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Autore: stefanvox94    18/08/2016    1 recensioni
Ricca, egocentrica, sicura di sé: Adelasia, una ragazza che si distingue soprattutto per gli atteggiamenti che assume nel rapporto con gli altri, specialmente con coloro che lei crede si trovino a un livello inferiore rispetto a lei e alla sua "gente". Eppure la sua personalità, la sua famiglia e il suo passato nascondono qualcosa che può riemergere soltanto grazie a chi è capace di capire a fondo una persona, senza fermarsi alle apparenze. E così si va alla scoperta non solo del suo mondo, ma anche di coloro che le stanno intorno (per scelta o meno): ragazzi e ragazze con le proprie insicurezze e i propri sentimenti conflittuali...
Genere: Comico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sì, Adelasia è una persona orribile, obiettivamente parlando. È una sociopatica, a volte addirittura bipolare. È egoista, presuntuosa, vanitosa, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, è la tipica ragazza ricca, viziata e arrogante. Ma io posso dire con tutta sincerità di aver conosciuto il suo lato positivo, quel piccolo tesoro non materiale che lei possiede ma che purtroppo nasconde all'umanità intera praticamente ogni momento della sua vita. E sono stato molto fortunato per questo motivo, perché lei mi ha letteralmente salvato. Quando i miei genitori hanno cominciato a ripudiarmi dopo aver saputo della mia omosessualità, è stata Adelasia De Vittori, il personaggio più controverso, odiato e allo stesso tempo ammirato dai suoi concittadini, a risollevarmi dalla mia crisi. I suoi occhi verdi brillavano mentre mi accarezzava il viso.
“Ciao Federico… cos'hai? Non farti vedere così, mi si spezza il cuore. Ascoltami… ti farò sentire al sicuro, per quanto mi sarà possibile” mi promise, così, all'improvviso, una sera, mentre piangevo seduto sul marciapiede della mia strada. Era la prima volta che mi rivolgeva la parola.
Non sapevo avesse compreso del tutto il mio malessere, infatti precisai immediatamente: “Ehm, non credo, o meglio, non possiamo conoscerci in quel senso… ti ringrazio comunque per la preoccupazione”.
“Oh, ma, Federico, lo so che sei gay… o meglio, l'ho capito subito poco fa. Il mio cervello dispone di un gay radar. Sicuramente non sembri una femminuccia sfranta e insopportabile, ma ho notato da subito che sei diverso dagli altri ragazzi” mi spiegò, mettendosi accanto a me e stringendomi la mano destra. “Ehm… diverso non nel senso che… insomma, sei come tutti, questo è certo, non intendevo… io volevo dire, diverso dai soliti ragazzacci che girano da queste parti, credo di essermi spiegata, non è vero?”.
“Allora… come mai tu…” balbettavo anch'io, dubbioso.
“Appena ti ho visto venti secondi fa ho capito che saresti stato un ottimo amico. Ma prima devo dimostrati la mia fedeltà, insomma… la mia gentilezza… è così che si diventa amici, no?” mi domandò, dimostrando di non essere nemmeno così tanto sicura di ciò che pensava.
“Sì...” singhiozzai, prendendo un fazzoletto da lei offerto. Mi pulii il naso e poi ripresi: “Ma… non capisco come mai proprio te, Adelasia De Vittori, ti rivolga a un essere qualunque in questo modo… sappiamo più o meno tutti qui di che pasta sei fatta”, le parlai francamente.
“Ma tu non sei un essere qualunque, Federico… innanzitutto appartieni a una delle famiglie più agiate, e...”.
“Ah, è solo per questo che mi vuoi essere amica?”.
“Beh… no, ora che ci penso meglio...” si corresse, storcendo il sopracciglio e mostrando uno sguardo improvvisamente perso, “… sono sorpresa anche io di questo mio comportamento benevolo… in genere faccio qualunque cosa per un tornaconto… non so, a cosa ha potuto pensare la mia testolina? A cosa ho puntato non appena ti ho visto? Sei ricco, ma… io di amici ricchi ne ho a iosa… Boh, forse ti ho voluto acchiappare perché sei gay e se ho un amico gay posso dimostrare a tutti quanto io sia avanti, futurista, progressista o qualcosa del genere… no, no, neanche questo. In realtà non mi importa, anche perché la bisessualità o comunque la difesa dei diritti LGBT ultimamente vanno di moda… vabbé, dai, basta chiacchiere, voglio aiutarti e basta”.
