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Autore: Jessie    22/08/2016    1 recensioni
La prima cosa che vidi nella frazione di secondo in cui la figura si fermò, improvvisamente, a qualche metro da me, fu una copia venuta male di Edward.
Il millesimo di secondo successivo mi accorsi che era un uomo che non avevo mai visto prima. [..]
«Dove hai preso quell’anello?» domandò all’improvviso guardingo.
Spostai sorpresa lo sguardo verso il punto in cui si era fissato il vampiro. Il diamante incastonato all’anello di fidanzamento della madre di Edward scintillava al tenue riflesso del sole che filtrava appena tra le fronde degli alberi.
«È.. il mio anello di fidanzamento..» mormorai colta alla sprovvista.
«No. Quell’anello apparteneva a mia moglie. »
.
E se il passato di Edward Cullen tornasse a fargli visita in modo inaspettato? A distanza di tre anni dalla nascita di Renesmee, la famiglia Cullen, Jacob, Seth e Leah avranno a che fare con una nuova città, un nuovo branco, un nuovo ibrido, una neo-strega e nuove battaglie..
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clan Cullen, Edward Senior Masen, Leah Clearweater, Nuovo personaggio, Seth Clearwater
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Ciao a tutti,
mi scuso moltissimo per il super ritardo con cui ho pubblicato, ma sono stata in vacanza e non ho avuto davvero tempo di sistemare il tutto prima di oggi. E' venuto un capitolo mediamente lungo: so che non è nulla di emozionante ma avevo bisogno di accelerare i tempi dando uno spaccato di una settimana, attraverso vari punti di vista che permettessero di mostrare anche tematiche o sfumature che non avevo tenuto in considerazione. 
Prometto che, dopo un capitolo che andrà a toccare il passato di Josie e Jaxen, e l'introduzione di un personaggio nuovo, comincerà una parte molto più d'azione. Spero che avrete ancora la pazienza di leggermi!
Buone vacanze,
Jess

 
Cap.16
Una settimana
 
̴ B

 
Flashback
 
[..]Mi scusi signor Masen, posso chiederle una cosa se non sono indiscreta?»
L’uomo sembrò sorpreso ma annuì subito:«Mi sembra il minimo..»
«Non ho fatto a meno di notare che.. I rapporti tra lei e Joana non sono idilliaci.. Mi domando cosa successe per.. »fece un mezzo sorriso imbarazzato «La prego di non sentirsi obbligato a rispondere se crede.. Stavo solo pensando a come sia stato per Isobelle..»
Edward Masen scosse la testa con aria comprensiva ma non riuscii a trattenere una smorfia quando parlò:«La Congrega non lasciò correre e punì Joana, pochi giorni dopo il parto.»
Io ed Esme trasalimmo nello stesso momento.
« Una strega che addirittura si accoppia con un essere considerato contro natura e che genera una creatura maledetta non era degna di essere una di loro: così la privarono a tempo indeterminato della sua magia.»
Il suo volto divenne più pallido e serio di quanto non lo avessi mai visto quando proseguì.
 «Inutile dire che Joana ne fu sconvolta.. E in qualche maniera ero responsabile di tutto quello che le era successo. Credo che ce l’avesse implicitamente con me, senza contare il fatto che.. Be’ non riuscivo ad amarla quanto avessi mai amato Elizabeth, lo capii prima di me.. »
Nel doloroso sorriso che fece sentii una sofferenza che mi fece rabbrividire.
«Oh, signor Masen..» mormorò Esme con aria mortificata.
