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Autore: Old Fashioned    06/08/2016    11 recensioni
Seconda guerra mondiale, battaglia di Inghilterra. Un leggendario quanto inafferrabile pilota della Luftwaffe, soprannominato "Cavaliere di Valsgärde", compare durante le battaglie più cruente, abbatte il suo avversario e subito dopo scompare senza lasciare traccia.
Il Maggiore Stuart, del 19° Squadron, riesce finalmente ad abbatterlo con uno stratagemma, ma quando l'Asso tedesco sarà al suo cospetto le cose si riveleranno molto diverse da come se le aspettava...
Genere: Azione, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Capitolo 14

Il mattino dopo Stuart si alzò in volo di buon'ora con lo Squadron quasi al completo. Alcune unità navali avevano segnalato uno stormo di Junkers 87 in avvicinamento e la sua intenzione era quella di intercettarlo.
Li vide quasi subito. L'aria era limpida e la forma spigolosa degli Stuka si distingueva da lontano. Volavano in formazioni di tre, il maggiore si accorse che sotto la fusoliera avevano bombe da cinquecento chili.
“Fate attenzione, ragazzi,” disse in frequenza, ma già i piloti del 19° avevano avvistato i nemici e si stavano rallegrando che non si vedessero caccia di scorta.
“Sarà come andare a pesca di salmoni!” esclamò qualcuno.
Altri gli diedero ragione con entusiasmo, un paio si lanciarono addirittura in ardite acrobazie aeree.
Subito Stuart li richiamò all'ordine: “Nervi saldi, nemmeno i Fritz sono così stupidi da mandare degli Junkers 87 senza scorta.”
“Avranno pensato che fossimo ancora a letto!” rispose Evans, uno dei buontemponi dello Squadron.
La frequenza risuonò di risate e battute.
Tutti diedero motore per raggiungere i nemici e cominciare quella che si preannunciava come una facile mattanza.
Impermeabile a tanto entusiasmo, Stuart scrutava inquieto il cielo terso. Non sembrava che ci fossero dei caccia tedeschi in giro, ma tutta quell'abbondanza, praticamente offerta su un piatto d'argento, gli pareva altamente sospetta.
Gli Stuka procedevano frattanto come chi ha tutto il tempo del mondo, sembrava che stessero sorvolando l'Unter den Linden durante una parata.
Stuart si guardò intorno di nuovo. Vide il primo dei suoi ragazzi raggiungere i nemici e sparare una raffica di traccianti. Lo Junkers 87 si buttò in picchiata, lo Hurricane gli andò dietro seguito da un altro, ma in quel momento qualcosa passò come un fulmine tra il tedesco e il più avanzato degli inglesi. Un istante dopo lo Hurricane cadeva in vite emettendo una scia di fumo nero. Stuart non fece in tempo a riaversi dalla sorpresa che un altro caccia cadde abbattuto. Si voltò cercando di identificare il misterioso assalitore e riuscì a scorgere di sfuggita la sagoma scura e compatta di un Messerschmitt 109. L'aereo guizzò via con una manovra che Stuart aveva visto innumerevoli volte, si abbassò di quota quel tanto da convincere un paio di incauti a metterglisi in coda, fece un Immelmann e un attimo dopo un terzo aereo britannico cadeva in fiamme.
A questo punto il tedesco sparì, e nell'agitazione generale i piloti del 19° si accorsero che era in arrivo un nutrito stormo di caccia.
Gli Stuka divennero l'ultimo dei problemi per gli inglesi.

Stuart rientrò alla base con cinque aerei di meno, era finito in mezzo ad una trappola in piena regola. Chi la fa l'aspetti, pensò, rievocando quella che lui stesso aveva messo in atto per abbattere il Cavaliere di Valsgärde.
Camminava svelto verso la baracca del comando quando uno dei suoi piloti più giovani lo affiancò con tutta l'aria di volergli chiedere qualcosa.
“Mi dica, tenente Guthrie,” lo incoraggiò.
Il giovane lo fissò serio. Si fermò, costringendo in quel modo il suo superiore ad imitarlo. “Era lui, vero?”
“Chi?”
“Lui. Quello che ha fatto fuori anche Carter.”
Secondo le disposizioni dell'Intelligence, l'ordine era di considerare il Cavaliere di Valsgärde caduto in combattimento, ma Stuart non se la sentì di negare l'evidenza.
“Era lui,” rispose.
“Credevo che l'avesse abbattuto, signore.” Al maggiore parve di cogliere nella frase un tono di vago rimprovero.
“Lo credevo anch'io, Guthrie,” sospirò Stuart. “Ho abbattuto un aereo dal muso rosso, questo sì, ma dentro non c'era la persona giusta.”
“Capisco. Mi scusi se ho chiesto, signore.”
“Non si preoccupi.”
Rimase fermo a guardare il tenente che si allontanava. Forse avrebbe dovuto riprenderlo per la sua impertinenza, ma preferì far finta di nulla. Lui e Carter avevano fatto la scuola di volo insieme ed erano amici. Probabilmente quel ragazzo soffriva ancora per la sua perdita.

