Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: nikita82roma    26/07/2016    4 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La casa con l’esterno in mattoni rossi era come era sempre stata. Solo l’erba nel piccolo giardino davanti era più alto di quanto avrebbe dovuto essere. Sua madre non l’avrebbe mai permesso, ci avrebbe pensato da sola se nessuno dello stabile lo avesse fatto. I tre scalini alla fine del breve vialetto erano bianchi, come i corrimano ancora più bianchi, segno che erano stati riverniciati da poco.
Kate era salita su un taxi fermato al volo. Quando il tassista le aveva chiesto dove doveva portarla non aveva saputo cosa rispondere. Il primo istinto era stato quello di dargli l’indirizzo di casa sua, che però non era più sua e non aveva nessuna intenzione di farsi vedere da sua cugina quel giorno. Così disse l’indirizzo dell’unico altro posto che poteva chiamare casa.
Quando arrivò lì suonò più volte ma suo padre evidentemente non era a casa. Si sedette sugli scalini ad aspettarlo, passando il tempo a rifiutare le chiamare di Castle e ad evitare di leggere i suoi messaggi. Era ferita. Non lo voleva vedere, sentire, leggere. Niente. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere per lui questa volta.
In quel palazzo ci abitavano 4 famiglie, da che lei ricordava quando erano andati ad abitare lì erano sempre le stesse. Avevano tutte i figli piccoli all’epoca, erano tutti cresciuti giocando insieme, poi le circostanze della vita, come sempre portano uno qua uno là e le strade si separano, si perdono di vista i primi amici d’infanzia. Adesso loro erano tutti cresciuti, ognuno aveva preso la sua strada, ognuno diversa. Ricordava sempre con affetto, però, il calore discreto che quelle famiglie avevano riversato su lei e suo padre dopo la tragedia di sua madre, di come la signora Jones, più volte l’aveva chiamata la sera preoccupata per Jim quando non trovava mai il fondo delle sue bottiglie abbastanza profondo per nasconderci il dolore. E Kate partiva ovunque si trovasse, appena poteva per raggiungere il padre e condividere il dolore ed ogni volta per lei era solo aggiungerne altro su quello già esistente che non l’avrebbe mai lasciata. Ma non poteva abbandonarlo e non lo aveva fatto. Era la cosa della quale era stata più orgogliosa. 
La signora Jones rincasò proprio mentre lei era lì fuori e la invitò più volte ad entrare e ad attendere dentro da lei suo padre, Kate rifiutò sempre molto educatamente e con estremo imbarazzo accettò gli auguri per la sua gravidanza che ormai era chiaramente visibile ma non aveva nessuna intenzione di nasconderla più in nessun modo. 

- Katie! Cosa ci fai qui?
- Avevo bisogno di staccare un po'. - Non aveva voglia di fingere che andasse tutto bene
- Potevi chiamarmi, ero allo studio solamente a leggere delle carte sarei venuto prima! Da quanto sei qui?
- Un po'…

Entrarono nel portone e la porta della loro casa era quella sulla sinistra. La targa fuori “Fam. Beckett” era sempre quella in ceramica che aveva fatto fare Johanna ad una fiera tanti anni prima. Lei era sempre lì, con loro, in ogni cosa. Anche dentro a Kate sembrava tutto come lo era sempre stato e si aspettava in ogni momento di vedere sua madre uscire dalla cucina o scendere le scale che conducevano alle loro camere e venire a salutarla. Ogni volta che entrava lì aveva sempre la stessa sensazione e faceva sempre male allo stesso modo. Si chiedeva come suo padre riuscisse a stare lì, molte volte gli aveva consigliato di trasferirsi altrove, in una casa anche più piccola, adatta a lui, più vicina al suo studio, ma non ne aveva mai voluto sentire parlare.
Si sedette su quella poltrona che era solita occupare, come se in quella casa ci fossero sempre delle posizioni ben stabilite che ancora rispettavano. E così la poltrona in fondo era la sua e nel divano il posto alla sua destra era quello di Johanna e quello più lontano di Jim. E proprio lì si sedette, dopo che aveva portato a Kate un bicchiere d’acqua, lasciando quel posto tra loro vuoto, un’assenza che aveva tutto il sapore di una presenza ancora molto forte tra loro e mai del tutto metabolizzata. 
- Cosa è successo Katie? 
