Fanfic su artisti musicali > Bruce Springsteen
Segui la storia  |       
Autore: thebrightstarofthewest    25/07/2016    3 recensioni
Bloccata in soffitta per una sfortunata serie di eventi, Patti ripercorre, grazie a delle foto, la sua storia con Bruce. Nel bene e nel male, nell'amicizia e nell'amore, nei litigi e nelle riappacificazioni.
Sì, sono tornata a scrivere di questi due, alla fine. Impossibile resistere.
"In quella foto c’era lei. Di spalle, girata verso l’obbiettivo, sorrideva, appena imbarazzata… conosceva quello scatto. Non si trattava di uno qualsiasi. No, quel ritratto lo aveva fatto Bruce. Il suo petto fu come riempito da una strana sensazione, un nodo a cui non riusciva a dare un nome: che fossero i ricordi? Quasi si commosse, in quella polverosa penombra. Si concesse di lasciare che quelle lontane memorie fluissero…"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
1. Have a little faith in me
 
When the road gets dark
And you can no longer see
Just let my love throw a spark
And have a little faith in me

 


Casa Springsteen, New Jersey, 2015, ore 9:44
La luce flebile del giorno filtrò dalla porta con rinnovato fulgore e si posò sulla fotografia, facendola luccicare. Per qualche istante, Patti non riuscì neppure a distinguere i soggetti rappresentati. Strinse gli occhi, tentando nuovamente, e, piano piano, cominciò a scorgere una figura, dapprima sfuocata, poi più chiara. Beh, sì, chiara, ma fino ad un certo punto: nella foto era rappresentata una bottiglia di champagne straboccante, poggiata su un tavolino accanto a due bicchieri, il tutto a malapena illuminato. Cercò una data sul retro della polaroid, per tentare di comprendere perché quello scatto fosse stato posto lì, in mezzo ad altri apparentemente più “importanti”. Con un pennarello indelebile nero erano vergate con una calligrafia frettolosa e confusa le parole “giugno 1984”... E, all'improvviso, tutto le tornò alla memoria.

Long Branch, New Jersey, 1984, ore 2:24
Non appena Bruce l’aveva chiamata, con una certa urgenza nella voce, Patti non aveva potuto fare altro che saltare in auto, abbassare il freno a mano ed ingranare la prima con fin troppa foga.
Si trovava a letto, abbracciata senza ritegno alle coperte, quando il trillo fastidioso ed acuto del telefono l'aveva svegliata di soprassalto. Era scattata in piedi, la bocca impastata e gli occhi ancora annebbiati, pronta ad offendere l'autore della chiamata e, possibilmente, ogni suo parente, stretto e non. Nell'udire il tono basso e rauco di Bruce, però, si era fermata. Non aveva sue notizie da mesi, ormai, ed era proprio ansiosa di sapere perché diamine le avesse telefonato proprio in quel momento. Alle due di notte, tra l’altro.
Beh, in realtà non era proprio vero che non aveva avuto più sue notizie. Non aveva più parlato con lui personalmente, quello sì… In compenso, in quei mesi, la radio non aveva fatto che sparare a tutto volume il singolo del suo nuovo album. “Dancing in the Dark”, ovviamente. In un versione, ovviamente, in cui i suoi cori non apparivano. Si strinse nelle spalle, riflettendo tra sé e sé. Non si poteva proprio avere tutto dalla vita, no?
Sistemandosi distrattamente il ciuffo rosso, che proprio si rifiutava di stare in ordine, svoltò pigramente a destra. Sbadigliò, cercando di tenere aperti i grandi occhi verdi che, a quell’ora, avrebbero soltanto desiderato starsene chiusi e sognanti al buio della sua camera.
Per tenersi sveglia, tentò di immaginare quale potesse essere la ragione della telefonata di Bruce, ma, più ci rifletteva, meno comprendeva: sapeva per certo che a breve lui e la band sarebbero partiti per andare in tour, dunque, cosa mai poteva avere da dirle? Voleva darle un lacrimoso addio?
