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Autore: Ink Voice    24/07/2016    2 recensioni
Niente sarà più come prima. Forse è meglio così, pensa Eleonora, mentre si chiede esasperata quale sia il prossimo compito da portare a termine. È una domanda retorica che si pone solo per rispondersi subito dopo: “Salvare il mondo”. Una frase da supereroe, da film, che invece le tocca pronunciare per autoconvincersi che il momento è giunto e che lei, fino a qualche anno prima una ragazzina normale che non conosceva la realtà in cui è improvvisamente finita, è una delle più importanti pedine nel triste gioco della guerra.
Dalla parte di chi schierarsi e perché, quando ogni fazione ha numerosi difetti, che rendono l’una indistinguibile dall’altra? Troverà mai dei motivi che la spingeranno a non chiudersi in sé stessa e a non tirarsi indietro? Perché dover rischiare la propria vita per una causa che non si conosce davvero e per una verità svelata sempre poco per volta?
Queste domande l’accompagneranno mentre cercherà la forza per non arrendersi. È l’ultima parte di Not the same story.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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XVI
Il canto della fenice

I miei piedi atterrano con una certa leggerezza su un terreno brullo, con poche chiazze d’erba. Non distinguo niente ad un palmo dal mio naso: in questo posto all’oscurità si è aggiunta la nebbia.
Anziché mettermi a gridare il nome di Daniel per farmi raggiungere, dato che rischierei in un modo molto stupido di farci trovare da chiunque nelle vicinanze, metto alla prova il potere della Vita su tutta la zona, anche e soprattutto per capire se ci ho visto giusto sul terzo elemento del Legame con Ho-Oh. Libero la mia energia perché entri in contatto con lo spazio circostante, e in un attimo tutto viene irradiato da una luce visibile solo a me, come se il sole fosse allo zenit. Una piccola area di erba alta si estende alla mia sinistra, ma non c’è alcuna presenza nei dintorni, né di umani né di Pokémon. Intorno a me ci sono i muri rocciosi di una depressione nel terreno, e mi dirigo verso la scalinata artificiale che porta al livello superiore. Sono intimamente convinta di essere nel posto giusto, ma di Daniel non c’è traccia: eppure dovrebbe essere arrivato per primo.
Continuo a camminare senza difficoltà grazie alla luce creata dal potere della Vita. Un’altra rampa di scale si inerpica su una parete di roccia, e mentre aspetto Daniel non posso fare altro che accertarmi della direzione per Città Nera. La strada ha solo due uscite, una per la meta del nostro gruppo di Legati e l’altra per il Ponte Meraviglie, che collega i percorsi 15 e 16. Dei ponticelli mi portano da un dislivello all’altro e, una volta scesa all’altezza normale del terreno, vedo un’insegna che mi annuncia a chiare lettere che Città Nera si trova dalla parte opposta, dato che il varco davanti a me conduce al Ponte.
Una vibrazione mi fa sussultare leggermente; cerco di identificarla e capisco che proviene dal contatto stabilito con l’ambiente che mi circonda. Un attimo dopo so che è arrivato Daniel, che si è materializzato pressoché nello stesso punto in cui ero apparsa io: è un po’ lontano da me, eppure sono riuscita a rintracciarlo facilmente lo stesso. Con altrettanta facilità gli comunico mentalmente - in una conversazione a senso unico, dato che solo io posso parlargli così - che sto arrivando da lui. Mi materializzo immediatamente a poca distanza dalla sua figura, e mentre io posso vederlo benissimo, lui è nelle mie stesse condizioni appena arrivata.
«Daniel. Sono qui» bisbiglio, avvicinandomi con lentezza.
Lui si gira verso il punto da cui più o meno proviene la mia voce - guarda almeno un metro alla mia destra anziché dove sono esattamente io. Chiama piano il mio nome e un attimo dopo gli sfioro la mano, facendogli così capire che gli sono accanto. La sua faccia spaesata e intimorita, ora che non riesce a vedere niente, è una visione che non ha prezzo: ho un sorriso stupido sulle labbra, divertita dalla sua espressione.
«Gli altri?»
«L’appuntamento è tra almeno due ore e mezza, Dani. il percorso è completamente vuoto, a parte noi due.»
«Ma quando sei arrivata? Ero sicuro di teletrasportarmi vicino a te. Come fai a sapere che non c’è nessuno? Come fai a sapere dove stiamo andando, soprattutto?» domanda perplesso quando gli prendo la mano e lo porto verso le scale.
