversi, tanto meno a parlare, le labbra gli tremavano spasmodicamente, farfugliava qualcosa.
La ragazza gli si avvicinò.
Era arrabbiato, come avevano potuto fargli quello? Non era corretto. No.
Improvvisamente si rese conto che Jenna era in reggiseno.
Un reggiseno rosa carne, di pizzo.
Lei sorrise, con una mano gli alzò il volto imbambolato, senza lasciarlo gli diede un bacio dolce, a stampo.
Lo accompagnò dentro la stanza e chiuse la porta.

Angeline gli aveva letteralmente proibito di entrare in camera.
“Ti sto preparando una sorpresa!”
Preferiva non pensarci, più ci rifletteva più ne era spaventato.
Non aveva ancora rivisto l'uomo con la balestra e questo lo turbava.
Era così... normale, forse anche bello, com'era possibile che si fosse unito a quel gruppo? Perché? Cos'era andato storto nella sua vita per portarlo fino a lì?
Lui avrebbe voluto perdonarlo, se magari fosse riuscito a convincerlo di aiutarli con un qualche patteggiamento non avrebbe scontato una pena poi così tanto lunga.
Sì, sarebbe andata così, non appena lo avesse visto ci avrebbe parlato.
Andò a lavarsi le mani.
L'acqua fredda gli faceva il solletico.
Un rumore sommesso proveniente da una delle cabine attirò la sua attenzione.

-C'è nessuno?- chiese. Nessuna risposta.
Chiuse il rubinetto, doveva averlo immaginato.
Poi lo udì ancora, un gemito, un rantolio.
Si avvicinò con cautela, poteva esserci chiunque.
Forse l'uomo con l'uzi sulla tazza. Sorrise al pensiero di lui che apriva la porta di scatto e si trovava davanti qualcuno che faceva i suoi bisogni.
-Hey...- disse nuovamente, come avvertimento prima di entrare nella cabina da cui riteneva aver sentito provenire il suono.
-Levati, Lukas.- sputò inviperita una voce femminile.
-Almond?- balbettò il ragazzo non riuscendo a credere di aver effettivamente riconosciuto il suo timbro.
Il moro appoggiò una mano sulla porta per controllare se la ragazza non l'avesse bloccata, di colpo Almond ci si mise contro con la schiena.
-Te ne vai?- squittì acida la mora.
Lukas si fermò un momento, sarebbe stato giusto lasciarla lì? Se stava male lui avrebbe voluto che qualcuno gli stesse vicino.
-No.- cercò di dire il più risolutamente possibile.
Udì la ragazza sbuffare da dietro la superficie di legno.
Si accovacciò facendo passare le dita sotto la fessura.
-Dammi la mano, Almond.- le sussurrò.
La mora esitò prima di prendergliela.
Stettero così, fermi, poi Almond si alzò in piedi e aprì la porta.
Lukas, alzatosi a sua volta, la guardò.
La tazza era sporca di vomito, un liquido giallastro e vischioso ne macchiava.
Almond cominciò a singhiozzare, si portò le mani al volto, voleva andarsene, voleva correre via, ma Lukas... era lì.
Lui non sapeva cosa dire, non ci sono parole giuste, non verbi, non frasi.
Il suo sguardo sembrava solo chiedere perché, anche se forse un perché non c'era.
Almond se ne accorse.
-C'è qualcosa dentro di me.- disse senza smettere di piangere, prese un respiro profondo -Lo sento grattare sotto la mia pelle. Scava perché vuole uscire.
E' nelle mie braccia, nelle mie gambe, nelle mie viscere, nella mia testa.
Mi gonfia, mi allarga, mi deforma.
E' un fluido che scorre denso, che pensa, che agisce.
A volte penso che mi faccia fare cose che non voglio e allora cerco di buttarlo fuori, ma non ci riesco, non esce mai tutto.
Vomito perché mi fa stare meglio. Perché la cosa si spezza. Perché c'è silenzio e ci sono solo io. Io davanti a un gabinetto.
Mi sembra di essere sola nell'universo.
Tutto si aggiusta per un attimo.
Se sto bene non è sbagliato, no?-

Forse doveva stare zitta, forse è sempre meglio tacere e tenersi tutto dentro, per farlo uscire in un modo o nell'altro, ma da soli, in silenzio, in privato.
Forse gli altri non dovrebbero sapere cosa ci passa per la testa, il nero, il vuoto, forse non gli interessa.
Forse capirebbero, forse no.
Ma Lukas capiva e la strinse in un abbraccio.

