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Autore: Alice95_    05/08/2016    2 recensioni
Una giovane Kate Beckett alla ricerca di una notte da dimenticare, si trova davanti a una persona che invece si ricorderà per il resto della vita.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alexis Castle, Altro personaggio, Kate Beckett, Martha Rodgers, Richard Castle
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Per i successivi due giorni Kate fece soprattutto una cosa, dormire. Si svegliava solo per prendere le medicine che erano sempre pronte sul comodino, insieme a dell’acqua e un po' di cibo che non aveva mai toccato, lasciava il letto solo per usare il bagno. La seconda volta che si era svegliata dopo essere arrivata nel loft di Castle, Jamie era scomparsa e per un attimo le prese il panico finché non vide il pezzo di carta sul cuscino accanto a lei.

 

Non ti preoccupare

Ho portato Jamie di sopra

Stava piangendo

Non volevo svegliarti

Rick

 

Quasi si mise a piangere, uno strano rumore le sfuggì dalla gola mentre stringeva il foglio al petto. Aveva dormito mentre sua figlia piangeva. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se Castle non fosse stato lì. Aveva ragione lui, era in uno stato in cui non poteva prendersi cura di Jamie, al momento.

Lui l’aveva controllata regolarmente, rassicurandola del fatto che Jamie aveva appena iniziato a piangere non appena era entrato in stanza e l’aveva portata con sè, cosicché Kate potesse dormire. Era sicuro si sarebbe svegliata per dare una mano. Lui prendeva Jamie con sé di tanto in tanto, ma Kate non era mai stata in grado di rimanere sveglia a lungo. Qualsiasi cosa avesse preso, l’aveva presa bene. Non si ammalava da anni.

In tutti quei momenti, si erano scambiati a malapena qualche parola, lui era educato, rispettoso, ma poteva benissimo dire che era ancora arrabbiato, anche se cercava di non darlo a vedere. Ma lei sapeva che era solo questione di tempo prima che la loro tregua finisse. Era solo la calma prima della tempesta.

 

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Venerdì pomeriggio Kate si svegliò con le risate di Alexis e Jamie provenienti dal soggiorno e si trascinò fuori dal letto per vedere cosa stessero combinando, visto che si sentiva un po' meglio.

Le trovò per terra, entrambe tentando il fare il solletico a Castle che cercava disperatamente di allontanarsi dalle due bambine, sedute su di lui. Fu lui a notarla per primo, “Vedo che qualcuno si è svegliato”, disse, voltando la testa di Jamie verso sua madre che era appoggiata allo stipite della sua camera.

“Mami” la bambina urlò, lottando per scendere da Castle e dandogli un calcio nelle parti intime.

“Ouch”, sentì Castle lamentarsi, il viso contorto dal dolore e Kate non riuscì a trattenere una risata, prima che l’aria le abbandonasse i polmoni quando Jamie le corse incontro. Sicuramente la guarigione di sua figlia era stata molto più veloce rispetto alla sua.

“Hey uccellino”, rise prima di prenderla in braccio con braccia tremanti. “Ti senti meglio?”.

Jamie annuì, accoccolandosi tra le braccia di sua madre mentre Kate guardava Castle alzarsi da terra e avvicinarsi.

“Come stai?”, chiese, notando che era ancora un po' pallida e scossa, ma almeno era in piedi, i suoi occhi erano più chiari rispetto ai tre giorni trascorsi.

“Un po' meglio, grazie”, rispose onestamente offrendogli un sorriso, che non fu ricambiato.

“C’è della zuppa”, disse invece, prendendo Jamie dalle sue braccia, notando quanto poco riuscisse a sostenere quel peso in più e mettendo poi la bambina a terra che subito cercò Alexis, prima di andare in cucina.

Kate lo seguì, sedendosi su uno sgabello davanti al bancone e provando a usare le dita per sistemarsi i capelli che certamente dovevano sembrare un inferno, dopo due giorni passati a letto senza nemmeno una doccia. Si sentì insicura del suo aspetto, l’intera scena sembrava così domestica, ma Castle sembrava non pensarci. Mise un piatto di zuppa di fronte a lei, insieme a del pane e un bicchiere d’acqua, e lei dovette ammettere che il profumo era ottimo, sentì il suo appetito ritornare per la prima volta dopo giorni.

“Grazie”, lei annuì e lentamente iniziò a mangiare, assicurandosi che il suo stomaco ce la facesse.

 

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Dopo aver finito la sua zuppa ritornò nella camera di Castle, e si addormentò, sapendo che Jamie stava bene ed era in ottime mani. Ma adesso si era svegliata e si sentiva bene per la prima volta dopo giorni. Uno sguardo alla sveglia le disse che era passata la mezzanotte e il loft di Castle era avvolto nel silenzio.

Per un momento considerò che cosa fare, prima di portare le sue gambe fuori dal letto, incamminandosi verso il bagno, con il disperato bisogno di farsi una doccia. O ancora meglio, un bel bagno caldo, la vasca era troppo grande per non essere tentata ad usarla.

Quindici minuti dopo entrò nell’acqua calda e sospirò pesantemente, questo era il paradiso. Era da tantissimo tempo che non si faceva un bagno, le sembrava una vita. E quando ci pensò meglio, realizzò che in realtà erano anni, prima di andare a Stanford, quando ancora viveva con i suoi genitori.

La vasta selezione dei sali da bagno di Castle trasformarono ben presto il bagno in un’oasi di gelsomino e lavanda. E raggiungendo l’Ipod trovato su una mensola, rimase sorpresa di sentire “Spiritual” di Coltrane subito dopo aver messo gli auricolari. Lei amava Coltrane. Il paradiso, era semplicemente il paradiso, furono i suoi ultimi pensieri prima di appoggiare la testa al bordo della vasca e chiudere gli occhi.

