Film > Sherlock Holmes
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Autore: Haibara Stark    12/08/2016    1 recensioni
"Se fosse stato un po’ più attento, come era sempre solito fare, probabilmente Sherlock Holmes avrebbe sentito il cuore del dottore incrinarsi. Segretamente sperava di cogliere questo leggero suono, lo stesso che aveva fatto il suo di cuore quando aveva capito che non sarebbe riuscito a convincere il vecchio amico a restare, a non sposarsi. Ma lui non sapeva niente di sentimenti, era risaputo, e non si accorse di come esso ebbe invece prodotto un suono forte e sordo. " || Holmes lascia il Paese per seguire un caso ed al suo ritorno porta con sé una (s)gradita sorpresa al dottor Watson. Misteri, bugie e segreti. I nostri protagonisti si trovano ad affrontare i loro fantasmi, mentre un nuovo antagonista cospira avvolto nell'ombra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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•••

Londra vide l’alba sei volte prima che il destino bussasse alla porta di Baker Street. Hope si levò di buonora quella mattina e non fu sorpresa di non trovare Sherlock Holmes nella stanza da letto. Si vestì con cura, lisciando ogni piega del vestito color edera, e acconciò i capelli in una treccia. Rimase a mirarsi nella specchiera. Sul volto erano sempre visibili i segni della recente sventura, che ancora accompagnava i suoi incubi. Nessuno di loro aveva riportato ustioni importanti, ma le pelli non avevano ripreso del tutto il loro colore naturale nelle zone offese ed escoriazioni di varia natura si stavano ancora rimarginando. Hope accarezzò con l’indice mancino un livido sotto lo zigomo e il suo sguardo cadde sul riflesso dell’anulare. Osservò gli anelli con cura, prima nello specchio e poi nella realtà, come se li vedesse per la prima volta. Sospirò, per poi sfilarli lentamente e poggiarli entrambi sulla superficie del mobile. Il giorno era arrivato. Si incamminò fuori dalla stanza fino ad entrare nella sala, dove trovò Watson seduto a fare colazione.
“Buongiorno.” Lo salutò, con un breve sorriso di circostanza che venne ricambiato.
“Buongiorno anche a lei.”
Hope non sapeva cosa fosse successo prima del suo risveglio, ma certamente il buon dottore non aveva lo stesso comportamento cui l’aveva abituata: non sarebbe stata spesa altra parola, infatti, per lei nel resto della giornata, almeno che non si trattasse di un saluto cordiale o di una breve risposta a una sua domanda. La situazione la infastidiva più di quanto avrebbe mai ammesso, perché non riusciva a intendere cosa fosse accaduto – che la incolpasse per quello che era successo, forse? – e non aveva materialmente il tempo per dare risposta ai suoi dubbi.
Non si sedette con lui e raggiunse la finestra, dove scostò leggermente la tenda con due dita per guardare fuori e lasciarla aperta.
“Non si unisce a me per la colazione?”
Hope si voltò, guardandolo con genuino stupore e curiosità.
“Non ho appetito.” Rispose.
“La vedo piuttosto pallida. È sicura di non voler mangiare qualcosa?”
Lei sorrise brevemente. “È molto gentile a preoccuparsi.”
“Non ha risposto alla mia domanda.”
“Ha ragione. Sì, sono sicura. Ma prenderò posto insieme a lei.”
Watson la seguì con lo sguardo mentre copriva la distanza dalla finestra alla sedia all’altro capo del tavolo. Era ben conscio di aver mantenuto un comportamento scorretto nei suoi confronti; ne aveva meditato tutta la notte e aveva deciso che non era giusto punirla – per così dire – per una cosa di cui non aveva direttamente colpa. Non era colpa sua se era stato così sciocco da innamorarsi del suo migliore amico e a dare per scontato che l’altro sarebbe stato accanto a lui per sempre. Era stato sciocco ed egoista, per non parlare della sua ipocrisia: lui era stato il primo ad allontanarsi per stare affianco ad un’altra persona, anche se lo aveva fatto per mantenere le apparenze.
Hope era davvero molto pallida. Vagava con occhi stanchi lungo la superficie del tavolo, tenendo le mani intrecciate in grembo e senza mai incrociare il suo sguardo.
“Qualcosa la turba?”
Lei sorrise brevemente ed alzò gli occhi su di lui. “No.”
Watson attese, ma la risposta non proseguì. Finì la sua colazione nel silenzio più totale, osservando di tanto in tanto il comportamento dell’altra. Non era intenzionato a porle altre domande cui sicuramente non avrebbe risposto, ma non poté fare a meno di iniziare a preoccuparsi. A distoglierli dai loro pensieri fu l’arrivo di Mrs. Hudson, che li coinvolse in una sorridente conversazione fatta di leggerezze mentre raggruppava le stoviglie da portare al piano di sotto. Qualche istante dopo che la padrona di casa ebbe lasciato la stanza Holmes fece il suo ingresso: aveva un sorriso furbo e gli occhi accesi di soddisfazione.
“Sono felice di trovarvi qui riuniti.” Camminò a passo svelto nel mezzo della stanza. “È giunto il momento che condivida con voi tutto ciò cui le mie indagini hanno portato. Ma vi prego, mettetevi comodi! Non c’è alcun motivo per cui dobbiate rimanere all’impiedi!” Il detective gesticolò verso le poltrone e il divano ed attese che i due compagni prendessero posto prima di ricominciare a parlare:
“Il giro di affari di Timothy Carlton ha da sempre squisitamente attirato la mia attenzione. Un magnate che lavora di sotterfugi e inganni, con capacità intellettive e criminose inferiori solo a quelle del Professore. Il dottore può confermare quanto queste qualità solletichino il mio genio. Ed è per questo motivo che anche l’attuale più famoso ladro di Inghilterra ha attirato la mia attenzione.”
“The Man?” Chiese Watson.
“Esattamente.”
“Questo cosa ha a che fare con Carlton?”
“Mio caro amico, è legato a questo caso molto più di quanto possiate immaginare.” Guardò rapidamente Hope prima di tornare a parlare. “Abbiamo a che fare con un ladro molto astuto, dalle indiscutibili capacità atletiche e dalle tempistiche ammirevoli. In media è riuscito a svaligiare due ville a settimana nell’arco di un mese, tra cui quella del nostro Carlton che è stata l’ultima.”
“Una concentrazione altissima di furti conclusasi repentinamente.”
“E ricorda quanto tempo è trascorso?”
Watson si mise a riflettere. “Più o meno da quando siete partito per la Francia.”
“Non lo trova curioso?”
“Si tratta sicuramente di una coincidenza.”
“Le coincidenze non esistono, raramente l’universo è così pigro.” [11]
“Con i vari bottini potrebbe essersi sistemato per tutta la vita. Oppure potrebbe-” Il dottore si bloccò.