Dante era seduto sul letto con la schiena poggiata contro il cuscino, aveva mangiato si e no una fetta biscottata lasciandone altre due nel piatto di ceramica.
Era stato carino Killian, il suo sogno era sempre stato avere un uomo che gli portasse la colazione a letto. Certo, in circostanze diverse.
Ma dalla vita bisogna prendere quello che ha da offrirci e Dante aveva sempre saputo sfruttare le occasioni.
“Non preoccuparti, lo faccio io.” aveva detto a Seth prima di farsi appendere con le catene.
Non un gesto di gentilezza naturalmente, un gesto di convenienza.
La vittima sacrificale acclamata dal pubblico.
E nella sua testa, nel tempo che stava scontando a letto per la sua imprudenza e del quale si pentiva, aveva studiato tutti i “villains” della casa.
C'era stata Helen, lei era impazzita e la pazzia in quelle circostanze ha le gambe corte.
C'era Sophia, la ragazza che pensava di arrivare fino alla fine vincendo le sfide e tramando intrighi.
C'era Angel che non si curava di niente e nessuno a parte che di Lukas, volendo avrebbe potuto fare una strage.
C'era Kyte, ancora tutto da scoprire.
Ed infine c'era lui, che pensava solo al pubblico, che aveva fatto la scelta sbagliata.
La porta si aprì, sorrise. Killian.
-Ciaoo!- lo salutò melensa Angeline entrando nella stanza.
Il ragazzo smise di sorridere per un istante.
-Angeline... Cosa ci fai qui?- le domandò perplesso.
-Sono venuta a vedere come sta il malato, no? Chiamami pure Angel.- gli rispose tranquillamente.
Killian gli aveva raccontato cos'aveva fatto la ragazza.
Alejandro, l'uomo con la beretta.
-Grazie.- balbettò Dante.
-Posso prendere una piuma dai vostri cuscini?- gli domandò lei senza smettere un secondo di sorridere.
-Certo.- rispose il ragazzo confuso porgendole il suo.
La porta si aprì una seconda volta.
-Angel?- la chiamò allibito Killian -Esci subito!-
La bionda fece una piroetta e si alzò in piedi.
-Come sei scortese.- si lamentò avviandosi verso l'uscio e superandolo -Mi domando chi verrà eliminato prima!- sorrise prima sparire nel corridoio.
Il ragazzo appena entrato guardò Dante con la bocca aperta.
-E' pazza! Te l'ho detto!- esclamò.
Entrambi scoppiarono a ridere.
-Oh, Killian! Proprio te cercavo!- lo salutò Sophia fermandosi per il corridoio -Ciao Dante.- aggiunse sventolando una mano dentro la stanza.
-Sophia!- ricambiò Killian con finto entusiasmo.
Non è che la castana si fosse preparata tutto, che avesse deciso in anticipo cosa dire, ovvio, ci aveva pensato, ma nemmeno troppo.
Sapeva di andare sul sicuro quando esercitava la sua arte.
Il biondo non l'amava troppo, era convinto, così come Jenna, che avesse ucciso Geoff intenzionalmente, fosse rimasto in cucina durante la lite di sicuro non l'avrebbe aiutata.
-Non sai quante volte sono passata di qui, il giorno, la notte, ieri notte sono entrata senza che voi ve ne accorgeste.- cominciò.
Killian la guardò allibito, con una smorfia di disgusto, fece per interromperla.
Sophia gli mise un indice sulla bocca.
-Fammi finire. Dicevo, entro qui e penso “cosa posso fare?” e allora perché non saggiare la gamba di Dante? Ciao di nuovo caro.- continuò entrando un po' di più nella stanza e salutando di nuovo il ragazzo.
-E lui non si svegliava, non si svegliava, eppure il dolore doveva essere tale! Così ci ho riflettuto, da un po' lo sospettavo. Ma vorrai vedere che quel furbacchione sta facendo finta?- sorrise.
-Come puoi fingere una frattura?!- bofonchiò Killian per trattenere la rabbia.
-Il dolore è tale rispetto all'importanza che gli diamo, no Dante?- domandò al moro rivolgendogli ancora lo sguardo.
Killian non sapeva cosa fare.
Dante non sapeva cosa rispondere.
Non era vero, no. Però... Però in un certo qual modo...
Forse lui...
E il dubbio penetrava come un spillo nella carne di Killian, smise di guardare la castana e spostò l'attenzione verso il moro.
Dante era confuso, perché dire quelle cose?
-Non è vero.- balbettò ancora stupito -Killian, non è vero.-
Perché balbettava? Chi dice la verità reagisce così?
-Ma in una coppia non ci si dice tutto?- domandò Sophia facendo esplodere un chewing-gum.
-Non siamo una coppia.- sbottò Killian.
“Non siamo... una coppia?” Quello aveva detto alla ragazza? Aveva realmente scelto di credere alla prima stronza di passaggio piuttosto che a lui?
Sophia li salutò con la mano.
-Ho detto che non è vero.- ribadì più fermamente.
Il biondo lo fissava stranito, come se fosse un estraneo.
-Mi conosci, Killian.- cercò di convincerlo.
Ma poi perché doveva convincerlo? Non era lui che stava dicendo una bugia.
-Sophia, ma che cazzo dici?- gridò sperando che la castana potesse ancora sentirlo.
-Rispondimi, Killian.- lo chiamò -Rispondimi cazzo!-
Perché non gli parlava? Perché si limitava a tenere quello sguardo stampato in faccia? Ora confuso, ora spaventato.
Il biondo lo sapeva.
Sophia non era di certo la voce della verità, ma aveva bisogno di pensare.
-Ho bisogno di pensare.- sentenziò uscendo dalla stanza.
-Killian!- gridò più volte Dante cercando di fermarlo.

