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Autore: Old Fashioned    04/08/2016    13 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 13

“E poi com'è andata a finire?” Seduto nella sua poltrona preferita, Poynter si rigirava in mano l'Old Fashioned con l'aria di un vecchio gentiluomo al club della caccia.
“Se ne sono andati con le pive nel sacco. Capirai, la loro preziosa macchina era saltata in aria, e il furgone per trasportare il prigioniero non aveva fatto una fine migliore. Li ha dovuti riaccompagnare il caporale Grice.”
“Non ti vedo particolarmente dispiaciuto,” scherzò il capitano.
“Hanno avuto quello che si meritavano,” rispose Stuart con malcelata soddisfazione. “Così imparano a venire qui a fare il bello e il cattivo tempo.”
“E il tuo tedesco?”
“Non è il mio tedesco,” replicò l'altro con una punta di fastidio. “Comunque è stato furbo: quando ha visto che le cose si mettevano male ha preso il materasso del letto e si è rintanato in un angolo con quello addosso. Le vetrate sono andate in frantumi, ma lui non ha un graffio.”
“Molto furbo.”
“Tu dicevi che era un ragazzino stupido.”
“Lo è. Per certe cose ha senso pratico, per altre è un completo idiota.”
“Ad esempio?”
“Si è deciso a rivolgerti la parola?”
Stuart scosse la testa.
“Eppure lo stai proteggendo, no? Io dico che uno sveglio capirebbe subito con chi è il caso di essere gentile.”
Il maggiore aveva descritto all'amico la manovra che l'Intelligence intendeva portare avanti ai danni del pilota della Luftwaffe. Con suo stupore, lo sdegno di Poynter era stato piuttosto tiepido. “Una buona idea,” aveva anzi commentato.
“Tu faresti una cosa del genere?” gli aveva chiesto indignato.
“Io personalmente no,” era stata la diplomatica risposta, “ma mi sarebbe sembrato strano se non avessero approfittato della situazione.”

Continuarono a bere e a sfogliare distrattamente riviste. Una radio in sottofondo trasmetteva musica leggera, si udiva il chiacchiericcio sommesso di qualche conversazione.
Stuart ripensava alle parole dell'amico. Il tuo tedesco.
In effetti si era opposto con una certa veemenza quando quelli dell'Intelligence erano arrivati per portarselo via. Una veemenza davvero insolita per il suo carattere flemmatico.
Ma il motivo era legato esclusivamente a quello che avevano intenzione di fare. Pratiche del genere erano un disonore per una nazione civile, ed era suo dovere fare di tutto per impedirle.
Si chiese se gli uomini stessero facendo le stesse illazioni di Poynter. A quel pensiero involontariamente fece girare lo sguardo sulla sala, ma nessuno faceva caso a lui.
Appoggiò il bicchiere vuoto e alzandosi bruscamente disse: “Credo che me ne andrò a dormire.”
“Salutalo da parte mia,” gli rispose Poynter con un sorriso.
“Chi?”
“Ma il mangiacrauti, no? Ormai è uno di famiglia.”
“Insomma, smettila!” protestò Stuart, e senza attendere risposta uscì nel buio dell'oscuramento. Gli ci volle un po' per abituare gli occhi, poi riuscì a distinguere la chiesa che si stagliava vagamente più chiara contro il cielo nero e vi si diresse.
Ancora comodamente seduto nel circolo ufficiali, Poynter lanciò un'occhiata distratta alla porta dalla quale era uscito il collega, scosse la testa e riprese a leggere.

Essendoci il coprifuoco, anche l'interno della chiesa era completamente buio. La canonica era stata equipaggiata di pesanti tende scure in modo che vi si potessero accendere le luci, ma nessuno aveva pensato di oscurare anche i finestroni gotici, col risultato che appena calava la notte Hans von Rohr si trovava immerso nelle tenebre.
Il che era piuttosto seccante, perché non vedendo a un palmo dal proprio naso non riusciva a fare nulla. Era costretto a girare tentoni cercando di non inciampare, e senza luce non poteva nemmeno esplorare la prigione alla ricerca di eventuali vie di fuga.
C'era solo un vantaggio in quell’incresciosa situazione: l'inglese non tentava di parlargli, dal momento che non lo vedeva.
Mentre stava così ragionando udì dei passi in avvicinamento, lo scatto della serratura e un brillio di luce che filtrava dalla tenda posta tra la canonica e la chiesa.
Silenziosamente si fece indietro, di sicuro il maggiore si sarebbe affacciato e se l’avesse visto gli avrebbe detto qualcosa.
L’ultima cosa che voleva era intavolare un’amabile conversazione con un nemico del Reich.
Si acquattò come una lepre all’arrivo dei cacciatori.