Credo conoscerà il magnate Timothy Carlton, sì? Ebbene, ho effettuato una rapina a suo danno qualche settimana fa, venendo a conoscenza che la maggior parte degli oggetti d’arte che commercia sono dei falsi. [12]

Si voltò leggermente verso Hope; la donna era immobile, la schiena ritta e rigida, con le mani incrociate tenute in grembo.
“Oppure potrebbe aver scoperto qualcosa che lo ha portato alla necessità di sparire.” Concluse la frase e Holmes lo guardò provando una punta di orgoglio per quello che il compagno era riuscito ad imparare nel corso di quegli anni.
“Un’altra cosa che aveva attirato la mia attenzione era la necessità di marcare il fatto che si trattasse di un individuo maschio a compiere questi furti. L’ottusità degli Yarder non li avrebbe mai portati su una strada diversa, ma il ladro ha avuto l’accortezza di plagiare la mente di ogni singolo cittadino. Chi mai potrebbe credere che il colpevole sia una donna se sulla scena del delitto viene espressamente detto che si tratta di un uomo.”
“Nessuno, a parte Sherlock Holmes.” Hope uscì dal suo silenzio, ma non rilassò le spalle.
“Mi hai dato tutti gli indizi giusti. Durante il nostro primo colloquio mi hai esplicitamente detto da chi stavi cercando di fuggire e perché.”
“Le cose stavano così.”
“Una persona così accorta come te non si sarebbe lasciata sfuggire un dettaglio così rilevante. Hai lavorato attentamente per restare completamente nell’ombra, avresti potuto inventare qualsiasi cosa per far sì che ti dessi il mio aiuto.”
“Sono certa lo avresti scoperto.”
“E allo stesso tempo” continuò, “saresti potuta sparire nel nulla nel momento stesso in cui hai scoperto che Carlton conosceva la tua vera identità. Certo, lui è un uomo molto influente e avrebbe potuto darti la caccia, ma nessuno ha tentato di seguirci quando ci siamo ritirati in Francia.”
“Devi averci riflettuto molto. A che conclusione sei giunto?”
“Carlton voleva che venissi da me.”
“Cosa?” Watson passò lo sguardo dall’uno all’altra con le sopracciglia corrugate. “Quale motivo avrebbe avuto?”
“L’unico problema più grosso di una ladra con grandissime doti che ha scoperto il tuo segreto è un detective che sta cercando di incastrarti e distruggere tutto ciò che hai creato. Quale modo migliore di liberarsi di entrambi in un colpo solo. Ho ragione?”
Hope non rispose. Si limitò a sostenere il suo sguardo con espressione neutra, così in contrasto con la sua postura.
“Sta dicendo che Carlton vuole uccidervi entrambi?”
“Sto dicendo che Carlton ha mandato Hope ad uccidermi.”
Il silenzio cadde su di loro.
“Tutto questo è assurdo!” Watson si mosse a disagio e si rivolse alla ragazza: “È vero ciò che dice? Si è infiltrata qui con l’intento di uccidere?”
La giovane donna mantenne lo sguardo su Holmes, ignorando la domanda del dottore. Poi parlò:
“Quando lo hai capito?”
“Ne ho sempre avuto il sospetto e ne ho avuta la conferma con l’irruzione in questa casa. Non erano venuti con l’intento di perpetrare un omicidio, ma come avvertimento. Il tempo scorreva e tu non gli stavi dando ciò che voleva.”
“Quegli sciocchi omuncoli non conoscono il concetto di piano a lungo termine come noi. È stato un vero tedio tentare di fargli capire come stavo agendo…” Si alzò in piedi. Watson si mise sulla difensiva, pronto ad agire nel caso ce ne fosse stato bisogno. Aveva visto Hope in azione e non era più sicuro di sapere cosa o non cosa sarebbe stata in grado di fare ora che Holmes aveva scoperto il suo gioco.
 “In particolar modo perché quello non era il tuo piano. Sono rimasto davvero colpito dal tuo scaltro e il tuo ingegno. Per non parlare della capacità di tirare i fili di un teatrino del genere. Ammetto di aver impiegato più del dovuto a capire come stavano realmente le cose. Far credere a Carlton di stare al suo gioco, di acconsentire alle sue richieste, montando uno scenario che ai suoi occhi doveva essere a danno del sottoscritto e a suo beneficio. Ma l’unica persona che può trarre beneficio da questa storia non è nessun’altra se non te.”
Hope sorrise tristemente. “La cosa è opinabile.”
Ed accadde.