Killian vacillò per tutto il corridoio.
Che cosa doveva fare?
In fondo Dante non lo conosceva poi così bene.
Si era aperto con lui, eppure poteva essere tutta una bugia costruita per essere amato, da lui, da tutti.
Sentiva che qualsiasi cosa avesse fatto sarebbe rimasto fregato comunque.
Perché le persone mentono, mentono in continuazione.
Ma lui lo amava con tutto il suo cuore, lo amava come non aveva amato nessun altro.
Si appoggiò al bancone del bar e prese una bottiglia di Vodka dallo scaffale retrostante.

Sophia entrò in camera sua.
Angeline era china sul suo cuscino, appena si accorse della sua presenza si ritirò ridendo.
-Tu hai dei problemi.- sentenziò la castana.

Nella casa clone nessuno aveva avuto voglia di cucinare, Noah si limitò a distribuire dei panini per il pranzo.
Al contrario, in quella originaria Seth si era preoccupato di saziare lo stomaco dei compagni con una pasta cotta qualche minuto di troppo.
Gwen prese la sua michetta e se ne andò in camera, la corrispondente di quella dove dormivano Almond e Sophia.
Spinse una cassettiera contro la porta per assicurarsi che nessuno potesse aprirla e si accasciò in un angolo.
Era stanca, tutta quella violenza l'aveva spossata, le era entrata dentro e le aveva scosso l'anima.
Aveva perso un ex-ragazzo e un caro amico, ma la lista era appena cominciata.
Avrebbe perso tutto.
Una strana corrente d'aria la fece rabbrividire, si alzò e si sedette sul letto prendendo la coperta.
Là, nell'angolo a sinistra, una piccola grata copriva il canale di circolazione dell'aria.
Una forza a lei nuova le avvinghiò lo stomaco, dove pur portare da qualche parte.
Doveva pur prendere l'aria dall'esterno.
Spostò la scrivania esattamente lì sotto e disarcionò a fatica la griglia, doveva essere solo incastrata, non avvitata.
Perfetto, il tunnel era abbastanza largo affinché ci potesse entrare.
Duncan aveva sentito il rumore, temeva che Gwen potesse fare qualcosa di stupido, magari ferirsi da sola, a morte.
Bussò due volte alla sua porta.
-Gwen?- cercò di entrare, ma era bloccata -Gwen aprimi!- gridò più forte tirando qualche spallata.
Lei non poteva sentirlo, percepiva solamente l'aria leggera soffiarle lungo le orecchie.
Era buio, lo spazio era stretto, angusto. Un po' di luce, la raggiunse in fretta, era la grata della stanza affianco.
Il punk attirò l'attenzione dei due uomini presenti, quello con la pistola gli fece cenno di togliersi, l'altro sfondò la porta con un calcio.
Gwen non c'era.
Solo la scrivania, nell'angolo, e la grata poggiata sopra.
In quel momento Duncan capì quanto era stato stupido.
La gotica strisciava sugli avambracci.
I gomiti cominciavano a farle male, non si poteva alzare, nemmeno mettere seduta, appena accennava a muoversi più di quanto le era consentito la schiena le sbatteva contro il metallo.
La conosceva bene quella sensazione, la paura di soffocare, l'angoscia dei movimenti limitati.
Era stata sepolta viva e mai se lo sarebbe dimenticato. Trent l'aveva dimenticata tre metri sotto terra. Trent.
Una lacrima le rigò la guancia.
Il condotto si inclinò leggermente verso l'alto, sarebbe riuscita ad uscire, lei lo sapeva, lo avrebbe fatto per tutti e due.
-State fermi!- gridò l'uomo con la pistola.
Courtney capì subito quello che stava succedendo.
Gwen ce l'aveva fatta, stava scappando.
-Scordatelo, io sono claustrofobica.- sibilò la donna con la felpa azzurra.
-Io non ci passo, maledizione!- replicò il terzo.
Noah accennò un sorriso. Poteva anche avvisarli prima, però.
Tump.
Scarlett credette di sentire nuovamente il rumore di Noah che scalciava all'interno del bagagliaio della donna.