Come prevedeva, l’ufficiale inglese scostò la tenda e si avvicinò al cancello. Scrutò nel buio per qualche secondo, poi chiamò: “Tenente von Rohr?”
Hans non rispose.
“Tenente?”
Di nuovo silenzio.
Il maggiore però rimase fermo. Sembrava quasi che lo vedesse, perché era girato proprio nella sua direzione. “Io credo che si possa combattere restando comunque dei gentiluomini,” cominciò. Poi dopo qualche secondo soggiunse: “Rispettando il proprio nemico, comportandosi in maniera onorevole.”
Von Rohr sbatté gli occhi incredulo: si metteva anche a fargli la ramanzina adesso?
Ma il maggiore continuò, come parlando fra sé e sé: “Certi sotterfugi sono indegni di una nazione civile. Non siamo bestie.”
A questo punto il tenente si avvicinò perplesso.
“Oh, è qui,” lo accolse Stuart. “Capita anche in Germania che si inganni la gente per suscitare l’odio nei confronti degli inglesi?”
La domanda era così inaspettata che al giovane pilota scappò detto: “Cosa?”
Si accorse troppo tardi che aveva appena fraternizzato con l’esecrato nemico.
“Che la propaganda diffonda falsità per alimentare l’odio nei confronti dei nemici,” spiegò il maggiore non notando, o signorilmente fingendo di non notare l’imbarazzo che aveva pervaso il suo interlocutore al venir meno dei ferrei propositi di riserbo che si era imposto.
“Non sono falsità, è tutto vero,” rispose prevedibilmente l’aquilotto della Hitlerjugend. “Le potenze straniere stavano strangolando la Germania, se la stavano spartendo come fanno gli avvoltoi con una carcassa. Per fortuna il Führer ha messo fine a tutto questo, e ora siamo di nuovo in grado di combattere per il nostro spazio vitale.”
“Già, il vostro spazio vitale”, rispose il maggiore con un sospiro. Poi, dopo alcuni secondi di silenzio: “Ho studiato a Heidelberg, ho imparato ad amare la cultura tedesca. Come avete potuto ridurvi così?”
Von Rohr fece una breve risata. “Il padrone protesta perché lo schiavo non ne vuole più sapere di restare in catene?” domandò sarcastico. “Ma certo, povera cultura tedesca bistrattata. Ora noi abbiamo una nuova cultura, maggiore, che non è serva di nessuno, e abbiamo smesso di vivere della vostra elemosina. Ora ci prendiamo da soli quello che ci spetta!”
Così parlando si era via via infervorato e le ultime parole quasi le gridò aggrappato alle sbarre del cancello, a un palmo dal maggiore Stuart, che indietreggiò confuso di fronte a quell’impeto.
Sturm und Drang,” commentò poi l’inglese, “lei è un romantico, von Rohr.”
“Rohr e basta.”
Seguì la domanda di rito: “Perché? Non le piace il suo cognome?”
“È un cognome aristocratico, e io odio l’aristocrazia.”
“Eppure lei ne fa parte.”
“Nel Terzo Reich non esiste l’aristocrazia, siamo tutti uguali. L’unica nobiltà è quella di Sangue e Suolo.”
“Sarebbe a dire l'appartenenza al popolo tedesco?”
“Precisamente.”
“Quindi lei è comunque un aristocratico,” concluse Stuart con un sorriso.
Ma se sperava di zittire l’interlocutore con quell’elegante sofisma si sbagliava di grosso. “L’aristocrazia non esiste,” replicò von Rohr, “è vuota forma. Le persone valgono per le azioni che compiono, non per il nome che portano. Cos’era un aristocratico prima di diventare tale? Una persona qualsiasi.”
“Beh, non direi. Un titolo nobiliare in genere viene concesso come premio per aver compiuto azioni particolarmente brillanti.”
“Oh, ma certo. La classe dominante che rinsalda i propri privilegi. E cosa sarebbe questo famoso sangue blu che l’aristocrazia conferisce? Semplicemente più terre, più popolo a cui estorcere tasse.”
“Questo mi sembra un discorso da socialista, tenente,” disse il maggiore.
“No, da nazionalsocialista.”
Il giovanotto rimase a guardarlo con aria spavalda, come sfidandolo a contraddirlo. La fioca luce che proveniva dalla tenda scostata gli investiva in pieno il volto, facendolo emergere pallido e severo dalle tenebre.

   
 
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