«Ho i miei mezzi» rispondo vaga. «Qui c’è una scalinata. Attento a dove metti i piedi.»
Neanche il tempo di avvertirlo che al secondo gradino inciampa. Scuoto la testa, in segno di disapprovazione ma comunque divertita, senza che lui possa vedermi. Delle innocue fiammelle arcobaleno prendono vita lungo la scala, una per gradino, come fuochi fatui sgargianti a mostrare la via. Servono soltanto a non far cadere Daniel lungo per terra, ma la loro aria mistica nell’oscurità - anche se per me sono ormai banali fuocherelli, peraltro alla luce del giorno - dev’essere intrigante.
«Grazie» bofonchia Daniel, accontentandosi di non ricevere una risposta più precisa.
Sono troppo occupata a cercare un luogo riparato per pensare a fugare i suoi dubbi; anche sondando la zona più accuratamente di prima non riesco a trovare un posto in cui nasconderci e aspettare. Ripensando anche alle due ore e mezza che mancano alla riunione di noi Legati quasi mi cedono le gambe per l’attesa che dobbiamo sopportare. «Potremmo entrare in città» sussurro a denti stretti.
Non volevo nemmeno che Daniel mi sentisse, ero rivolta unicamente a me stessa, ma ribatte: «Perché no? Tanto a Città Nera non ci troveremmo di certo i Victory, conoscendo come funziona lì.»
«Lo spero anch’io » mormorai, «ma il rischio è troppo grosso. Siamo due Legati, nella loro per niente appariscente Forma di Mezzo, che lasciano tracce inconfondibili per chiunque sia in grado di vederle… e sarà una mia paranoia, ma sono pronta a scommettere che dentro quelle mura» accenno con la testa ai palazzoni oscuri e inquietanti che costituiscono una sorta di cinta difensiva, «ci sia qualcuno in grado di riconoscerci. E poi non è detto che i Victory non siano penetrati in Città Nera. Per quanto ne sappiamo, i Comandanti potrebbero anche aver stabilito la loro roccaforte qui, in questi giorni.»
«Lo avremmo certamente saputo. I notiziari che abbiamo visto avrebbero parlato di una zona del mondo che già era completamente dentro la realtà dei Pokémon, e che è stata presa di mira dai Victory. Invece non abbiamo sentita una parola di Città Nera, neanche in giro.» Daniel sta prendendo troppo sul serio quello che per me era solo un pensiero senza capo né coda, dettato dall’impazienza e dal bisogno incontrollabile di fare qualcosa, di muovermi verso il nostro obbiettivo, la Fossa Gigante.
«E se i Victory attaccassero una volta appurato che ci siamo noi due? Gli abitanti, in cambio della loro incolumità e della salvezza della loro amata città, non ci penserebbero due volte a barattarci in cambio di esse» ribatto, tentando di dissuaderlo da quest’idea insensata che gli si è fissata nella testa, e che ci metterebbe soltanto in grande pericolo. «Non mi fido di quelle persone» aggiungo. Se non di Enigma, che, lo ammetto, è stata la ragione per cui ho pensato ad alta voce di entrare in città.
«Allora che vuoi fare? Aspettiamo qui nell’oscurità…»
«Esattamente, Daniel. Aspettiamo qui nell’oscurità» lo interrompo con tono perentorio.
Lui sbuffa e porta le mani ai fianchi. Si guarda intorno con quel poco di favore dato dalle fiamme arcobaleno sugli ultimi gradini. Cerca di convincermi per un’ultima volta: «Allora andiamo sul Ponte Meraviglie. So che è l’ora di punta e ci passerà tanta gente, tante macchine, ma siamo anche due dei Legati più potenti in circolazione: io mi gestisco il tempo come voglio e tu dai fuoco a cose e persone con lo sguardo. Non avremmo alcuna difficoltà con delle reclute Victory, e se siamo così sfortunati da essere attaccati dai Generali ce la diamo a gambe teletrasportandoci provvisoriamente a Città Nera. E cambiamo il luogo dell’appuntamento con gli altri, visto che li attireremo in trappola se lasciamo questo come punto di ritrovo.»
«Daniel.»
«Eleonora.»
Inarco le sopracciglia ma lui fa finta di niente. Alzo gli occhi al cielo, decidendo di perdere questa battaglia e assecondando così anche il mio bisogno di passare queste due ore e passa che ci rimangono. «Andiamo» gli dico soltanto, incamminandomi verso l’altra estremità del percorso; le fiammelle arcobaleno si spengono appena anche Daniel se ne allontana, seguendomi silenziosamente, e se ne accendono altre per le scale che portano sopra il dislivello e ai lati dei ponti che attraversiamo.