Si guardò intorno, doveva essere stata la sua immaginazione.
Tump.
Invece no, lo aveva sentito ancora.
Tump.
Questa volta lo sentirono tutti.
“Fermati, Gwen.” pensava Duncan.
Tump.
L'uomo con la pistola alzò la testa verso l'alto accompagnando l'arma con il braccio.
Fece fuoco contro il soffitto, dell'intonaco bianco cadde addosso a Heather, immobile a fissare il muro.
Davanti a lei solo l'immagine di Angeline che rideva.
Il rumore cessò.
Gwen si ammutolì.
Un fascio bianco di luce entrava da un piccolo foro trenta centimetri davanti a lei.
Avanzò con un braccio.
Tump.
L'uomo era rimasto in ascolto, sparò di nuovo, un colpo, un altro, un terzo, un quarto un quinto.
Una fessura si aprì davanti agli occhi spalancati di Gwen, due fessure.
Un calore sconosciuto le si propagò nello stomaco. Gemette.
Le faceva male, le toglieva il respiro.
Un altro proiettile le colpì la gamba, l'ultimo le si piantò nella spalla.
La gotica fece scivolare il braccio ferito in avanti.
Il dolore la costrinse a gridare.
Duncan ebbe un sussulto. Colpa sua, era solo colpa sua.
Noah abbassò lo sguardo.
Courtney si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
Una piccola pioggerellina di sangue cominciò a cadere dal soffitto.
Goccia. Goccia. Ce n'è ancora. Goccia. Sempre di più. Non si ferma.
Una piccola pozza si formò ai piedi dell'asiatica, gli schizzi le sporcavano le scarpe.

Kyte non riusciva a contare i giorni passati da quando Chris li aveva fatti entrare nell'ascensore che li aveva condotti in quel posto.
Una fitta allo stomaco lo obbligò ad alzarsi ed un getto di vomito si rovesciò dentro il cestino della spazzatura.
Non si divertiva in discoteca. Se ne stava seduto al bancone a guardare la gente ballare.
Nemmeno gli dispiaceva, era un modo come un altro di passare il tempo.
Ma il tempo passa lento quando vuoi che trascorra più in fretta.
Le persone ululano, i corpi si toccano, la luce prima è troppo forte e poi non ce n'è affatto.
Ed è quando cominci a sperimentare la noia, la noia vera, l'apatia completa dell'anima che cominci a fare qualsiasi cosa pur di uscirne.
Qualsiasi cosa.
Ecstasy. Sesso. Alcool.
Droga, una brutta cosa.
E' un po' come le patatine, quando ne prendi una poi non riesci più a smettere.
Solo che la metanfetamina non la vendono al centro commerciale.
Kyte pensava che quella fosse l'occasione perfetta per ripulirsi, aveva fatto cose di cui si pentiva, cose che lo avevano macchiato per sempre.
Ma quanto ci voleva?
Quanto tempo doveva passare prima che almeno quei sintomi cessassero?
I tremori gli impedivano di lavorare, i dolori lo tenevano sveglio la notte.
La provi una volta e ti piace, allora decidi di continuare, tanto mica ne diventi dipendente, figurati.
Poi non ti annoi, quindi...
Guarda dove sei ora.
Forse era meglio annoiarsi.
-Ciao Kyte.- sorrise Angeline entrando nella stanza.
-Che cosa vuoi?- le domandò il ragazzo coprendo il cestino con il corpo.
-Una piuma del tuo cuscino.- rispose lei pronta.
-Eh?- il moro la guardò perplesso -E' un modo deviato per dirmi che vuoi uccidermi?-
Angel si mise a ridere fragorosamente.
-No, no, voglio solo una piuma del tuo cuscino.- lo rassicurò.
-E prenditela.- le disse sbrigativo.
-Merci beaucoup.- lo ringraziò la bionda cominciando a togliere la federa.
La ragazza fece un piccolo taglietto con le forbici sulla stoffa e poi si voltò.
-Quando ci dirai il tuo segreto?- gli domandò.
Kyte fremette.
-Sì, sono in astinenza da metanfetamina, contenta?- sbottò.
-Non quello, mon ami.- sorrise la bionda uscendo dalla camera.