“Come puoi aiutarmi se il problema è nella mia casa?”.
“Vieni a dormire da me in questi giorni, finché i tuoi non ti chiamano per risolvere, altrimenti rimani da me senza problemi. Che ne pensi? Forza, vai a preparare zaini, valigie e quant'altro”. Accarezzò ancora i miei capelli rossi, poi sembrò contare le lentiggini sulle mie guance rigate dalle lacrime, ignorando la mia espressione perplessa. Dopodiché lasciò da parte la sua pacatezza e mi spronò con aria quasi impaziente: “Coraggio, muoviti”.

Adelasia mi ospitò per tre giorni, finché i miei genitori non morirono in un incidente stradale e io andai ad abitare con i miei zii paterni.
Quei giorni furono così confusionari, emotivamente parlando. Non sapevo se piangere per la perdita o se prenderla come una liberazione. Dopo i primi momenti di disordine mentale capii poi che si trattava più di una liberazione che di un lutto. Io ho sempre odiato i miei genitori, anche prima che mi odiassero loro. Ero figlio unico, e dovevo essere inquadrato secondo i loro criteri. Dovevo dimostrarmi sempre dedito alla famiglia e alla chiesa, conservatore, bigotto, omofobo, razzista… a volte mi fidanzavo forzatamente con la prima ragazzina facile che trovavo soltanto per portarla a casa e rassicurare mamma e papà di essere “normale”.
I miei zii, oltre ad Adelasia, sono stati la fortuna della mia vita. Benestanti anche loro, ma completamente diversi sul piano del carattere e… dello schieramento polito. Mi hanno accolto a braccia spalancate e mi hanno accettato per quel che sono senza fare troppe domande.
“Non ci sforzeremo di capire la tua situazione, semplicemente perché non dobbiamo cambiare idea su nulla. Siamo gente sensibile e per bene e sappiamo benissimo che la tua natura non è perversa” mi disse una volta la zia Cecilia, coi suoi modi chic.
Iniziai da quel momento a vivere veramente. Cambiai liceo. Mi trasferii in un altro linguistico: in quello di Adelasia. Scelsi proprio la sua classe. Frequentavamo il terzo anno. In quel periodo conobbi in discoteca Manuel, gay anche lui. Lo presentai ad Adelasia, alla quale all'inizio risultava difficile accettare il suo stile metallaro, ma poi ci fece l'abitudine e insieme formammo un trio che è tuttora solido.

L'affetto che io e Manuel abbiamo sempre provato per Adelasia, nonostante il suo carattere difficile e insopportabile, l'abbiamo dimostrato anche questa volta, in una serata trascorsa nella gelateria di lusso della nostra cittadina. La nostra amica ci ha spiegato la situazione che la sta sconvolgendo, e io e Manu l'abbiamo convinta a non vederla come una tragedia, ma come un'opportunità. Probabilmente non sappiamo neanche noi di che tipo di opportunità si tratti, ma almeno abbiamo provato a trovare le parole giuste per permetterle di affrontare questa faccenda con minore ansietà.
La verità è che il dottor De Vittori vuole migliorare quanto più possibile e in breve tempo la propria reputazione nella città per poter essere rieletto come sindaco di Dartigliano. E, essendo consapevole che i giornalisti locali ficcano il naso dappertutto, sa per certo che, se inserisce sua figlia in un contesto come quello dei servizi sociali erogati sia dal governo nazionale sia dallo stesso comune, finirà inevitabilmente al centro dell'attenzione. E lo farà occupandosi anche di altro, con molta più dedizione, finché non arrivano le prossime elezioni. Gli verranno dedicati articoli e interviste. Insomma… tutta questione di apparenza!