Interrompo l’utilizzo del potere della Vita - che a lungo andare è senza dubbio stancante, dato che ha prosciugato parte delle mie energie - solo quando entriamo nel varco per il Ponte Meraviglie, dove quindi non mi serve più. Non c’è un gran via vai di persone, perciò i capelli blu e argento e gli occhi rossi di Daniel risultano fin troppo vistosi, così come la sua altezza spropositata; ci si mettono anche i suoi vestiti eleganti, per niente adatti alle temperature di una sera invernale. Anch’io mi guadagno un buon numero di occhiate che mi sforzo di ignorare tenendo lo sguardo rivolto al pavimento, lasciando al mio compagno il compito di vedere se in giro c’è qualche tuta bianca, nera, grigia e rossa. Almeno io sono coperta dalle lenti a contatto e ho ancora i vestiti normali che ho usato per girare ad Austropoli: mi auguro che non sia necessario fare niente che mi costringa a indossare gli abiti della Forma di Mezzo.
Ci infiliamo nell’ascensore che porta alla corsia del ponte riservata esclusivamente ai pedoni, mentre l’autostrada che le scorre accanto prosegue sfiorando Città Nera. Daniel, con il potere dell’acciaio, riesce a chiudere la porta prima che qualcun altro venga a disturbarci con la sua compagnia. Fa una faccia contrariata e mi guarda male appena sente nella sua mente la mia voce: “Guarda te in che razza di situazione ci stiamo infilando.” Il suo sguardo è sufficiente per capire cosa ribatterebbe se potesse: che avrei potuto oppormi ancora e lui avrebbe lasciato perdere, e invece lo avevo accontentato.
Usciamo e sorprendentemente per me ci sono ancor meno persone, a occhio, di quante ne abbiamo viste giù al varco. «Strano che siano così pochi sul ponte» mormoro. Prima ancora che Daniel mi risponda so già spiegarmi la ragione. Le macchine, al contrario, formano due code ininterrotte che scorrono lentamente verso parti opposte.
«Chi vuoi che vada a Città Nera? E chi vuoi che se ne vada da lì?»
Annuisco distrattamente. Questo ponte sospeso è una meraviglia dell’ingegneria e fa onore alla reputazione di Unima come una delle regioni più avanzate, tecnologicamente parlando: pannelli di luce segnano i limiti della strada e sono incorporati anche nel parapetto, e la struttura sopra le nostre teste forma curve longilinee, piuttosto esili, e dalla forma elegante, a cui si legano i cavi che sostengono il ponte. Di giorno deve essere spettacolare, ma anche la sera è eccezionale vedere le scie di luce che seguono il percorso del camminamento.
Una volta arrivati pressoché a metà, mi appoggio alla ringhiera con i gomiti e guardo in basso. Mi sembra di essere sospesi nel vuoto più inquieto. Il corso di uno dei due maggiori fiumi di Unima è completamente nero, così come le rive tra cui scorre: si distingue solo dai riflessi che la poca luce fa sull’acqua. Se non ci fossero tutte queste macchine, si sentirebbe di sicuro l’acqua che scorre molto velocemente, impetuosa.
Il vento è altrettanto veemente e mi costringe a tirarmi indietro. Già i miei capelli erano arruffati prima, non me li voglio figurare ora; anche quelli di Daniel, che nella Forma di Mezzo sono ben acconciati, sono parecchio spettinati a causa della corrente. Mentre guarda l’oscurità come me, al mio fianco, non appoggiato al parapetto di vetro, metallo e luce, si passa una mano tra di essi per riavviarseli, ma non fa che peggiorare la situazione.
Giro il capo e mi incanto per parecchio a guardare le automobili che colmano tutte le corsie dell’autostrada. Sulle prime non mi passa nulla per la testa, piena soltanto dei fanali accesi e del suono dei clacson. Mi sembra che sia passata una vita dall’ultima volta che ho visto un’autostrada così da vicino. È solo uno dei tanti spettacoli che ho dimenticato da quando sono entrata a far parte della realtà Pokémon.
È del tutto impossibile vedere chi sia alla guida o i passeggeri dei veicoli. Un pensiero placido, la cui gravità quasi non si fa sentire, mi attraversa la mente senza che mi allarmi granché: quante probabilità ci sono che dietro quei finestrini, al volante o sugli altri sedili, ci sia una recluta Victory o un sostenitore del Team?
