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Autore: acchiappanuvole    21/07/2016    1 recensioni
"...la maggior parte di quelle persone sono nate dormendo, vivono dormendo, si sposano dormendo, allevano i figli dormendo, muoiono dormendo senza mai svegliarsi. Non arrivano mai a comprendere la bellezza e lo splendore di quella cosa che chiamiamo esistenza."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Premessa: questo sarà l’unico “what if” dell’intera raccolta, questo perché volevo un Gilbert un attimino decontaminato da Oz ( giusto 10 minuti) e intento ad affrontare una situazione che ho rispolverato da una mia vecchia fan fiction ma che mi sembrava adatta a lui e Vincent. Sempre senza pretese.

 

Gilbert & Vincent


Guida creata da il blog di Lisa.

Forse Vincent dorme, o forse è immerso nel rifugio di Dormouse, il tempo passa a sua insaputa, le persone entrano in quella stanza a sua insaputa. Così è anche per Gilbert che ora entra e siede accanto a lui. Quando Vincent aprirà gli occhi passerà del tempo prima che riesca a realizzare la sua presenza. Ora guarda in direzione della finestra, i suoni sono distanti, smorzati, e anche la luce è differente. Non è fulgida, la finestra sembra più lontana, le tende indistinte. Deve concentrarsi per distinguere il contorno delle cose, forse ieri o forse l’altro ieri aveva pensato di stare diventando cieco e aveva cercato di concentrarsi sul quel pensiero: diventare cieco era senza dubbio importante. Poco a poco i suoi occhi si sarebbero slavati in una pellicola bianca, la differenza di colore non si sarebbe più notata. Poteva essere un sollievo ma quel pensiero non è rimasto fisso abbastanza a lungo per poter essere pienamente valutato. Ondeggiava e svaniva. Forse sto morendo, aveva pensato un’ora dopo o un giorno dopo.  E questo pensiero era luminoso e abbagliante come il sole. Glen non aveva cambiato il passato e lui stava morendo nel presente. Non quello che desiderava, certo. Gil si sarebbe sentito in colpa ed il pensiero di far soffrire Gil è lancinante tanto quanto  il pensiero di essere ancora vivo. Esistere ancora.
Torna la tenebra. Vincent la preferisce. La tenebra è riposante.
Quando la sera i suoi occhi si aprono ancora  la finestra è meno distante, sul davanzale può distinguere…viole? Non la forma dei fiori, ma il loro colore. Tutte le sfumature possibili, dal grigio più opalescente fino a un color uva carico.
“Le vedi?”
Quando Gil parla, e Vincent comprende subito che si tratta di lui, la sua voce è così alta da dargli la certezza di stare ancora sognando. Ma poi la sente ancora, quindi forse non è un sogno. Lentamente, Vincent gira la testa sul cuscino e lo vede: ora più vicino, ora più lontano, magro e intento. Ha in mano qualcosa e glielo porge. Gli passa il braccio dietro le spalle e lo solleva. E’ il mazzolino di viole. Gil le ha portate via dal riparo del davanzale ed ora le sta offrendo a lui. Come quando era bambino, il grigiore di un vicolo annientato da un mazzo di fiori offerto dalle mani graffiate di Gil.
E’ sorpreso di vederle, di non essere cieco. Vorrebbe toccarle ma la mano è troppo pesante per poterla alzare.
“Aspira il profumo. Guarda.”
Gil gli accosta il mazzo al viso, i petali lo sfiorano. Vincent nota che ogni fiore ha un occhio, e gli occhi lo fissano. Le foglie sono venate. L’odore della terra è fortissimo. Si sente annegare nelle viole. Gil gli stringe il polso.
“E’ ora di cambiare la medicazione e di prendere la medicina.”
Vincent scuote il capo. Non vuole medicazioni, sapere che la lama di Glen non l’ha ucciso è una beffa che non necessita di garze e pillole per il dolore.
“Almeno bevi questa. E’ solo acqua. Piano.”
Gli accosta il bicchiere alle labbra e, dato che le labbra non reagiscono, un po’ di acqua gli si rovescia addosso. Gil posa il bicchiere e lo guarda. Forse per l’effetto dell’acqua o il freddo sulla pelle, ma Vincent si accorge di poter vedere Gilbert perfettamente. Distingue le ciocche corvine sulla fronte, il naso affilato, il pallore e la concentrazione del volto. Si accorge che lo sta osservando con un’espressione severa negli occhi.
“Riesci a vedermi?”
Vincent annuisce.
“Di che colore è la mia giacca?”
E Vincent vorrebbe sorridere perché non servirebbe certo la capacità visiva per poterlo indovinare.
“Nera.”
La parola impiega molto tempo per giungere alla superficie. Gil si alza, avanza nel vortice dei colori, riappare. Tiene in mano uno specchio.
“Mettiti a sedere.”
Lo sistema contro i cuscini, poi gli accosta lo specchio al viso.
“Guarda. Ti vedi? Guardati, Vincent.”
Vincent guarda. All’inizio lo specchio è grigio e appannato, madreperlaceo come l’interno di una conchiglia; ma vuole obbedire a Gil e quindi vi scruta dentro. Batte le palpebre, dopo un po’ scorge un viso.
