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Autore: nikita82roma    09/08/2016    4 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Nell’ufficio della Gates Kate stava attendendo che la donna leggesse scrupolosamente il resoconto di Burke. Non che non si fidasse di Beckett, ma voleva capire esattamente come comportarsi con lei e trarre maggiori spunti possibili dalla relazione del dottore.
- Bene, Capitano Beckett. Questo direi che è suo. 
La Gates le porse il suo distintivo. Non era quello che si aspettava, ovviamente. Non era il suo distintivo da detective, era quello da Capitano. Passò le mani sulla scritta, le sembrava così strano. Sorrise ad averlo tra le mani.
- Mi raccomando Kate - Le disse la Gates chiamandola per la prima volta per nome - niente mosse avventate. 
- Stia tranquilla Signore. Ma la mia pistola?
- Lo sa come è il regolamento, è stata fuori tanti mesi, deve riqualificarsi. Faccia un giro al poligono, poi torni da me.
- Va bene Signore.
Kate uscì cercando di contenere la felicità per aver riacquisito un pezzo di normalità. Esposito e Ryan le andarono subito incontro 
- Allora? - Chiesero all’unisono e Kate gli mostrò fiera il distintivo accompagnando il gesto della mano con un ampio sorriso che le illuminava il volto. I due detective l’abbracciarono affettuosamente, tenendola entrambi tra le loro braccia insieme. Era il loro modo per dimostrarle il loro affetto e per farle capire che loro sarebbero stati lì per lei e con lei, che l’avrebbero sempre protetta, come avevano sempre cercato di fare: Kate Beckett non era solo il loro Capitano, era la loro amica, una sorella per entrambi.
Riottenere la sua pistola fu solo una formalità. Lo sguardo della Gates mente gliela consegnava diceva tutto senza bisogno di alcuna parola, c’era la fiducia e la felicità di aver visto rimettersi in piedi una collega, perché Beckett di fatto questo era, ma prima ancora una persona che se non poteva considerare amica in senso stretto del termine, perché i loro ruoli non lo avevano mai permesso, di sicuro una persona a cui era molto affezionata, che stimava profondamente e che aveva avuto veramente paura che non ce l’avrebbe fatta questa volta. Ma Kate Beckett ancora una volta aveva sorpreso tutti e si era dimostrata più forte del destino, delle lacune e di se stessa: era ancora una volta lì, nel suo distretto e tra pochi mesi sarebbe tornata anche al suo posto e Victoria Gates glielo avrebbe lasciato di nuovo con molta gioia. Nella Gates, però, c’era anche un senso di preoccupazione, la stessa che le aveva esternato poche ore prima quando le aveva dato il distintivo chiamandola per nome, con un fare molto più amichevole e colloquiale che le era venuto spontaneo nel raccomandarsi di stare attenta. Conosceva la sua impulsività ma anche la sua voglia di giustizia, il suo senso del dovere e la sua dedizione al lavoro e alla sua squadra e tanto ammirava queste qualità quanto la preoccupavano che potesse mettersi nei guai, perché in tutti quegli anni lo aveva capito, Beckett lontana dai guai non sapeva proprio starci e se non erano loro a cercare lei, era lei a cercare loro. Il giorno prima aveva parlato anche con Ryan ed Esposito, la sua squadra, gli unici che potevano contenere in qualche modo Beckett. “Perché non voglio troppo Castle tra i piedi a preoccuparsi” disse loro come giustificazione al fatto di tenere un’occhio di riguardo in più su Kate. In realtà era esclusivamente perché voleva che lei fosse al sicuro ben sapendo quanto era difficile per una donna incinta coniugare il loro lavoro con il proprio stato senza sentirsi in colpa per trascurare una delle due cose ma lo aveva detto anche a Beckett “La tua sicurezza e quella del tuo bambino vengono prima di ogni altra cosa, non te lo dimenticare mai”. 