«Ti vedo pensierosa» dice Daniel. «Non è che ti rode perché alla fine siamo venuti qui, eh?»
«Un problema del genere non mi sfiora minimamente.» Lui ridacchia e, prima che mi provochi di nuovo, aggiungo: «Mi chiedo, però, che senso abbia stare qui fermi. Non c’è molta differenza con il percorso di prima.»
«Ce n’è eccome! Qui ci vedo, almeno qualcosa!» ribatte. «E a proposito, non mi hai mica detto come facevi a camminare al buio senza inciampare ogni due passi e a conoscere la strada. Non mi hai nemmeno detto…»
«Non lo so perché mi sono materializzata prima di te» lo interrompo, sapendo dove vuole andare a parare, «mi aspettavo io per prima di trovarti, non credevo fossi tu a raggiungermi. Ma a quanto pare ti ho vinto nel tuo stesso campo» sorrido. Lui fa una smorfia. «E comunque ci vedevo benissimo grazie al mio potere speciale.»
«Cioè?»
«Il potere della Vita.» Ricambio il suo sguardo interrogativo con uno quasi indifferente. «Riesco a entrare in contatto con la realtà che mi circonda. Quando l’ho fatto prima, l’ambiente si è riempito di luce e vedevo come fossimo in pieno giorno. Il potere della Vita può anche portarmi a conoscere il passato e le condizioni attuali delle persone con cui stabilisco un contatto… un contatto tra la mia esistenza e la loro. È difficile da spiegare» sbuffo, con un mezzo sorriso sulle labbra, apparentemente distratta a guardare l’orizzonte - ma la linea di confine tra cielo e terra non si può distinguere benissimo. «Ma penso che in qualche modo lo capirai. È una cosa naturale e automatica per me, ma l’ho scoperta da poco. Pochissimo» mi correggo. «Proprio come è banale per te metterti ad esaminare il Tempo, così per me è estremamente semplice usare la Vita.»
Daniel per un po’ non risponde nulla: anche lui guarda altrove, ragionando sulle mie parole - sempre che si sia degnato di fare attenzione e di non pensare a sé: sarà pure necessario per lui, ma è comunque fastidioso. «E io che credevo che fosse tanto dare fuoco con il pensiero» sentenzia infine. Di nuovo sbuffo, leggermente divertita. «Ma puoi avere tutti i poteri strani e inquietanti che vuoi, tanto io ti batto sempre sul tempo.»
«No, non sempre. Pensa a prima: sono riuscita a superarti senza impegno, senza volerlo neanche, figurati, nel tuo stesso dominio! Non ti vergogni?»
«Ammetto che la verità è che è colpa di Dialga. Ha scelto di trattenere il suo amato Legato e di chiacchierarci amabilmente, come al solito nel momento meno opportuno.» Fa spallucce di fronte alla mia faccia sorpresa e curiosa - anche, se non soprattutto, dal tono ironico con cui ha parlato. «Roba noiosa, tanto per cambiare. È uno vecchio dentro.»
«Ma ti prego…»
«Ho-Oh com’è con te?»
«Lunatico» rispondo immediatamente, appena ripenso a questa sera stessa, quando nel suo aspetto umano si è messo a comportarsi in modo molto strano per sviarmi dai pensieri sulle sue contraddizioni. «Incoerente in quello che dice… e davvero schivo. Ma questo da poco: in genere è molto serio, controllato… quando è di buonumore è piuttosto incline alle battute. Soprattutto a farle sul mio conto.» Daniel se la ride di gusto. «Sei un’infame.»
«Credo che io e Ho-Oh andremmo molto d’accordo!»
“Io credo di no” borbotta il Leggendario nella mia testa, passando sopra alla descrizione poco simpatica che ho fatto di lui. La mia faccia è impassibile, per non far vedere a Daniel che l’altro capo del mio Legame sta blaterando qualcosa a sua insaputa, ma mi chiedo sinceramente cos’abbia il ragazzo che non piace a Ho-Oh.
«Non ne sono sicura» ribatto soltanto. Prima che possa replicare, aggiungo: «Tu invece non me la racconti per niente giusta su Dialga. Non ti piace proprio parlare di lui.»