Se c'era un problema in quella casa, oltre a tutto il contesto naturalmente, allora era l'accumularsi di cadaveri, l'odore penetrante dei corpi che si disfano, della carne che marcisce.
Così l'uomo con l'uzi aveva avuto la magnifica idea di gettare le vittime nella piscina.
Insieme ai maiali.
Lukas aveva girato tutta la casa, ma mai si era immaginato di trovarlo lì.
La balestra appoggiata qualche metro più in là, lui seduto con le gambe a penzoloni nella vasca imbrattata di sangue.
Il tanfo costrinse il moro a tapparsi il naso.
Ricacciò un conato di vomito da dove era venuto e cercò di evitare la vista del sangue.
-Che stai facendo?- gli domandò con la voce strozzata.
-Mi prendo le mie responsabilità.- rispose l'uomo con lo sguardo fisso, il passamontagna era tornato a coprirgli la folta chioma di capelli ricci.
Lukas non riuscì a dire nulla. Di nuovo.
-Domani sarà una giornata di merda.- continuò l'altro senza guardarlo -Prego che tu venga eliminato stasera.-
Il ragazzo rimase di stucco -Come?- balbettò fra il perplesso e l'arrabbiato.
-Credimi, sarebbe meglio così.-
E invece no. Lukas non gli voleva credere.
Non voleva credere che gli avesse appena augurato la morte, come poteva?
Forse non era diverso, era come gli altri attentatori, era lui che cercava di convincersi, che vedeva un bagliore di speranza in ogni cosa.
Se ne andò cercando di non piangere.

Una donna sulla cinquantina poggiò un fascicolo sulla scrivania di un uomo dai capelli brizzolati.
-Lo abbiamo trovato, il ragazzo con la balestra.- sorrise.
L'uomo aprì la cartelletta gialla.
Era lui. Aveva fermato il fotogramma dove si toglieva il passamontagna e lo aveva fissato per ore.
-Ha solo 22 anni.- disse lei.
-Avvertite la famiglia, indagate fra i suoi amici, voglio sapere chi frequentava, dove andava, che dentifricio usava. Tutto.- ordinò l'altro.

La madre lo aveva riconosciuto subito, non aveva bisogno di nessuna conferma.
Era rimasta sul divano a piangere.
Suo figlio, il suo tesoro, il suo mostriciattolo, la sua gioia più grande.
Il marito si chiedeva perché guardasse quella roba.
Lui la tv l'avrebbe tenuta spenta.
La sentì singhiozzare dalla cucina.
Arrivò, la guardò, guardò la televisione.
Ma è buono.
Non è lui, non può essere lui.
Sono sua madre, lo so.
So com'è mio figlio.
E' studioso.
Ci tiene.
Ci aiuta in casa.
Io lo conosco.
Vorrei parlarci.
Vi sbagliate, vedrete.
Non è colpa sua.

Anche la vicina l'aveva riconosciuto, quella della casa accanto, la villetta gialla con il prato sempre perfetto.
L'aveva detto a quella che abitava all'inizio della strada.
Il padre non l'avrebbe sopportato.
Non era passato neanche un giorno che dondolava dal lampadario della cucina.

