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Autore: Gagiord    15/08/2016    3 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Entrambi non stavano prestando la minima attenzione alla lezione d'informatica.
Lui, come suo solito, aveva il mento poggiato sulle braccia conserte sulla scrivania, e meditava, testardo. Ultimamente aveva trascurato il suo "lavoro". O meglio, lo faceva - e anche bene -, ma non era mai presente mentalmente. I suoi pensieri viaggiavano, ed erano lontani ed estranei dalla realtà. Si chiedeva, in primo luogo, che fine avessero fatto gli uomini dell'Organizzazione. Era ormai da un mese che non si facevano vivi, e, a meno che non fosse successo qualcosa che impedisse loro di andare avanti con i loro piani, il tutto risultava abbastanza strano. Perché impegnarsi tanto in uno scopo - quello di ostacolarlo nel trovare Pandora -, per poi lasciar stare? No, non era da loro. Ma, soprattutto, non da Snake, e tantomeno da Spider. Da una parte poteva essere sollevato, dato che poteva agire indisturbato - tralasciando la polizia, che, comunque, non era un grosso problema -; ma dall'altra? Certamente no. Doveva riuscire a sgominare quella banda di criminali, non poteva limitarsi a distruggere quella gemma che non faceva altro che provocare problemi.
E poi c'era lei, la sua migliore amica - se così si poteva ancora definire. Cosa diamine le stava succedendo? Se prima era lui a comportarsi freddamente, ora lei lo stava decisamente vincendo. Ma si domandava il perché. No, non era il suo carattere, quello: lei era vivace, irascibile, turbolenta, sempre presente per urlargli contro; perché, quindi, ora era pacata, quieta, e forse anche un po' distratta? Per un attimo, gli parve addirittura triste. Inoltre, gli nascondeva qualcosa; e lui aveva tutta l'intenzione di scoprirlo. Tuttavia, almeno in questo periodo, lui si voleva concentrare sull'Organizzazione.
Lei, dal canto suo, era altrettanto assorta. Da circa mezz'ora osservava le goccioline d'acqua infrangersi sul vetro della finestra accanto a lei, e sembrava udire solo quel rumore; quel rumore che le ricordava tantissimo il battito accelerato di un cuore. Proprio come il suo la sera prima. Non si era mai sentita in colpa come in quel momento. Se quella notte si stava divertendo come mai aveva fatto, il 23 settembre, a scuola, provava i più grandi sensi di colpa che avesse mai avuto. E, sebbene Johanne l'ammonisse per quelle speculazioni un po' stupide, era come se un macigno la opprimesse: lei, che tante volte aveva insultato il nome di Kid, non poteva che notare la stessa sfacciataggine che l'aveva sopraffatta negli avvenimenti di qualche ora prima. Si era presa gioco degli agenti, proprio come quel ladro dal manto bianco faceva con suo padre; non era forse la stessa cosa? No, la contraddiceva Johanne, perché loro non rubavano, e facevano tutto ciò per una buona causa. Ma come poteva essere una buona causa se nemmeno lei la conosceva? E, in ogni caso, nemmeno il grande mago rubava. Sotto quell'aspetto, si somigliavano; ed era proprio quello a suscitarle stizza.
Da ore, oramai, erano persi nelle loro elucubrazioni, talmente tanto che non sentirono neppure la campanella suonare: avevano la pausa pranzo.
Keiko si alzò, raggiungendo la sua amica, e le mise una mano sulla spalla, scrollandola un po'. 
"Ehi, Aoko. Si può sapere che hai? È da quando sei entrata che fissi la finestra!" La sua voce era un misto tra fastidio e preoccupazione. Ma, del resto, come biasimarla?
Lei, che era stata appena destata dai suoi coinvolgenti pensieri, si dedicò ad un grande sbadiglio: nonostante le sette ore di sonno, la stanchezza del giorno prima persisteva nel suo corpo.