«Ti ho detto tutto quello che serve sapere: è noioso e si comporta come un vecchio. E poi niente, è quasi sempre serissimo, impeccabile, ma a volte gli si annebbia la vista e monta su tutte le furie. Non è per niente un bello spettacolo.» Il suo tono ha perso tutto l’accento scherzoso di poco fa ed è diventato quasi rattristato. «Per fortuna è successo raramente.» Vorrei chiedergli quando, ma sarei affatto indelicata; è lui infine a parlarne spontaneamente. «Quando faccio di testa mia e vado contro i suoi ordini, mi dice di dargli retta. Di solito lo fa insistendo sempre di più, ma senza arrabbiarsi. È capitato comunque che, per qualcosa di serio in cui non lo ascoltavo, sia diventato veramente terribile. La volta peggiore è stata, senza ombra di dubbio, quando ho guardato tutto quello che è successo durante la guerra tra i Victory e i nostri.»
Spalanco le palpebre, esterrefatta. «Lo sai? Sai cosa è su…»
«Mi ha cancellato la memoria.» I miei occhi si scoprono ancor di più, se possibile - ma forse è solo una mia sensazione, di fronte al suo sorriso amareggiato. Mi guarda con un’espressione velata di tristezza, e non gli manca il senso di colpa. «Non mi ha fatto dimenticare la sfuriata che ha fatto, però. Me la sono rivista anche in sogno, per più notti tra l’altro. A quanto pare c’è qualcosa che riguarda questo conflitto che va oltre la nostra immaginazione… c’è qualcos’altro prima del fatto che le due fazioni sono nemiche.»
«Di questo non dubitavo» bisbiglio. Lui sembra non sentirmi.
Indipendentemente dagli standard di Daniel, che può anche vedere Dialga peggio di quello che è, dubito che Ho-Oh si sia mai infuriato veramente. Mi ha rimproverata quando ho più o meno inconsapevolmente dato retta a Helenos e sono andata contro Hei Feng, e prima ancora quand’ero finita nel Bosco Smeraldo dopo l’attacco dei Victory al Monte Corona; non ricordo altri episodi degni di nota. In ogni caso è stato di gran lunga peggiore il breve incontro con Helenos di qualsiasi cosa la fenice abbia mai avuto da ridire.
«I tuoi predecessori, gli altri Legati di Dialga, ti hanno mai dato una mano?» gli domando.
La sua espressione diventa basita. «Tu sei davvero in grado di parlare con i Legati di Ho-Oh del passato?»
«Be’… no. Non credo di poterli contattare, dovrebbero essere loro a farlo. Però uno di loro si è fatto sentire più di una volta. Il suo primo Legato, che viene dal Primo Mondo. Helenos.» Sospiro il suo nome e ringrazio il cielo di non averci più avuto a che fare da quando l’ho rifiutato apertamente per tornare ad essere, nel comportamento, nel carattere e nel modo di pensare, la ragazza umana di sempre. «Se Dialga riesce ad essere bestiale come dici, allora quell’uomo gli fa concorrenza. È veramente, veramente terribile.»
«E come fa a parlarti? L’hai mai visto?»
«Sì. Si è materializzato davanti a me una volta, sulla Torre Campana, e sembrava sul punto di tagliarmi la gola. Credo lo farebbe volentieri, se Ho-Oh non glielo impedisse» borbotto. «Tanto per cominciare, a detta di Ho-Oh è un misogino. Né più né meno.» Daniel storce la bocca, come a commentare “brutta storia”. «E soprattutto mi considera una totale incapace, inadatta alla mia posizione di Legata di Ho-Oh. Quindi più di una volta, senza che neanche me ne accorgessi, ha preso il controllo e mi ha fatta comportare come non avrei mai osato in vita mia, ad esempio con Hei Feng: è stato lui a darle filo da torcere attraverso me, non io. Alla fine sono riuscita a mandarlo via: l’ultima volta che l’ho percepito è stata proprio la prima e unica in cui l’ho visto.»
«Mi dispiace. Non so che dire… non sapevo nemmeno che qualcosa del genere potesse succedere.»
«Neanch’io, finché Ho-Oh non si è deciso a spiegarmelo. Si è rifiutato di farlo per parecchio tempo.» Il silenzio scende tra di noi, ma c’è poca differenza tra adesso e tra quando stavamo parlando: i rumori più forti provenivano e provengono dall’autostrada.
Mi stupisce che sia riuscita a mantenere il sangue freddo, ad avere un atteggiamento serio e impassibile, mentre parlavo di Helenos. Mi sorprende anche, stranamente in misura minore, che sia in grado di dialogare con Daniel nonostante sappia che lui non ricambi, e forse non ricambierà mai, i miei sentimenti. La delusione e la frustrazione sono distanti da me come se appartenessero a una persona con cui ho poca e nulla empatia, eppure quel che provo rimane molto forte: non mi sto assolutamente disinnamorando di lui. Immagino che abbia soltanto acquisito più autocontrollo, anche se rimango una personcina sensibile a livelli imbarazzanti - sono stati sufficienti pochi primi istanti del viaggio nel nostro passato per iniziare a farmi piangere.
