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Autore: endif    25/04/2009    7 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.



CAP. 16
FINALMENTE UN PO’ DI PACE

JASPER

Ero seduto con grazia sul divano bianco di casa nostra a Forks, a tenere compagnia al padre di Bella, ma soprattutto a mantenerlo calmo, con la chiara percezione del fermento che mi si era creato intorno. Era pomeriggio inoltrato, nuvoloso al punto giusto da impedire che i raggi del sole riuscissero a penetrare le ampie vetrate del salone. Tutto era tranquillo e silenzioso, ma solo in apparenza.
Sbuffai, nessuno aveva un po’ di rispetto per me, mi piombavano addosso tutte le emozioni più intense che potevo immaginare da parte di ogni componente della mia famiglia.
Il capo della polizia mi fissava con sguardo imbambolato ed io gli sorrisi affabile. Seduto sul bordo della poltrona di fronte a me, la schiena tesa, ancora indosso la divisa e la pistola d’ordinanza, veniva a trovare la figlia appena smontato dal lavoro. Era preoccupato per Bella, ma fiducioso in Carlisle per il quale nutriva una specie di venerazione. Ed era stato più che sollevato, quando mio padre si era offerto di seguire la figlia nella sua convalescenza, dopo che gli fu assicurato che Edward era ancora a Los Angeles e dopo quello che aveva saputo della clinica.
Edward era nascosto nel bosco, camminava avanti e indietro in ansia come un leone in gabbia. Gli era stato vietato l’accesso in casa fino a quando il capo Swan non se ne fosse andato, ma sapevo che in realtà era da Bella che non riusciva a stare lontano. Provavo dispiacere per lui.
Alice era su di giri, euforica come poche altre volte l’avevo vista. Era intenta a rendere il più confortevole possibile la nostra nuova sistemazione. Mi investiva con l’intensità dei suoi sentimenti ad ondate, e sorrisi tra me e me. Quando stava bene lei, io la riflettevo come la luna con il suo sole, il mio sole.
Carlisle era su con Bella e la stava visitando nella sua nuova stanza, quella che era stata la stanza mia e di Alice. Noi ci eravamo temporaneamente trasferiti nella camera di Emmet e Rosalie, in giro per l’Europa. Ovviamente Alice aveva disposto così, ritenendo che trovarsi in camera di Edward l’avrebbe turbata e che la camera di Emmet e Rosalie fosse troppo ehm… appariscente per i poveri nervi di Bella.
Esme era intenta in cucina a preparare qualcosa di leggero da mangiare per la nostra ospite. Dalla puzza direi che doveva trattarsi di brodo. Canticchiava felice. I suoi sentimenti erano i più innocui.
In verità, spiegare la fuga di Bella dalla clinica non era stato molto semplice.
Quella notte non si era conclusa con il suo salvataggio, ma tutti i Cullen si erano messi in moto per occultare le prove più evidenti del nostro passaggio e sistemare la faccenda legata alla tentata violenza su Bella.
Con l’intercessione di Carlisle non fu difficile arrivare direttamente al direttore sanitario della clinica, denunciare l’infermiere, che in evidente stato stuporoso ascritto alla ketamina presente nel suo corpo, blaterava di un mostro che aveva tentato di ucciderlo. Ottenemmo il silenzio su tutto l’accaduto, tutti e due gli occhi chiusi sul muro a brandelli, barattandoli con la mancata denuncia all’intera clinica. Il direttore fu ben felice di accontentarci e ci scortò personalmente alle nostre macchine prostrandosi in centinaia di scuse.
A Charlie fu raccontato lo stretto indispensabile, ma uno sguardo alla figlia profondamente addormentata con l’espressione serena sul volto, lo aveva fatto desistere dallo strapparla dalle braccia di mio padre. Veniva a trovarla tutti i giorni, ancora diffidente, ma era immensamente grato a Carlisle per l’evidente ripresa della figlia. Solo questo gli aveva impedito di riportarla a casa sua, ma continuava a vigilare attento.
Mi raddrizzai sul divano per non apparire troppo immobile ed accavallai la gamba. Annuii alla volta di Charlie che, con evidente sforzo, cercava di non sembrare troppo a disagio, e sospirai quando sentii che Carlisle aveva finito il suo controllo.
«Charlie ora puoi salire da lei. Oggi sta molto meglio, ma cerchiamo di non affaticarla troppo, d’accordo?» La voce di mio padre lo fece sobbalzare perché proveniva proprio dalle scale dietro di lui. Si alzò un po’ goffo dal divano e salì veloce.
Osservai Carlisle e dal suo sguardo e dalla pacatezza dei suoi sentimenti capii che era soddisfatto. Non c’era nulla come riuscire ad aiutare una persona bisognosa di cure che lo potesse rendere più felice.
Dopo una decina di minuti, Charlie ridiscese con l’espressione beata. Disse teneramente a voce bassa come se stesse confessando un segreto: «Si è addormentata mentre parlava con me. Ora vado. Ci vediamo domani.» E se ne andò in punta di piedi, producendo dei sinistri scricchiolii con i suoi stivali, chiaramente udibili anche dalle orecchie umane del piano superiore.
Appena la macchina si allontanò, Edward entrò dalla portafinestra, i capelli tutti spettinati come se non avesse smesso un attimo di passarvi dentro le dita, lo sguardo allucinato e a passo spedito si diresse su per le scale. Immediatamente Alice comparve e gli sbarrò la strada.
«Alice, non la disturbo, rimango fuori la porta!» La voce di mio fratello era esasperata e supplichevole allo stesso tempo, mentre la fissava scuotere la testa in segno di diniego. Quel folletto dispettoso gli rispose silenziosamente con i suoi pensieri, sorridendo malefica. Non avevo bisogno di ascoltare, conoscevo fin troppo bene la sua determinazione. Prima che cominciasse un lungo battibecco che in realtà sarebbe stato per noi il monologo implorante di Edward, mi alzai e mi fiondai nel bosco.
Finalmente un po’ di pace!