Mentre era ancora immerso nei suoi pensieri, Poynter lo raggiunse. “Mi viene in mente la barzelletta del pazzo che si credeva un chicco di grano,” disse.
Stuart lo fissò stupefatto. “Prego?”
“Dopo anni di cure viene dimesso dal manicomio e dice ai dottori: finalmente sono guarito, non mi credo più un chicco di grano. Mi rimane solo un dubbio: ma le galline lo sanno?”
“Smetti di parlare per enigmi,” rispose Stuart, che comunque aveva già capito dove volesse arrivare l’amico.
“Mi chiedevo: il Cavaliere di Valsgärde sa di essere stato abbattuto? Perché se non lo sa sarebbe il caso di farglielo presente.”
“Non ti ci mettere anche tu.”
“Ah, non te la prendere, era solo per sdrammatizzare un po'. Quel bastardo è vivo e vegeto, e adesso non riusciamo nemmeno più a distinguerlo dai suoi amichetti per metterci al riparo quando arriva. Lo sai che oggi a momenti mi staccava un'ala? La vecchia Carol ha più buchi di un colabrodo, povera piccola.”
La vecchia Carol era l'aereo di Poynter.
“Hai detto agli uomini di sistemarlo per domani?” gli chiese Stuart.
“Si capisce, Carol ci tiene a presentarsi come si deve.”
Stuart sospirò. “Che dannato problema,” brontolò fra i denti.
Lasciò vagare lo sguardo sui suoi piloti che parlottavano fra loro o se ne stavano sdraiati al sole in attesa che i loro aerei fossero riforniti e rimessi in condizioni di volo. Era certo che Guthrie non fosse stato il solo a riconoscere il Cavaliere, e se l'Intelligence poteva ordinare a lui di tenere la bocca chiusa, non poteva certo impedire a ‘radio gavetta’ di trasmettere ai quattro venti che il tedesco era ritornato più agguerrito di prima.
Nonostante le complicazioni che si preannunciavano all'orizzonte, ne provò una certa vaga soddisfazione. Tempo due giorni e tutti gli Squadron della sua zona avrebbero saputo l'importante notizia.
“Voglio proprio vederli adesso a fare il loro bel cinegiornale di propaganda,” disse.
Poynter si voltò. “Cosa?”
“Come faranno a sbandierare che il Cavaliere di Valsgärde è stato abbattuto?”
Con gesti misurati il capitano si mise una sigaretta fra le labbra, l'accese, aspirò una voluttuosa boccata di fumo e filosoficamente disse: “Non sottovalutarli.”
“Non possono mica negare l'evidenza!”
“Ah, no?”
“No!” rispose il maggiore, ma il tono non fu energico come avrebbe voluto. Stava per proseguire con un'accorata requisitoria sulla correttezza e la lealtà quando lo avvertirono che gli aerei erano di nuovo pronti al decollo.
La concione venne momentaneamente accantonata.