La domanda di Jim aprì le dighe emotive di Kate che si lasciò andare ad una ricostruzione più o meno fedele di quanto accaduto in quella giornata dalla chiacchierata con Martha all’ultima frase di Rick. Suo padre sapeva bene come lei odiasse le frasi di circostanza ed il pietismo.
- Alexis ti vuole bene Kate e per Rick sei parte della sua famiglia anche da prima.
Non la fece replicare, sapeva che avrebbe cominciato con i “ma” e i “però”. Non ne aveva bisogno adesso, quello che invece necessitava era mangiare qualcosa visto che dalla mattina non aveva più toccato cibo. La invitò ad andarsi a fare una doccia e la chiamò quando era pronto. Non si aspettava la visita della figlia e nella sua dispensa da uomo solo che spesso mangiava fuori casa non c’erano poi molte cose. Aveva una zuppa di pollo preparata il giorno prima e mise nel microonde un pasticcio di patate e salsiccia, certo non l’ideale per la dieta di una donna incinta ma almeno era qualcosa di sostanzioso. Apparecchiò la tavola semplicemente, cercando una seconda tovaglietta per lei, erano anni che non mangiavano insieme in quella casa, avevano sempre evitato, per non dover convivere con l’unico posto vuoto, e Jim non era solito ricevere visite, mangiava sempre solo quando era a casa ed i suoi servizi di piatti e posate potevano ridursi anche a “per uno”. 
Mise sul tavolo quanto preparato e poi la chiamò. Kate entrò titubante in quella stanza, ricordandosi proprio perché erano anni che non mangiava lì con suo padre e preferivano sempre incontrarsi in qualche ristorante o da lei. Quella tavola apparecchiata per due era una cosa che non era mai pronta a vedere e posò lo sguardo a lungo sulla sedia che sarebbe rimasta vuota.
- Devi mangiare Katie. - Jim prevenne ogni sua obiezione per evitare la cena. Consumarono il pasto in silenzio, con l’unico rumore delle posate che tintinnavano sui piatti. 
Quando finirono di mangiare, Jim si alzò per sparecchiare, accarezzò la nuca di Kate in un gesto affettuoso di quelli che lui raramente concedeva, era sempre lei la più espansiva tra i due, e piegandosi in avanti per prendere il suo piatto le sussurrò. 
- Questa sera siamo in tre, non devi essere triste. Non devi vivere solo e sempre nel passato Kate facendoti del mare, pensa al tuo futuro, pensa a lei.
Rimase qualche istante a metabolizzare le parole di suo padre, poi andò nella sua vecchia camera. Si sentiva stanca, provata più a livello mentale che fisico. Non doveva stare così, sapeva che non faceva bene né a lei né alla sua bambina. A lei, come l’aveva chiamata suo padre, senza usare altri sostantivi che sarebbero stati eccessivamente difficili da essere pronunciati da lui in quel momento. Doveva pensare a lei, solo a lei, ma era così difficile perchè pensare a lei voleva dire pensare subito a suo padre, a Castle.
La sua camera era rimasta uguale. Gli stessi pupazzi sulle mensole ad intervallare pile di libri, le stesse foto tenute con delle puntine sul muro, tanti volti di amici che non sapeva più che fine avessero fatto, che guardava con nostalgia per la spensieratezza di quegli anni, gli anni del prima quel nove gennaio. Aprì i cassetti della scrivania e trovò ancora lì i fogli con i suoi appunti, riconoscendo la sua scrittura più adolescenziale e più tondeggiante, più morbida, anche quella non ancora indurita dalla vita. “Mi piace la tua calligrafia Beckett” l’immagine di Castle davanti alla sua lavagna, al distretto, che esaminava quanto aveva scritto si palesò nella sua mente strappandole un sorriso. Chiuse il cassetto senza voler leggere i suoi ricordi. Cercò nell’armadio una maglietta abbastanza grande per poterci dormire comoda. Ne trovò una un po' deforme di quelle che andavano di moda nei primi anni 90. Quando la indossò il suo profumo l’aveva destabilizzata: sapeva di fresco, di deodorante lavanda, non aveva il profumo intenso e confortevole di Castle.
