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Autore: ten12    03/08/2016    2 recensioni
Curare qualsiasi malattia con un infusione. Ciò è possibile a Yharnam, la città dei Grandi Antichi e del sangue curativo, e stranieri da ogni dove giungono alla città dalle lunghe guglie portando con loro i propri demoni. Perciò sappi questo: a nessuno, a Yharnam, interessano gli orrori che hai commesso tu o quelli di qualunque altro viandante. Forse può sembrarti un bene fintantochè non arrivi durante una notte di caccia.
Genere: Dark, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La caduta di Yharnam'
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La luce del mattino passò attraverso le palpebre di Gaenoph svegliandolo. Apri gli occhi e per qualche secondo la vista fu sfuocata. Sbattè le palpebre cercando di focalizzare ciò che aveva davanti. Non funzionò. Si stropicciò gli occhi con la mano destra e li sbattè di nuovo, più volte. Nel distendere di nuovo il braccio sul fianco passò la mano sul naso e tastò un qualcosa di rigido, probabilmente un tutore, che teneva ferma la cavità nasale. Percepì con la mano sinistra delle lenzuola  grezze sotto di se. Era su di un letto. Si alzò a sedere velocemente senza ricordarsi delle costole rotte che si fecero subito sentire, ma in modo estremamente blando. L’orecchio sinistro iniziò a fischiargli e si tappò. Ebbe l’impulso di togliersi la fasciatura al naso ed avvicinò la mano sinistra per farlo. Un leggero dolore, accompagnato da una serie di sonori schiocchi delle articolazioni, lo bloccò. Guardò la mano. La fasciatura era improvvisata con garza pulita e stecchetti di legno per tenere ogni dito ben disteso. I ricordi riaffiorarono e lui sì agitò per scendere giù dal letto e capire dove fosse e dove trovare Finch. Si alzò in piedi e barcollò per qualche secondo. La stanza era spoglia ed illuminata da un lucernario poco distante dal letto. Il giaciglio su cui aveva dormito era un materasso foderato con della paglia secca posizionato a metà tra l’entrata e la finestra ed attaccato alla parete sinistra. La stanza era rettangolare con il pavimento, in pietra a spina di pesce, scheggiato in alcuni punti. Sul lato destro della stanza un cassettone medievale, in legno, impolverato e tarlato era l’unico pezzo di mobilio. Gaenoph aveva ancora i vestiti da cacciatore addosso e la manica destra rimboccata verso l’alto con il polso scoperto che mostrava molteplici segni di iniezioni.  Tirò giù la manica e cercò la sua mannaia. Era sulla destra del cassettone. Afferrò il manico dell’arma e si diresse verso la porta. Apri uno spiraglio, cercando di vedere l’ambiente dall’altra parte. Scale. Aprì la porta con circospezione e scese velocemente ed in silenzio i gradini in legno, graffiati da innumerevoli stivali. Raggiunse il piano inferiore alla soffitta in cui aveva dormito.  Si fermo davanti all’entrata della nuova stanza. La porta era in legno con del vetro colorato che le scale con raggi blu. La spinse leggermente, testando i cardini ed il rumore che facevano. Sbirciò l’interno della stanza.

Un paio di poltrone di cui vedeva lo schienale, coperte con delle lenzuola contro lo sporco, erano rivolte verso una finestra da cui passava una luce mattutina. I raggi ferirono leggermente gli occhi di Gaenoph  facendoglieli socchiudere. Cercò di capire se poteva vedere altro della stanza senza esporsi. Inutile. Spinse la porta per entrare, sperando non cigolasse troppo. L’appartamento era deserto. Alla sua sinistra, dopo un paio di tavolini impolverati per ciascuna parete e la porta di ingresso, c’era un piano cucina in pietra con coltelli e qualche piatto sporco. Alla sua destra, oltre un muro divisorio ed una porta in legno laccata, un letto a due piazze disfatto era illuminato dai raggi di una seconda finestra che Gaenoph non vedeva. Il cacciatore si avvicinò alla finestra davanti a lui. Yharnam, con le sue guglie, le sue viuzze, l’architettura gotica leggermente decadente e contorta era baciata da un sano sole giallo che si stagliava alla destra di Gaenoph. L’uomo rimase a guardare la città, con un sorriso sulle labbra. In quanto figlio di una ricca famiglia borghese aveva visto poco la città del sangue curativo durante la sua infanzia ed adolescenza. Yharnam ed i suoi cittadini erano ciò che permetteva a lui ed ai suoi genitori di vivere in campagna mangiando e dormendo in tranquillità, e a lui andava bene così durante quella fase della sua vita. Gli yharnamiti odiavano i nobili ed i ricchi con i loro modi pomposi e le loro tradizioni sul sangue e la dittatoriale chiesa della cura aveva sempre incitato quest’odio vista la guerra sotterranea che infuriava con Cainhurst. Dal canto loro i pochi aristocratici ed imprenditori che avevano ancora contatti con la città erano più che felici di non dover vivere tra gli ignoranti e le strette e malsane viuzze sotto il giogo della chiesa. Una cosa che stonava in quel quadro era il fatto che il padre di Gaenoph, Erebrus, fosse di tutt’altro registro. Il padre aveva più volte elogiato, difronte ad amici ed alleati durante le serate mondane, la “bellezza viscerale e gutturale di Yharnam”. Gaenoph aveva sempre sofferto per questo motivo poiché, al di là delle prese in giro che Erebrus attirava su se stesso e sull’intera famiglia, il padre desiderava mandarlo a studiare in città. Il sognatore l’aveva detestato per quello fino a quando non era morto, ed a quel punto aveva disprezzato se stesso per essere stato tanto sciocco da non rimanere nemmeno in contatto con i genitori. Era già diventato un cacciatore a quel punto ed il padre era morto durante una delle prime notti di caccia. Aveva visceralmente sperato di andarsene da Yharnam, poi aveva visceralmente sperato che il padre non fosse morto. Era lì che aveva capito cosa intendeva suo padre Erebrus.Una feroce genuinità caratterizzava l'architettura della città ed i suoi abitanti. Diversamente da ricchi e nobili gli yahrnamiti non nascondevano la loro dipendenza dal sangue curativo ed ammettevano che la necessità di riceverne ancora era tutt'altro che salutare o elevato. Gaenoph capì in seguito che alcuni aristocratici avevano tentato di dire il contrario e da quello era nato tutto. Dopotutto, da quando in qua desiderare l'immortalitá è un desiderio così tanto umanizzabile. Guardò la città con dolcezza, inspirando l’aria fresca autunnale che passava attraverso la finestra.Diversamente dal padre apprezzava solo l'architettura disordinata della città che rendeva ogni angolo qualcosa di unico, facendo dell'insieme un essere vivo e con una personalità cupa, cinica ed antica. Quella era, ovviamente, una cosa che aveva imparato ad apprezzare solo dopo aver cacciato a lungo tra le mura di Yharnam.