•••

“Non ricordo con piacere la mia infanzia. Sono nata e cresciuta in un circo, sempre errando di città in città. Mio padre era una brava persona, ma dopo la morte di mia madre l'alcol lo rese manesco e molto irritabile. Ben presto mio fratello ed io iniziammo a sfruttare tutto ciò che avevamo imparato dal circo per guadagnarci da vivere da soli; eravamo due piccoli acrobati con una grande propensione alla recitazione e una buona memoria visiva: non usare queste qualità ci sembrò un sacrilegio, un'opportunità sprecata. E crescendo non abbiamo abbandonato il mestiere. È stato Nicholas[13]  ad avere l'idea.”
“Infiltrarsi all'interno per poter fare il colpo del secolo.”
“Sapevamo che non sarebbe stato facile e che avrebbe richiesto una lunga attesa, ma eravamo pronti a tutto.”
“Tranne che a trovarvi tra le mani della refurtiva composta da falsi. Per quanto tempo Nicholas è stato un sottoposto di Carlton?”
“Tredici mesi, e lo è ancora adesso. Siamo venuti a sapere troppo tardi che tutte le opere d'arte nella villa di Londra sono tutti dei falsi.”
“A tue spese.”
Sorrise amaramente. “Non so come fecero a trovarmi quella sera. So solo che ero certa non avrei più rivisto la luce del sole.”
“Ma Carlton aveva altri piani.”
“Ho fatto molte cattive azioni nella mia vita: ho truffato, mentito, rubato, ma non ho mai ucciso nessuno. Non sarei mai riuscita a toglierti… a toglierle la vita.”
“Quella notte, quando sei venuta da me, non hai mentito, volevi realmente essere protetta. Hai portato avanti la messa in scena perché ti osservavano. E questo era ciò che lui si aspettava da te.”
“Speravo con tutto il cuore che la situazione si risolvesse da sola. Che riuscisse ad incastrare Carlton-”
“Sei tornata a darmi del lei.”
Hope lo guardò in silenzio per qualche secondo, non aspettandosi un’affermazione del genere. “È vero.”
“Non è cambiato niente.” Iniziò Holmes.
“Come può affermare una cosa del genere?” Domandò lei, lasciando trasparire il rimorso dagli occhi e dalla voce. “Le ho mentito a bella posta, con l’egoistico intento di salvare la mia pelle e la mia anima! Ho rischiato di farvi uccidere entrambi dentro quel magazzino!” Spostò lo sguardo, ormai lucido, sulla parete. “Non merito il vostro aiuto. Non merito di stare qui…”
“In fede mia, sarei la più crudele delle persone se ti lasciassi al tuo destino precludendoti il mio aiuto!”
Holmes le sorrise, cercando di rassicurarla.
“Puoi esserti nascosta dietro tanti volti,” la interruppe “ma c’è stato un momento, da quando tu e John siete stati attaccati in casa, in cui hai smesso di mentire. O quasi del tutto.”
Si sporse verso di lei.
“Qual è il tuo nome?”
La ragazza esitò, stringendo le lenzuola tra le dita.
“Charlie.” [14]

•••

Era successo tutto troppo in fretta. Troppo in fretta. John Watson non sapeva con certezza, in vita sua, quante persone aveva visto morire davanti ai suoi occhi. Troppe morti. Ma quella sensazione di nausea mista a rabbia e senso di colpa era una cosa a cui non si era mai abituato, e in quel momento era forte e prepotente in lui, tanto che avrebbe voluto urlare.
La finestra era esplosa in mille pezzi quando il proiettile vi aveva impattato contro, per poi concludere la sua corsa nel corpo di Hope, che si era accasciata sul tappeto di pelle di tigre. Non c’era stato nulla da fare.
“Watson.”
Il dottore non si mosse. Rimase con la schiena appoggiata al muro esterno dell’obitorio, lo sguardo perso in un punto imprecisato. Holmes entrò nel suo campo visivo, fermandosi dritto in piedi davanti a lui. Lo osservò: niente in lui dava l’idea di un possibile cedimento, della possibilità che si lasciasse emotivamente struggere come stava facendo lui. Non era un comportamento da Sherlock Holmes.
“Watson…”
“È sempre così difficile.”
“A cosa si riferisce?”
“Al convivere col senso di colpa.”
“Non si dia colpe che non ha, dottore. Non poteva fare niente per salvarla.”
“Questo non mi fa sentire meglio.” Chiuse gli occhi per un istante. “Ha cercato aiuto in noi, ed è morta nell’unico posto in cui pensava di essere al sicuro. E dopo il giorno dell’esplosione io…”
Holmes lo interruppe afferrandolo fermamente per le spalle.
“Non hai niente da rimproverarti, John. Devi credermi.”
Si guardarono negli occhi per un tempo che parve eterno, fino a quando Watson non si costrinse ad abbassare lo sguardo, perché il desiderio di far sua la bocca del detective stava diventando irrefrenabile.
Holmes distolse lo sguardo a sua volta, schiarendosi la voce, e fece scivolare le mani via dalle sue spalle con una carezza leggera. “È ora di rientrare, dottore. Mrs. Hudson sarà in pena per ciò che è successo.”
In risposta ottenne solo un lieve cenno del capo, ed insieme si avviarono verso Baker Street.

