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Autore: nikita82roma    25/07/2016    4 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Andrew aspettava Castle in quello che ormai era il suo secondo ufficio come piaceva chiamarlo l’agente: la lounge del W Hotel a Union Square. I divani scuri puntellati da cuscini da i colori vivaci, le ampie vetrate con la vista sulla piazza rendono quella hall non eccessivamente molto accogliente e più spaziosa di quanto non lo sia in realtà, ma l’ambiente tranquillo ed informale è l’ideale per questo tipo di incontri e Andrew ormai è di casa lì. Quando Castle arriva il suo agente aveva appena finito di sorseggiare un cappuccino e tutte le volte tra i due nasceva una piacevole discussione tra le differenze tra cappuccino e latte macchiato, su come dovesse essere la temperatura e la schiuma. Erano anche queste le cose che Rick apprezzava di lui e che lo avevano portato a sceglierlo come suo nuovo agente. Era un tipo interessante, con il quale si poteva chiacchierare anche non di lavoro e che sapeva, come lui, godersi la vita. Ordinarono due long drink e degli stuzzichini e mentre attendevano Andrew aprì la sua 24 ore mettendo davanti a Castle dei prospetti.
- Mi dispiace averti dato così poco preavviso - disse il suo agente - ma è un’opportunità che mi è capitata proprio poco fa. - Rick guardò la carta intestata e riconobbe subito il logo nero e bianco che campeggiava in alto. - La migliore penna per il miglior scrittore. Mi hanno contattato questa mattina. È una buona pubblicità anche per entrambi: loro arriverebbero ad un pubblico più vasto pubblicizzando il loro ultimo prodotto, una nuova linea più easy senza diminuire gli standard di qualità ovviamente e tu saresti associato ad un marchio estremamente prestigioso, perché è solo il primo che voglio legare alla tua immagine Rick!
Castle lo aveva assunto per questo, no? Curare la sua immagine, i suoi interessi, fare in modo che la sua vita pubblica fosse incanalata nei giusti binari pubblicitari senza sconfinare nel suo privato del quale diventava sempre più geloso e quello che lui gli stava proponendo non era una cosa buona, era ottima. Qualcosa che Paula in tutti gli anni non aveva mai saputo proporgli, non andando oltre le mere serate mondane e la pubblicità che derivava dal gossip, “perché il tuo pubblico è quello” così le ripeteva, lui non ne era convinto, sapeva che poteva fare di più, ma i profitti arrivavano in modo fin troppo facile ed erano alti, e quel genere di vita non gli era mai dispiaciuta e nemmeno quell’etichetta che gli era stata messa, anzi lo lusingava. Prima, non adesso. Dopo gli ultimi eventi anche la sua immagine era andata ben oltre quella delle riviste scandalistiche e Andrew aveva visto in questo un modo per tracciare una linea netta tra quello che era stato e che sarebbe stato in futuro del Richard Castle pubblico, che poi in effetti era anche quello che voleva fare lui nel suo privato, con le decisioni che aveva preso e stava prendendo. 
- Cosa dovrei fare? In termini pratici intendo. 
- Un paio di photoshoot e la registrazione di un video promozionale qui, a New York, nelle prossime settimane, ed un paio di party che dei quali saranno sponsor dove, ovviamente, ti dovrai presentare. Poi naturalmente firmare tutte le copie dei tuoi libri usando la loro penna.
- Dove sono questi party e soprattutto quando? - Era questo che gli premeva i dove e i quando.
- Ecco, il primo dei due è due giorni dopo la consegna degli Edgards. Ho già parlato con Price, e per lui sarebbe ottimo se il giorno dopo il party di Boston tu potessi partecipare anche a quello a Los Angeles.
- Cosa? A Los Angeles? - Rick strabuzzò gli occhi. Los Angeles era a 6 ore di volo da casa. Da Kate
- Sì Rick. Lo so cosa avevamo detto, ma è una opportunità splendida, devi solo prolungare di un paio di giorni il tuo viaggio, l’altro sarà qui a New York, quindi non avrai problemi. So che hanno in piedi anche una trattativa con un altro scrittore, tuo competitor, ma gli ho chiesto di non fare niente fino all’una di oggi. Cosa mi dici? - Andrew era sicuramente un tipo molto entusiasta, che sapeva come convincere le persone, anche uno come Castle che all’idea di prolungare la sua assenza da casa e da Kate soprattutto, era estremamente riluttante.