Si strinse nelle spalle, occhieggiando le varie strade che intersecavano con la via principale, per ricordare quale fosse quella dove abitava Bruce. Dopo aver imboccato per almeno tre volte quella sbagliata, scorse infine una villetta a schiera bianca, le cui luci all’interno erano ancora accese e vi posteggiò di fianco. Notando che sulla cassetta delle lettere il nome era stato grattato via dalla pioggia e dal tempo, alzò gli occhi al cielo e, chiudendo entrambe le mani a pugno, sperò con tutto il cuore che si trattasse della casa giusta. Non sarebbe stato esattamente carino citofonare ad un’abitazione a caso nel cuore della notte… soprattutto non con la faccia da morto vivente che si ritrovava. Non voleva avere nessuno sulla coscienza.
Chiusa l’auto, salì lentamente le scalette del porticato e suonò riluttante il campanello, deglutendo e spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Quando infine la porta si schiuse appena, lasciando intravedere un viso abbronzato dagli occhi scuri, incorniciato da una chioma di riccioli castani e decisamente scompigliati, Patti tirò un sospiro di sollievo.
“Sei arrivata”, constatò Bruce, spalancando infine l’uscio, e sorridendole nella penombra. La luce pallida e fredda della luna si posò dolcemente sui suoi lineamenti irregolari, facendolo apparire come il misterioso e dolce soggetto di un quadro romantico. Indossava una leggera camicia bianca, infilata nei pantaloni solo per metà, ed un paio di jeans scuciti in più punti. Con quel look da camionista, persino Patti, che si era infilata un maglione a caso, poteva passare per elegante.
“Direi”, ribatté lei, inarcando entrambe le sopracciglia, “E direi anche che mi devi un drink. Non ho più l’età per queste follie notturne”. Lui rise, portandosi una mano paffuta davanti alla bocca.
“Ehi! Guarda che in realtà sarei io il vecchio, tra noi due”, rispose, dandole un buffetto amichevole sulla spalla, “E poi non mi starai mica dicendo che già eri a dormire?”, concluse, squadrandola con aria falsamente accusatoria.
Patti sogghignò. “Beh, in realtà... penso che i miei capelli e le mie occhiaie rispondano alla tua domanda. Poco ci mancava che uscissi di casa con la coperta in mano ed il pigiama indosso”.
Bruce scosse il capo, divertito. “Beh, questo potrebbe anche essere un problema”, considerò, ironico, ma Patti non riuscì a comprendere il suo sarcasmo: un problema? Ma a che diamine stava facendo riferimento?
“Entri?”, le domandò infine, accompagnando le parole con un goffo gesto del capo. Probabilmente aveva notato il suo stupore.
“Ovvio che entro”, rispose prontamente, risvegliandosi dal proprio torpore, “Spero tu non mi abbia chiamata soltanto per chiacchierare sulla porta”.
Bruce scosse la testa, precedendola nell'ingresso della casa: non era particolarmente elegante o sfarzosa e, anzi, sembrava un luogo piuttosto trasandata. Le pareti erano spoglie, quasi rovinate, il pavimento ricoperto di fogli scarabocchiati o fittamente scritti. In un angolo, una pila di libri, dischi, riviste e giornali pendeva pericolosamente, dando quasi l'impressione di oscillare. In un gesto pressoché automatico, Patti la raddrizzò, osservandola con apprensione. Nel notare quel suo gesto, l'uomo si lasciò scappare una breve risatina.
“Forse avrei dovuto riordinare”, commentò sarcastico, “Non voglio che tu ti perda tra la polvere e le cianfrusaglie!”.
“Dato che non dormi potresti effettivamente sfruttare la notte per mettere a posto”, confermò lei, con altrettanto umorismo, “Ti credevo più pignolo”.