Ryan le portò per pranzo del cibo cinese. Kate mangiò seduta sopra scrivania da dove fissava la lavagna: lì i due detective avevano ricostruito il caso dell’omicidio della collezionista di fumetti. Aveva esaminato le foto della scena del crimine e quelle del cadavere, aveva letto i verbali di tutti gli interrogatori fatti nei giorni precedenti dai due detective e quando era stata lì aveva anche ascoltato le loro ricostruzioni. Tutto lasciava pensare ad un furto nell’ambito dei collezionisti, almeno questo era quello che pensavano Kevin e Javier, perché dalla sua collezione mancavano alcuni pezzi molto costosi, però a lei questa ricostruzione non convinceva. 
Mangiava osservando attentamente, cercando qualche particolare che le sfuggiva: non aveva potuto esaminare in prima persona la scena del crimine, quindi cercare di estrapolare indizi solo da foto scattate da altri non era il massimo. 
- Cosa non ti convince Beckett? - Ora che era tornata operativa si sentivano anche loro liberi di chiedere il suo parere. Lei, dal canto suo, non voleva prevaricare il loro lavoro, però veramente c’era più di qualcosa in quel caso che non le sembrava corretto.
- Javi perché se era uno del suo ambiente, ha preso solo tre copie e soprattutto perché uno di quei fumetti lo ha strappato? Un collezionista non strapperebbe mai un cimelio, soprattutto se il proprietario è morto, magari lo avrebbe preso. Perché non prenderne di più e perché lasciare questo - indicò un fumetto che a mala pena si intravedeva tra gli altri - Non è famoso come altre serie, ma il suo valore è di gran lunga superiore a quelli mancanti. Un collezionista l’avrebbe saputo.
- Cosa vuoi dire Beckett?
- Non è un collezionista, è qualcosa di diverso. Poi guarda il cadavere - indicò un’altra foto - è stato quasi adagiato a terra, come se chi lo avesse ucciso provasse del rimorso o un sentimento, un ladro non perde tempo a fare queste cose. E il fumetto è stato senza dubbio strappato dopo che lei è stata uccisa, altrimenti non avremmo ritrovato i fogli così - indicò una terza foto.
- Hai un’idea?
- Qualcuno non amava la sua mania per il collezionismo, qualcuno che si sentiva messo in disparte, magari in secondo piano rispetto ai suoi fumetti e l’ha uccisa in un raptus di gelosia, si spiega lo strangolamento frontale e non alle spalle, come ha adagiato il cadavere, poi si è scagliato contro l’oggetto della sua gelosia, distruggendo il primo fumetto che aveva trovato in giro, magari quello che lei stava riponendo con cura con gli altri ed infine ha simulato un furto prendendo alcune copie a caso.
Esposito e Ryan si guardarono. 
- Andiamo a prendere il fidanzato, ci abbiamo già parlato, ma così lo puoi interrogare. - Kevin mentre lo diceva già aveva preso la pistola dal cassetto imitato da Javier. L’intuizione di Kate era sensata.

Clive Russel era nella sala interrogatori. Kate mentre aspettava che i due tornassero con il sospettato aveva già riletto tutto il fascicolo un paio di volte per essere sicura di aver memorizzato ogni aspetto di quel caso e non lasciarsi sfuggire nulla.
Kate si avvicinò alla porta della sala interrogatori, fuori c’erano sia i due detective che il capitano Gates che la guardò mentre teneva salda la maniglia per entrare e le fece un cenno d’intesa. Esposito stava per entrare con lei, ma il Capitano con un eloquente gesto lo fermò, lasciando andare Beckett da sola.
- Ma Capitano, Beckett non ha seguito il caso dall’inizio! - Protestò l’ispanico che voleva essere vicino alla sua amica in quel momento, per esserle d’aiuto se qualcosa fosse andata storta ma la Gates fu irremovibile mentre la osservava sedersi con la sua solita decisione, appoggiare il fascicolo davanti a se e guardare fisso negli occhi il sospettato, senza mai staccare il contatto visivo con lui per metterlo a disagio il più possibile.