Scosse la testa:«Fui imperdonabile. » scrollò le spalle senza risultare disinvolto «E i nostri problemi data la situazione divennero molto più pesanti. Questo fatto di non avere più la sua magia la depresse moltissimo all’inizio. Amava, ama Izzy» si affrettò ad aggiungere «ma per l’educazione che aveva ricevuto, la magia era una parte fondamentale di lei, e allora si sentiva solo un essere umano qualunque che doveva gestire una bambina che cresceva troppo in fretta e si nutriva di sangue. » sospirò «Cercai di essere d’aiuto, la portai a Pacifica per avere una mano da Ashley e Makeda ma fu un anno disastroso.  Non andavamo d’accordo, litigavamo moltissimo e Joana pretendeva che nostra figlia si comportasse come una normale bambina di dodici mesi. Ad un certo punto decise di prendere su le sue cose e di portarsela via a Sacramento, dove viveva sua sorella. Emma era molto diversa dal resto della famiglia, aveva scelto di rinunciare alla magia per una vita normale, ma aveva mantenuto ottimi rapporti con Joana. »
«Quindi la lasciò andare?» domandai pensosa.
Edward annuì con rammarico:«Non volevo rinunciare a mia figlia ma mi sentivo in colpa, nonostante mi facesse saltare i nervi quando litigavamo. Non mi opposi quando fece quella scelta, ma accordammo che l’avrei vista almeno due settimane al mese.» scosse la testa contrariato «Non funzionò; non aveva i mezzi né le forze per gestirla, come essere umano. È vero, Isobelle era estremamente intelligente per una bambina di quell’età, ma non sempre sapeva dosare la sua forza o la sua velocità, non sempre tollerava i cibi solidi e di sicuro non poteva essere iscritta all’asilo.. Senza contare che, con due figlie a carico non era semplice seguire la.. »
Strabuzzai gli occhi nello stesso istante in cui Esme disse:«Due
«Vuole.. Vuole dire che Isobelle ebbe una sorella.. Gemella?» domandai senza riuscire ad immaginare come potesse essere tenerle in grembo.
Edward scosse la testa alzando gli occhi al cielo come se si fosse scordato di una cosa importante:«Perdonatemi. No, Izzy ha una sorellastra.»
«Sorellastra?» ripetei spiacevolmente sorpresa.
Avevo sentito una forte empatia nei confronti della sua devozione per Elizabeth e nel modo in cui parlava della sua impossibilità di rimpiazzarla, ma l’idea che si fosse riprodotto con altre due donne lo pose improvvisamente su una luce diversa.
Edward mi osservò corrugando la fronte e poi, all’improvviso, il suo viso si illuminò di un filo d’imbarazzo come se mi avesse letto nei pensieri:«Oh, no, non è mia figlia. Quando ho incontrato Joana ne aveva già una, una figlia umana. Ha diciassette anni adesso. »
«Oh..» feci arrossendo mentalmente.
Rise appena, ritrovando un po’ della naturale allegria andata persa e poi riprese il suo racconto:«Anche per il fatto che Dawn fosse umana, Joana era sempre in apprensione.. Una volta stava per bere sangue credendo che fosse Ketchup, perché avevo lasciato ad Izzy una sacca di sangue da portarsi dietro.» alzò gli occhi al cielo «Joana si arrabbiò moltissimo con me..»
«Per questo motivo ora vive insieme a Lei?» chiese Esme con un sorriso rassicurante.
Edward fece dondolare la testa, incerto:«Non esattamente. Diciamo che, sicuramente, quella vita per Isobelle era difficile quanto per sua madre. E, nonostante la vita a Sacramento le piacesse, sapevo quanto le mancava la magia. Il mio senso di colpa non si era mai placato.. In fondo doveva esserci un modo per sistemare le cose..
 Così chiesi aiuto ad Ashley e Makeda; mi proposero di chiedere uno scambio alla Congrega. Con la garanzia di una strega e quella di una Protettrice riuscii a convincerle che la colpa era stata quasi interamente mia e che Joana non avrebbe dovuto pagare in questo modo. Se le avessero restituito la magia, avrei promesso di starle alla larga e di portare con me la bambina. Misi a disposizione anche il mio dono e la mia forza per qualsiasi compito avessero avuto bisogno che io svolgessi, ed Ashley, inaspettatamente si unì a me, garantendo che fossimo un’ottima squadra. La Congrega accettò, e quando conducemmo Joana da loro le dissero che, nel momento in cui lo avessero richiesto, avremmo dovuto, tutti e tre, pagare il nostro debito combattendo per loro.