 

—————————————

 

Castle si svegliò nel cuore della notte, affamato. Gli servì un momento per orientarsi, ancora non si era abituato a dormire nella stanza degli ospiti, nonostante fosse la terza notte di fila.

Tirandosi su giù dal letto e scendendo le scale, fu sorpreso di vedere una luce provenire da sotto la porta della sua camera. Si fermò all’ultimo scalino, considerando la sua prossima mossa prima di fare una deviazione, abbandonando il frigo per un paio di minuti e andando a controllare Kate.

Bussò alla porta, era chiusa solo in parte ma non sentì risposta e così lentamente entrò nella stanza.

“Kate?”, sussurrò, ma ancora non ci fu risposta.

Si guardò intorno, trovando  il letto vuoto e una nuova fonte di luce provenire da sotto la porta del bagno.

“Oh”, mormorò nel silenzio della sua stanza, sentendosi un po' stupido e fuori luogo fermo lì ad aspettarla mentre lei era dentro. Ma visto che era lì poteva aspettare per vedere come stava. Forse le serviva qualcosa.

Aspettò e aspettò ancora, iniziando un po' a preoccuparsi quando dopo dieci minuti ancora non era uscita. Non molto da gentiluomo, mise un orecchio sulla porta del bagno per vedere se avrebbe sentito qualcosa, ma non sentì niente. Nemmeno un piccolo suono.

La sua immaginazione da scrittore si aprì subito sugli scenari peggiori, Kate distesa sul suo pavimento del bagno, sangue ovunque dopo essere svenuta e dopo aver battuto la testa contro il lavandino o qualcosa del genere.

Bussò, cercando di placare il suo panico, ma non ci riuscì quando ancora non ottenne risposta.

“Kate?”, alzò la voce, bussando più forte questa volta. Ancora niente.

Basta, pensò mentre aprì la porta del bagno e si imbatté in una Kate più che viva e tranquilla nella sua vasca da bagno. Aveva gli occhi chiusi, il respiro leggero…e i seni proprio a pelo d’acqua. Trattenne il fiato e proprio in quel momento lei notò qualcosa, visto che aprì gli occhi e voltò la testa per guardarlo.

“Castle!”, urlò, alzando le braccia per coprirsi il seno, ma quell’improvviso movimento fece traboccare l’acqua dalla vasca, gli auricolari caddero dentro l’acqua. Lui subito si voltò, alzando le mani.

“Mi dispiace, ho bussato…non rispondevi, io”, balbettò, “Io..ero preoccupato”, disse finalmente, ancora senza muoversi.

“Castle!”, urlò di nuovo e lui la guardò, vide le sue guance rosse…bellissima, era bellissima. “Castle!”.

“Huh?”.

“Esci”, gli ordinò, facendogli cenno con la mano.

“Certo, scusa”, mormorò, finalmente girandosi e uscendo.

La porta si chiuse dietro di lui e dopo aver ripreso fiato, tornando in sé, Kate si mise a ridere.


——————————————-


Entrò in soggiorno, vestita con un paio di pantaloni della tuta puliti e una felpa della NYPD che era un po' troppo grande per lei. Lo trovò in cucina, a prepararsi un sandwich, per quanto potesse vedere da quella posizione.

“Hey”, annunciò la sua presenza e Castle sollevò la testa, con occhi spalancati e imbarazzati.

“Kate, guarda mi dispiace. Non avevo intenzione,”, sospirò. “Ma non rispondevi e—“, Kate sollevò la mano per interrompere il suo balbettio.

“Va bene”, sorrise. “Solo che non ti avevo sentito”.

“Okay”, sembrò rilassarsi.

“Grazie per essere venuto a controllare”, aggiunse. Avevano già abbastanza carne al fuoco tra di loro, non voleva aggiungere altri momenti imbarazzanti.

Le offrì il primo vero sorriso reale da giorni, e poi annuì. “Vuoi anche tu qualcosa?”, chiese, puntando il sandwich di fronte a lui.

“Mi piacerebbe, grazie”. Rispose lei, realizzando solo in quel momento quanta fame avesse.

Lui annuì e ne preparò un altro, mentre Kate si mise a sedere sul grande divano, sollevando le gambe e portandole sotto di sé, i capelli umidi sistemati in una coda disordinata. Lui si diresse lentamente verso di lei, porgendole il piatto con il sandwich e contemplando se ritornare di sopra e lasciarla da sola.

Era arrabbiato con se stesso per quello che era successo prima in bagno, non per il fatto di averla trovata lì, che era abbastanza imbarazzante, ma perché il suo corpo aveva reagito immediatamente al corpo nudo nella vasca. Non voleva sentirsi attratto da lei, non quando era ancora così arrabbiato. L’aveva ferito. Non voleva fargliela passare liscia solo perché era un uomo e lei una delle donne più belle che avesse mai visto. Anche adesso senza trucco e dopo tre giorni a letto con la febbre, era sempre bellissima e non poteva pensare una cosa del genere in quel momento.

Si voltò, determinato a lasciarla da sola, ma le sue parole lo fermarono.

“Castle, dobbiamo parlare”. Disse lei piano, la sua voce era insicura e nervosa.

La postura di lui cambiò, la sua faccia diventò fredda come il marmo. Non voleva, non voleva farlo adesso, aveva paura di quello che gli avrebbe detto, ma sua madre aveva ragione su una cosa quando le aveva parlato al telefono, c’è sempre una storia e lui doveva sapere la storia.

“Okay”, finalmente accettò, sedendosi in una delle poltrone il più lontano possibile da lei, “Parla”.

 

 

   
 
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