Ma se è una come Adelasia De Vittori ad essere la figlia di tale sindaco e a doversi sacrificare per una causa del genere, i capricci e i lamenti non possono mancare.
“Anche io odio quella gentaglia” ho ribadito per l'ennesima volta. “I motivi sono però differenti. Tu la detesti perché la reputi diversa principalmente per motivi economici. Io invece disprezzo il loro modo superficiale di ragionare. Non potrò mai scordarmi gli atti di bullismo che ho subìto anni fa. Non sono stati quelli che lavorano in quel centro a provocarmeli, ma erano comunque ragazzetti appartenenti a famiglie di bassa estrazione sociale, come loro”.
“Ecco vedi?” è esplosa, come una schizzata. “C'è una correlazione innegabile tra ceto e mentalità”.
“Non fare di tutta l'erba un fascio, Ade” le ha fatto Manuel, aggiustandosi il ciuffo nero come i suoi occhi. “Pensa a Fulvio Terreno. Non è mica così tanto immaturo… o maligno”.
“E pensa anche ai miei genitori defunti” le ho ricordato io. “Tanto ricchi quanto crudeli”.
Adelasia ha annuito, chinando il capo e riprendendo a sfogare il suo tormento sul gelato senza glutine.
“Tu hai semplicemente paura di essere ripudiata” ha aggiunto Manuel, mantenendo il suo solito sguardo vacuo, apatico e quasi totalmente disinteressato nei confronti di tutto e tutti. “Quelle persone possono facilmente provare invidia nei tuoi confronti, e tu temi di non saper gestire questa situazione”.
“Certo, perché sarò sola!”.
“Va bene, allora, domattina verrò io a farti compagnia, okay?” le ho proposto, “Magari non trascorrerò tutta la mattinata, ma ci passo per qualche minuto”.
“Perché non vieni a fare 'sto tirocinio insieme a me? Che ne dici se lo chiedo a papà?”.
“Ci parlo io, se vuoi, con lui. Domani verso le dieci faccio un salto in questo centro disabili e poi vado a parlare con tuo padre… lo troverò nel municipio?”.
“Sì, domani sì, fino alle tredici”.

Mantengo sempre le promesse. E adesso mi ritrovo nel Centro Giovani Diversamente Abili di Dartigliano. Mi sembra un po' strana come situazione, perché in genere è sempre stata Adelasia a portarmi in giro, a feste, incontri, di qua e di là… insomma, ogni volta che ci siamo ritrovati in luoghi affollati in cui si tenevano riunioni, celebrazioni o cose simili, Adelasia era (ed è ancora oggi in molte circostanze) la protagonista, e io una specie di accompagnatore, o… cagnolino. Certo, io mi sono sempre accontentato di questo ruolo, al contrario di Manuel, che, se poco gradiva l'ambiente in cui era invitato, non esitava a rifiutare e a starsene per i cavoli suoi. Comunque, nonostante la mia secondarietà in queste situazioni, la compagnia di Adelasia mi è sempre piaciuta, anche quando mi ha portato in posti in cui veramente, se non fosse stato per lei, sarei fuggito senza pensarci più di tanto. Non scorderò mai uno dei convegni di femministe a cui partecipammo perché Adelasia decise di provare a interessarsi di cose serie. Tutte quelle ragazzette ben vestite non facevano altro che urlare il loro orgoglio… ma ciò che più mi lasciò allibito e allo stesso tempo divertito fu un'esclamazione di una di quelle lì: “Dobbiamo lottare per la parità dei sessi… e lo faremo dimostrando la nostra superiorità!”, seguita da un “Viva le donneeee!” urlato in coro. Avrei voluto timidamente chiedere: “Ma… non è un controsenso?”, tuttavia continuai a rimanere recluso nel mio silenzio e nella mia immobilità. Scelsi di trattenermi, altrimenti mi avrebbero fatto fuori senza ombra di dubbio. Nonostante questi sporadici episodi di delirio, inquietudine e turbamento, ho sempre seguito Adelasia per cercare di socializzare e di aprirmi al mondo dopo gli anni oscuri vissuti coi miei genitori. Mi sono perennemente aggrappato alla mia migliore amica senza lasciarla mai, anzi, senza lasciare che lei mi lasciasse.