•••

“È una cosa che mi sta bene… morire per te.”

Che cosa stupida e sentimentale. Holmes sbuffò vistosamente mentre scioglieva il bendaggio che gli era stato fatto all’avambraccio. Il dottore che si era occupato di Watson e di Hope aveva insistito per medicare anche lui e a niente erano valse le sue proteste. Per cui, ora si trovava lì, a  eliminare quelle fastidiose bende. Se John avesse saputo che si era tolto le fasce appena messe gli avrebbe fatto una ramanzina lunga secoli. Sorrise all’idea, ma il pensiero di quello che era successo lo colpì come uno schiaffo. Si voltò: Watson giaceva tranquillo nel suo letto, con le braccia adagiate sulla coperta, come era stato lasciato dal medico.
Nella mente del detective era ancora viva l’immagine del suo Boswell immobile ed inerme sotto quella trave in fiamme. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, per poi andare a sedersi sul bordo del letto. Aveva rischiato di perderlo per sempre. Sarebbe bastato che fosse tornato in dietro con qualche minuto di ritardo e Watson non ce l’avrebbe fatta. Non avrebbe mai potuto perdonarselo.
Dopo qualche istante di esitazione poggiò la mano su quella dell’amico.
“Te lo avevo detto: io mantengo sempre la parola.” [15]
In risposta ottenne solo il silenzio assordante della stanza.
Rimase in quella posizione a lungo, osservando l’amico inerte, finché il suo corpo non reclamò a gran voce l’attenzione su di sé. Le pareti della gola erano ancora irritate dal fumo inalato e le ferite pizzicavano la pelle in maniera fastidiosa. Fece una smorfia. Non aveva nessuna intenzione di costringersi in quelle bende quando aveva così tante cose di cui occuparsi. Decise però che poteva concedersi un sorso d’acqua e si alzò per prendere la caraffa che Mrs. Hudson aveva lasciato sul canterale del dottore. Quando ne afferrò il manico la vide tremare. I suoi nervi stavano venendo messi duramente alla prova. Si morse il labbro inferiore con rabbia. Come aveva potuto essere così sprovveduto? Come aveva potuto permettere che accadesse? Versò con impeto il liquido nel bicchiere, facendone cadere un po’ sul pavimento, e bevve. Doveva assolutamente mettere in chiaro le cose con Hope – sempre se quello era il suo vero nome – e renderla partecipe del fatto che lui sapeva. Questo probabilmente avrebbe facilitato le cose. Li avrebbe aiutati a concludere il caso.
Si voltò nuovamente verso di Watson. Lasciarlo da solo in quello stato non era una cosa che lo rendeva tranquillo, avrebbe preferito vegliarlo fino a che non avrebbe aperto gli occhi, ma la situazione stava precipitando di minuto in minuto e non poteva permettersi di restare. Rimise il bicchiere al suo posto e uscì.

•••

“Holmes!”
Il dottor Watson era entrato nella sala da pranzo con l’aspetto e l’agitazione di chi aveva appena appreso qualcosa di estremamente importante: gli abiti erano leggermente scomposti e il respiro affannato, segno evidente che aveva camminato e salito le scale con passo svelto, ed i suoi occhi erano sgranati, colmi di sorpresa e incredulità. Si tolse il cappello con una mano, mentre con l’altra sventolava il giornale del mattino.
“Avete letto la notizia in prima pagina? È davvero incredibile!”
Il detective, dal canto suo, rimase impassibile nella sua poltrona, continuando a fumare una sigaretta.
“In nome del Cielo, Watson! Sì, ho letto l’articolo. Ora si ricomponga e venga a sedersi.”
Watson lo guardò incredulo. “Se lo ha letto come può essere così calmo?”
“Perché mai non dovrei esserlo?”
Il dottore poggiò il giornale sul tavolo e si tolse il cappotto, prima di prendere posto di fianco al suo amico.
“Carlton è stato ucciso con un colpo di pistola alla testa e questo non la fa scomporre minimamente?”
“Watson,” piegò la testa di lato per guardarlo meglio. “parla come se non mi conoscesse.”
L’altro aprì la bocca per ribattere, ma esitò quando notò che lo sguardo del detective si era spostato in quel punto del pavimento in cui un tempo vi era stata la pelle di tigre. Erano passati cinque giorni.
“Era un caso che ti stava molto a cuore.” Disse infine.
Holmes strinse gli occhi, per poi lanciare la sigaretta contro la grata del camino.
“Mio caro amico.” Si voltò interamente verso il coinquilino, con espressione seria sul volto. “Nel corso di questi mesi non sono stato del tutto sincero con voi. Ritengo sia arrivato il momento di metterla al corrente di tutti i fatti.”