Conosce quel viso ma ha in sé qualcosa di sconvolgente. Cinereo e con le ossa che spiccano aguzze; ci sono delle piaghe intorno alla bocca, gli occhi infossati e cerchiati d’ombra. Ora è ancora più facile cogliere la loro differenza. Fissa incerto quel volto, e le sue mani cominciano a muoversi spontaneamente, con piccoli gesti sul fresco delle lenzuola.
Gilbert  posa lo specchio, prende una mano di Vincent, la solleva, cingendogli il polso con le dita.
“Vedi come sei magro? Hai i polsi come fiammiferi. Potrei spezzarli senza fatica.”
Gilbert sembra in collera. Quella collera che Vincent conosce e lo seppellisce ancora e ancora nella colpa.
“Voglio che ti alzi”
Gilbert scosta le coperte.
“D’accordo. Se non vuoi camminare non dovrei farlo. Ti aiuterò io.”
Lo cinge con la forza di quel solo arto e Vincent vorrebbe aiutarlo ma le forze sono introvabili. Quell’improvviso movimento gli da le vertigini, la camera oscilla, le sue mani cercano invano di afferrarsi al bavero della giacca di Gil. Lo porta alla finestra. La spalanca e lo conduce sul balcone. L’aria li investe, l’odore di pioggia,  le sagome scure degli alberi…
“Piove” mormora Vincent.
“Sì, piove. Piove forte e ci sarà un temporale.  E’ già nell’aria. Senti la pioggia? La senti sul viso?”
“Si.”
Abbandona la testa sulla spalla di Gilbert, lascia che la pioggia lavi quel che non si può lavare. Chiude gli occhi e la sente battere sulle palpebre, le guance, la bocca. All’inizio è piacevole. Poi l’acqua si fa più intensa, più fredda, Gilbert si ammalerà se rimarranno ancora lì.
“Riportami dentro.” La voce lo sorprende, è la sua voce di un tempo, solo più incrinata. Gilbert non si muove e lui ripete la richiesta.
“Riportami dentro.”
“No.” replica Gilbert, e in quel momento Vincent comprende che suo fratello è in collera come non lo è mai stato.
“Senti quello che dico, Vincent? Capisci?”
“Si” ma prima che Vincent possa aggiungere qualcosa Gilbert gli da uno scrollone rabbioso.
“Allora ascolta e ricorda quel che dico. Ti stai uccidendo e pretendi che io te lo consenta. Non ti importa di tutto quello che ti ho detto, di quello che sarà se tu dovessi lasciarmi. Giusto? Che ti sia chiaro che non lo consentirò mai! D’accordo? Quindi scegli e subito. O torni dentro e cominci a vivere o ci lascerò andare entrambi. Ci farò cadere dal balcone, è piuttosto alto e sarà abbastanza rapido e meno doloroso che continuare a coltivare il tuo desiderio malsano di sapermi più felice se privato della tua esistenza. Finirà in un istante. Sono diciotto metri, non sopravviveremo alla caduta. Decidi? Che cosa vuoi?”
Gilbert si muove, Vincent può sentire il freddo della balaustra sfiorargli le ginocchia. Guarda giù, il buio sottostante.
“Non lo farai.”
“ Eccome se lo farò!Guarda la ringhiera è bassa, non devo fare altro che sporgermi un poco e sarà finita.”
Vincent barcolla, cerca di afferrare la ringhiera, di stringerla nonostante gli risulti difficile. Gilbert è lì accanto o si è allontanato?
“Decidi”
No, è lì, al suo fianco. Testardo come un mulo. Sono entrambi lì inghiottiti dalla pioggia, dal vento e dal cielo. Vincent potrebbe gettarsi nel vuoto, liberarsi nel vuoto, è ciò che desidera. Non deve fare altro che sporgersi e poi tutto sarà finito, i sogni neri, quel mare di sangue pieno di occhi che lo colpevolizzavano, il viso di Gilbert che gli rode il cuore. Ogni cosa. E’ facile! Gilbert non lo seguirà, non farebbe mai una cosa simile alla memoria di Oz…oppure sì? Per lui lo farebbe?
China la testa, guarda il buio con estrema concentrazione, quel buio che lo chiama ma che al contempo gli restituisce l’immagine del corpo inerme di suo fratello. L’indomani gli avrebbero trovati sul lastricato, sfracellati come uova. Tutto finito, tutto. Pensare alla propria morte è un conto ma contemplare quella di Gil è inaccettabile.
Alza il volto verso la pioggia, aspira l’aria umida. C’è futuro? Un futuro possibile? Se puoi lasciarti morire puoi anche lasciarti vivere. Per anni e anni ancora in attesa. Sarebbe tollerabile?
Leo ha detto che non può immaginare più nulla di altrettanto intollerabile che essere sopravvissuto a Elliot. Quel dolore lo porterò addosso fino alla fine,come un odore, sarà sempre lì implacabile, giorno dopo giorno. Il dolore e la colpa, la colpa e il dolore.
Ma a che può servire morire se ciò che ami morirà insieme a te? Vincent  urla, urla di disperazione per l’impossibilità di far trovare sollievo a sé stesso e a Gilbert prima di tutto.
Gilbert.
Sempre.
Prima di tutto.
Prima di ogni altra cosa.
Le mani scivolano dalla ringhiera, il buio pare avventarsi su di loro con una velocità da far girare la testa. Ha gridato forse?
Gilbert lo cinge ancora, era molto più vicino di quanto gli fosse sembrato.
Rimangono immobili. I lampi balenano in distanza, il cielo brontola. Un temporale estivo. Gilbert si volta e lo fissa in viso. Sembra sconcertato, come se gli stesse accadendo qualcosa di sgradito e incomprensibile. Un’espressione stordita gli attraversa lo sguardo, come  fosse stato raggiunto da un colpo invisibile.
“Rientriamo in casa” mormora Vincent con voce bassa e stanca.
 