- Andrew, devi promettermi che non ci saranno altre improvvisate per i prossimi mesi, ti ho spiegato la mia situazione. 
- Solo questo Rick. E’ un impegno che mi sono preso in prima persona. - Gli porse una penna e gli indicò dove doveva firmare il contratto. Rick lo fece. - La penna puoi tenertela, ti servirà - Andrew sorrise e in quel momento arrivarono i loro drink con i quali brindarono alla felice conclusione dell’affare. L’agente finì in fretta il suo bicchiere, prese le carte le rimise nelle ventiquattrore e salutò Rick dicendo che doveva andare a inviare la copia del contratto e fare delle telefonate per sistemare il tutto. 
Castle rimase solo su quel divano a guardare New York correre al di là dell’ampia vetrata della hall. Turisti, per lo più. Girava e rigirava la penna tra le dita, mentre sorseggiava il suo drink mangiando qualche tartina. Non si aspettava quella proposta e non da quella casa così importante. Era un’offerta economicamente molto vantaggiosa ed alla fine aveva firmato senza leggere nemmeno tutto il contratto, il suo avvocato l’avrebbe ucciso per questo, ma non era la cosa che in quel momento lo preoccupava di più. Lo aveva fatto senza dire nulla a Kate, a sua moglie. Avrebbe dovuto prolungare la sua assenza, ma non era solo quello che lo preoccupava, era la consapevolezza che, in un altro momento, prima di firmare, si sarebbe preso almeno cinque minuti per farle una telefonata ed avvisarla, chiedere il suo parere. Sapeva che lei gli avrebbe sempre risposto “E’ la tua carriera Rick, devi decidere tu”, ma il fatto di consultarla, sempre, per lui era naturale. E quel giorno non lo aveva fatto. Aveva pensato a lui tutto il tempo, a cosa quella scelta avrebbe comportato, anche come giorni in più che doveva starle lontano, sarebbero stati solo un paio in fondo, ma non si era sentito in dovere, nemmeno per un attimo di chiamarla e chiedere il suo parere. Questa sua mancanza lo tormentava adesso e si sentiva terribilmente in colpa. 
Erano passate un paio d’ore dalla fine dell’incontro con Andrew. Aveva bevuto un atro paio di cocktail senza più riuscire a toccare cibo, aveva lo stomaco chiuso e la cosa peggiore era che sapeva esattamente perché. Aveva avuto modo di pensarci tutto quel tempo e l’unica risposta plausibile era quella che non voleva darsi, perché sarebbe stato portare di nuovo a galla quel conflitto che aveva dentro e che cercava sempre, in tutti i modi, di sopire. 
Non era ubriaco, reggeva bene l’alcool, ma quello che aveva in circolo più i suoi pensieri lo stavano portando in uno stato mentale che lo destabilizzava, arrivando a conclusioni che non voleva darsi.

Tornò al loft, pensando di trovarlo vuoto. Invece Kate era lì, sul divano, con un libro e una spremuta d’arancia. Pensò che avrebbe preferito stare ancora un po’ da solo per riorganizzare meglio i pensieri in vista di quello che doveva dirle. Si sedette vicino a lei, piegando la testa per vedere cosa stava leggendo, “Kill Alex Cross” di Patterson.
- Leggi la concorrenza? - Le chiese cercando di essere il più leggero possibile.
- Ti disturba? - Kate mise il segno e chiuse il libro.
- No, affatto. Patterson è un amico. Ma tu, non dovevi essere con Lanie?
- Cambio di programma, l’ennesimo oggi - provò a sorridere Kate. - Come è andato l’incontro con Andrew, di cosa ti voleva parlare?
- Oh beh, è andato bene… - erano già arrivati al punto e lui non si sentiva per niente pronto - Mi ha proposto di diventare l’uomo immagine di una prestigiosa casa di ehm… strumenti per la scrittura… - Tirò fuori dal taschino della giacca la penna che gli aveva dato Andrew e gliela diede. Kate si lasciò sfuggire un’esclamazione felice e stupita.
- Beh, direi che qui Castle siamo al top.
- Già… - Lo scrittore prendeva ancora tempo 
- Pensi che accetterai?
- In realtà… l’ho già fatto. È un’offerta molto vantaggiosa, sia economicamente che per la mia immagine - tentava di giustificarsi senza rendersene conto che non c’era bisogno.
- Sono molto felice per te, veramente! - Le disse lei sincera.