“Solo per quanto riguarda la musica”, ammise lui, stringendosi nelle ampie spalle, “Per il resto sono... un tantino sbadato, ecco”. Con un vago gesto della mano la invitò a sedersi su un piccolo e vecchio sofà accanto ad uno scalcagnato tavolino mangiucchiato dai topi e chissà cos'altro. Solo allora notò che, posata lì a lato, vi era una bottiglia di champagne di ottima qualità. Strabuzzò gli occhi, facendo un piccolo salto sulla sedia: chissà quanto diamine gli era costata!
“Non potresti spendere i tuoi soldi per prodotti per la pulizia della casa, invece che per alcolici di prima qualità?”, domandò maliziosa, ammiccando. Bruce le si mise seduto di fianco, passandosi più volte una mano tra i capelli perennemente disordinati e, da dietro al divanetto, estrasse due bicchieri, senza dire una parola. Patti non capiva, per cui si limitò a fissarlo mentre stappava la bottiglia, incurvando la bocca in un'espressione buffa.
Ovviamente, il tappo schizzò in aria come una pallottola ad una velocità incredibile. Ovviamente. Con un urletto non troppo maturo, la donna schivò prontamente di lato, tenendosi la testa con ambo le mani... Ma Bruce non fu altrettanto svelto. Il piccolo pezzo di sughero lo centrò in pieno volto con uno schiocco sonoro.
Non appena se ne accorse, Patti sussultò, preoccupata: ecco, ci mancava soltanto che Springsteen diventasse cieco in sua presenza. Si rialzò dalla sua posizione acquattata da cecchino e si avvicinò all'uomo, chiamandolo per nome: Bruce stava sdraiato sul divano, apparentemente immobile, le mani che gli coprivano il volto. Lei lo scosse, preoccupata. Nessuna reazione.
Inspirò, tentando di tranquillizzarsi... inutile. Cazzo, non si muoveva.
“Bruce!”, gridò, “Bruce!”, prendendolo per le braccia e cercando di risvegliarlo. Le tempie le pulsavano selvaggiamente, il cuore le era arrivato in gola... e poi lo sentì ridere. Mollò la presa: quell'idiota si stava letteralmente rotolando sul divano, tenendosi la pancia. Si stava divertendo di gusto, lo stronzo... Ma porca puttana.
Patti sentì il volto prendere fuoco. Non riuscì a pensare ad un'unica reazione logica. Con uno scatto automatico, lo prese per la collottola. Bruce strabuzzò gli occhi e fece per domandare qualcosa, ma non fece in tempo: uno schiaffo in pieno volto lo interruppe ancor prima prima di iniziare.
Non lo fare mai più”, sibilò Patti, furiosa. Forse avrebbe dovuto sentirsi in colpa, perché effettivamente lo aveva colpito con una certa forza, ma era troppo incazzata per farlo. Bruce la osservava, boccheggiante, con un'espressione genuinamente stupita, che ben presto si trasformò in un sorriso. Scosse il capo, mettendo in mostra l'impronta rossa di una mano sulla guancia, e riempì i due calici. Gliene porse uno ed innalzò l'altro, ammiccando: “A Patti Scialfa e la sua furia. Giuro sulla mia chitarra che non lo farò mai più... forse”, esclamò, facendole l'occhiolino, e scolò l'intero contenuto in un solo sorso. Sì, era proprio un coglione, rifletté lei, osservandolo.
“Non mi farai ubriacare”, lo ammonì, scherzosa, indicandolo con fare accusatorio.
“Peccato”, rispose lui, “Sarei curioso di vederti sbronza”. Allora Patti -dopo essersi premurata di fargli la linguaccia- bevve, ma piano, scoccando occhiate fintamente minacciose a quell'uomo così intelligente, eppure così infantile. Forse, però, impiegò fin troppo tempo a concludere quel bicchiere, perché nel frattempo qualcosa nello sguardo di Bruce parve farsi vago: fu forse un cambio di luce, una piccola ruga di espressione che gli si disegnò sulla fronte, un'ombra che si dipanò su quel suo viso così solare. Qualcosa che forse qualcun altro non avrebbe notato, ma non Patti. Lei lo vide subito. E subito comprese che qualcosa non andava.