Anche il letto ora le sembrava terribilmente piccolo e scomodo e la stanza troppo calda rispetto all’ambiente condizionato del loft che solo ora apprezzava particolarmente. Non aveva mai sofferto il caldo, ma con la gravidanza era diventata insofferente. Si girò e rigirò più volte. Afferrò infine il suo elefante di peluche, quello che le aveva regalato sua madre, morbido con le orecchie enormi. Era sempre stato il suo preferito e cercò lì un po' di conforto.

Aveva dormito tanto quella notte, non bene. Non si sentiva riposata, lo capì appena si rese conto di essere sveglia, ma aveva dormito tanto. Ci mise qualche istante per realizzare dove fosse, a riconoscere quegli odori non più familiari. Poi quando Kate aprì gli occhi, sobbalzò nel vederlo seduto alla sedia della sua scrivania, quella sedia che sembrava così piccola per lui. 
- Da quanto sei qui? - In realtà non gli interessava saperlo e che a lui piacesse guardarla dormire era una delle prime cose che aveva imparato a conoscere di lui. Solo non sapeva cosa dirgli, avrebbe anche potuto non dirgli nulla, non si sentiva ancora pronta a parlare con lui, ad affrontare qualsiasi tipo di conversazione.
- Non dà abbastanza quanto avrei voluto.
Eppure Castle era lì da molto. Era arrivato molto presto, quando Jim l’aveva chiamato dicendogli di sarebbe dovuto essere presto da un cliente importante di passaggio a New York solo per poche ore e lui capì subito il senso di quella telefonata: voleva dargli tempo per stare con lei o forse solo non voleva che Kate rimanesse sola. Era entrato in punta di piedi in quella stanza sconosciuta, pregando di non inciampare o essere goffo come suo solito svegliandola. Non fu così, dormiva profondamente, anche se era un sonno agitato; le faceva tenerezza vederla dormire con quell’elefantino vicino, pensava ad Alexis bambina e provò ad immaginarsi la bambina Kate. Si violentò tenendo a bada la sua curiosità di mettere il naso tra le sue cose e si concentrò solo su lei, per tutto il tempo. Adesso che i suoi occhi lo squadravano con occhiate taglienti, lui la guardava immobile tentando di far sembrare la sua figura più piccola e meno ingombrante di quanto fosse in realtà e di quanto sembrasse in quella cameretta adolescenziale. 
- Cosa ci fai qui? Avevo detto a mio padre che non ti doveva avvisare. 
- Fare di testa propria e non ascoltare evidentemente è un tratto ereditario nella tua famiglia. Spero che nostra figlia…
- Non credere che tu sia molto diverso. - Lo fermò subito Kate che non aveva molta voglia di scherzare.
- Perché sei rimasta qui ieri sera? Non sei tornata a casa… - Era, quella di Rick, una domanda carica di tristezza e di paura.
- Cercavo un posto da considerare famiglia. - Rick pensò che se gli avesse sparato gli avrebbe fatto meno male e non lo diceva tanto per dire, aveva termine di paragone. Si alzò di scatto come se una molla lo avesse spinto via dalla sedia e si avvicinò al suo letto oscurandola letteralmente con le sua mole.
- Io sono la tua famiglia, Kate. Noi lo siamo. 
- Ieri non ne eri così sicuro. - Non si lasciò intimidire dalla sua presenza. Rimase seduta sul letto, aggiustandosi meglio il cuscino dietro la schiena con molta nonchalance. 
- Al diavolo Kate! - Castle si allontanò tornando verso la scrivania, camminando nervosamente avanti e indietro - Non mi hai lasciato nemmeno spiegare! Io non so se tu sarai la mia famiglia perché non so se è questo quello che tu vuoi! Solo per questo, perchè non so cosa ti passa per la testa. Per me lo sei da sempre e lo sarai per sempre. 
- È colpa mia quindi? Vuoi dire questo?
- No! Perché devi sempre travisare quello che dico? Ti chiedo scusa, ok? Mi sono spiegato male, ho detto una cosa che poteva sembrare crudele e non volevo. E ti chiedo scusa anche per Alexis, avrei dovuto dirti quali erano i suoi dubbi. Mi dispiace Kate. - Allargò le braccia in segno di resa, per poi farle ricadere pesantemente lungo i fianchi. Lei non gli rispose e nemmeno lo guardò.