- C’è una cosa… Hanno organizzato un party e sono tra i maggiori sponsor, sarà il primo evento a cui dovrò partecipare… È a Los Angeles, dopo gli Edgard Awards… Dovrò prolungare di un paio di giorni la mia assenza… - Kate vide il suo viso triste e colpevole
- Rick, è tutto ok. Veramente, è il tuo lavoro, va bene così. Non sono una bambina, lo capisco.
- Sono io che non so se non sono un bambino e non so se lo capisco.
- Posso stare benissimo un po’ di giorni senza te che mi controlli costantemente! - Disse in tono giocoso cercando di tirargli su l’umore.
- Sono io che non so se posso… - Respirò e cercò di cambiare discorso era sicuro che lei avrebbe reagito così. Era lui che si sentiva uno schifo per non aver pensato di coinvolgerla, lei non glielo avrebbe mai chiesto nè lo avrebbe preteso. - Tu invece, quale cambio di programma hai avuto? Un cadavere per Lanie?
- No, mi sono fermata a parlare con tua madre?
- Cosa? Ma non doveva andare alle prove?
- Sì, ma ha rimandato per parlare di quanto accaduto a colazione, con Alexis. Ci teneva molto.
- Cosa… cosa è successo con Alexis?
- Quando ti ho detto che entrambe le tue figlie avevano fame, Alexis si è irrigidita e mi ha guardato in modo molto particolare, anche tua madre lo ha notato, e mi ha spiegato il perché.
- Oh… ecco, mi dispiace, se l’avessi vista ci avrei parlato io.
- Non dovevi parlare con Alexis, Castle! Dovevi parlare con me. Tua madre mi ha raccontato tutto di Alexis, delle sue preoccupazioni, dei suoi dubbi. Di quello che hai intenzione di fare con la tua agenzia di investigazioni e di come lei ha reagito alla tua decisione. - Le parole di Kate erano decise, non era arrabbiata, ma era delusa, si vedeva dal suo sguardo che aveva notato strano fin dall’inizio ma non aveva capito che era per questo.
Castle si passò le mani tra i capelli. Era preoccupato di dirle del contratto firmato, non era per niente pronto per affrontare questo discorso.
- Kate, Alexis ti adora, veramente, da sempre! Avete avuto sempre un rapporto più che buono, lei si confidava con te. - Beckett sembrava non starlo nemmeno a sentire, scuoteva impercettibilmente la testa.
-Rick non si tratta di me e di Alexis, noi siamo adulte, possiamo parlare, risolvere la questione, trovare un punto di incontro. Non mi preoccupo di questo, non per me. Per lei. - Disse poggiando entrambe le mani sul suo ventre, per proteggere ancora di più la sua bambina. Aveva uno sguardo, quello sguardo, di quando è disposta a fare qualsiasi cosa per arrivare al suo obiettivo. Ed il suo obiettivo, questa volta, era il più importante: difendere sua figlia, da tutto e da tutti. Da subito. Castle si stropicciò gli occhi con i palmi delle mani con insistenza. Kate, la loro bambina ed Alexis. Ne sarebbe uscito sconfitto, in ogni caso. Sapeva da subito, da quando le hanno detto che era incinta che questo momento sarebbe arrivato, ci aveva sorriso tante volte da solo mentre aspettava che si risvegliasse. Il giorno che Kate Beckett si sarebbe trasformata da donna a leonessa disposta a sbranare il mondo per difendere i suoi cuccioli. Quel giorno era arrivato, con il destinatario peggiore.
- Al mi ha detto che è felicissima dell’arrivo della bambina, credimi Kate! Le serve solo un po’ di tempo, per abituarsi all’idea. È stata solo lei la mia bambina per tanti anni, credo che sia normale essere un po’ destabilizzate, soprattutto vista la situazione particolare. - Rick cercava in tutti i modi di giustificare la figlia.
- Non me la sto prendendo con lei, la capisco, non sono un’insensibile. Capisco anche il suo punto di vista su tante cose del passato, meglio di quanto tu possa immaginare. Però capiscimi: per una semplice battuta, su una cosa che per me è bellissima, mi sono vista guardare come se fossi la nemica che le sta togliendo qualcosa, mi ha fatto male e soprattutto mi ha fatto male pensare che vedesse così anche nostra figlia.
- Perché non me lo hai detto subito, quando eravamo soli?
- Perché non sapevo che tu eri a conoscenza di questo suo malessere, Castle! Perché se lo avessi saputo avrei evitato di dire quella frase!