Bilanciando pigramente il bicchiere già vuoto tra le dita, lui pareva quasi assente, come perso tra i propri pensieri. Lo sguardo basso sembrava non fissarsi su nulla di reale o tangibile, ma si perdeva nell'oscurità di chissà quale ricordo od elucubrazione. Avvolto ancora nella luce lunare, stavolta la sua figura aveva l'aspetto di un quadro di Munch, turbato nel profondo da un dolore senza nome, un isolamento senza speranza o una prigione senza via di fuga. Non fu volontariamente che Patti tese la sua mano sottile verso di lui, sfiorandogli il braccio. Fu un istinto, uno slancio. Una sconosciuta volontà di risvegliarlo, di riportare in superficie quel sorriso e quella luce negli occhi che già dopo pochi incontri aveva imparato a considerare come una piacevole e dolce costante.
Bruce alzò il mento, come se si fosse appena svegliato da un sogno così realistico da apparire vero e la guardò, piegando la bocca carnosa in quella che appariva solo l'ombra di un sorriso: c'era più tristezza, che gioia. Aggrottando le sopracciglia, Patti finì per abbassare lo sguardo. Quegli occhi la scrutavano troppo a fondo, soprattutto ora che erano velati di tristezza. La mettevano a nudo, ma non con malizia: era come se tutte le sue delusioni fossero lì, esposte, pronte per essere osservate, giudicate, analizzate. E non riusciva a sopportarlo.
Bruce prese un profondo respiro prima di iniziare a parlare. “Il giorno in cui abbiamo registrato insieme ti ho detto che mi piaceva parlare con te e ci siamo promessi che saremmo stati amici”, cominciò, riprendendo a far oscillare il calice vuoto, “Ogni parola che ho detto allora... Beh, io ci credevo davvero. Non mentivo, non quella volta, perlomeno. Sono talmente tanto abituato a cercare alibi per giustificarmi che finisco per dimenticarmi quale sia la verità, quali siano le cose in cui credo davvero... Però ero sincero, con te. Lo sono sempre stato”. Fece una pausa, con un sospiro. Patti sapeva che stava cercando il suo sguardo, alla ricerca di conferma. Bruce Springsteen aveva bisogno di conferme? Aveva bisogno di... essere ascoltato?
“Non ti posso giurare che lo sarò per sempre”, proseguì, “Cambio così velocemente che certe volte non me ne rendo neppure conto, eppure...”. Stavolta le prese il mento, senza malizia, ma con una certa dolce decisione. I suoi occhi marroni si fusero coi suoi, verdi, quasi lucidi.
“Eppure ho bisogno di un'amica”, continuò, senza quasi sbattere le palpebre, “E so di averla trovata in te... Sbaglio?”.
Dopo quello che era parso un tempo infinito, Patti tornò a dispiegare il volto bianco in un sorriso, gentile, quasi tenero. Annuì col capo, mordendosi il labbro inferiore.
“E suppongo di non essere un grande amico, però, dato che sono scomparso dalla circolazione per mesi”, concluse lui, dopo aver osservato distrattamente le labbra della donna. Era forse quello il punto? Si sentiva in colpa per non essersi fatto vivo? Ad essere sincera, Patti non aveva dato alla questione troppo peso: dopo aver registrato si erano visti qualche volta, avevano bevuto qualcosa insieme, certe volte si erano telefonati, ma poi, quando avevano perso un po' i contatti, lei l'aveva considerato come qualcosa di naturale. D'altronde, si trattava di Bruce Springsteen. Ciò significava impegni con la stampa, prove con la band, ore di solitudine per comporre, lunghe riunioni coi produttori e i manager per gestire il tour... Erano faccende ben più importanti della loro neonata complicità scaturita dal reciproco rispetto e la consapevolezza di avere molti interessi in comune. Forse era lei che l'aveva vissuta così, con leggerezza... Forse era perché si era abituata, col tempo e la sua malinconia, a perdere le persone, talvolta a lasciarle andare. E una parte di lei, forzatamente realista e cinica, si era sforzata di pensare che, in fondo, un uomo come Bruce era meglio perderlo subito, quando ancora lo conosceva superficialmente, che non più tardi: aveva visto la sua anima, sebbene da lontano, e sapeva quanto fosse magnetica. Proseguire con la loro amicizia sarebbe stata una corsa pericolosa... Emozionante, certo, ma abbondantemente più pericolosa.