Anche se Joana era restia ad avere debiti con noi –  soprattutto con Ashley – e non voleva rinunciare ad Isobelle, accettò, allontanandosi dalla sua Congrega e decidendo di restare a Sacramento  insieme alla sorella. Aveva imparato ad apprezzare l’idea di vivere una vita normale, di usare la magia senza i vincoli di una setta. Sapeva anche che era meglio per Isobelle, stare con qualcuno di più simile alla propria natura.. A malincuore riuscì a lasciarla a me, e viviamo qui da circa sei anni e mezzo.»
Quando Edward Masen concluse io ed Esme ci guardammo con lo stesso sguardo malinconico, materno e sofferente. Poi tornai a fissare il punto il cui mio marito si era volatilizzato, domandandomi  cosa stesse provando in quel momento.
 
 
 
 
Se mi avessero detto che fare una vacanza vicino San Francisco avrebbe comportato lo stravolgimento delle nostre vite, a partire da quei quattro giorni in poi, non ci avrei mai creduto.
Dal momento in cui avevo incontrato Edward Masen eravamo stati trascinati in un nuovo universo fatto di branchi misti, neovampire, streghe e patti a noi del tutto sconosciuti. Era come se fossimo caduti dentro un portare che ci aveva condotti ad una realtà totalmente nuova, e la novità era che non lo era solo per me. Avevo creduto che, da vampira neonata, i misteri della mia nuova vita sarebbero stati dissolti dalla mia presente ed eterna famiglia, i Cullen. Eppure, nonostante secoli di esperienza, c’erano ancora tanti enigmi del loro stesso mondo in cui non si erano mai imbattuti.
Questo ci lasciava piuttosto spiazzati e forse, in parte, non ci lasciava altra scelta che compiere un atto di tolleranza e fiducia: lasciare che queste vacanze passassero mantenendosi diplomatici ed attenti, ed affidarci ad Edward ed Ashley. Senza alcuna sorpresa, l’unica persona mediamente ostile era mio marito – con eccezione di Rosalie, naturalmente.
Dopo il primo incontro con sua sorella ed il racconto di suo padre era sparito per un paio d’ore. Alice mi aveva detto che lo vedeva cacciare spostandosi verso nord e che sarebbe rientrato quanto prima, ma alla fine non ero riuscita a controllare la mia apprensione e avevo insistito perché mi dicesse il luogo esatto e gli ero andata incontro. Era stato molto stupito di vedermi, ma sollevato, e tuffarmi tra le sue braccia restituì a me lo stesso conforto. Così eravamo rimasti laggiù, approfittando della caccia e del fatto che Renesmee avesse un ottimo – mi costava pensarlo, ma ormai non c’era più nulla da fare, volevo bene a Jacob  - babysitter. Quando in viso si era fatto più calmo e sereno si era scusato varie volte per il suo comportamento.
«Bella, amore, sono  stato imperdonabile. Esme sarà stata davvero in imbarazzo.» aveva detto prendendomi il viso tra le mani con aria colpevole.
Cercando di ignorare senza troppo successo le scintille che dalla sua mano invadeva ogni singolo nervo del mio corpo, gli avevo risposto che la sensazione non era azzeccata.
«Più che altro era in pena per te, come lo ero io.. E anche tuo padre ». Gli avevo sfiorato lievemente le labbra con le mie, sperando che i pensieri non andassero fuori controllo.
Edward si addolcì appena con un mezzo sorriso ma l’effetto durò molto poco:«Lo so. Ma sono convinto sia più opportuno trovare un’altra sistemazione.»
In tutta risposta, di fronte alla sua espressione cupa e contrariata avevo sospirato:«Edward sii ragionevole.. Tuo padre ha una casa vuota e molto grande e..»