- Ha bisogno di ritrovare il suo ruolo da sola. Di dimostrare a se stessa che non le serve la balia. - Sentenziò la Gates osservando compiaciuta ogni movimento di Kate, constatando che era, almeno a lavoro, sempre la stessa che conosceva.
Fu decisa, irremovibile, dura, come sempre. Aveva sbattuto in faccia all’uomo le foto e la sua ricostruzione della storia, urlando e scandendo bene ogni terribile parola dell’autopsia per farlo crollare e alla fine riuscì a farlo confessare tra le lacrime.
Uscì da lì più stanca di quanto pensasse ma decisamente soddisfatta. Ci pensarono gli agenti a prenderlo e portalo via in custodia. 
- Bel lavoro Capitano Beckett. - Si complimentò la Gates che non perdeva occasione per ricordarle il suo grado perché la vedeva che ancora non aveva preso coscienza di quello che in realtà era.
- Grazie Signore. - Le rispose veramente felice.
- Di là ci sono i genitori di Polly Horan, glielo vuole comunicare lei che abbiamo preso il suo assassino?
- Con molto piacere Capitano.
Così Kate si avvicinò a quella coppia distrutta dal dolore di aver perso la loro unica figlia. Si sentì vicina come non mai a quella madre con il viso segnato dalle troppe lacrime versate in quei giorni, le appoggiò una mano sulla spalla, cercando di farle percepire la sua vicinanza, anche se sapeva che era inutile. Le poté annunciare, però, con soddisfazione, che loro avevano fatto il possibile per dare giustizia alla loro figlia e che l’assassino non sarebbe rimasto impunito. Era la cosa del suo lavoro che preferiva. Il più delle volte parlare con i familiari delle vittime era straziante, dover comunicare l’omicidio di un proprio caro, costringerli a rivivere momenti drammatici in alcuni casi, o andare a scavare con domande impertinenti nelle loro vite: lei sapeva bene cosa voleva dire quando al dolore si sommava lo stress per gli interrogatori, il dover ripetere tante volte sempre le stesse cose ed ogni volta faceva più male, ma sapeva quanto fosse necessario, per questo cercava di farlo sempre con il massimo tatto e rispetto. Però poi c’era anche quel momento, quello in cui la verità era venuta a galla, quello in cui poteva andare fiera a testa alta da un genitore, un consorte, un figlio, un fratello a dirgli che ce l’avevano fatta, che avevano preso il colpevole, che il loro caro aveva avuto giustizia. Quella parte che a lei era sempre mancata, quella che aveva sempre atteso fino a quando il caso di sua madre non fu chiuso ingiustamente. Quanto aveva aspettato che qualcuno le venisse a dire “lo abbiamo preso”, quanta attesa inutile di quelle semplici parole che dovevano essere il fine ultimo di tutto il loro lavoro. Per questo lei era sempre così felice ed orgogliosa di poter dire che lei, che loro, avevano dato giustizia ad una vittima e un briciolo di serenità ad una famiglia dilaniata per sempre dal dolore.
- Sei sempre la migliore Kate - le disse Esposito complimentandosi mentre inscatolavano tutti i reperti del caso togliendo dalla lavagna le foto e cancellando le scritte. Era di nuovo bianca, ma lo sarebbe rimasto per poco in quella città, lo sapevano bene.
“Sai perché ora sei Capitano? Perché sei la migliore”
Nella sua mente si manifestò il volto di un Castle affranto che le diceva quelle parole. Lui aveva sempre creduto in lei e nel suo lavoro, di questo ne era certa. Aveva percepito, parlando con lui, che lui, oltre ad amarla, provava anche una profonda stima verso di lei per quello che faceva nel suo lavoro. 

Tornò al loft e lo trovò vuoto, come sempre più spesso accadeva, eppure Castle le diceva sempre che era troppo affollato. Si diresse in camera e si stupì quando andò a riporre in un preciso mobile la sua pistola, in un gesto automatico. Nessuno le aveva mai detto che quello era il posto dove riponeva la pistola quando tornava a casa, ma sapeva che il posto era quello.