•••

“Facciamo un riepilogo della situazione, vuoi? Carlton ti ha mandato qui con l’intento di eliminarmi in cambio della tua libertà, ma sappiamo entrambi che c’è un’alta probabilità che non mantenga la parola data. Tuo fratello Nicholas è sempre un suo sottoposto fidato, sì? Bene, questo potrebbe tornarci molto utile. La domanda ora è: come?”
“In realtà la mia domanda è: di cosa stai parlando?”
Holmes rise genuinamente. “Come facciamo a far credere a Carlton che tu sia morta.”
“Oh.” Hope lo guardò accigliata. “Devo supporre che ti piaccia simulare morti nel tempo libero?”
“Vedo con piacere che ti è tornata la voglia di essere ironica con me.”
Le guance di lei si colorirono vistosamente. “Mi dispiace.”
“Non devi.”
“La tua genialità mi ha confuso.”
“Ne sarei lusingato se fosse la verità.”
“Lo è.”
“Bene allora.”
Gli occhi di Holmes brillarono improvvisamente. “Il miele pazzo. Blackwood si finse morto in questo modo. Potrebbe funzionare.”
“Ammetto che sto realmente faticando a starti dietro questa volta.”
Il detective si mosse sulla sedia, visibilmente esaltato per ciò che la sua mente stava elaborando. “Quante probabilità ci sono che tuo fratello riesca a convincere Carlton a permettergli di ucciderti?”
Il volto di Hope si incupì. “Vuoi che… Nick finga di uccidermi?”
“È l’unico uomo che abbiamo all’interno.”
La ragazza masticò leggermente il labbro inferiore con gli incisivi, ragionando su quello che aveva appena appreso.
“Sì. Sì, potrebbe funzionare.”
Holmes sorrise sornione. “È un mio piano: funzionerà senz’altro.”

•••

“Io non riesco a crederci!”
“Watson ha intenzione di farsi sentire da tutto il vicinato?!”
Il dottore era diventato paonazzo. Il racconto di Holmes lo aveva sconvolto, non riusciva a credere che gli avesse mentito così spudoratamente di nuovo. Ora erano entrambi in piedi, fronteggiandosi. “Avevo bisogno che anche lei credesse a ciò che era successo.”
“In questi ultimi cinque giorni mi sono lasciato logorare dai sensi di colpa!”
“Le avevo detto che non ce ne era motivo.”
“Sì, già, perché se lei mi dice una cosa del genere omettendo il fatto che Hope è viva io automaticamente non mi sentirò in colpa!”
“Uh…”
“Senza contare il come mi sono sentito per lei.” Gesticolò verso di lui.
“Me?”
“Sì, per te! Dio…” Si passò una mano sul volto.
Holmes lo fissò in silenzio per qualche istante, poi parve capire: “Crede ancora che io avessi un vero interesse amoroso nei confronti di Hope?”
Watson si sentì arrossire leggermente. “Miss Hope è una bella donna e ha una mente perfettamente in sintonia con la sua.”
Il detective rise, indispettendo l’altro. “Non mi derida in questo modo!”
John.” Il tono con cui il suo nome uscì dalle labbra di Holmes lo fece fremere. “Non ricorda niente di quando sono tornato a prenderla?”
Il dottore lo guardò confuso. “No, io ero svenuto, non se lo ricorda?”
In quel momento, se non lo avesse conosciuto bene, Watson avrebbe giurato che Holmes stesse provando dell’imbarazzo. Il detective si passò una mano tra i capelli, spostando lo sguardo al camino.
“Non importa.” Tornò a guardarlo. “Io però ricordo perfettamente le parole che tu mi hai detto.”
Il cuore di Watson perse un battito. “Holmes, credevo che non ne avremmo-”
Il detective percorse la distanza che si era creata tra di loro e prese le sue mani.
“Mi dispiace di averle causato tutto questo dolore, John.”
Il dottore rimase immobile, pietrificato, con il cuore che batteva ridicolmente forte. E quando la speranza crebbe di nuovo dentro di lui si sentì uno stolto. Holmes non aveva smesso di guardarlo nemmeno un istante, tenendo quello sguardo profondo intrecciato al suo.
“Ammetto che all’inizio volevo prendermi una specie di rivalsa. Ripagarla con la stessa moneta per farle capire cosa avevo provato quando lei si è sposato. Col senno di poi, credo sia stata una delle cose più puerili che abbia mai fatto. In ogni caso era importante che anche lei lo credesse vero: se riuscivo a convincere lei che Hope era mia moglie potevo convincere chiunque. E, allo stesso modo, se avesse saputo che avevamo architettato una farsa per ingannare Carlton non ne sarebbe uscita una recita perfetta. Aimè, visti i recenti fatti, sono abbastanza sicuro che il fratello di Hope abbia preferito la salvezza di sua sorella alla sua anima, ma confido che siano già in viaggio per le Americhe e che non verranno accusati di alcun omicidio.”