- Tuo padre tornerà per pranzo, è con un cliente importante. Ti ho portato i muffin ed un caffellatte. Io devo andare. Domani parto e devo passare alla Black Pawn a sistemare delle cose. - Non era vero, avrebbe potuto non andarci affatto o farlo più tardi. Ma lì non aveva più niente da dire o da fare. Lo aveva capito dalla postura rimasta rigida di Kate, dal non guardarlo, dalle braccia incrociate saldamente sul petto, dalla voce decisa, senza alcuna esitazione. Beckett era dietro il suo muro, come aveva detto Jim e aveva imparato che in questi casi qualunque cosa avesse fatto per forzarla con la sua presenza sarebbe stata inutile o peggio, dannosa. 
Castle uscì dalla sua camera, lo sentì scendere pesantemente le scale per arrivare al piano inferiore e poi chiudere la porta di casa. Era convinta, stupidamente convinta che sarebbe stato più insistente, che avrebbe fatto di tutto per rimanere, che magari le avrebbe detto che andava via ed invece sarebbe rimasto ad aspettarla sul divano. Sarebbe stato da lui, pensava. Al loft i primi tempi aveva passato notti intere sul divano per non stare da solo in un’altra stanza e si ritrovò a pensare e chiedersi dove quella notte avesse dormito
Guardò l’ora, era prima di quanto pensasse, ma la sera precedente era andata veramente a letto presto. Trovò i pantaloncini di una vecchia tuta, le stavano naturalmente stretti, ma erano allentati dall’età e quasi benedì in quel momento che quando era un’adolescente indossasse una taglia in più, altrimenti di sicuro ora non le sarebbero nemmeno entrati.
Al piano inferiore trovò effettivamente quanto detto da Castle. Prese un muffin ed il caffellatte e si sedette sulla poltrona. Accese la tv, solo per avere qualcuno che chiacchierasse di sottofondo per distrarla. Tentativo vano, anzi sentire quell’inutile parlare di sottofondo le dava quasi fastidio. Prese il telefono, non lo guardava dal giorno prima. Vide tutti i messaggi che Rick le aveva mandato, contò tutte le telefonate che gli aveva rifiutato. Trovò altri messaggi, tra i quali uno di Lanie che gli chiedeva quando sarebbero andate a pranzo insieme. Le chiese se era libera il giorno seguente e la risposta arrivò dopo pochi istanti, dandole appuntamento al loro solito posto il giorno dopo. La prima cosa che l’aveva resa felice quella mattina, dopo il muffin.

Castle non era andato alla Black Pawn. Aveva fatto un giro per il quartiere, comprato alcune cose che gli sarebbero servite, altre del tutto inutili che si era ritrovato in mano alla cassa di qualche negozio che non sapeva nemmeno perché c’era entrato. Si chiedeva cosa ne avrebbe fatto di quella lampada da viaggio da 39 dollari, tra le altre cose che aveva preso.  Era entrato in quel negozio attratto da un oggetto in vetrina, un proiettore di stelle che al buio avrebbe riempito il soffitto della stanza di costellazioni che si muovevano, piano piano. Si immaginava già su una poltrona con la sua bambina in braccio a raccontarle storie mentre lei guardava il cielo sopra di loro incantata. Voleva regalarle la gioia di meravigliarsi, prima di ogni altra cosa. Quella era stata solo una delle cose che aveva comprato, lampada da viaggio inutile inclusa.
Era al loft intento a preparare la sua valigia. Scelse con cura i completi da portare, le camice, le cravatte che probabilmente non avrebbe mai messo, ma era meglio portarle, una abbinata ad ogni vestito. Si rese conto solo quando li vide tutti in fila che aveva scelto i preferiti di Kate, quelli che gli aveva sempre detto che gli stavano meglio. Scelse poi velocemente dei jeans e delle tshirt e mise tutto dentro la valigia, lasciando i vestiti fuori nei porta abiti. Un tempo trovava molto divertenti questi viaggi di lavoro, con le feste e i dopocena che si presentavano ogni volta. Ora invece li vedeva solo come la parte peggiore del suo lavoro, che qualcuno avrebbe faticato a chiamarlo tale.
Andò in bagno per preparare la sua trousse da viaggio e si fermò a guardarsi allo specchio. Aveva un aspetto orribile, doveva far ricorso a tutta l’arte recitativa che aveva ereditato dai geni di sua madre per risultare credibile nei giorni successivi, avrebbe dovuto cucirsi in faccia il suo miglior sorriso, e ringraziare e salutare tutti quelli che avrebbe incontrato, posare per le foto con i fan, firmato ogni copia del suo libro che gli avrebbero messo davanti. Lo aveva sempre fatto, anche in situazioni in cui il suo umore era pessimo, ce l’avrebbe fatta ancora.