"Ma è ovvio che guardasse me!" Era Hirawata. La prima frase che le rivolgeva direttamente, senza che lei dovesse chiedergli di farlo. Tuttavia, non era cambiato il suo tono di quando rispondeva alle sue domande: sempre schernitore, puntualmente accompagnato da un ghigno beffardo.
La bionda lo fulminò, ringhiandogli. Lui, semplicemente, non le diede retta; anzi, prese il suo bentou, deciso ad andare in mensa. Le due ragazze lo seguirono con gli occhi che sputavano fiamme, ma lui, arrivato al banco di Aoko, si fermò, volgendo il corpo verso di loro.
"E ora che vuoi?" abbaiò l'occhialuta, tranciandolo con il solo sguardo.
Il suo sorrisetto si espanse, irritando ancor di più le compagne. "Non ti conviene usare questi toni con me: potrei dire a mio zio quando e come voglio che tu sei a conoscenza di tutto."
La mora trasalì, scambiando un'occhiata preoccupata con la sua migliore amica, per poi rivolgere nuovamente gli occhi a lui, riducendoli a due fessure. "E tu come lo sai?" sibilò. "E poi, Hiro sarebbe tuo zio?"
Lui sembrò sorpreso: il suo sorriso scomparve, lasciando posto ad un'espressione ebete di pura incredulità. "Volevo dire mio nonno." Riacquistò, così, il suo ordinario attegiamento.
Ciononostante, le due inarcarono un sopracciglio, scettiche. Keiko incrociò le braccia al petto, sorridendo con aria di sfida.
Lui non si lasciò, però, impressionare; quindi continuò: "Ripeto: potrei dire tutto a mio nonno, e per te sarebbero guai, Momoi."
"Tutto cosa?" sopraggiunse un'altra voce. Aoko la conosceva bene: era quella di Kaito.
Sobbalzò un'altra volta, girandosi - per quanto potesse, essendo seduta - verso il proprietario di quel timbro. Boccheggiò per qualche secondo, colta alla sprovvista.
'Ma che è? La giornata nazionale delle apparizioni a sorpresa?
Un sorriso ironico non poté fare a meno di nascere sul suo viso, alle parole di Johanne.
Kaito, però, non sembrava in vena di scherzi; assottigliò lo sguardo, posandolo prima su Katashi e, successivamente, sulle due compagne. Perché quel verme sapeva, gli passò per la mente, e lui no? Ma, soprattutto, cosa sapeva?
"Allora? Avete intenzione di rispondermi?"
La viaggiatrice si sentì subito in colpa, come se stesse guardando un cucciolo bastonato: era l'unica persona a cui tenesse, in fondo, a non sapere niente di niente. Poi, però, s'impose autocontrollo: aveva già coinvolto la sua migliore amica, in quella faccenda, ed era fin troppo restia ad implicare anche lui. E, per di più, perché chiedeva cose del genere? Non era lei, forse, a dovergli fare le stesse domande?
"Oh, nulla" rispose, ferma, lei. Non riuscì, comunque, a sopprimere un debole riso, quasi volesse scusarsi per le sue bugie.
Hirawata scoppiò a ridere, ottenendo due occhiate ammonitrici e un'altra esortativa. "Ma come?" riuscì a dire tra una risata e l'altra, con una nota sarcastica. "Ancora non l'hai detto al tuo fidanzatino? E io che pensavo lo andassi a spifferare anche ai tuoi vicini!"
I due appellati non poterono che arrossire violentemente alla parola del biondo. Tuttavia, Aoko aveva un altro motivo per divenire paonazza: stava ribollendo di rabbia. Prima diceva che avrebbe riferito di Keiko a suo nonno, e poi si esponeva così tanto?
Si alzò dalla sedia, guardandolo con occhi - e non solo - infuocati, stringendo i pugni talmente forte da farli tremare.
Erano, ormai, rimasti solo loro quattro in classe, dato che gli altri studenti si erano dileguati in mensa, perciò non si preoccupò di dare spettacolo.