Watson ingoiò un paio di volte prima di commentare: “Deve esserle costato uno sforzo enorme parlarmi così apertamente.”
Sorrise. “Tremendamente.”
“Ma perché uccidere Carlton, dopo tutto quello che avete fatto?”
“Posso solo supporre che Nicholas abbia voluto vendicare la sorella e assicurarsi di non avere spiacevoli sorprese in futuro.”
“Ha avuto gran coraggio e sangue freddo.”
Holmes aumentò leggermente la presa sulle sue mani. “Non si può mai sapere come reagirà una persona pur di salvare i propri cari.”
“Questo è indubbiamente vero.”
Si creò un silenzio pieno di domande e aspettative, fatto di pensieri rumorosi e sguardi ansiosi.
“Se devo essere del tutto onesto.” Esordì Holmes d’improvviso. “Ritengo che Hope abbia realmente una bella mente in sintonia con la mia. È davvero affascinante.” Sentì le mani di Watson irrigidirsi nelle sue. “Ma c’era un piccolo e non facilmente trascurabile dettaglio che non mi avrebbe mai permesso di accompagnarmi realmente a lei.”
“E quale sarebbe?”
“Lei non è te, John.”
Fece appena in tempo a finire di pronunciare quell’ultima sillaba  che Watson lo aveva già tratto di più a sé e si era appropriato delle sue labbra in un bacio carico di frustrazione e attesa mal celata. I denti cozzarono e le lingue si intrecciarono, danzando in una passione che infiammò i petti dei due uomini. Le loro mani scivolarono via le une dalle altre per concedersi finalmente il lusso di andare ad esplorare il corpo della persona tanto bramata. Le dita di Holmes si mossero veloci e discrete sui bottoni del gilet del dottore, senza mai smettere di carezzare con la lingua la sua, ed iniziò a spogliarlo, passando alla camicia. Il dottore emise un suono strozzato quando il detective spostò l’attenzione alla sua cintura.
Sherlock–”
“Uhm?” Gli morse la mandibola.
“Non staremo correndo un po’ troppo?”
Holmes si fermò ed indietreggiò di un passo. “Al contrario, ritengo che abbiamo atteso fin troppo.”
Gli regalò un sorriso sporco, mentre continuava ad indietreggiare ed iniziava a spogliarsi della camicia a sua volta. “E poi, dopo un caso del genere, ci meritiamo di festeggiare, non credi anche tu?”
Aveva ragione. Quanto tempo avevano perso cercando di fuggire da un sentimento considerato impuro e malato. Quanto tempo sprecato nel cercare di salvare le apparenze, e vissuto nella paura che l’altro non ricambiasse ciò che in realtà entrambi provavano. Watson ricambiò il sorriso.
“Se la metti in questi termini.”
Holmes gli porse una mano e lui lo raggiunse in pochi passi, per poi lasciarsi condurre nelle sue stanze. I respiri iniziarono a farsi più pesanti, le pupille dilatate e i corpi frementi, mentre finirono di togliersi i vestiti a vicenda e si lasciarono crollare sul letto uno sopra l’altro. Si muovevano con movimenti impacciati, travolti da un’emozione troppo forte da contenere, fatta di desiderio e timore. Watson sovrastò il compagno, reggendo il peso del corpo sulle braccia, e si concesse il lusso di osservare quelle splendide labbra gonfie di baci e morsi e quegli occhi scuriti dalla passione: non credeva che si sarebbe mai trovato davanti a spettacolo così bello. Holmes ricambiò il suo sguardo, respirando velocemente, e gli accarezzo le labbra con le dita.
“Sei spaventato.” Non era una domanda, ma una constatazione.
Watson sorrise lievemente. “Anche tu.” Si azzardò a rispondere.
Holmes non replicò in alcun modo, continuando a scrutarlo con attenzione.
“Oh, John Watson.” Esordì a un tratto. “Nessun’altra persona al mondo avrebbe mai potuto stravolgere il mio essere in tal modo come hai fatto tu.”
Neanche la più accorata delle dichiarazioni sarebbe potuta essere più esplicita di quelle semplici parole dette da lui, e questo Watson lo sapeva bene. Si sporse verso di lui per lasciargli un bacio a fior di labbra. “Lo so.”
E poi i muscoli si contrassero, le schiene si arcarono e i gemiti lievi e mal repressi riempirono l’aria, mentre le lenzuola si inumidivano.