“Di che cosa devo parlarti?”
Gilbert sembra diffidente; esita, quindi siede nuovamente accanto al letto.
“Quello che vuoi. Non importa. Voglio sentire la tue voce. Dimmi, dove sono gli altri?”
“Un po’ qui un po’ lì. Sharon è all’opera insieme a Reim. Leo è chiuso nella sua stanza, un buon motivo per riprenderti e accertarti che stia bene. Ci sono le infermiere, se hai bisogno di loro.”
“No. L’infermiera è così arcigna. Hai fatto quanto ti avevo chiesto?”
“Il telegramma le sarà recapitato domani. Sei certo sia la cosa giusta?”
“Si.”
“Riposa ora Vince, pensa solo a rimetterti.” La mano di Gil gli sfiora la fronte. “Temo tu abbia un po’ di febbre.”
“Apri le tende, Gil.”
“Ora devi riposare…”
“Fra un po’, ma non subito. Rimani ancora per cinque minuti. Mi pare che abbia ripreso a piovere. Lo sento. Apri le tende voglio vedere.”
Gilbert esita, poi, soprattutto per calmarlo obbedisce. Torna accanto al letto.
“Spegni la lampada. Guarda.” Il viso magro di Vincent si tende verso la finestra. “C’è la luna”.
Gilbert si volta, la luna è quasi piena, le nubi corrono nel cielo. La luce si oscura per un momento, poi torna a splendere. Gilbert si accorge di non vedere soltanto la luna e le nuvole ma anche pensieri,possibilità e immagini. Turbinano informi nella sua mente, schiudono uno spazio luminoso e poi l’oscurano. Una luna appena intravista, suo fratello che aveva  desiderato morire.
Trattiene il respiro, la mano di Vincent è a pochi centimetri dalla sua come se la toccasse; la mano, la pelle, i capelli, gli occhi. Si voltano a guardarsi nello stesso momento.
“Gil ti prego abbracciami, solo per un momento.”
Vincent tende le braccia e Gilbert incurva la schiena. Uno strano abbraccio, Gilbert può sentire tutte le costole, il nodo rigido di ogni vertebra.
“Più tardi dirai a te stesso che parlavo sotto l’effetto della malattia, del dolore. Andrà bene così. Ma ora non ti permetto di crederlo. Non ho la febbre. Non sono mai stato tanto calmo. Puoi andare fra un minuto ma non subito. Prima devi promettermi una cosa.”
“Quale?”
“Promettimi che non morirai. Io potrò vivere se tu mi farai questa promessa.”
“E’ un po’ difficile fare una promessa simile.”
“Non sorridere. Dico sul serio. Devi giurare. Prendimi la mano. Così. Prometti.”
“Perché?”
“Perché voglio avere la certezza che vivrai. Anche se non ci dovessimo più vedere. Anche se passerà il tempo e noi cambieremo, voglio sapere che tu esisti. E’ tutto per me, capisci. Prometti.”
“Prometto se tu farai altrettanto.”
“Gil…”
“E se non manterrai la promessa non lo farò nemmeno io.”
“Va bene. Prometto. Per te io prometto.”

 

  
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