Sentiva ancora in circolo quella scarica di benessere che le era arrivata per aver concluso nel migliore dei modi quel caso, per essersi sentita finalmente di nuovo utile, per aver dimostrato a se stessa di essere sempre brava a fare il suo lavoro. Avrebbe voluto condividere quel momento con Castle, magari sarebbe stato al distretto, come aveva sempre fatto negli ultimi anni. Voleva raccontargli la sua gioia per aver riavuto il distintivo e chiuso il suo primo caso. Fece un rapido calcolo delle ore di fuso orario: lui probabilmente in quel momento stava pranzando. 

- Ciao Castle.
- Hey, ciao… Tutto bene?
- Sì, ci sono delle novità… Sono di nuovo ufficialmente in servizio ed oggi ho risolto il mio primo caso. - La voce di Kate era briosa tanto era soddisfatta di quella giornata e sperava che Rick condividesse la sua gioia.
- Wow Beckett! Sei tornata a terrorizzare i cattivi di New York! - Il suo tono fu meno felice di quello che lei si aspettava.
- Non sei contento per me?
- Oh ma certo che lo sono. La migliore è tornata a lavoro, sarà dura adesso per tutti gli assassini della città appena si spargerà la voce. Per me molti cambieranno i loro piani, magari andranno ad uccidere qualcuno in un altra città!
- Castle, fai il serio - rise Beckett
- Sono serissimo, Kate! Io fossi un assassino ci penserei due volte ad uccidere qualcuno sapendo che tu potresti darmi la caccia.
- Potrei dartela anche se non uccidi nessuno Castle! - Si divertì a provocarlo e si morse il labbro, se lui avesse potuto vederla non sarebbe rimasto di certo indifferente.
- Ehm Beckett… Sono ad un pranzo con delle persone, non mi pare il discorso più adatto da fare adesso, per me dico… Casomai lo possiamo riprendere in un altro momento.
- Mi manchi Castle. - Gli disse ora con tono molto più serio quasi come fosse una supplica.
- Torno domani sera. - Anche lui ora era più serio, dopo che si era divertito a giocare un po’ con lei.
- Non vedo l’ora.
- Nemmeno io… ora devo tornare al mio tavolo. Ciao Kate
- Ciao Castle.

Aveva appena attaccato al telefono con Castle quando sentì bussare alla porta del loft. Era una situazione strana, nella quale faticava ancora a ritrovarsi, non riusciva a sentirsi ancora padrona di quella casa ed andare ad aprire la porta ad estranei, che anche se non lo fossero stati lei non avrebbe riconosciuto, la metteva a disagio.
Quando aprì la porta, le si presentò davanti una ragazza piuttosto giovane con una borsa a tracolla ed una grande busta gialla in mano.
- Buonasera, cercavo il signor Castle. - La giovane era più a disagio di lei, ma sicuramente non la conosceva, altrimenti l’avrebbe chiamata per nome o salutata, questa cosa faceva stare meglio Kate, le dava sicurezza.
- Il signor Castle non c’è, come posso aiutarla? - Le rispose gentilmente.
- Io… sono Linda Reese, lavoro alla Black Pawn.
- Rick è fuori per lavoro, pensavo lo sapesse.
- Oh, beh… Il mio capo è tornato ieri, pensavo fosse tornato anche il signor Castle… - Linda si sentì sprofondare sotto lo sguardo severo di Kate che contrastava con la sua voce molto più amichevole.
- È a Los Angeles, tornerà domani sera. 
- Ah ehm… Gli può dare questo da parte mia? Sono le mie correzioni e annotazioni sul suo ultimo libro, sa mi ha mandato gli ultimi capitoli prima di partire ed ha detto che li voleva il prima possibile. - Kate era un po’ sospettosa sulle spiegazioni della ragazza. 