"Quando vuoi piantarla!?" urlò, facendo indietreggiare tutti di un passo.
Il moro sapeva quanto poteva essere violenta, se solo avesse estratto il suo straccio - sempre sguainato da un luogo completamente sconosciuto a lui.
Katashi, invece, aveva stampato in volto un'espressione lievemente frastornata, pensando che fosse totalmente folle.
La biondina, dal canto suo, aveva mosso un passo indietro solo per assistere meglio alla scena: si sarebbe divertita da morire, vedendo la sua amica dare una bella lezione a quell'"idiota".
"Prova solo a rivolgermi un'altra volta la parola, e giuro che il tuo adorato nonnino non potrà più vedere la tua schifosissima faccia!" proseguì, sputando veleno, e gli puntò l'indice contro, mentre sembrava che l'aria intorno a lei prendesse fuoco.
Il viaggiatore, ora seriamente spaventanto, indietreggiò nuovamente. Riuscì, però, a mantenere il suo viso imperterrito. "Tu sei pazza, Nakamori." Lo disse con voce tremante, che non convinse nemmeno lui. Per la prima volta in vita sua, Katashi Hirawata era stato umiliato.
Keiko non riuscì a trattenere le risate, portandosi una mano all'addome e piegandosi in due.
Kaito, al contrario, si era rifugiato dietro un banco, terrorizzato alla sola idea dello straccio. Perse tutta la sua spavalderia e l'intenzione di chiedere spiegazioni alla compagna, almeno per quel momento.
'Vai, tesoro, così si fa!' si complimentò la ladra, orgogliosa e compiaciuta della sua ospite.
Il biondo uscì dall'aula, fuggendo quasi.
Aoko riacquisì il suo solito comportamento, rivolgendo un radioso sorriso alla sua migliore amica. Prese il suo bentou dalla cartella, stringendolo tra le due esili e affusolate mani. "Vogliamo andare?"
Lei colse una piccola lacrima dalle palpebre socchiuse, continuando a sogghignare. "Oh, certo" ridacchiò.

 

Il periodo in cui era capitata quel giorno non aveva più il divano. Anzi, vi era un elegante scrittoio con una candela spenta posta sopra di esso. Una sedia di legno - che, al contrario della scrivania, era vacillante ed aveva uno dei quattro sostegni rotto - le era dinanzi, e Aoko non aveva potuto che sedervisi sopra.
Aveva passato lì quattro ore - dato che, con suo sollievo, era stata esentata dai furti, almeno per quella sera -, due delle quali a risolvere problemi di fisica quantistica, equazioni di algebra e studiare letteratura giapponese. Avrebbe potuto - e voluto - approfittare delle altre due ore per compensare la stanchezza che l'opprimeva da tutto il giorno, ma sul tavolino la polvere aveva più strati di una torta nuziale, quindi era renitente a posarvi il proprio capo. Quindi, non aveva fatto altro che annoiarsi, parlando del più e del meno con Johanne. Doveva ammetterlo, però: quella vocina riusciva anche a rallegrarla e a farle dimenticare il fastidio nutrito per i membri della loggia, in particolare il suo insopportabile compagno e quello che aveva sin dal principio definito cuoco.
E adesso era appena tornata, alle 20:18, con il suo stomaco che richiedeva qualunque cosa fosse commestibile. Tuttavia, si ritrovò davanti solo Takashi e Ayame, seduti su un divano - sicuramente più comodo di quello blu - a dialogare allegramente.
Si accorsero di lei, e la biondina si alzò, andandole incontro.
La mora, invece, fece un'espressione confusa: perché suo padre non era lì? Non dovevano andare a casa e cenare? Perché, allora, in quell'enorme e dispersiva sala, non c'era nemmeno l'ombra di lui?
Sakura le mise una mano sulla schiena, sospingendola dolcemente verso l'"angolo del té" - così l'aveva appena nominato Aoko, visti il divano e le poltrone attorno ad un tavolino basso.