Gli arrivò un messaggio da Andrew. Sarebbero passati a prenderlo domattina alle otto in punto. Appoggiò la valigia in fondo al letto e mise via, nella cabina armadio dentro una grande valigia, quanto aveva comprato prima, insieme a tutte le altre cose che aveva preso nelle settimane precedenti e che lasciava lì nascoste, sapendo che Kate non voleva che comprassero troppe cose già adesso, ma lui non poteva resistere sempre alla tentazione di farlo. Pensava che poi, una volta deciso dove sarebbe stata la sua camera e sistemata, tutte quelle cose sarebbero passate inosservate anche allo sguardo attento di Kate, confidando che sarebbe stata occupata di più a pensare alla bambina che a quello che lui metteva intorno.

Sentì aprire la porta del loft. Controllò l’orario sulla sveglia sul comodino. Era da poco passata l’ora di pranzo. Troppo presto perché fosse sua madre. Si affacciò fuori dalla porta di camera appena in tempo per vedere Alexis che saliva al piano superiore. 
- Ehy Al! - La ragazza si voltò 
- Ciao papà… Beckett?
- È da suo padre. - Disse rassegnato. La ragazza tornò indietro scendendo piano gli scalini e si avvicinò a lui. Si lasciò abbracciare, sapeva che lui aveva bisogno di farlo. 
- Ehy papà, ogni tanto anche noi figlie più grandi abbiamo bisogno dell’abbraccio del nostro papà, anche per Kate è così.  - Provava a tirarlo su di morale. La sera prima avevano parlato un po’, ma era stato abbastanza evasivo sui reali motivi della loro discussione ed aveva pregato Martha, prima che la figlia rientrasse, di evitare di parlare ancora a sproposito.
- Sì, pumpkin, sarà così anche per lei. - Castle le massaggiava la schiena come quando era piccola ed aveva bisogno di conforto, anche se adesso era lui ad avere la necessità di essere confortato. 
- Al… - disse staccandosi da lei e guardandola negli occhi - riguardo al discorso dell’altro giorno… tu sei sicura che per te è tutto ok? Dico di Kate e della bambina… 
- Sì papà te l’ho detto! Sono felice per voi! Mi devo solo abituare all’idea. Perché me lo chiedi?
- Ieri Kate e tua nonna ti hanno visto infastidita quando Beckett ha fatto quella battuta sulle mie due figlie che avevano fame. - Castle era molto serio adesso, tacere portava solo altri problemi, aveva deciso che era meglio parlargliene. Alexis, invece, si sentì a disagio e si vergognò. Abbassò lo sguardo dagli occhi del padre.
- Beh sì, forse un po'… Mi ha fatto uno strano effetto… Mi dispiace…
- No, non ti devi scusare piccola! - l’abbracciò di nuovo
- Non avrete mica discusso per questo con Kate? - disse contro il suo petto, ma Castle non fece in tempo a rispondere che sentì nuovamente il rumore della serratura che si apriva ed alzò lo sguardo da sua figlia alla porta. Beckett entrò timidamente e si sentì subito di troppo nel vedere Rick e Alexis abbracciati. Lui avrebbe voluto correrle incontro, ma non poteva lasciare così sua figlia e quando lei si voltò e vide la donna, fu lei a sciogliere l’abbraccio del padre lasciandolo libero di andare da lei.
Alexis salutò Beckett con un sorriso sincero prima di salire in camera sua e andare e lasciare la coppia nella solitudine di cui avevano bisogno.
- Se mi chiamavi ti venivo a prendere. - Le disse Rick non sapendo bene cosa dire, quindi pronunciò la prima frase senza senso che gli passò per la testa.
- Ho preso un taxi non ti preoccupare. - passò oltre andando verso la loro camera per cambiarsi. Aveva un terribile bisogno di qualcosa di comodo e largo.
Rick la seguì, la osservò spogliarsi e senza alcuna malizia desiderava solo abbracciarla e baciare la sua pelle morbida. Dopo aver indossato un’ampia maglia che le lasciava quasi del tutto scoperta una spalla e degli shorts gli passò davanti senza dirgli nulla e andò verso il divano.