BELLA
Riaprii gli occhi non appena sentii la porta chiudersi dietro Charlie.
Inspirai stanca, non ero ancora abbastanza in forze per sostenere una qualsiasi conversazione che richiedesse una partecipazione seppure minima da parte mia.
E, poi, mi sentivo in imbarazzo. Mio padre non poteva sapere che anche con le porte chiuse, ogni singola parola che pronunciavamo era chiaramente udita da ogni componente della famiglia Cullen, e volevo evitare che qualche commento sconveniente potesse uscire dalla sua bocca.
Oggi l’avevo anticipato appena si era seduto di fianco al letto, lo sguardo ansioso.
«Papà, non avere l’aria preoccupata. Carlisle si sta prendendo cura di me ed Esme mi rimpinza di cibo salutare» lo rassicurai subito.
Come se gli avessi letto nel pensiero, lo avevo visto rilassarsi sulla sedia.
«Lo so piccola, è che non vorrei che pensassero che stiamo approfittando della loro gentilezza. E’ vero che non è che abbiano problemi economici nel prendersi a carico un’altra persona, ma non vorrei che Esme si stancasse a cucinare per tutta la ciurma …» aveva detto Charlie con fare cospiratorio.
Ero arrossita come un gambero.
«Papààà, ti prego, non possiamo evitare di parlare di loro? Non mi sembra proprio il caso …» avevo borbottato a fatica. Ci mancava solo che commentasse il lusso della casa, o il loro stile elegante e dispendioso nel vestire ed era fatta, sarei morta di vergogna.
«Certo che hanno una casa davvero eccezionale, è così, così … luminosa. Ti farà bene stare a contatto con la natura per un po’, lontana dal caos e dal rumore e, poi …» Charlie aveva continuato a parlare ancora per cinque minuti buoni guardandosi intorno. Mentre sprofondavo sotto le lenzuola, alzando per un attimo gli occhi al cielo per poi richiuderli lentamente, mi augurai che notasse che mi ero addormentata e andasse via.
E così era stato.
Dieci lunghi minuti di terrore, ma ne eravamo usciti indenni salvando la faccia.
Sentii la porta aprirsi e Alice sgattaiolò all’interno.
«Stavi dormendo? » chiese dolce.
Con la pelle di porcellana, i capelli spettinati ad arte, un jeans sbiadito che sembrava esserle stato cucito addosso ed una camicetta bianca stile country era praticamente perfetta. Si avvicinò danzando al letto a passo umano.
La guardai commossa.
Si stava prendendo cura di me come una sorella. Non mi lasciava mai sola, si assicurava che non mi mancasse niente, dalle riviste di moda (ovviamente) ai dvd di film di tutti i generi, nonché tutti i migliori prodotti per la cura della persona che praticamente ricoprivano ogni superficie libera del suo immenso bagno. Asciugamani e accappatoi profumati di bucato fresco erano appoggiati ogni giorno sulla poltroncina fuori dalla porta del bagno da cui si accedeva direttamente dalla stanza.
Esme si occupava del mio rifocillamento materiale e, precisa come un orologio, mi portava dei cibi delicati e leggeri appena il mio stomaco accennava ad un brontolio, perché sapeva bene che non sarebbe mai uscita dalla mia bocca una richiesta in tal senso, un po’ perché il mio appetito non era granchè, un po’ per timore di creare disturbo dato che doveva farlo appositamente per me.
Sorrisi alla mia amica che mi guardava interrogativa.
«No, Alice siediti un po’ con me» dissi raddrizzandomi a sedere sul letto.
Non ero ancora molto in forze, ma avevo bisogno di porle alcune domande che mi facevano stare sulle spine da un po’.
Si accoccolò con grazia sul bordo del letto acciambellando le gambe, come un gattino, sotto di sé.
«Sì, è di sotto.» Sospirò e mi guardò teneramente, giustificandosi subito dopo dicendo: «Avevi deciso di farmi questa domanda da quando hai aperto gli occhi, perciò …»
«Come … come sta?» La voce mi tremò un po'.
Deglutii. Saperlo a pochi passi da me, mi confondeva ed emozionava.

