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Autore: Aivy    11/08/2016    0 recensioni
Jason Jane non ha mai avuto bisogno di nulla più di quel che ha: Taylor Green, la cugina-mamma-sorella-amica che si stente in dovere di proteggerlo dal suo passato; Dominic Mason, il coinquilino ermafrodito con la tendenza a distruggergli casa nei suoi accessi d'ira... e tanto variegato calore umano a tenere al largo i suoi incubi.
Ma quando una misteriosa stalker punta gli occhi su di lui, Jason non è pronto a fare la preda. Lei chi è? Lei cosa vuole, solo sesso?
E se niente fosse come sembra?
Elys non è la persona giusta per lui, non è giusta per nessuno: troppi demoni e segreti la tormentano... starle vicino è pericoloso. Innamorarsi di lei è profondamente sbagliato, ma ad amare non si sbaglia mai.
"Allora fammene e non farti scrupoli, se davvero credi di poter arrivare a tanto, feriscimi più a fondo che puoi. Sappi che mi rialzerò perché sei stata tu stessa a dirmi che amare non è uno sbaglio, come non è mai semplice... e proprio per questo non puoi avere il coraggio di dirmi ora che non mi credi. Vuoi renderlo difficile Elys? Fallo: lo semplificherò io. Sempre: facile o difficile che sia."
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Universitario
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Ero sbronzo marcio.
Completamente, fino al midollo. Avevo perso il conto degli short che mi ero sparato per tutta la serata e fino a quel momento, ma perlomeno avevo ottenuto il risultato che volevo: ero stordito a sufficienza da non sentire più niente. Ne l'umiliazione. Ne la rabbia. Ne il dolore.
La mia camera girava come un flipper sotto i miei occhi e nemmeno la porta voleva smetterla di ballare un fastidioso walzer. Ero perfettamente sicuro di quello che stavo guardando anche se si trattava solamente di uno stupido film che mi stavo girando da solo. Pelle d'ambra, occhi da gatta e una cascata di capelli ramati. Un bellissimo stupido film.
Non ero sicuro che fosse sano per me in quel momento varcare la soglia. Gli short non sembravano mai abbastanza per stordirmi. Niente ci era più riuscito da quando avevo messo le mani su quella gatta suadente ed incantatrice.
Dove diavolo era finita?!
Barcollai fino alla porta di fronte alla mia.
Incespicai in qualcosa che era stato abbandonato per terra e mi schiantai contro lo stipite di fronte. Forse ci battei pure la testa, ma non ne ero sicuro: ero abbastanza stordito per questo, ma non per dimenticarmi di lei. Con una spallata aprii del tutto la porta e guardai il letto di Dom.
Lui dormiva.
"Dom" biascicai, la voce rauca che mi grattava in gola.
Sentivo ancora la musica a palla ronzarmi nelle orecchie.
Entrai nella sua camera cercando di restare il più dritto possibile, ma con tutta probabilità feci una lunga S davanti al suo letto prima di riuscire a raggiungerlo. Dormiva fisso. A pancia in giù. Le spalle scoperte e un piede fuori dalle coperte.
Guardai il suo piede. Era piccolo e sottile.
Strizzai gli occhi.
Non era possibile.
Mi piegai nella penombra e presi abbastanza male le misure da ritrovarmi a barcollare con il naso a pochi millimetri dalla sua caviglia. Ma perlomeno ero abbastanza vicino da poter leggere bene quello che aveva tatuato sul interno della caviglia. Quando se l'era fatto? Non me ne aveva mai parlato. Strizzai forte gli occhi e cercai di mettere insieme le varie lettere nel giusto ordine.
"Ma g da l en" scandii in un sussurro.
Strano.
Mi sollevai di nuovo in piedi barcollando indietro e di qua e di la mentre cercavo di raggiungere le sue spalle per scrollarlo e chiedergli spiegazioni. Fanculo se stava dormendo! Perché aveva il nome della donna che mi stava distruggendo tatuato sulla caviglia?
"Dom!" lo chiamai di nuovo: mi parve di urlare ma probabilmente il mio era stato solo lo sbuffo inarticolato di un ubriaco.
Di nuovo strinsi gli occhi cercando di aguzzare la vista nella penombra mentre pilotavo la mia mano verso la sua spalla. Aveva un altro tatuaggio anche lì? Mi misi le mani sulle ginocchia e mi piegai di nuovo su di lui che continuava a dormire alla grossa sotto il mio esame.
Dovevo essere più sbronzo del solito per essermi dimenticato tutti quei tatuaggi su di lui, ma di questo avevo un vago ricordo. Molto vago. Di nuovo scandii le lettere faticando a metterle nell'ordine giusto.
"D omi ni c"
Rimasi a reggermi per le ginocchia mentre una campanella d'allarme prese a suonare come una pazza nella mia testa. Ricordavo cosa doveva avere tatuato sulla spalla e non era il suo nome. Ma che diavolo stava succedendo?
Sapevo chi aveva quel tatuaggio sulla spalla con quello stesso nome.
Lo avevo baciato una settimana prima.
Recuperai al quarto tentativo il mio cellulare dalla tasca dei pantaloni e solo al quinto riuscii a far partire quella maledetta telefonata che era da settimane che mi rifiutavo di fare. Rimasi a fissare il display illuminato mentre componeva il numero e cominciava a squillare.
Con mio sommo orrore Bruno Mars prese a cantare dapprima in sordina dall'altra parte del letto di Dom. Il suo cellulare brillava, suonava e vibrava.
Era un caso?
Misi giù e ricomposi il numero di Magdalen: se mi avesse preso per pazzo poco me ne fotteva in quel momento. Avevo resistito fino a quel momento nel richiamarla, ora avevo bisogno di capire. Che fossi sbronzo o meno era l'ultimo dei miei pensieri!
Dom sollevò un braccio con un mugugno e agguantò il telefono che aveva ripreso a suonare sul suo comodino. Spiò il display e se lo portò all'orecchio.
"Pronto? Jason?" biascicò per metà nel cellulare e per metà sul cuscino.
"Che cazzo vuol dire?!"
Lo vidi trasalire mentre si voltava in un lampo verso di me, finalmente consapevole della mia presenza accucciata di fianco al suo letto con il mio telefono in mano. C'era il numero di Magdalen che brillava sul mio display. Quello di Dom lo conoscevo a memoria e non si somigliavano minimamente. Ma mi aveva risposto Dominic.
Incrociò il mio sguardo e ogni traccia di sonno era sparita dai suoi occhi.
"Che cazzo vuol dire questo, Dominic?!"
   
 
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