- Poteva mandargliele per email - si lasciò sfuggire, capendo che non aveva diritto di mettere bocca nei metodi di lavoro di suo marito
- Ehm, sì, certo… Il mio metodo di lavoro è un po’ vecchio stile ancora. Preferisco leggere su carta e fare le mie correzioni lì. Lo trovo un lavoro più caldo - si giustificò ancora mentre porgeva la busta a Kate che ora le sorrise molto più distesa.
- Ma certo, gliela darò io, non si preoccupi Linda.
- Grazie signora Castle. - Disse la ragazza prima di uscire e sentirsi chiamata così punse Kate sul vivo.
- Mi conosce Linda? 
- No, ma… Rick mi ha parlato talmente tanto di lei che l’ho riconosciuta subito. E poi ci sono state molte foto vostre sui giornali negli ultimi mesi - Le fece l’occhiolino con un’aria molto più distesa e sbarazzina.
- Ma certo… - Le sorrise Kate molto più benevolmente prima di salutarla e chiudere dietro di se la porta.
Aveva tra le mani il nuovo libro di Rick, quello di cui lui non le aveva voluto dire nulla. Era divorata dalla curiosità di sapere cosa contenesse, quale altra storia si fosse inventato, se aveva scritto qualcosa su quel LokSat, magari un triller sui servizi segreti.
Mise inizialmente il libro sulla scrivania del suo studio, la busta gialla in bella vista nello spazio solitamente usato dal portatile. Vide che da un lato era aperta. In fondo una sbirciatina non avrebbe fatto nulla. Stette molto tempo con le mani sul quel manoscritto indecisa su cosa fare. 
Alla fine lo prese e lo estrasse dalla busta gialla. Il titolo già la lasciò a bocca aperta. “Castle Tales - Di unicorni ed altri animali magici”. Un libro di favole per bambini. Il celebre scrittore di libri gialli in tutto quel periodo aveva scritto favole per bambini e a giudicare dal numero di fogli dovevano essere molte. Portò tutto il contenuto della busta sul letto e lo sfogliò leggendo alcuni titoli con nomi di animali improbabili e piuttosto buffi. Ne trovò infine una contrassegnata da un post-it rosa. Non c’erano note solo un punto esclamativo. Era la favola degli unicorni, sicuramente quella che aveva dato spunto al titolo libro. Kate cominciò a leggere ad alta voce la fiaba, come se avesse già la sua piccola da far addormentare…

C’era una volta in un bosco incantato Principe e Principessa, una coppia di unicorni felici ed innamorati. Erano i custodi della giustizia del bosco ed avevano enormi poteri magici. Tutte le creature li rispettavano e li amavano per la loro onestà e la capacità di decidere sempre in modo giusto ogni disputa tra gli animali e proteggerli dalle creature malvagie. Principe e Principessa ebbero una figlia, Muse, che amavano più di ogni altra cosa. Lei aveva ereditato dai genitori non solo i loro poteri magici ma anche la stessa bellezza e grazia, il candido mantello, l’onestà ed il loro senso di giustizia.
Un giorno arrivò nel bosco un potente e malvagio stregone che era attirato dal potere degli unicorni e lo voleva per se, per essere invincibile ed immortale. Con uno stratagemma crudele uccise Principe e Principessa che avevano nascosto la loro piccola per non farla catturare. Muse rimasta sola fu disperata. La giovane unicorno pianse talmente tanto che le sue lacrime offuscarono la sua figura togliendole lo splendore del mantello magico ed il loro sale corrose il suo corno magico a tal punto che si consumò. Sola e disperata Muse vagò per il bosco e per il resto del reame fino a dimenticarsi chi fosse e da dove venisse. Sapeva solo il suo nome, nulla di ciò che era.