Sophia era seduta sul divanetto del salotto, aspettava pazientemente che cominciasse la cerimonia di eliminazione. Sorrideva.
“O me o Jenna”. L'uomo con la beretta era stato così ingenuo, davvero si aspettava che mantenesse una promessa del genere?
“Ma devi uccidere Light.” Invece era morto lui, lo stupido.
Così Angeline aveva vinto l'immunità e lei si trovava a temere di venire uccisa.
Bang bang. Un colpo alla testa.
E ancora doveva decidere come comportarsi con Almond, prima o poi non le sarebbe più stata utile, erano in dieci, ma presto sarebbero stati nove, otto, sette.
Si rese conto all'improvviso che c'erano stati solo due eliminati.
Era così assurdo, le sembrava di lottare da settimane.
-Sembri contenta.- le sorrise Seth sedendosi di fianco a lei.
-Lo sono.- rispose la castana.
-Anche io.-
Un attimo di silenzio.
Ebbene sì, anche Seth Alleyn era contento e non riusciva a togliersi quell'espressione dalla faccia.
-Forse ci voleva questo per essere felici.- aggiunse lui guardandosi intorno.
Sophia scoppiò a ridere.
-Seth ha deciso di farsi odiare dal pubblico.- disse ridendo.
Il castano fece spallucce.
Killian arrivò barcollando.
-Sophia.- pronunciò con la bocca impastata -Sei proprio una... una stronza.-
Perché lo era, sì. In vino veritas, si dice.
Seth rimase a guardarlo. Era ubriaco? Puzzava di alcool.
La riccia inarcò il sopracciglio destro.
-Sì, hai ragione.- gli disse -Mi viene naturale, scusa.- sorrise.
Il biondo stava per rispondere qualcosa, ma la testa girava, era così pesante.
I suoni gli rimbombavano dentro. Il pavimento si inclinava.
Doveva vomitare, ma per quanto volentieri si sarebbe scaricato addosso a Sophia, decise che la scelta migliore era andare in bagno.

Quando Killian entrò nei bagni Light si stava lavando la faccia e Almond, che da lì non era mai uscita, era seduta sulla tazza chiusa del gabinetto a guardare davanti a sé.
-Uuh, qualcuno ci ha dato dentro con la Vodka qui.- ridacchiò il ragazzo asciugandosi il volto.
-Non mi parlare, Light.- il biondo non aveva voglia di sentire la sua voce, se c'era qualcuno con cui non riusciva ad andare d'accordo era proprio lui, anche se...
Il moro gli sbarrò la strada e lo fermò spingendolo leggermente indietro con la mano destra.
-Hey hey, l'educazione.- lo prese in giro.
Killian non si divertiva.
Lo stomaco gli faceva male e voleva solo arrivare il più in fretta possibile alla tazza.
-Eddai.- lo richiamò Almond alle sue spalle -Fallo passare.-
Light sbuffò. Provocare il biondo poteva diventare il suo passatempo preferito.
Killian sorrise beffardo e gli si avvicinò di qualche centimetro.
L'altro pensava volesse passare, invece il ragazzo lo baciò in bocca.
Sapeva di alcool.
Il moro si staccò subito.
-Ma che cazzo...- imprecò togliendosi di mezzo -...di problemi hai?-
Il biondo rise -Grazie mille.- poi entrò nella prima cabina davanti a lui.
Almond gli teneva la testa.
-Sei uno sciocco.- diceva.
Light si lavò i denti, preferiva di gran lunga Jenna, anche se quella era stata una giornata davvero strana.

Lukas spalancò scocciato la porta della sua stanza.
-Ta daan!- gongolò Angeline reggendo una piccola scatola fra le mani.
Il moro ebbe un sussulto.
Si era completamente dimenticato della “sorpresa”.
La confezione di cartone non era troppo grande, ma abbastanza per contenere un cuore umano.
Fu quello che pensò subito Lukas.
Il cuore di qualcuno nella casa per simboleggiare il loro “amore”.
-Dai, aprilo!- lo incitò la bionda sorridendo dopo averglielo lasciato fra le mani.
Non era molto pesante.
Lei era sicura che gli sarebbe piaciuto.
Lo aveva fatto con così tanto amore.
Le coppie devono scambiarsi regali, è un dato di fatto.
Le mani di Lukas tremavano.
Aprì un'aletta, poi l'altra.
Un piccolo acchiappa-sogni finemente cucito era poggiato sul fondo di cartone.
Era azzurro con delle piume appese.
Non poteva crederci.
-Grazie.- balbettò guardandola negli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio.
-Scaccerà via i tuoi incubi quando dormi.- affermò Angel contenta abbracciandolo.
Lui ricambiò.
-In fondo sei un'ottima amica.-
Amica?
Le aveva detto “sei un'ottima amica”?
La ragazza deglutì.
La considerava ancora un'amica, dopo tutto quello che aveva fatto per lui.
Ma andava bene, doveva restare calma, sarebbe riuscita a conquistarlo una volta per tutte.