•••

Sherlock Holmes non era il tipo di persona facile alla resa e in quell’occasione non fu da meno. Mentre l’edificio collassava lentamente su se stesso, il detective non aveva pensato nemmeno una volta di tornare indietro: avrebbe continuato la sua avanzata anche a costo di morire, non avrebbe lasciato nulla d’intentato. Ma, nonostante tutto, vacillò quando si trovò nuovamente davanti a un muro di fuoco. Aveva perso il conto di quante volte aveva già dovuto cambiare direzione sebbene ricordasse perfettamente la strada percorsa in precedenza. Chiuse gli occhi per un istante. La vista si stava annebbiando e l’ossigeno cominciava a mancare. Doveva resistere. Ricominciò a correre, ignorando le fiamme che si aggrappavano al suo cappotto.
Passò quello che parve un tempo lunghissimo prima che lo scorgesse: Watson aveva nascosto la testa sotto le braccia nel tentativo di ripararsi dal fumo, ma non era certo che fosse ancora vigile. Si lanciò verso di lui.
“Watson!” Gridò, come quando lo aveva trovato la prima volta, ma il dottore non si mosse.
Le travi che lo avevano intrappolato erano andate in buona parte distrutte, e Holmes non ci mise molto a liberarsene, sebbene lo sforzo fu ugualmente notevole.
Si inginocchiò accanto a lui e cercò di voltarlo. “Watson!... Watson!... John!”
Il dottore contrasse i muscoli facciali e aprì debolmente gli occhi. Holmes si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo.
“Grazie al Cielo è vivo!” Si tolse rapidamente il cappotto e lo usò per coprire la testa e le spalle del compagno. “Coraggio amico mio, si appoggi a me!”
Lo caricò sulla schiena, benché il dottore fosse più alto di lui, e ricominciò la traversata dell’Inferno. Si trovava a metà strada quando una gamba cedette sotto il peso dello sforzo, facendoli rovinare a terra. Holmes fece leva sugli avambracci, ansimando leggermente. Respirava a malapena.
“Io non-” Digrignò i denti per la rabbia e la frustrazione. “Non ti lascerò morire qui!” Colpì il terreno con il pugno. Iniziò a tremare. Non doveva arrendersi. Non poteva arrendersi. Con tutta forza che riuscì a trovare si issò nuovamente sulle gambe. Doveva portare John fuori da quel posto. Arrancò diversi minuti prima di riuscire a scorgere uno spiraglio di cielo.
“Ci siamo John.” Rantolò.
Impiegò tutto quello che era rimasto delle sue forze per percorrere quell’ultimo metro di agonia e quando finalmente fu fuori all’aria aperta crollò su se stesso, stremato. Cercò di nutrire i polmoni con ossigeno il più possibile prima di scivolare da sotto il corpo del dottore e trascinarlo lontano dal rogo come aveva fatto con Hope, per poi lasciarsi nuovamente cadere accanto a lui.
“John!” Gli sbottonò i primi bottoni della camicia e si affrettò ad accertarsi che stesse respirando. Ma non accadde niente. Il volto di Holmes divenne di pietra.
“No no no no,” un sorriso folle gli salì alle labbra “non può lasciarmi così adesso!” Si mise in ginocchio, cercando di tenersi in equilibrio ponendo i palmi sul petto del dottore. “E poi sarei io l’egoista bastardo!?”
Si mise in posizione, una mano intrecciata sull’altra, ed iniziò con la compressione del torace. La testa gli girava, non aveva ancora immagazzinato abbastanza ossigeno, ma questo non lo trattenne un solo istante dal poggiare disperatamente le labbra su quelle dell’altro nel tentativo di aiutarlo a respirare. Ripeté quelle azioni più volte. “Non… Ti prego…”
 Sherlock Holmes non ricordava di essersi mai sentito così in tutta la sua vita. Il dolore acuto che provava nel petto era atroce, superava il limite di qualsiasi sopportazione. Tempo addietro aveva preso la solenne decisione di nascondere le emozioni in una stanza remota del suo essere; stavano lì, discrete, nascoste dietro una maschera di indifferenza. Poi John Watson aveva aperto la porta.
Premette ancora una volta sullo sterno e soffiò altra aria nei polmoni con disperazione. Fu in quell’istante che il corpo sotto di lui ebbe uno spasmo e Watson tornò a respirare. Iniziò a tossire convulsamente, tanto che Holmes dovette afferrarlo per le spalle.
“Va tutto bene! Tutto bene…”
Il dottore sgranò gli occhi, mentre l’istinto di sopravvivenza lo spingeva a cercare l’aria con la bocca.
“È tutto finito. Tutto finito.” Gli sussurrò rassicurante il detective, che non poté fare a meno di chiedersi se non lo stesse ripetendo a se stesso. Si mosse di lato per far sì che il capo di Watson potesse adagiarsi sulle sue gambe, mentre lui teneva le mani poggiate ai lati del suo viso aspettando che il respiro dell’amico tornasse regolare. Passò qualche istante prima che si sporgesse fino a permettere alle loro fronti di sfiorarsi.
“Non puoi concederti il lusso di lasciarmi dopo quello che mi hai detto.” Gli confessò a mezza voce.
Quando tornò con lo sguardo su di lui, John Watson aveva perso nuovamente conoscenza, ma il suo petto si alzava e abbassava in maniera cadenzata. Holmes non era certo che lo avesse sentito. Tuttavia l’unica cosa che gli importava in quel momento era che lui fosse lì, vivo, e il resto non contava.


•••

Le ombre ballavano distrattamente sul soffitto, creando strane figure fantastiche e al contempo lievemente ipnotiche secondo l’opinione del dottor Watson, che le osservava mutare sopra di sé mentre carezzava pigramente i capelli del compagno sdraiato sul suo petto. Il silenzio che li avvolgeva era quasi surreale, dopo che i loro nomi si erano rincorsi e fusi così tante volte, accompagnati da ansiti spezzati e promesse a mezze voci.
“Un penny per i tuoi pensieri.”
Watson sorrise. Il silenzio non l’aveva mai vinta con Sherlock Holmes.
“Sono solo felice.”
Il detective alzò la testa per guardarlo in volto.
“Nessuna domanda esistenziale riguardo a cosa sarà del nostro rapporto d’ora in avanti?”
“Dovevo immaginare che saresti stato così fastidioso anche in questo frangente.” Rispose con un sorriso.
L’altro alzò le spalle con fare noncurante. “Conoscendoti, vecchio mio.”
Il dottore gli diede un leggero pizzicotto su una guancia ispida, guadagnandosi uno sguardo di disappunto che gli diede un moto di ilarità.
“Non vedo cosa ci sia di così divertente.”
“Hai ragione. Non c’è nulla di divertente. Ma come ricorderai sono felice, e quindi mi sono lasciato trasportare.”
“Suppongo che ormai dovrei arrendermi al non comprendere le tue stranezze.”
“Ah! Questa è proprio bella! Sarei io quello strano dei due?”
“Senza alcun dubbio, dottore!” Holmes lo guardò con fare serio. “Nessuno sano di mente si sarebbe mai innamorato del sottoscritto. Ma infondo nel corso della nostra lunga amicizia hai ribadito più volte il tuo essere psicologicamente disturbato. Contrariamente, invece-” Si zittì, resosi conto di star parlando troppo.
Watson si sistemò per riuscire a guardarlo meglio. “Continua, Holmes.”
“Niente. Il mio discorso è finito.”
“Questa è una menzogna che non cerca minimamente di sembrare la verità.”
“E invece è così ti dico!”
Il dottore rise lievemente e lasciò che il discorso cadesse come desiderava il compagno.
Tornò il silenzio per un lungo periodo di tempo, prima che Holmes decidesse che poteva valere la pena lasciare uno spiraglio aperto alla stanza delle emozioni.
“Suppongo che ciò che volessi dire fosse” si schiarì la voce, vagando con lo sguardo sulla stanza, “che è assolutamente folle pensare che qualcuno possa anche solo pensare di potersi innamorare di un tipo come il sottoscritto. Ma è altrettanto folle pensare che qualcuno non possa innamorarsi di una persona come te.” Tentennò un attimo. “Sempre che esista un altro uomo come te.” Concluse, posando gli occhi sui suoi, con un sorriso quasi timido sulle labbra.
Dopo un attimo di genuina sorpresa, il dottore gli sorrise apertamente e si sporse a cercare le sue labbra, col cuore colmo di gioia. Holmes allungò il collo verso di lui a sua volta, trovandolo a metà strada per un bacio pieno di parole.
“Sai, dovresti smetterla con queste criptiche dichiarazioni d’affetto. Potrei farci l’abitudine.” Ironizzò il dottore, sapendo che per Holmes risultava arduo da affrontare l’argomento in cui si erano addentrati.
“Quali dichiarazioni?” Rispose prontamente lui, con un sorriso di scherno.
“Nessuna.” Si chinò a baciarlo nuovamente. “Ovviamente nessuna.”