 

“Non si è accorto di me” pensò Viggo. Chiuse la porte sperando che il cacciatore del sogno non lo sentisse. Fece attenzione a girare la chiave nella toppa in modo tale che la serratura non cozzasse con i fermi provocando rumore. Estrasse la chiave e mise in tasca il mazzo lentamente fissando Gaenoph preoccupato. Quello era un cacciatore del sogno. Questo in teoria significava solo che era indipendente dalla chiesa, ma se aveva un qualche contatto effettivo con il sogno voleva dire che una volta ucciso il suo corpo sarebbe svanito in una nuvola e Viggo avrebbe avuto un pugno di mosche in mano. Duecento pezzi d’oro per il cacciatore, vivo o morto, e la taglia era di oggi. Viggo però, in quanto neo-capitano della ronda di Yharnam, al massimo poteva farsi tirare una stivalata sulla faccia da quel sognatore senza riuscire nemmeno lontanamente ad avvicinarsi alla possibilità di tramortirlo e lo sapeva. Aveva ragione il padre di Viggo quando diceva “meglio una bestia in casa che un cacciatore. La prima alla peggio ti ammazza soltanto”. Lo sguardo gli cadde sulla fasciatura della mano sinistra. Una parte di Viggo si contorse disgustata. Era stato lui a portarlo lì per curarlo ed ora voleva venderlo alla chiesa. Non era solo quello il problema però. A quel punto Gaenoph era un fuggitivo e Viggo lo stava aiutando. Doveva chiedergli di andarsene prima che sua moglie Hilda potesse fa... La porta di casa si aprì ed Hilda entrò rumorosamente.

Gaenoph si voltò verso l'entrata. Una donna alta intorno al metro e sessanta, con i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo ed in sovrappeso lo guardava sorpresa. Alle spalle di quest'ultima c'era quello che Gaenoph suppose essere il marito, un uomo con baffi e capelli sale e pepe, occhi color nocciola ed un volto segnato dalle occhiaie, il quale aveva la faccia di un colpevole colto nel esecuzione di un crimine.

Il volto del cacciatore aveva tratti nobili. I capelli erano del colore dell'argilla cotta, tagliati corti, gli occhi di un intenso verde foglia, la pelle era quella di un cadavere. Era alto intorno al metro e novanta con una cicatrice a sinistra del mento appuntito che raggiungeva il labbro inferiore ed un portamento deciso e rigido. Un fisico muscoloso era nascosto sotto un lungo cappotto da cacciatore chiuso che copriva i pantaloni neri ed eleganti fino al ginocchio. Lo sguardo del sognatore era duro ed era puntato su Viggo. Il neo-capitano della ronda comprese che aveva fiutato qualcosa. "Spero abbia dormito bene!" Esclamò Hilda con giovialità. Gaenoph si sorprese, tentennò per un secondo e poi rispose, con un accenno di gentilezza nel tono "Si" rimase in confusione ancora per qualche attimo poi continuò "Si. Grazie per la preoccupazione" . "Mi fa piacere!" Rispose Hilda ancora più gioviale. "Le ho preso della marmellata di girasoli ed un po' di pane. È da tre giorni che non è con i piedi per terra." Aggiunse posando un sacchetto sul tavolo al centro della cucina ed avvicinandosi a lui con la mano aperta per una stretta ed un sorriso stampato in faccia dicendo “Hilda, piacere”.

Gaenoph guardò la mano. Rimase fermo per un secondo poi la strinse con una leggera indecisione iniziale rinvigorendola alla fine “Gaenoph” disse con un sorriso. Dopodiche  guardò il marito di Hilda. “Lui?” chiese il sognatore.

Viggo guardò la stretta di mano con terrore cercando di non perdere il controllo della sua faccia. Capì di aver fallito quando il cacciatore lo guardò con uno sguardo misto tra la curiosità e la sfiducia e chiese “Lui?”.  Hilda lo guardò con tenerezza. Sapeva che pensava. Viggo “il burbero insicuro” era di nuovo bloccato dalla sua incapacità di accettare estranei in casa. Era una storiella che sua moglie si era costruita tempo fa… forse. “È un marito un po’ farlocco trovato in strada. Comunque sta tranquillo quando il suo cervello ingrana migliora” disse ridacchiando alla fine. Gaenoph continuò a guardare Viggo ed abbozzò un sorriso. “Ci credo” disse alla fine.

   
 
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