“Anche io sono scomparsa”, disse semplicemente, “Non c'è niente da rimproverarsi. Siamo persone adulte ed impegnate. Soprattutto tu”. Fece ondeggiare la testa, accompagnando quelle parole, ed i suoi capelli rossi si illuminarono come rubini sotto la luce flebile della stanza.
Con suo grande stupore, Bruce si lasciò sfuggire una risata amara. “Impegnato, dici?”, domandò, sgranando i grandi occhi con fare ironico e arrendevole al tempo stesso, “Ti stupiresti nel prendere atto di quanto la mia vita sia piena di nulla”, concluse, beffardo.
Una coltre di silenzio serpeggiò per la casa, lasciandoli entrambi per qualche minuto ai loro pensieri... O, almeno, Bruce pareva star pensando; Patti, invece, si limitava a scrutare nel vuoto, ascoltando il proprio cuore battere ritmicamente. Le ricordava la cadenza di una canzone... Ma quale? Sicuramente di un brano triste, oscuro... Ma forse non lo aveva ancora scritto nessuno. Forse era solo nel suo petto, nella sua pelle, nella sua testa. Sì, forse toccava proprio a lei intessere quella misteriosa melodia in parole concrete e note struggenti.
Si riscosse non appena si rese conto che Bruce la stava chiamando, osservandola con una certa apprensione. “Stai bene?”, le domandò, “Ho detto qualcosa che...”.
Non gli lasciò tempo di finire la frase, zittendolo con un gesto della mano. Si rese quasi immediatamente conto di aver appena bruscamente interrotto uno dei musicisti più importanti degli Stati Uniti e del mondo, ma, sebbene arrossendo appena, decise di non darvi troppo peso. Era un'amica che cercava, giusto? E se davvero era sua amica, si sentiva in dovere di mettere in chiaro un paio di questioni... o forse anche qualcuna in più.
“Senti”, esordì, con un'autorevolezza che non aveva la più pallida idea di avere sino a quell'istante, “Io sono qui. E vorrei sottolineare questo fatto: sono le cazzo di tre di notte ed io sono qui, soltanto perché tu mi hai chiamato. Se quella telefonata fosse arrivata dalla Casa Bianca, dall'Area 51 o da chiunque altro, io non mi sarei staccata da quel letto neppure se alzata con una gru. Ma ho sentito la tua voce alla cornetta e sono corsa fin qui. Quindi, davvero, non capisco. Scusa, ma non ci arrivo: cosa è che vuoi?”.
Se il suo intento era quello di lasciarlo di sasso, poteva dirsi ben soddisfatta: durante quel breve monologo il volto di Bruce si era fatto sempre più confuso, ed adesso la fissava perplesso, con le sopracciglia corrugate e la bocca semiaperta. Sembrava quasi un bambino. Beh, in realtà non era proprio sicura di voler provocare quella reazione... ma perlomeno lo aveva risvegliato da quella sorta di apatia in cui pareva essere sprofondato fino a poco prima.
Inutile a dirsi, la scrosciante risata dell'uomo che giunse soltanto qualche istante più tardi la colse di sorpresa, come una secchiata d'acqua gelida: davvero, aveva cominciato a sghignazzare scompostamente e non sembrava avere alcuna intenzione di smetterla. Fendette l'aria con una mano, accompagnando il gesto con un'espressione ironica.