Vagò fino ad arrivare alle grandi pianure dove provò a mescolarsi ad un branco di cavalli dell’ovest. Muse spiccava tra tutti per la sua grazia e le sue movenze così diverse dagli altri, ma ben presto si abituò alla loro andatura cominciando a spostarsi con il branco senza però mai dare confidenza a nessuno, tanto che i giovani la chiamavano la selvaggia e tutti avevano paura a darle confidenza perchè lei tutti rifiutava e tutti allontanava preferendo continuare a stare sola. Solo un giovane unicorno fu più insistente degli altri, un giovane che non accettava i suoi “no” e più lei lo cacciava, più lui la inseguiva. Kiddo era fatto così, insistente e fastidioso, ma anche buffo e generoso e alla fine riuscì a far ridere anche la selvaggia Muse e a farla innamorare di lui.
Così Kiddo e Muse cominciarono a correre insieme per le praterie e più correvano, più gli occhi ed il mantello di Muse tornavano a splendere lucenti. 
Anche Kiddo e Muse ebbero una figlia, una piccola con gli stessi occhi lucenti della madre ed il mantello scuro come il padre. La piccola Bebe però aveva una particolarità che tutti guardavano con sospetto. Una piccola protuberanza sul muso che più cresceva più diventava grande e brillante. Quando la notizia di questo strano cavallo giunse alle orecchie dello stregone non ci mise molto a capire che quello strano cavallo dal mantello lucente del branco dell’ovest era la figlia sopravvissuta di Principe e Principessa e si mise a cercarla.
La piccola Babe cresceva sempre più isolata dal resto dei piccoli del branco che la prendevano in giro giudicandola diversa per il suo corno. Piangeva e lo malediva sperando che potesse scomparire. 
Un giorno il malvagio stregone la avvicinò dicendole che se le avesse detto dove poteva trovare la sua mamma lui l’avrebbe liberata del suo corno così poteva essere come tutti gli altri giovani. 
Babe indicò il punto vicino alla cascata in cui Muse era solita riposarsi attendendo il ritorno di Kiddo con gli altri del branco e quando lo stregone la raggiunse le scagliò una maledizione mortale. Ma Muse aveva dentro di se ancora quel soffio di magia che non sapeva più di avere e non morì ma rimase addormentata in un sonno tutto simile alla morte. Quando Kiddo e gli altri tornarono la trovarono così distesa inerme e le urla disperate del giovane stallone risuonarono per tutta la pianura fino ad arrivare a Babe che impaurita corse verso la madre, ignorando lo stregone vicino a lei che voleva farle il suo incantesimo e quando lui provò a toccare il suo corno questo diventò così luminoso che lo fece sparire in una pioggia di cenere. Babe fu spaventata da quanto appena accaduto ma corse ancora più veloce fino alla cascata e quando vide la madre accasciata a terra con gran parte del branco intorno si vergognò sentendosi colpevole. Kiddo rincuorò sua figlia e lei si stese vicino alla madre, strusciando il muso contro il suo, bagnandola con le sue lacrime e sfregandole il suo corno sulla fronte. 
Quella protuberanza tanto odiata da Bebe si illuminò ancora e temendo la stessa cosa accaduta allo stregone si ritrasse subito. Ma Muse fu investita da una pioggia di polvere di stelle e immediatamente riaprì gli occhi rialzandosi in piedi. Per magia anche il suo corno ricrebbe ed ora tutti poterono riconoscere in lei la figlia di Principe e Principessa. Muse cercò subito Kiddo con il suo sguardo scintillante e lui le andò incontro felice come non mai di riaverla con se dopo aver temuto di averla persa per sempre e tenne vicino a se entrambe le sue due creature magiche. Babe fu considerata un eroe dagli altri piccoli del branco per aver salvato sua madre. Muse diventò così come erano i suoi genitori un custode della giustizia del bosco e continuò a cavalcare per il resto dei suoi giorni con Kiddo al suo fianco e ovunque andassero lui narrava innamorato a tutti le gesti eroiche della sua Muse e della piccola Babe. 

Kate aveva cercato di non piangere mentre leggeva, ma ad ogni riga diventava più difficile, così come continuare a leggere ad alta voce. Prese il telefono e compose solo un messaggio: “Mi manchi troppo”.

   
 
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