Le diede qualche minuto, poi la raggiunse. La trovò stranamente a smanettare con il suo smartphone, cosa che di solito lei non faceva mai. La osservava in silenzio. Era tesa, più di quella mattina dove sembrava solo arrabbiata. Ora no, era tesa e preoccupata.
- È successo qualcosa? - le chiese non nascondendo anche lui ora una certa agitazione.
- Sono 21 settimane. - disse lei guardando il cellulare senza che Rick capisse
- Cosa? - chiese ingenuamente
- Sono incinta di 21 settimane secondo questo coso. - Disse agitando lo smartphone
- Ok, quindi? - Non capiva quale fosse il problema.
- Lo sto leggendo da questa mattina. Questa app e altri siti. Non l’ho ancora sentita. Dicono che in questo periodo è normale sentirli.
- Da quando ti fai questi problemi Kate? Il dottore all'ultima visita ha detto che andava tutto bene?
- Da questa mattina, quando l'ho letto e ci ho pensato.
- Vuoi andare dal dottor Yedlin? Lo chiamo subito. Lui o qualcun altro ti visiterà. - Kate scosse la testa.
- Non voglio passare per quella ansiosa che si fa problemi leggendo notizie su internet - Era esattamente quello che era in quel momento però. Ansiosa e piena di problemi.
- Andiamo in camera. - Le disse Rick alzandosi di scatto dal divano e porgendole la mano
- Perché? 
- Andiamo, fidati.
Prese la sua mano e si lasciò condurre in camera.
- Sdraiati, chiudi gli occhi e non li aprire. - Kate lo guardò perplessa mentre lui andava nella cabina armadio - Fidati di me. Sono sicuro che ti piacerà.
Kate un po’ riluttante fece quanto detto da Rick. Lo sentiva armeggiare con qualcosa.
- Per quanto devo stare così?
- Ancora un po’. - Le si avvicinò e la baciò dolcemente sulle labbra. - Rimani con gli occhi chiusi, sarà più bello…
Castle con le labbra scese a baciarle il collo, mentre alzava la sua maglietta. 
- Rick per favore, non mi sembra il caso adesso… - Aprì gli occhi ma Rick con un gesto delicato passò la mano sul suo viso, chiedendole ancora una volta di fidarsi di lui e di rimanere con gli occhi chiusi. 
- Aspetta ancora un po’… Non è quello che sembra… - Kate era confusa, ma le piacevano le attenzioni di lui che le accarezzava il ventre, la rilassavano e nonostante tutto, anche se era ancora arrabbiata e delusa, le sue mani sul suo corpo le davano sempre delle vibrazioni alle quali non riusciva a resistere. Poi sentì una sensazione di freddo sulla sua pancia che la fece irrigidire, lui continuava a massaggiarle delicatamente il ventre, chiedendole di rilassarsi, e poi la mano morbida di Rick fu sostituita da qualcosa di diverso che lui spostava lentamente sul corpo di lei. Cercava di capire cosa fosse, ma poi non ci fu più bisogno. Il silenzio della loro camera fu riempito dal rumore veloce di un battito. Ora sì, Kate aprì gli occhi stupita, cercando quelli di Rick che in silenzio le faceva cenno di sì con la testa. Castle spostò di l’apparecchio più sul suo fianco ed ora oltre al battito potevano sentire anche altri rumori, tutti quei movimenti ancora per Kate impercettibili, ma che la loro bambina stava già facendo. Beckett allungò una mano cercando quella libera di Rick che la prese e la tenne stretta. Chiuse di nuovo gli occhi, rimanendo solo ad ascoltare quel rumore ipnotico. Stette così per alcuni minuti, poi quando incontrò nuovamente lo sguardo di Rick lui spense l’apparecchio e la stanza tornò nel silenzio assoluto che per alcuni istanti nemmeno loro vollero rompere. Kate portò la sua mano lì dove sentiva i rumori di sua figlia muoversi e la tenne ferma in quel punto, come se volesse farle sentire ancora di più la sua presenza.
- Grazie. È il regalo più bello che abbia mai ricevuto.
- Se questi giorni ti sentirai sola, potrai sentire lei tutte le volte che vorrai. 




Domani sera 27 luglio in occasione della messa in onda dell'ultima puntata di Castle, su Twitter vorremmo ricordarlo con #ArrivederciCastle dalle 21:50! Partecipate numerosi!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: nikita82roma