- Beh ora lo sai… Ne vuoi parlare?
- Cosa stiamo facendo? - Gli chiese perdendo la pazienza, lui non aveva capito il suo punto di vista. - Avrei preferito saperlo da te di questi problemi con Alexis, del suo stato d’animo. Io l’avevo sempre vista felice, avrei evitato certi riferimenti che potevano metterla a disagio. Si tratta di sua sorella, di nostra figlia, Rick. Della nostra famiglia, avrei voluto saperlo. - Beckett aveva alzato la voce e Castle le rispose a tono.
- No Kate. Si tratta di Alexis, di mia figlia, della mia famiglia e non so se tu ne farai parte oppure no, visto come il tuo atteggiamento.
Kate lo fissò per un attimo, la bocca aperta incapace di proferire parola, poi deglutì ed abbassò lo sguardo.
- Ok. - Una sillaba che uscì più come un roco lamento. Non disse altro. Rick la vide prendere la borsa con le mani tremanti, buttarci dentro il telefono e qualcos’altro e poi andare verso la porta.
- Dove stai andando? - Le chiese preoccupato.
- Ho solo bisogno di stare sola. Lontano dalla tua casa e dalla tua famiglia. Scusami. 
Rick si passò le mani tra i capelli e poi sul volto. Realizzò in quel momento come la sua frase aveva assunto tutt’altro significato alle orecchie di lei. La paura che Rick aveva, che fosse Kate a non voler far parte della loro famiglia, lei l’aveva recepita come se fosse lui a non volere che lei ne facesse parte. Scosse la testa si alzò e corse fuori ma l’unica cosa che potè vedere arrivato senza fiato sotto al portone era il taxi che scattava con il verde e la portava via.
Tornò al suo appartamento, recupero il cellulare e si affrettò a scriverle. Scriveva e cancellava, di continuo. Nessuna parola era giusta, nessuna frase sensata. Scriveva e cancellava. Le aveva scritto un messaggio lunghissimo dove le spiegava il loro fraintendimento e quali erano le sue vere intenzioni dietro quelle parole. Mentre lo stava rileggendo gli sembrò talmente stupido e patetico che cancellò anche quello. “Tu sei la mia famiglia, la famiglia che voglio”. Invio. 
Mentre seduto sul divano giocherellava con il telefono controllando l’orario ogni pochi istanti, finì quasi per scaricare la batteria per quante volte accendeva lo schermo e lo bloccava dopo aver controllato l’assenza di ogni tipo di risposta da parte di lei. Le aveva inviato subito dopo lo stesso messaggio su ogni sistema di messaggistica che lei usasse, nel caso per qualche strano motivo l’sms si fosse perso nei meandri delle linee telefoniche, almeno uno dei suoi tanti messaggi le sarebbe arrivato. Nessuno risultò mai letto o visualizzato da quello che le notifiche gli dicevano. 
Provò a chiamarla ma dopo due squilli rifiutò la sua chiamata. Provò ancora. Stesso risultato. Lanciò il telefono sul divano vicino. Era stato un idiota. 

Erano passate un paio d’ore, aveva riprovato a chiamarla e lei aveva di nuovo buttato giù. Gli sembrava surreale, ma almeno questo per Rick era un mezzo di contatto con lei. Non si sentivano, non si parlavano, ma interagivano. Lui chiamava lei attaccava, era un modo per sentirla vicina e mentre lo pensava si dava dell’idiota da solo. Pensò a quando si erano trovati nella situazione contraria, ma lei era stata molto meno insistente di lui nel chiamarlo: ripercorse con la memoria come quella sera poi era finita e come era cominciato tutto il resto della sua vita, la sua vita con lei.
Le scrisse un nuovo messaggio, preso dalla foga del momento e dei ricordi. “Vengo io a bussare alla tua porta questa volta, ovunque tu sia”. Lo inviò ed un attimo dopo si rese conto che per lei tutto questo non avrebbe avuto alcun senso. Avrebbe spaccato il telefono tra le mani se solo non sapeva che gli serviva nel caso lei lo contattasse, in qualche modo.

Martha rientrò in casa salutando con il suo solito buonumore non corrisposto minimamente dal figlio. Non impiegò che uno sguardo per capire l’origine dei suoi turbamenti, perché quella faccia la riservava solo quando accadeva qualcosa a due persone: sua moglie o sua figlia, e con Alexis aveva parlato al telefono poco prima.