Ora invece, a quanto pare, Adelasia ha più bisogno di me di quanto io abbia mai avuto bisogno di lei. È sempre così sicura di sé, ma stavolta le è inaspettatamente bastato poco per sentirsi spacciata.
La trovo in un angolino della sala in cui di solito i dipendenti del centro si fermano per uno spuntino o anche per pranzare.
“Come mai sei seduta vicino a degli umilissimi distributori?” le faccio, sorridendo.
“Non è il momento di scherzare” tuona, volgendo il volto disperato verso di me. Ha occupato interamente uno dei tavolini bianchi con una delle sue enormi borse scintillanti, il suo beauty case, i suoi frullati e altre bevande e cibarie portate da casa. “E comunque non tocco quella roba”.
“Cosa fai?”.
“Faccio merenda. Ho aspettato che gli altri sloggiassero da questa sala dopo le loro disgustose pause in cui mangiano sbavando e spettegolando sul più e sul meno”.
“Che cosa stai mangiando?”.
“Gallette di riso e miele”.
“A me sembra polistirolo” riprovo a tirarle su il morale, invano.
“Ripeto, non è il momento di scherzare”.
“Ascolta”, mi faccio serio anche io, “non ti aiuterà di certo continuare a tenere il broncio. Cerca almeno di instaurare un buon rapporto coi pazienti”.
“Ci ho provato. Ma i discorsi e gli atteggiamenti imbecilli di quegli ottusi mi hanno fatto distogliere l'attenzione da...”.
“Non è una scusa” la interrompo fermamente.
“Ah sì? Vuoi sapere un po' di cose? Così valuti anche tu la situazione… dunque, stanno sempre a parlare di cibo. Sono letteralmente ossessionati dalla cucina. Per loro mangiare fa figo, quanto più uno di loro dichiara di ingozzarsi durante i pasti, più desta la meraviglia dei suoi simili. Se non parlano del cibo, sparlano dei laureati. Dicono che quasi tutti loro non trovano lavoro se non nei McDonald's e che possono soltanto usare il proprio attestato di laurea come carta igienica. Cos'altro?... ah, sì: scaricano film e musica illegalmente… si vantano di non comprare nulla di originale… che poveracci! Hanno la povertà anche al posto della dignità! E poi… riempiono le bottigliette d'acqua dal rubinetto del bagno… ti rendi conto? DAL RUBINETTO DEL BAGNO!” si sfoga, cercando di non alzare troppo la voce.
Non faccio in tempo a replicare al suo elenco di tragedie che si avvicina Fulvio Terreno.
“Ciao ragazzi, tutto okay? Ehi… Federico, giusto? Come va?”.
Il sorriso del figlio del candidato sindaco Terreno è innegabilmente attraente. Anche i suoi capelli mediamente lunghi e mossi sono affascinanti… insomma, è un ragazzo carino, anche nei modi, non posso dire il contrario. Ma Ade non si abbasserà mai ai suoi livelli e continuerà a preferire la superficialità di Loris pur di apparire la ragazza perfetta accanto al ragazzo perfetto.
“Va tutto bene, grazie” risponde seccamente lei, voltandosi dalla parte opposta.
“Non c'è male” gli faccio io, con tono decisamente più cordiale. “Probabilmente anch'io svolgerò un tirocinio estivo qui”.
“Grandioso! Mi fa piacere avere intorno altri giovani come me”. Fulvio sembra essere sincero. Non posso fare a meno di fissare i suoi pantaloncini grigi… non li avrà comprati in uno dei negozi in cui spesso io e Adelasia facciamo shopping, ma… devo ammetterlo, non sono niente male.
“Sono… contento”.
“Ora devo proprio andare… oggi faccio mezza giornata, per via di altri impegni. Ci vediamo presto, allora… è stato un piacere”. Fulvio mi stringe la mano, fa un occhiolino alla mia amica e se ne va.