«Ho contattato un hotel qua vicino e sembra che siano rimaste un paio di stanze; per qualche giorno andrà bene. » tagliò corto, indurendo il tono.
Sapevo che non sarebbe stato semplice.
«Certo, pensa quanto sarà contenta Rose di dividere una stanza con altre due o quattro persone quando al momento ha un piano tutto per lei..» borbottai alzando gli occhi al cielo.
«Rosalie se ne farà una ragione o potrà cercare altrove.» ribadì senza demordere «Cerca di capire Bella.. Non posso approfittare di un alloggio quando faccio fatica a guardare in faccia il proprietario.»
« E alla sarà meglio tornare ed assumere un comportamento civile » ribattei «Non sono d’accordo con la decisione di tenerti all’oscuro di tutto quando non ce n’era motivo, ma sono sicura che tuo padre ti voglia molto bene e che ora sia molto dispiaciuto..»
Edward strinse i denti in una smorfia di disapprovazione.
«E va bene: novant’anni fa i vostri rapporti non erano dei più idilliaci, ma è passato molto tempo da allora. Dagli una possibilità.. » sospirai di fronte alla sua espressione stampata nel marmo « Fallo almeno per tua sorella. Insomma, nemmeno lei sapeva di avere un fratello ancora vivo.. Più o meno.»
Di fronte a quest’ultimo punto lo vidi osservarmi con un’aria indecifrabile, ma capii che sarebbe stato difficile replicare. Scrollò le spalle, poi riuscii a convincerlo a ritornare indietro, sebbene non avesse scambiato più di due frasi di circostanza con suo padre, con il quale si scusò di essersene andato per un momento di debolezza. Il suo tono era freddo e aveva evitato di incontrare lo sguardo desolato di suo padre – a chiunque sarebbero venuti sensi di colpa atroci fissandolo – ma perlomeno riuscii a scusarsi. Esme e Carlisle, di ritorno dal lavoro, cercarono di scambiarci due parole, convincendolo ad essere garbato con suo padre. Mi sembrò che, vederli conversare sottovoce da lontano, come una vera famiglia, avesse turbato per qualche istante il signor Masen: i suoi occhi sfioravano nostalgici la figura lontana di suo figlio e probabilmente rimpiangevano il rapporto andato perduto. Mi sentii male per lui.
Per il resto del tardo pomeriggio l’atmosfera era rimasta piuttosto strana, con qualche breccia di una tensione mai del tutto sciolta. Riuscimmo a distrarci con l’arrivo di Seth, appena informato da Jasper ed Emmett del cambio di programmi, che dopo aver ringraziato Edward Masen si era messo a chiacchierare con suo figlio dei college che aveva visto fino all’arrivo di Jacob e Nessie. La presenza dei due mutaforma e mia figlia contribuirono a riportare un po’ di buon umore e serenità al gruppo e anche Edward sembrò migliorare un pochino. Mi domandai dove fosse Leah in quel momento, ma Seth mi precedette spiegandoci che, dovendo lavorare fino alla chiusura, si sarebbe presentata l’indomani mattina a casa di Ashley, la quale,  come Izzy, era sparita per tutto il resto del pomeriggio. Ero così abituata a vederla al fianco del padre di Edward che la sua assenza sembrò ancora più evidente, fino a che realizzai che probabilmente avevo vissuto solo pochi momenti insieme a loro, e che ero del tutto ignara della loro vera vita.
Eppure scoprimmo che Isobelle non era rimasta con lei, quando, verso l’ora di cena era rientrata a cavallo di una motocicletta guidata da Trenton, munita di cibo in abbondanza. Lo trovai un gesto molto carino e fui contenta di vedere che Edward ci avesse scambiato due brevi parole mentre rientravamo. Almeno era un inizio..