«Comunque piaci davvero, a quel Luke.»
Daniel è davvero in vena di chiacchierare stasera. Non so se sia più fastidioso quando non fa altro che parlare di sé o quando va a toccare argomenti sgradevoli e poco simpatici per me. «Che c’entra adesso?»
«Adesso niente, ma volevo dirtelo da un po’. Si vede a un miglio da distanza che stravede per te, l’ho capito il giorno dopo la prima volta che l’ho incontrato, se non il giorno stesso. Ma perché ti ama, poi?»
Siamo passati dal “gli piaci” al “ti ama” passando per lo “stravede per te”, quasi mi vengono i brividi. «Mi avrà mitizzata ricordandosi di me come la ragazza che lo voleva portare in salvo dai Victory, e che si era disperata di fronte a tutti quando lo ha perso. Magari crede che ricambiassi pure… ad ogni modo, quella è stata l’unica volta in cui abbiamo veramente scambiato qualche parola: da quando ci siamo ritrovati non abbiamo parlato granché, le nostre conversazioni più lunghe riguardavano i Legami. Proprio niente di romantico, insomma… credo anche di essere sempre stata abbastanza scostante con lui, appunto perché fin da quando ci siamo rivisti non ho avuto una grande impressione sui suoi atteggiamenti e sui suoi pensieri… non vedo perché gli piaccia.»
«Neanch’io vedo niente per cui possa amarti» ghigna l’infame, sottolineando le ultime due parole. Alzo gli occhi al cielo, rimanendo però indifferente alla sua provocazione. Normalmente mi sarei offesa a morte e avrei perso la sicurezza in me stessa come un’adolescente in crisi, anche perché, nonostante il tono scherzoso, Daniel ha detto la verità almeno sul suo conto: lui non ha trovato alcun motivo per cui provare qualcosa per me oltre una sincera amicizia. Invece adesso, nonostante sappia cosa c’è dietro quelle parole fintamente innocenti, mi tocca solo in minima parte la situazione con Daniel. Qualcosa mi dice che c’entra Ho-Oh.
«Be’, ad essere sinceri» non posso fare a meno di drizzare le orecchie quando Daniel esordisce così, «mi hanno detto più volte che sei molto brava a cantare, ma non ho mai avuto il piacere di sentirti. Né tantomento lo ha avuto Luke, quindi deve averlo affascinato qualcos’altro.»
«Non c‘è mai stata occasione di cantare con te» mormoro. «E da quando sono entrata nel mondo dei Pokémon, le volte totali in cui l’ho fatto si contato sulle dita di una sola mano. Ma visto che è merito del Legame di Ho-Oh se ho questa capacità, immagino non faccia differenza se non canto per mesi o anni prima di ricominciare.»
«Già. Il famoso canto della fenice» dice Daniel distrattamente. Poi mi sorride. «Non so se hai capito che vorrei avere l’onore di sentirlo.»
«L’avevo capito, ma speravo scegliessi un altro momento e un altro luogo» borbotto. «Devi sempre mettermi in difficoltà, in un modo o nell’altro… che gusto ci trovi, lo sai solo tu.» Lui ridacchia senza però ribattere alcunché, mentre io vado in cerca di una canzone, di cui mi ricordi le parole e la melodia, che lo accontenti e che non sia troppo impegnativa: il vero problema è proprio la mia memoria, non le mie capacità, che per merito di Ho-Oh non mi mancheranno di certo.
Il ricordo inizialmente vago di un brano affiora alla mia mente. Non ci vuole niente perché una delle canzoni che più ho amato in passato torni completamente alla mia memoria: il testo è breve e ripetitivo, ma le poche frasi che contiene sono sempre state più che sufficienti per affascinarmi e immergermi in ingenue riflessioni, quand’ero ancora una ragazzina. Adesso che ho una corazza molto più resistente e che ho tanta esperienza, almeno rispetto a quei giorni di innocenza e tranquillità, trovo le parole più che mai adatte alla situazione che sto vivendo, donandole la magia che le manca per essere un po’ più apprezzabile e piacevole. La malinconia e la nostalgia che sia il ritmo, lento ed emotivo, sia il testo trasmettono sono, ad ogni modo, le stesse che spesso provo anch’io.

«Free… as a bird… it’s the next best thing to be, free as a bird…
«Home… home and dry… like a homing bird I’ll fly, as a bird on wings.»