“Tu rimani un altro po', vero?” mi domanda lei.
“Ma sì, dai, magari assaggio un po' del tuo polistirolo e poi vado a incontrare tuo padre”.
“Perfetto”.
Nessun commento sul ragazzo con cui abbiamo appena scambiato due parole. Rimaniamo in silenzio per un minuto, mangiucchiando in maniera compita. Dopodiché, prima che io sgattaioli via, vengo accompagnato a fare un giro nella struttura, in cui i soli colori che dominano solo il bianco e il celeste, poi nel giardino posteriore, finché io e la mia amica non ci salutiamo nel viale d'ingresso.
Procedo a piedi verso il municipio. Attraversando le strade più disparate, non posso fare a meno di assistere agli scenari di vita quotidiana della parte più “paesana” della mia cittadina. D'altronde è un posto del sud, e si sa che qui i popolani rappresentano lo stereotipo del provincialotto perfetto. Vecchie bizzoche che, all'uscita dalla chiesa, non resistono a intrattenere discorsi squallidamente religiosi col prete dopo la messa mattutina; anziani al bar che stanno attenti a squadrare chiunque passi davanti a loro per poi commentare o ricostruire l'albero genealogico di ogni individuo preso in esame; ragazzi che già dai sedici anni circa fumano le canne o tracannano birra nascosti dietro i monumenti del centro storico; zitelle che malignano sulla vita di ognuno a partire dal proprio vicino di casa fino ad arrivare all'ultimo superstite del villaggio in periferia… ho provato più volte a giudicare obiettivamente questo tipo di persone, senza farmi influenzare da giudizi estremisti come quello di Adelasia in primis, ma non sono riuscito più di tanto a trovare in me un minimo riscontro di simpatia o di tolleranza soprattutto nei confronti di coloro che mi hanno fatto passare le pene dell'inferno con i loro insulti e i loro pregiudizi: ingiurie non molto diverse da quelle che uscivano dalle bocche perfide dei miei genitori, ma semplicemente riformulate con un linguaggio più rozzo e volgare.
“Tutto il mondo è paese”, si sa, siamo tutti umani, abbiamo tutti quanti dei difetti che vengono fuori soprattutto quando ci lasciamo andare e ci abbandoniamo alla nostra natura infida e malvagia, ma, lasciando da parte la questione dei ceti sociali, non ha tutti i torti la mia migliore amica quando afferma che la bassezza culturale è inversamente proporzionale alla propensione verso l'apertura mentale.

Il carissimo dottor Bruno De Vittori, avendo ascoltato la mia proposta in uno degli affollati corridoi comunali, ha accolto caldamente la mia richiesta, che è più un favore per sua figlia che un'attività che mi possa effettivamente risultare utile. Se lo facessi per puro egoismo, potrei pensare che questo tirocinio sarà inserito nel mio curriculum o… boh. Ma… okay, trascorrere qualche ora in più con Adelasia per me è un piacere.
“Ti sono grato per il tuo sostegno” dichiara, poggiando la sua mano destra sulla mia spalla sinistra. “Questa città ha bisogno di noi… il nostro schieramento deve assolutamente vincere!”, aggiunge senza mezzi termini. “Noi faremo di tutto!”.
“Sono felice di poter appoggiare un movimento civico apartitico come il suo, dottore”.
“Ma dammi pure del tu, ragazzo, ormai sei di famiglia!”.
L'entusiasmo del dottor De Vittori viene interrotto da delle urla provenienti sia dall'interno che dall'esterno. Avendo visto qualcuno uscire precipitosamente dall'edificio, anche io e il sindaco facciamo lo stesso.
Il corpo senza vita di Loris Gerardi, fidanzato di Adelasia e assistente del dottor de Vittori, è riverso a terra, sul marciapiede, in una pozza di sangue. Qualcuno lo ha lanciato dalla finestra… o si è suicidato, gettandosi dal quarto piano dell'imponente palazzo storico di Dartigliano.

   
 
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