Così parlo Patti Scialfa”, commentò, inciampando nelle parole per l'eccessiva ilarità, “Tra questa uscita e lo schiaffo, ti prego, ricordami di non contrariarti ancora in futuro. Sapevo che tu fossi una donna con le palle, ma... cazzo! Stanotte ti sei davvero superata. Se fossi stato a conoscenza del tuo caratterino qualche anno fa, non ti avrei certo respinto dalla band due volte... Ho rischiato la vita e neppure lo sapevo!”.
Non la piantava davvero più di ridacchiare, sguaiato, e Patti non aveva la minima idea di come comportarsi: se dapprima, infatti, l'aveva rallegrata vedere la luce tornare nei suoi begli occhi scuri, adesso quel sarcasmo cominciava a metterla a disagio... Cosa voleva da lei? Ancora non aveva risposto. Percepì tutto il proprio corpo irrigidirsi, forse per lo scherno, la vergogna, e i suoi occhi si rabbuiarono. Ogni risata era come un pugno nello stomaco.
Nemmeno se ne accorse, quando si alzò in piedi: le venne spontaneo. Sentiva il bisogno di respirare, di percepire l'aria fresca sulla sua pelle... voleva stare lontana da lui. Al tempo stesso, però, voleva girarsi verso di lui, affondare la sua testa nella sua camicia, inspirare quel suo aroma dolce e forte di cannella, dopobarba e sudore. Ma no, si stava allontanando. I suoi piedi si muovevano automaticamente, passo dopo passo, dopo passo...
Lui la afferrò per il polso. Non con forza, anzi. C'era premura, in quel gesto.
Patti sentiva il pizzicore familiare delle lacrime che bussavano ad i suoi occhi e non voleva girarsi verso di lui... Se si fosse girata, lo avrebbe abbracciato.
“No, Patti, adesso ascoltami”, le intimò, ma la sua voce non suonava come un ordine, “Hai ragione. Ho esagerato. Te l'ho detto che sono una persona che cambia in fretta... non dovresti fidarti di me. Ma io voglio sapere di potermi fidare di te, dato che... No, andrò dritto al punto, sto divagando: ti voglio nella band”.
Per tutta risposta, la donna sgranò gli occhi, incredula... Lui voleva cosa?!? Si girò, trattenendosi dall'abbracciarlo. Ecco perché aveva fatto quella battuta sull'andare a dormire presto...
“E' da giorni che ci penso”, proseguì, tenendole ancora il polso, “Ho bisogno di una corista. Lo sai, no, che Steven è uscito dalla band?”. Patti annuì col capo, senza alzare lo sguardo. “Beh, lo abbiamo sostituito con Nils Lofgren, un chitarrista coi controcoglioni, ma che purtroppo non ha una particolare estensione vocale, quindi non abbiamo nessuno che faccia i cori... riesci ad immaginare una “Out in the Street” senza cori? Io no e nemmeno gli altri. E quindi ci ho riflettuto a lungo, a quale soluzione trovare... All'inizio non ti volevo coinvolgere. Mica per cattiveria, eh! Soltanto che credimi, non hai idea di come sia convivere con un nutrito contingente numero di uomini adulti e maledettamente viziati”.
Lei, abbozzando un sorriso, oscillò il capo. “In realtà sono stata con gli Asbury Jukes, quindi una mezza idea ce l'ho”. Bruce parve contento vederla fare quella mezza battuta.
“Un altro punto in tuo favore: sai già come farci da mamma!”, commentò lui, dandole una carezza affettuosa sulla guancia, che immediatamente arrossì al contatto, “Scherzi a parte, io so quanto vali. Ti ho sentita cantare, in studio e dal vivo: hai presenza scenica, tecnica, conosci le mie canzoni... Sei anche discretamente sexy!”. Il rossore non fece che crescere. “So che non avrei dovuto chiamarti nel cuore della notte, ma ho deciso solo adesso, e non volevo rimandare. Il tour inizia tra pochi giorni e io ti voglio nella band. Voglio che tu sia parte della nostra famiglia, voglio che tu sia mia amica. Questo volevo da te, questo ho tentato di dirti per tutta la serata: lo so che sono un coglione e già prevedo che ti farò incazzare di brutto e ti ferirò, forse. Ma io devo sapere che credi in me. Che sei mia amica. Che riesci ad avere un po' di fiducia, in me”. Con un profondo sospiro, Bruce interruppe quel flusso di parole, e le sue dita forti si spostarono dal polso della donna, andando a intrecciarsi con la mano di lei, in una stretta calorosa, sincera. Patti assaporò quel contatto, ne gustò ogni istante: perché tutto era così dannatamente più bello e poetico dopo una sana e furiosa litigata?