"Tesoro, tuo padre oggi non c'è... Anche lui deve lavorare." Le rivolse un morbido sorriso, che, come sempre, aveva l'abilità di far sciogliere il cuore della viaggiatrice; e quelle due fossette che si creavano sulle guance la rendevano ancora più adorabile.
Si sforzò di sorridere a sua volta, ma aver capito il motivo dell'assenza dell'ispettore glielo impedì. "È per Kid, vero?" chiese, leggermente frustrata.
Ma come poteva biasimare quel ladro, ora? Lei non si definiva migliore. Anzi, il contrario: lui lo faceva - secondo lei - per pura goduria personale, mentre lei era stata obbligata da un uomo - o donna, non si poteva mai sapere - che nemmeno conosceva. Era un burattino, una semplice marionetta di una figura più potente; e questo la incolleriva ancora di più.
Strinse i pugni, conficcando le unghie nella pelle dei palmi, con tale forza da far diventare bianche le nocche.
'Ancora, piccola? Ti ho detto che non ti devi parag...'
"Sì" la interruppe, seppur incosapevolmente, Sugimoto. Anche lui aveva accennato un sorriso sghembo, quasi triste: sembrava che volesse scusarsi per gli atteggiamenti del prestigiatore. "Però, se vuoi, puoi mangiare qui e fare quattro chiacchiere con noi" propose, e, man mano pronunciava suddette parole, il suo sorriso si allargava e la sua voce si sfumava di vivacità.
Il viso della più piccola guizzò su quello di Ayame, in cerca di conferma: lei si limitò a strizzarle l'occhio e ad accentuare il sorriso; come poteva rifiutare? D'altronde, erano le uniche persone di cui si fidava, e non le sarebbe spiaciuto capire qualcosa in più sull'Organizzazione.
Le due ragazze raggiunsero le varie poltrone, e Aoko si sedette su quella posta davanti al divano, mentre Sakura restò in piedi.
"Vado a chiedere al signor Tamura di dire a Iwao di prepararci qualcosa, voi restate qui."
Fece per andarsene, ma dopo pochi passi una voce la bloccò: quella della giovane.
"Aspetta!" esclamò, alzandosi di scatto, dopo aver realizzato cosa aveva detto. "Ce la deve preparare proprio lui la cena?" Abbassò il tono, riprendendo posto sul pouf, sotto gli occhi increduli e un po' divertiti dei due.
La bionda si voltò, ridacchiando un po'. "E chi, se no?" Poi si accorse della lieve agitazione della sua amica, rassicurandola: "Non ti preoccupare, sa cucinare meglio di quanto tu possa credere. E poi non ti avvelena mica!" Detto ciò, si volse, uscendo dalla Sala.
"Non ne sarei così sicura" farfugliò, ma un riso ironico non poté far a meno di nascerle.
Takashi sogghignò un po', per poi muoversi un po' sul sofà, ricercando una posizione più confortevole. Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, parlò: "Allora, dimmi un po': che hai fatto durante questi pochi salti?"
Lei accavallò gambe, posando il gomito su una coscia e sostenendo il capo con una mano. "Controllati o incontrollati?"
"Vedo che hai già imparato" ridacchiò, incrociando le braccia. "Tutti e due, comunque."
"Oh. Ecco, al primo sono caduta dalle montagne russe, rischiando di morire..." La sua voce conteneva una nota ironica, ma venne subito interrotta.
"Eh?" sbottò lui. Come poteva essere caduta dalle montagne russe? Ma, soprattutto, come poteva essere ancora viva?
Lei, dal canto suo, si aspettava una reazione del genere: ma, del resto, come contraddirlo? Al solo pensiero rabbrividiva: era sopravvissuta a quella caduta per miracolo. 
Tentò di non far notare il suo nervosismo, e annuì. "Già. Mi sono aggrappata a un albero."