Per le successive due missioni il Cavaliere non si presentò. Quelli che lo Squadron si trovò a fronteggiare furono normali caccia della Luftwaffe, impegnativi ma non appesantiti dall'aura di invincibilità che invece ammantava il famigerato avversario, tanto che qualche ottimista arrivò addirittura a sperare che in realtà avessero scambiato per il Cavaliere di Valsgärde redivivo un pilota particolarmente abile o fortunato, secondo la teoria per cui chi si è bruciato con l'acqua calda teme anche quella fredda.
Fu solo nel tardo pomeriggio che il Cavaliere ricomparve: mentre Stuart era in volo con i suoi per rientrare alla base arrivò a tutta manetta sul pelo dell'acqua, così basso che i riflessi del tramonto sulle onde si confondevano con la sagoma spigolosa del Messerschmitt, poi all'improvviso cabrò andando su in verticale, attraversò la formazione britannica come un fuso e la superò scomparendo contro il disco rosso del sole. Mentre i piloti inglesi si disperdevano disorientati dalla subitanea apparizione, il Cavaliere fece una virata sfogata, picchiò per prendere velocità, puntò un caccia che era rimasto isolato dagli altri e lo abbatté con una raffica di traccianti.
Come sempre, dalla sua comparsa al primo aereo che precipitava in fiamme non erano passati più di dieci secondi.
Teso, Stuart si guardò intorno. La luce era la peggiore che si potesse immaginare: scarsa e bassa sull'orizzonte. In più i raggi aranciati falsavano pericolosamente i colori disorientando i piloti. I caccia sono aerei diurni, che hanno bisogno di molta luce e cieli sgombri. Volare in quel crepuscolo livido dava la sensazione di camminare sulle sabbie mobili.
“Poynter, chi è caduto dei nostri?” chiese in frequenza, ma non fece in tempo a sentire la risposta: una raffica di traccianti gli attraversò la fusoliera facendo schizzare via scintille e pezzi di rivestimento metallico. Il maggiore si tolse immediatamente dalla traiettoria dei proiettili con una scivolata d'ala, e pur nella luce che andava scemando vide la sagoma di un Messerschmitt che guizzava via per rimettersi in posizione d'attacco. L'aereo non aveva nulla di diverso rispetto ai suoi simili, ma ormai Stuart aveva imparato a riconoscere le manovre del Cavaliere di Valsgärde, e quello era lui senza ombra di dubbio.
Si guardò intorno: nessuno dei suoi nelle vicinanze. Il tedesco era di nuovo sul pelo dell'acqua, appariva e scompariva tra i luccichii del sole sulle onde. Picchiò per raggiungerlo, ma prima che riuscisse a metterglisi in coda, quello schizzò verso l'alto. Stuart lo imitò, ma i pochi secondi che impiegò per interrompere la picchiata e trasformarla in una cabrata furono sufficienti per far sì che il Messerschmitt gli sfuggisse.
Un istante dopo se lo vide arrivare contro a tutta manetta, i traccianti erano come un nugolo di insetti furiosi e c'era il rumore di una grandinata. Realizzò con orrore che la grandinata era prodotta dalle pallottole del tedesco che attraversavano le ali e la fusoliera del suo aereo.
Sto per morire, pensò in un lampo, e subito dopo pensò a von Rohr, dispiaciuto perché non avrebbe più potuto proteggerlo dalle mire dell'Intelligence.
Poi non successe nulla.
Non fu abbattuto, non morì, non entrò nemmeno in combattimento con il Cavaliere di Valsgärde. Dopo l'ultimo passaggio il suo avversario si sganciò e se ne andò verso le coste della Francia.
A Stuart, pallido e sudato ai comandi del suo aereo, non restarono che congetture: forse il tedesco si era accorto di avere poco carburante, o forse aveva compiuto uno degli atti cavallereschi che l'avevano reso famoso tra le ragazze inglesi. Non era dato saperlo. L'unica cosa certa era che l'aveva lasciato in vita.

Quando Stuart scese dall’aereo si accorse che le gambe lo reggevano male. Sapeva che i ragazzi lo stavano guardando, per cui fece finta di niente e si diresse verso la baracca del comando. Ovviamente non riuscì a ingannare Poynter, che lo raggiunse e a bassa voce gli disse: “Ti vedo un po’ palliduccio.”
“Non mi hai ancora detto chi è caduto dei nostri,” replicò il maggiore per tutta risposta.
“Guthrie, poveretto. Abbattuto come una beccaccia. Volevo dirtelo prima, poi quello là ti ha preso di coda e ho pensato che avessi problemi più urgenti.”
Stuart sospirò. Proprio Guthrie. Se ne sentì assurdamente in colpa.
Lanciò un'occhiata al cielo che andava virando verso un blu cobalto appena screziato di nubi e si sentì in colpa – e in imbarazzo – anche per un'altra cosa: se durante il combattimento il Cavaliere di Valsgärde l'avesse ucciso, il suo ultimo pensiero sarebbe stato per Hans von Rohr.
Non sapeva se considerare la cosa più insensata, ridicola o imbarazzante.
Si passò una mano sulla tasca sinistra dell’uniforme, dove, in un elegante portafotografie di pelle, teneva l’immagine della sua fidanzata. Fu un gesto automatico come quello di toccare legno nell’assistere ad un evento di cattivo auspicio.
   
 
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