“Bruce”, sillabò, alzando lo sguardo: voleva specchiarsi nei suoi occhi. “Sono venuta qui alla due di notte passate per te. È una dimostrazione di fede sufficiente, oppure mi aspettano altre prove di iniziazione?”. Per l'ennesima volta, la risata cristallina di Bruce proruppe dalle sue grandi labbra, stavolta però scaldandole il cuore. L'uomo impugnò ancora una volta il proprio calice e lo riempì abbondantemente, per poi fare lo stesso con quello di Patti.
“No, dolcezza”, la schernì teneramente, “L'ultima prova sarà quella di partire in tour tra una settimana senza aver mai provato con la band”. Le fece una smorfia.
“Sei proprio un bastardo”, si limitò a rispondere lei, sorridendo, mentre brindavano a lei, alla band, al tour... Ma soprattutto, alla loro neonata amicizia.

Casa Springsteen, New Jersey, 2015, ore 9:50
E poi Bruce aveva scattato quella foto, badando bene di inquadrare soltanto la bottiglia di champagne: entrambi erano decisamente troppo sciatti ed ammaccati per essere immortalati in quel momento. Patti aveva finito col tornare a casa al sorgere del sole, se lo ricordava molto bene: era rimasta a parlare con Bruce tutta la notte, come non aveva mai fatto prima di allora, e come poi avrebbe fatto ripetutamente per i decenni a seguire. Aveva ascoltato la sua voce roca parlare della sua musica e della musica di Dylan, Elvis, gli Stones... Le aveva chiesto della sua famiglia, per poi aprire il proprio cuore riguardo alla propria: gli occhi gli si erano velati di tristezza, rabbia e rimpianto nel nominare suo padre, ma si erano anche riempiti di gioia ed ammirazione nel descrivere sua madre. Quella notte Patti aveva imparato che dietro ad ogni gesto di quello strano, mutevole uomo, si celava un mondo di emozioni, pensieri, ricordi. Un mondo in cui fare capolino era al contempo esaltante e pauroso... Eppure non si era tirata indietro. Lo aveva ascoltato, ogni singolo istante. E forse proprio quella sera, senza prenderne consapevolezza, si era innamorata di lui, di quel suo profilo irregolare, quel suo corpo sempre tirato, quelle sue mani ferme. Quel suo cuore immenso e complicato.
Era tornata a casa, dopo quel fiume di parole, ed aveva ascoltato ancora una volta il ritmo del suo cuore, che le aveva dettato una canzone: “Spanish Dancer”, uno dei suoi brani forse più riusciti, in cui parlava di un uomo misterioso, di cui non riusciva a fare a meno, a cui lanciava fiori e danzava attorno, come stregata. Al momento, non aveva ben capito perché aveva scritto quel testo, così romantico, così criptico... Ma adesso, adesso capiva. Cominciò a canticchiarla nella penombra calda della soffitta, mentre sollevava la terza foto.


Angolo dell'autrice:
Ragazze, grazie, grazie, grazie ed ancora grazie. Quando ho iniziato a scrivere questa fanfiction, pensavo che l'avremmo letta solo io e Sabrina (che ringrazio e a cui dedico ogni singola parola), ed invece mi avete stupito. Ogni recensione è stata una ragione per continuare.
Sperando di aggiornare presto,
Elisa xx

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bruce Springsteen / Vai alla pagina dell'autore: thebrightstarofthewest