- Dov’è Katherine? - Gli chiese Martha con tono accusatorio, ben sapendo che se era accaduto qualcosa, doveva per forza essere colpa del suo ragazzo.
- È uscita. - Rispose Rick controvoglia
- Immagino che non sia stata un’uscita di piacere con qualche sua amica, dico bene, Richard?
- Abbiamo avuto un diverbio grazie a te. - Doveva trovare un colpevole, la madre le sembrava quello perfetto.
- Grazie a me? Io le ho solo detto cose che immaginavo sapesse già, da te.
- E invece non era così, ok?
- Cosa le hai detto? - Martha aveva il classico tono della madre che sta per fare la predica al figlio. Predica che, nello specifico, pensava meritasse in modo particolare. 
- Che non sapevo se avrebbe fatto parte della mia famiglia - l’attrice gli lanciò un’occhiata truce - ma non nel senso che ha capito lei, ma non mi ha lasciato spiegare.
- Richard, quella frase non ha un senso diverso nella quale si può capire, e se lo ha ce l’ha solo nella tua contorta mente di scrittore! Santo cielo ma come ti è venuto in mente di dire una cosa del genere a quella ragazza in questo momento? Non sa più niente della sua vita, sei stato il suo unico punto fermo da quando ha scoperto di non sapere più niente di se stessa e tu che fai? Le dici che non sai se farà parte della tua famiglia? Alla madre di tua figlia, a tua moglie? Tu sei un pazzo Richard Castle e fatico a riconoscere mio figlio in quelle parole, ma più di ogni altra cosa, fatico a riconoscere il marito di Katherine! - Così dicendo Martha salì le scale e se ne andò al piano superiore e lui rimase ancora una volta solo senza poter rispondere o giustificarsi. Le parole di sua madre lo avevano messo letteralmente KO. Anche lui in effetti in tutta quella giornata faticava a riconoscersi come il marito di Kate.
Il bip di un messaggio lo destò dai suoi pensieri. Non era il mittente che sperava, ma sicuramente era per Kate.
È qui, sta bene, almeno fisicamente. Rimane a dormire da me, non ti preoccupare per lei. Jim
Avrebbe voluto prendere una pala, scavare una buca e sotterrarsi nel punto più profondo della terra. Ogni singola parola di Jim Beckett era carica di biasimo e rimprovero, le sentiva addosso. Non aveva scelto frasi casuali, lui non lo faceva mai. Era un avvocato, giocava con le parole bene tanto quanto uno scrittore, in fondo entrambi dovevano saper raccontare una storia credibile agli altri, solo che quando lo faceva lui c’era la vita delle persone ad andarci di mezzo, non qualche copia in più o in meno venduta.
Almeno fisicamente, era chiaro che gli voleva dire che stava a pezzi in tutti gli altri sensi.
Non ti preoccupare per lei, cioè hai già fatto abbastanza danni e non ti vuole vedere.
Provò a chiamarlo, voleva sapere di più, doveva sapere di più e scusarsi, almeno con lui. Lui doveva sentirle le sue scuse, lui gli aveva affidato la sua bambina, la sua cosa più preziosa e lei era tornata indietro da sola e a pezzi. Preferiva non pensa a cosa avrebbe fatto lui al suo posto, non certo mandare un messaggio come quello a chi era nella sua posizione, no, decisamente no.
Chiamare Jim fu come chiamare Kate. Chiamata rifiutata. Almeno però sapeva che stava bene. Pochi minuti dopo il suo cellulare squillò, era proprio Jim Beckett.
- Ciao Rick, Katie è andata a farsi una doccia, non voleva che ti avvisassi, ho dovuto aspettare che non era qui per parlarti.
- Certo, lo capisco, grazie. - Il tono di suo suocero era tranquillo, invidiava la sua calma o forse no, perché se in parte era una questione di carattere, sapeva da dove veniva, era la calma della rassegnazione, di chi sa che nella vita tutto quello che può accadere non può essere peggio di quello che ha già vissuto. Poteva scegliere di incazzarsi con il mondo, aveva scelto l’altra strada, dopo che era riuscito a risalire al punto più basso che un uomo può toccare nella vita, quando perde se stesso.
- So cosa è successo, me lo ha detto Katie.
- Mi dispiace Jim, veramente, io non volevo… non era mia intenzione… non era quello il senso della mia frase.
- Non è con me che ti devi scusare.
- Sì, Jim, anche con te. Come sta Kate?
- Rifugiata dietro il suo muro. 

   
 
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