Lui sgranò gli occhi, basito. Quella ragazza lo sorprendeva ogni minuto di più. "Oddio... Non credo di poter avere la lucidità per aggrapparmi a qualcosa, mentre sto per schiantarmi a terra." Provò a ridere, deciso a stemperare la tensione, ma gli uscì solo un risolino isterico. Non voleva nemmeno pensare a cosa avrebbe potuto fare, se solo si fosse trovato in una situazione come quella.
Cercò anch'ella di sorridere, e, a differenza del suo interlocutore, ci riuscì, seppur debolmente. "In effetti, non lo credevo nemmeno io." Ridacchiò nervosamente, torturandosi le mani, riposte e giunte sulle gambe.
"Oh... E poi?"
Aoko era indecisa: doveva raccontargli dell'incontro con la sua antenata? Ricordò quelle poche parole, ma che ebbero un effetto piuttosto stordente su di lei: Tutto è nel limite delle tue possibilità, Aoko. Non era ancora venuta a conoscenza del significato di quella frase, e aveva intenzione di farlo da sola. No, non poteva e non voleva dirlo; era compito suo apprendere il valore e lo spessore di quell'espressione.
"E poi sono scesa dall'albero, aspettando di capirci qualcosa e di ritornare alla realtà" mentì; stava diventando sempre più esperta in quella pratica, e ciò non faceva che stringerle la morsa che le attanagliava il cuore. "Johanne mi ha detto che, guardando i kimono delle donne, ho viaggiato nel 1900, circa." Aveva azzardato: non capiva nulla di moda, e ancora meno quella del Novecento. Sperò solo che le conoscenze dell'uomo non superassero le sue.
Tuttavia, non ebbe - fortunatamente, aggiunse lei - modo di scoprirlo: qualcuno spalancò il portone della Sala, entrando; era Ayame.
"Da quanto tempo!" esclamò lei scherzosamente, avviandosi verso il divano, baldanzosa. "Si mangia ramen di manzo! Vi va?"
"Be', effettivamente, con questo freddo..." La giovane sfregò le mani per riscaldarsi, come per accentuare il fatto che la temperatura si era abbassata drasticamente.
"Allora, di cosa stavate parlando?" Si sedé accanto al collega, sovrapponendo elegantemente le gambe e sorridendo, mettendo in mostra le sue fossette. Era una persona molto curiosa, e questo l'avevano notato tutti; tuttavia, era una curiosità genuina, benché potesse risultare invadente a primo impatto.
"Del suo primo salto" la informò, indicando Aoko con il pollice.
"Vero, ancora non te l'ho chiesto!" Batté le mani, e il suo viso s'illuminò. "Quindi? Come ti è andata?"
Sospirò rumorosamente. "Ad essere sincera, poteva andarmi meglio."
"Sì, ma poteva anche andarti peggio." E aveva ragione. Ogni qualvolta immaginasse la mancanza di quell'albero, si vedeva schiantata sull'asfalto; non era certo uno spettacolo allettante, e veniva sempre percossa da dei virulenti brividi.
Nel frattempo, Sakura aveva passato lo sguardo frastornato da una persona all'altra, come in una partita di tennis: non stava capendo niente.
"Avete intenzione di dirmi cosa è successo, sì o no?" La sua voce era leggermente irritata, e il suo stato d'animo non era da meno. Perché tanta cripticità?
"Ho rischiato di morire," rispose, finalmente, la viaggiatrice, sardonica, "dato che sono caduta dalle montagne russe."
Ayame, a differenza del suo amico, scoppiò a ridere, il che lasciò i due interdetti.
"A-ayame?" la chiamò Takashi, lievemente preoccupato.
"Ma dai!" Asciugò una piccola lacrima che le si era venuta a creare con l'indice. "Forza, non tenerci sulle spine, racconta." Dopo aver notato il silenzio del collega e dell'amica, tornò seria, squadrando entrambi, perplessa. "Stavate... Stavate dicendo la verità?" domandò, con una nota di agitazione. Entrambi annuirono, scambiandosi delle occhiate effimere. La bionda posò lo sguardo su Aoko, sgomenta, portandosi una mano alla bocca. "Oddio, mi dispiace! Ma... come hai fatto... insomma, a salvarti?"