Una pausa più lunga di tutte quelle che ci sono state finora.

«Whatever happened to the life that we once knew?
«Can we really live without each other?
«Where did we lose the touch that seemed to mean so much?
«It always made me feel so…»

Mi dico che può bastare così, anche se nessuno ha potuto sentirmi, nonostante abbia cantato con voce abbastanza alta. Invece vado avanti, quasi fino alla fine della canzone, che mi trasporta naturalmente contro le mie intenzioni iniziali, senza che io riesca - né voglia farlo - ad oppormi.

«Free… as a bird… like the next best thing to be, free as a bird…
«Home… home and dry… like a homing bird I’ll fly, as a bird on wings…
«Whatever happened to the life that we once knew?
«Always made me feel… so free…»

L’ultima nota vibra dolcemente nell’aria fino a spegnersi, anche se era già diventata inudibile a Daniel, soffocata dai rumori del traffico. I suoi occhi sono rimasti incollati a me per tutta la durata del canto, forse anche più attenti delle sue orecchie, ma appena finisco e faccio per ricambiare lui distoglie lo sguardo. «Wow. Meglio dell’originale» mormora.
«È piuttosto semplice come canzone» replico, scrollando le spalle.
«Sì, va be’… in realtà volevo dire che è difficile che ci sia qualcuno in grado di far meglio di te» ribatte, parlando in modo un po’ esitante, quasi avesse paura di farmi un complimento.
Le mie labbra si curvano: era da tempo che non ricevevo apprezzamenti sulla mia più grande passione e abilità - d’altronde non l’ho messa in pratica per un’infinità di tempo. Le parole di Daniel non mi lusingano, ma mi fanno comunque un grande piacere. Ho voglia di cantare ancora, e subito dopo avverto una sorta di mancanza, una fitta al petto: è come se soltanto adesso realizzassi che non c’è tempo né modo per dedicarsi alle proprie passioni. Abbiamo dovuto tutti rinunciare a qualcosa che praticavamo, a parte forse quanti amavano - e amano - discipline sportive, o altri generi che tornino utili alle Forze del Bene per addestrare le sue reclute.
«Ehi!»
Un saluto fatto da una voce sconosciuta fa voltare di scatto sia me che Daniel. Il mio battito cardiaco viene meno alla vista di una tuta rossa, bianca, nera e grigia: a portarla è una ragazza che avrà la mia stessa età, se non qualcosa di meno. I lunghi, lisci capelli tinti di nero - si vede anche nell’oscurità l’inizio di una ricrescita più chiara - sono raccolti in una coda, ondeggiante sia per la camminata decisa che per il vento affatto calmo.
«Eri tu a cantare?» mi chiede sorridente appena si fa vicina.
Le mie labbra tremano mentre cerco di ricambiare il sorriso. «Sì.»
«Sei bravissima! E quella canzone mi piace da morire! Riuscivi a far vibrare le note come i cantanti lirici, all’inizio pensavo che fosse tratto da un’opera. Invece è Free as a bird… era irriconoscibile! Ho capito che era quella soltanto dal testo!»
Non riesco a spiccicare parola, al contrario della signorina Victory che è tutta emozionata per aver potuto ascoltare una versione più complessa e abile di una delle sue canzoni preferite. L’unica cosa che mi passa per la testa è una domanda: come ha fatto ad avvicinarsi senza che né io né Daniel ci accorgessimo di un’altra presenza? È vero che eravamo entrambi distratti, ma non a tal punto da non far caso ad un unico passante all’infuori di noi. Almeno credo: a pensarci bene ero talmente presa dalla canzone e dal momento che dubito sia stata in grado di stare all’erta. Cos’avesse Daniel a cui pensare, non lo so, ma comunque dubito che la ragazza ci voglia attirare in una trappola. Nemmeno Ho-Oh ha lanciato un allarme, quando invece è sempre pronto a farlo.
«Sei nel Victory Team?» Il tono di Daniel è gelido. La ragazza sembra non notarlo; anzi, quando lo guarda in viso per la prima volta sbatte innocentemente le ciglia e sorride, attratta da lui in men che non si dica.
«Sì! Da qualche tempo, a dirla tutta. So che è stato uno shock sapere che esistono creature chiamate Pokémon, che c’è una guerra in corso tra noi e un’altra organizzazione e che avevamo anche degli accordi con i governi… ma dopo lo spavento iniziale c’è stato un boom di richieste per entrare nel Team! La maggior parte sono state respinte, essere dentro è un privilegio ormai. Ma abbiamo affiliazioni un po’ ovunque. Anche voi siete dei sostenitori?»