-Ragazzi!- disse contento l'uomo attraverso un megafono -Oplà, tutti qua! E' l'ora che qualcuno di voi ci dica ciao ciao!-
Seth e Sophia erano già lì.
Lui fece per prenderle la mano, lei la scansò.
Jenna si mise di fianco ai due, lei si lasciò stringere.
Light si fermò in piedi dietro i due.
Passò poco tempo prima che arrivassero anche gli altri.
Lukas, inevitabilmente, cercò con lo sguardo l'uomo con la balestra, ma non era lì.
Almond aveva lasciato Killian su una poltrona ed era andata a prendere Dante.
Il solito assistente aveva consegnato la busta ed era risalito in ascensore.
L'uomo col fucile li guardò tutti, sogghignò ed aprì l'incartamento.
-Wow.- sussurrò, quasi stupito.
Stupito come il pubblico, perché alla fine anche lui ne faceva parte.
-La gara è entrata nel vivo.- commentò.
Angeline non era tranquilla, e se fosse stato quello di Lukas il nome scritto sul foglio di carta?
-Angeline, tu godi dell'immunità.- cominciò l'uomo.
Cercò di sorridere.
Sophia si mordicchiava la lingua.
-Almond, Kyte, anche voi siete salvi.-
La ragazza, che aveva trattenuto il fiato fino a quel momento, riprese a respirare.
Anche Kyte era sollevato, per un attimo aveva temuto di essere proprio lui l'eliminato.
Dante cercava di attirare l'attenzione di Killian, ma il biondo era troppo ubriaco per accorgersi dei gesti dell'altro.
-Jenna e Seth, potrete dormire sonni tranquilli anche questa notte.-
Il ragazzo le stava letteralmente stritolando la mano, tuttavia la mora non sembrava accorgersene, presa dalla tensione com'era.
Seth esultò dentro di sé lasciando la presa e carezzandole la gamba.
Lei girò la testa per guardare Light, le sorrideva.
-Aspetta a sorridere, Don Giovanni.- lo richiamò l'uomo con il fucile.
Cinque di loro erano in pace per quel giorno, altri cinque stavano vivendo l'inferno.
-Lukas, tu puoi invece.- proclamò l'uomo.
Il moro sorrise.
Angeline anche di più, a lei degli altri non importava, a lui sì.
L'uomo con la balestra seguiva la scena da dietro l'angolo della cucina.
Lukas lo vide, distolse lo sguardo, cupo.
-Suvvia Light, stavo scherzando, sei salvo.-
Light strinse la spalla di Jenna, lei si voltò un'altra volta, entusiasta, il ragazzo si chinò e si scambiarono un bacio.
Seth rimase immobile.
-Killian, Dante, Sophia. Incredibile vero? Sarà uno di voi tre a salutarci questa sera.- e mentre lo diceva si passò il pollice sul collo.
Killian riprese lucidità non appena sentì il suo nome.
Non lo aveva chiamato per dire che era salvo.
No, lo aveva chiamato per dire che poteva morire.
Guardò Dante, il terrore dipinto sul suo volto, passò a Sophia, spaventata a morte, ma che cercava di nasconderlo.
-Killian, non sei tu.-
Non fece in tempo ad essere felice che era già preoccupato per Dante.
Erano Dante e Sophia.
Dante o Sophia.
Angeline era contenta.
Almond si grattava il braccio.
Killian avrebbe voluto dire a Dante che gli dispiaceva per come si era comportato quel giorno. Era stato uno stupido, come aveva potuto non credergli.
La lingua di Sophia sanguinava.
Aveva giocato le sue carte, era stata un'avversaria valida.
In una partita a scacchi non puoi perdere subito la regina.
-E l'eliminato di questa sera è...-
L'uomo col fucile si stava divertendo ad angosciarli, a vederli divorati dalla paura.
Forse Dante aveva sbagliato tattica, o magari l'aveva sbagliata Sophia.
Chissà che nessuno dei due l'avesse azzeccata, prima uno e poi l'altro ne avrebbero pagato le conseguenze.
-Vogliamo darci una mossa?- Angel imitò l'intervento di Sophia di qualche sera prima, quando era lei a godere dell'immunità.
La riccia si sentiva precipitare nel vuoto, giù, sempre più giù.
Dante piangeva.
L'uomo no. Lui era felice.
-Dante. Sei tu.-
Silenzio.
Il ragazzo non riusciva più a respirare, si affannava seduto sulla poltrona.
Sophia riatterrò, si mise a ridere, due grosse lacrime le rigavano gli zigomi e le sbavavano il trucco.
Come aveva potuto pensare di essere lei.
Killian gridava, Jenna singhiozzava.
L'uomo con la balestra arrivò dal suo nascondiglio e sollevò Dante per un braccio, l'uomo con l'uzi per l'altro.
Scalciava.
Mordeva.
Sputava.
Graffiava.
Si aggrappava alla vita con tutti i mezzi che aveva.
Nemmeno il tempo per pensare.
Puro istinto.
La donna lo colpì alla testa con il retro della sua pistola.
Non abbastanza forte da farlo svenire, non abbastanza piano per privarlo della coscienza.
Killian continuava ad urlare.
Diceva che non era possibile, che c'era un errore, che bisognava ricontare i voti.
Ma era arrabbiato con se stesso, perché era stato uno stupido.
-Voglio venire anche io.- gridò infine.
L'uomo gli fece cenno con l'arma di seguire gli altri. Lui teneva a bada i concorrenti con il suo fucile.
Dante era seduto sulla sedia del confessionale, ogni tanto aveva qualche spasmo, si muoveva, l'uomo con l'uzi lo teneva fermo.
La donna gli puntava la pistola alla testa.
Killian si accucciò e gli prese la mano, l'uomo con la balestra lo teneva sotto tiro.
Mano calda, viva, che stringe, che si muove, che trema.
Bang.
Mano fredda, immobile, rigida, serrata.