L'altra sospirò ancora una volta: non le piaceva rimembrare quella vicenda, se non fosse stato per Lady Meiko. "Mi sono aggrappata ad un albero."
"Comunque," intervenne Sugimoto, attirando l'attenzione, "mi hai detto che Johanne ha riconosciuto l'epoca;" il cuore della ragazza prese a tamburellare più velocemente, mentre lei annuì impercettibilmente, "ma chi è Johanne?"
Lei fu tentata di esalare un'altra volta un sospiro - seppur di sollievo -, ma lo soppresse. "Avete ragione: non ve ne ho parlato. Ho una vocina che mi parla instancabilmente nella testa; mio padre ha detto che può essere collegato al mio" fece due virgolette in aria, "potere."
'Ehi!' protestò l'appellata, oltraggiata dalle parole della ospite.
"Ma è strabiliante!" Il primo a parlare fu l'uomo.
"Forte! Com'è, simpatica?" E poi la giovane donna.
Aoko sogghignò a tutte quelle attenzioni ed illusioni: le avrebbe smentite tutte, se non fosse stato per...
'Guai a te se mi insulti!' le intimò, e dovette trattenere un altro risolino.
"È petulante, sfacciata," elencò, mentre la povera Johanne ringhiava, "rompi scatole, impicciona... Però sì, è simpatica. E le voglio bene."
'Così mi piaci, ragazza!'
Stavolta, però, non riuscì a sopprimere una risatina, alla quale si unirono anche i due adepti.
Takashi divenne serio, tutt'ad un tratto. Si schiarì la voce, raddrizzandosi sul sofà. "Tu, invece? Vuoi farci qualche domanda, non so, sul meridian?" Giunse le mani sulle gambe, portando avanti il busto, il che gli fece comparire diversi rotoli di pancia che la giovane non poté fare a meno di notare. "Dovrai capirci davvero poco, in tutta questa faccenda" osservò.
"Ha ragione" confermò Ayame. "Sarai confusa."
Lei non riuscì a non arrossire: si sentiva spesso a disagio e in imbarazzo, quasi di troppo; era un suo difetto, e non avrebbe potuto farci nulla. "Be'... Sì, mi piacerebbe chiedere qualcosa sul meridian." Fece una breve pausa, come a voler meditarci su. "Mmh... Come mai c'era un secondo meridian?"
"Ecco," cominciò l'uomo, "in realtà, ce n'è sempre stato uno. Quando tua madre l'ha rubato..."
Aoko s'interessò subito, al solo suono di "tua madre"; era come se un angolo del suo animo si attivasse all'udito di quelle due parole. "Conoscevi mia madre?" lo interruppe bruscamente lei.
Lui annuì, facendo una piccola smorfia. "Sì. La stimavo molto, e non ti nascondo che ho avuto una debole cotta per lei." La sua interlocutrice sgranò gli occhi, sbalordita. Lui ridacchiò un po'. "Dopotutto avevamo la stessa età. Però lei era innamorata persa di tuo padre." Sospirò pesantemente, socchiudendo gli occhi: si stava lasciando andare a delle memorie che gli erano difficili da ricordare con un sorriso. 
Anche la moretta fu tentata di tirare un sospiro di liberazione, ma preferì evitare.
Intanto, Sakura lo ascoltava attentamente: non sapeva esattamente perché, ma le premeva sapere di più su quella donna; magari per il suo infinito interesse, magari per l'amica che aveva ormai preso a cuore.
"Non so perché abbia rubato quell'oggetto, ma Yume non era pazza: ci dev'essere stato per forza un motivo; anche se, purtroppo, non so di cosa si tratti." Riaprì gli occhi, tirando un altro lungo e profondo afflato. "Torniamo a noi."