«Preferiamo mantenere un profilo basso» rispondo vagamente prima che Daniel dica qualcosa. «Siamo da una parte un po’ neutrale… aspettiamo che la situazione si schiarisca.»
«Ah, certo, certo.» La ragazza annuisce vigorosamente e poi torna a guardare il Legato di Dialga. «Mi auguro che facciate la scelta migliore. Il nemico si fa chiamare Forze del Bene, paradossalmente: si sta opponendo da anni a un regime che farà solo del bene dalla società.»
«Sei molto convinta delle tue posizioni» dice Daniel.
«Assolutamente! Non ho mai vissuto così bene da quando i Victory mi hanno offerto di lavorare per loro. Ero scappata di casa…» mormora, ma non approfondisce questo punto - non che ce ne importi davvero - e prosegue: «Uno dei Capitani mi ha trovata, per fortuna. Gli ho spiegato la situazione e mi ha aiutata, fino a farmi entrare nel Team. Mi hanno insegnato tutto e mi hanno dato dei Pokémon meravigliosi. Ho finalmente avuto una famiglia che mi stesse accanto e mi amasse come avevo sempre desiderato!»
«Le Forze del Bene avranno fatto lo stesso per persone come te» replico. «Avrebbero aiutato anche te, se fosse stato uno di quell’organizzazione a trovarti. A questo punto saresti a loro servizio e odieresti i Victory… a meno che tu, e questa è la cosa più importante di tutte, non condivida l’ideologia del Team, a tal punto che te ne saresti andata dalle Forze del Bene per unirti ad esso.»
«Lo avrei fatto» risponde con sicurezza appena finisco di parlare.
Annuisco leggermente, guardandola negli occhi - stranamente non sta ammirando il volto di Daniel - convinti quanto la sua voce di quello che dice. «Mi dispiace.»
“Creami uno scudo, Daniel.”
«Per cosa?» La ragazza è leggermente sorpresa.
Non fa in tempo a finire di parlare che il tempo si ferma: il vento, le macchine e i rumori dalla strada si bloccano bruscamente, come se qualcuno avesse premuto un pulsante di pausa durante la riproduzione di una scena in un film. La recluta si è bloccata con la bocca aperta e non è in grado di muoversi, eppure i suoi occhi stralunati, vivi, mi fanno capire che è cosciente di quello che le sta accadendo, e che non può fare niente per riprendersi. È intrappolata dalla stasi del tempo, non riesce a muoversi.
Prima che la forza del suo sguardo terrorizzato mi dissuada, traccio con l’indice una linea retta dalla base del suo collo alla punta del mento. Appena il dito si curva, tornando al suo posto insieme agli altri, chiusi in un pugno, una fiammella le abbandona la bocca, accarezzandole il labbro inferiore su cui si poggia per un momento, per poi spegnersi. Nello stesso momento in cui scompare, la ragazza sembra perdere i sensi: il tempo la libera e lascia che cada tra le mie braccia. I suoi vestiti sono freddi, ma mai quanto il suo viso - tengo una mano su una sua guancia - apparentemente addormentato.
«Era la cosa giusta da fare» mi dice Daniel per rassicurarmi, quando mi vede immobile quasi quanto lei.
«Lo so.»
Per alcuni secondi non faccio altro che guardare le sue palpebre chiuse, senza provare alcuna emozione: anche la mia voce è suonata priva d’intonazione. Poi il suo corpo stesso si trasforma in fiamme: le mie braccia, non aspettandoselo, si stringono affondando letteralmente dentro di esso, senza uscirne bruciate. È illesa anche la tuta Victory che rimane appesa alle mie mani.
«Questo potevi risp…»
«Non sono stata io» lo interrompo. I miei occhi vanno fuori fuoco e fissano senza un vero motivo la divisa della ragazza. Mi riscuoto quel tanto che basta per far rifluire pensieri alla mente quando realizzo che sto guardando soltanto il semplice stemma dei Victory, con una V e una T perfettamente sovrapposte, a formare un triangolo isoscele diviso a metà, con il vertice rivolto verso il terreno.
Il tempo riprende il suo corso come di consueto appena abbandono la tuta oltre il parapetto del ponte. Viene inghiottita dall’oscurità e posso solo immaginare che sia caduta in acqua, trasportata dalla corrente che è tornata a scorrere.
«Andiamo a Città Nera, Daniel.»
  
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