•••

Al di fuori dell’intima stanza, Londra urlava e viveva con tutte le sue forze. Tra i passanti chioccianti di Baker Street, un ragazzo dagli abiti sgualciti e sporchi osservava con calcolata noncuranza le finestre del 221B da sotto la corta visiera del berretto. Accanto a lui un giovane uomo alto e dinoccolato, dai vestiti molto simili ai suoi, si guardava intorno cercando di non dare nell’occhio.
“Odio metterti fretta, ma è esattamente ciò che farò”. Esordì l’uomo. “È davvero ora di andare, Charlie.”
Hope Castiel sorrise, sentendo la pelle sotto al silicone tirare leggermente.
“Precedimi di qualche passo.” Rispose al fratello, che si avviò lungo la strada con le mani in tasca e l’aria annoiata. La ragazza diede un ultimo lungo sguardo all’edificio che era stato il palcoscenico di quegli ultimi difficili mesi e poi si incamminò a sua volta.
Tutto finì come era iniziato: una ragazza in fuga, Baker Street e un segreto da celare. Ma nell’appartamento di Sherlock Holmes e John Watson le cose non sarebbero più state le stesse.



[11] Scambio di battute tra Sherlock e Mycroft nella 3x02 della serie tv Sherlock.
[12] Dal capitolo #04. Anche se la frase è estrapolata dal discorso avvenuto tra Hope e Holmes, quel passaggio sostituisce nell’arco temporale della storia il momento in cui la ragazza racconta a Watson come stanno realmente le cose tra lei e il detective. Per questo motivo ho ripreso quella citazione nonostante non sia un ricordo diretto del dottore.
[13] Per chi non ricordasse o si fosse perso quello che la mia mente contorta ha fatto: Nicholas compare nel capitolo #05, è uno degli uomini che scorta Hope
[14] Charlie è un nome usato sia al maschile che al femminile. L’ho scelto per mantenere il binomio uomo-donna che ha accompagnato la ragazza per tutta la storia.
[15] “Tornerò a prenderti e ritornerai a Baker Street con noi. Lo giuro, Watson, ed io mantengo sempre la parola.”


••End••




Haibara Stark ~ Tre anni. Sono quasi passati tre anni dall’ultimo aggiornamento di questa storia. Non so sinceramente come sia potuto accadere, visto che sapevo fin dall’inizio che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo e mi ero ripromessa di pubblicarlo al più presto. Per quanto si possa credere, ho iniziato a scriverlo ancor prima di aver pubblicato il settimo. Ero partita bene, convinta, ma poi mi sono bloccata, non riuscivo a scrivere quello che avevo in mente. Questa cosa mi è successa due o tre volte nel corso dei due anni passati. Poi qualche tempo fa ero a letto e ho pensato “Hey! Ma perché mi sono arenata in quel punto? Potevo risolverlo così!”. Imbarazzante. Davvero imbarazzante, credetemi. Sono stata ferma per due anni e dieci mesi su un punto che sono riuscita a districare in un secondo nel dormiveglia. Ribadisco: imbarazzante.

Avrete notato che non mi sono ancora scusata con voi per questa lunghissima attesa. Ritengo non ci siano parole di scuse valide, in realtà. Quell’Ottobre del 2013 ha portato una svolta nella mia vita che mi ha allontanato dal mondo delle fanfiction. Arriva sempre quel momento in cui la tua vita sociale reclama a gran voce la tua attenzione e non puoi fare a meno di concedergliela. Questo non significa che non sia costernata per essere riuscita ad aggiornare solo adesso, tutt’altro. Mi prostro ai vostri piedi e vi chiedo perdono!

Ad essere del tutto onesti, la cosa che mi terrorizza di più è che questo capitolo vi abbia deluso. Sia per come è scritto sia per come si è svolto. Ho una predilezione per le storie un po’ contorte, però non so se il mio intento sia andato a buon fine. Spero di esserci riuscita almeno in parte.

Non mi resta che salutarvi e ringraziarvi di cuore per aver letto e/o recensito questa long, e di aver avuto la pazienza di aspettare.

Un abbraccio!

  
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