Le due ragazze non poterono che rimanere deluse; la viaggiatrice, soprattutto, auspicava di poter venire a conoscenza di qualcosa in più sulla vita di sua madre. Tuttavia, entrambe annuirono.
"C'è stato un uomo che è stato in grado di ricrearne un altro" confidò loro, ma notando l'espressione interrogativa della mora, aggiunse: "Era lo zio di Katashi, il primogenito di Hiro".
"E ora come fate con le gemme?" s'incuriosì Aoko, corrugando le sopracciglia ed esibendosi in una buffa smorfia.
"Quel ragazzo spocchioso e viziato si diverte a saltellare da un'epoca all'altra." Stavolta, le aveva risposto la bionda, con un tono piuttosto seccato. "Deve prendere una parte della gemma, facendola intagliare dai" scimmiottò la voce del vicecapo, "maestri più esperti al mondo." L'altra trattenne un risolino, mentre lei incrociò le braccia sotto al seno. "Per ora ne abbiamo otto, ma ci manca la tua, quella di tua madre, la corniola di Fumiko Kaneka - la terza viaggiatrice - e lo smeraldo di Satoshi Miyamoto - il primo."
La più piccola ci rifletté un attimo, per poi chiedere un'ultima cosa: "Cosa succederà quando tutte le gemme saranno posizionate nel meridian?"
 

Sghignazzò, divertito: nonostante tutto, rubare lo allietava, lo distoglieva dai propri pensieri; dover soddisfare il suo pubbilco, in quei fugaci momenti di gloria assoluta, era la sua priorità. Ora la colomba più bianca mai vista in cielo volava, assumendo un colore argenteo per via della luce della luna piena presente quella notte. Si librava e si fondeva col vento non esattamente caldo del nuovo autunno, destreggiandosi in aria.
Agguantò l'enorme topazio, che aveva prima riposto nella tasca dei pantaloni - rigorosamente bianchi - e lo tirò fuori. Un topazio viola, particolarmente pregiato e ricercato: l'Anguished Purple. Lo collocò tra i suo occhi e la luna: no, non era nemmeno quello. Sbuffò, irritato da quella continua - e finora vana - ricerca.
Cercò con lo sguardo un palazzo su cui potesse soffermarsi un po': adorava osservare la luna, soprattutto se piena; era ammaliato dai suoi colori - argentei, ma anche dorati -, dal suo alone di mistero che le donava quell'enigmatico fascino che gli era sempre piaciuto. Adocchiò un grattacielo, e planò su di esso.
Appena toccò il duro cemento del palazzo, ritrasse "le sue ali", le quali ritornarono ad essere un lungo mantello dal colore algido, ma al tempo stesso morbido.
Una risata sinistra lo raggelò, facendogli rizzare i peli sulle braccia. Non osò girarsi, ma aguzzò le orecchie, accennando un ghigno.
"Noto che il lupo perde il pelo ma non il vizio." Rise di nuovo, prelevano la pistola dalla tasca interna della giacca nera. "Buonasera, Kaito Kid. Oh, aspetta, vuoi forse essere chiamato Kaito Kuroba? Oppure il principe azzurro della nostra preda?"
Solo in quel momento si voltò.



Non linciatemi, please (quei pochi che mi seguono xD)! Scusatemi, ma l'estate, anche se in ritardo, è arrivata anche per me ^^' Tra l'altro, mancherò per almeno un'altra settimana, sperando, poi, di riprendere l'usuale ritmo!
Allur, un capitolo con un po' d'informazioni! E poi, chi abbiamo... il mio Kiddo-sama *_* Eheh, chissà chi sarà quello con la giacca nera? Dal prossimo chap comincerà ad esserci un po' di azione.
Ringrazio sempre Shinichi e Ran amore per la recensione dello scorso capitolo!
Alla prossima! xD

Baci
Shizuha

 

  
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