-Fine, taglia.- disse Cory Christiansen, il co-produttore.
Il cameraman fermò il motore della cinepresa.
Blaineley si prese la testa fra le mani.
Cominciava ad essere stanca di quel dannato programma, di tutto.
Voleva solo che finisse il più in fretta possibile.
-Siete pronti per l'Extra Drama?- domandò Jessica.
Etienne rispose con un cenno, Samuel gli stava sistemando i capelli.
Payton masticava la cicca.
-Payton, un bicchiere d'acqua per favore.- le chiese.
-Sono occupata.- rispose lei.
Il viso di Jessica si illumimò.
-Ora che siete qui tutti! Per caso avete visto entrare qualcuno nel mio ufficio di recente?- domandò.
-No, no non mi pare.- disse Blaineley.
Etienne guardò Payton.
Lei esplose la cicca, Samuel scosse la testa.
Etienne fece schioccare la lingua.
-Nemmeno tu, Payton?- insistette la produttrice.
-Non so dove sia il tuo ufficio.- mentì spudoratamente.

Blaineley era seduta su una poltrona rossa, sullo sfondo, palesemente finto, si vedeva una panoramica di qualche metropoli.
-E all'Extra Drama abbiamo un'ospite speciale questa sera!- accennò il sorriso meno forzato che poteva.
Ci mancava solo il talk show di commento a quello che avveniva nella casa.
Voleva sprofondare.
-Vero signora Hillgreen?- aggiunse.
Una donna sui 45 fece cenno di sì con la testa.
-Qualcuno di voi a casa ha indovinato su twitter! E' la madre dell'uomo con la balestra.- si congratulò Etienne.
La donna era a disagio.
L'avevano invitata e lei c'era andata.
Probabilmente l'avrebbero messa alla gogna.
-E' mio figlio, il mio tesoro, io lo conosco, è buono.-



 

Angolo autore
E' successo, c'è stata un'altra eliminazione.
Dante ci ha lasciati.
Mentre scrivevo il capitolo mi sono commosso più volte, spero di avervi trasmesso le stesse sensazioni.
https://www.youtube.com/watch?v=pUlX8ltm_JU
Ascoltavo questa canzone a ripetizione, almeno 200 volte l'avrò sentita.
L'ascolto ancora e penso a Killian e Dante.
Non voglio dire quanti capitoli mancano alla fine, vi annuncio solo che non è lontana.
Ci sono state 17 vittime dall'inizio della storia, ma il sangue ha appena iniziato a scorrere.
Comunque penso che mi vestirò di nero.
Non so quando arriverà il prossimo capitolo.
Entro l'anno la storia sarà finita, sto sul vago.
Scusatemi, ma dopo questi tour de force non riesco mai a rileggere.
Segnalatemi gli errori, col tempo li correggerò.



 

  
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