«Date le circostanze direi abbastanza bene, ma non temere, non gli permetterò di avvicinarsi fin quando non ti sentirai pronta a parlargli.» Non aveva staccato gli occhi dal mio volto e si era resa perfettamente conto che il respiro mi si era un po’ accelerato, così come il mio battito. Poi continuò «Bella, tu hai subito un forte trauma, hai bisogno di tempo per elaborare ciò che è successo in tutti questi mesi. Riprenditi con calma, avrete tempo per i discorsi. Credimi, non muoverà un passo se prima non ti avrà parlato.» Le sue parole mi invitarono alla riflessione.
Mi mordicchiavo il labbro nervosa.
«Alice, io …» sospirai e dissi d’un fiato «... io vorrei vederlo.» Ecco l’avevo detto.
«Non mi sembra una buona idea.» Aveva risposto lei con tono glaciale, ma invece di rivolgersi a me, s'era voltata verso la porta.
Nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole, fremetti. Non ero davvero sicura di ciò che volevo. Desideravo vederlo, toccarlo, ma ... parlargli? Ero pronta a sentire cosa mi avrebbe detto?
Era accorso a salvarmi, certo, ma ciò non significava che sarebbe restato al mio fianco.
In fondo era stato chiaro prima di andarsene: io non ero la persona adatta a lui e non ero affatto cambiata in questi mesi. Ero sempre la stessa e lui … non mi pareva che i vampiri subissero cambiamenti, almeno in apparenza.
Cosa volevo sentirmi dire, che si era sbagliato, che mi amava e aveva preso una sbandata?
Oh, sì. E’ proprio quello che vorresti sentirti dire. Pensai di getto.
In realtà tutto il mio essere bramava la sua presenza e mi odiai per questo. Quanto male mi potevo fare ancora? Era così difficile capire che in questo momento lui era ancora qui solo perché spinto dal senso di colpa? Che come tutti aveva creduto che volessi mettere fine alla mia vita e si sentisse responsabile per me?
No, era tipico di Edward farsi carico dei miei problemi.
Era questo il motivo per cui lo volevo al mio fianco? Per pietà?
No, non sapevo dove avrei trovato la forza necessaria, ma l’avrei lasciato libero dalla responsabilità che sentiva di provare nei miei confronti, libero di vivere la sua vita lontano da me. Lo amavo troppo per non desiderare che fosse felice, anche se ciò equivaleva a lasciarlo andare.
Un groppo mi chiuse la gola e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Cominciai a vedere Alice sfocatamente e a sentire il peso della giornata. Ero stanca, ma volevo restare sveglia! Percepii dal basso il suono del pianoforte. Edward stava suonando la mia ninna nanna, stava suonando perché si era accorto che ero turbata.
«Gnaccio un pignolino, magauvi.» Dissi con la voce già impastata di sonno, scivolando distesa nel letto.
«Brava, vedrai che domani ti sentirai un’altra» e mi rimboccò le coperte come una madre affettuosa.



NOTA DELL'AUTRICE:

Bellas: che piacere le tue recensioni! Anche io mi sono commossa nello scrivere il cap precedente e spero che questo ti piacerà, anche se è un po’ di passaggio! Baci
damaristich: colpo di classe eh?! Spero che il seguito ti appassioni, stiamo per cambiare un po’ registro. Baci
zafry: per ora continuo, fin quando ho l’ispirazione, ma tu continua a seguirmi, ci conto!
Anna cullen: certo che ritornava, mica che sono folle! Continua a leggere i prossimi cap sono carini!
Giulia miao: benvenuta Giulia, ti ringrazio per i complimenti, ma non temere, ci saranno delle svolte intriganti!
Keska: Intenso eh? Un po’ di sana suspance non guasta mai, adesso navigheremo verso acque più tranquille, almeno per il momento. Baci

   
 
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