Rimasi altrettanto stupita di vedere quanto Izzy facesse concorrenza al branco per appetito. Mangiava con gusto, come qualsiasi essere umano. Convinse quasi Renesmee ad assaggiare un pezzo di hotdog ma alla fine, con una smorfietta contrariata, mia figlia decise che il sangue aveva un odore molto più buono. Mi sarebbe piaciuto chiedere di più ad Isobelle su tutte queste cose, ma mi trattenni parecchio: mi piaceva Izzy, sembrava una ragazza energica e simpatica, e nel giro di una sera aveva familiarizzato con Seth, Jacob – sospettai che fosse abituata ad interagire con mutaforma come Trenton, Jax e tutti gli altri – e Renesmee, eppure non rivolgeva granché la parola agli altri membri dei Cullen – primo fra tutti suo fratello -, me compresa, come avvolta da una sorta di timore o bizzarra riservatezza. Vero era che ci conoscevamo tutti bene poco, e che quella sera stessa, appena avevamo finito di cenare, Jaxen l’aveva chiamata al cellulare invtandola ad uscire insieme ad altri, e verso le undici era sparita su un paio di tacchi alti – Alice mi aveva fatto notare che erano comode zeppe Loubotin. 
 Rosalie aveva fatto allusioni a proposito della puzza di cane e del fatto che avesse lavorato tutto il giorno perciò si dileguò insieme ad Emmett nel piano sopra la dependance, che già visto da fuori sembrava largo e spazioso. Alice era impaziente di mostrare ad Esme il piano mansardato che avrebbero condiviso mentre Carlisle e Jasper erano andati a caccia. Quanto a Seth, Jacob e Renesmee  notammo che, come tre compagni di giochi, già verso le dieci e mezza avevano cominciato a chiudere gli occhi, così, ci congedammo dal padre di Edward, che se ne stava in veranda seduto come in attesa di qualcosa, e portammo a letto nostra figlia raggiungendo la temporanea camera da letto.
Dire che la stanza di Edward Masen era spaziosa era decisamente un eufemismo.
Quando ci aveva condotto per il piano superiore quella mattina stessa eravamo presi da tutt’altro e non personalmente mi ero solo preoccupata di lasciare un paio di cose appena oltre la porta. Ora che avevo seguito Edward e Renesmee, superando di un paio di passi la soglia, pensai che in qualche modo rispecchiasse lo stile sobrio ed elegante con cui quell’uomo mi si era presentato, ma allo stesso tempo era troppo estesa per gli oggetti che conteneva ad una prima occhiata.
La prima cosa che ci si trovava davanti entrando era  uno ampio spazio spoglio che portava ad un letto matrimoniale piuttosto largo. Poggiava su un piano rettangolare rialzato in sostituzione delle doghe e la rete, mentre al posto del comodino di sinistra stava una mensola bassa, reggente un’abatjour squadrata e perfettamente complementare alla sua gemella che sporgeva dal soffitto verso il basso, dall’altro lato del letto. Notai che ogni cosa sembrava abbinarsi perfettamente all’altra, come i più minimali esempi campione sulle pagine di riviste d’arredamento: se le mensole erano nere, lo era anche il rettangolo sporgente su cui poggiava il materasso, le quali lenzuola riprendevano le tonalità del grigio fumo, bianco perla – lo stesso del soffitto  e della parete che dava sull’esterno, su cui si apriva un’ampia finestra.
Per quanto la trovai essenziale e impeccabile, mi sembrava fin troppo vuota, come se mancasse qualcosa. Mi sembrò strano che con tutto quello spazio a disposizione ci fosse solo il letto. Che mi fossi persa l’armadio?
Mentre lo pensavo, ispezionando stupefatta la parete che rivestiva di assi in legno invecchiato che avevo davanti e alle spalle, feci per voltare la testa a sinistra, dove stava mio marito che mi aveva preceduta entrando, e mi bloccai.
Non mi ero persa solo l’armadio, ma una stanza intera.
Edward fissava perplesso quello che era, eufemisticamente, una nicchia comprendente armadio abitabile e stanza relax insieme.
«Wow..» mormorai mentre la testolina bronzea di mia figlia – che si era trascinata a fatica mano nella mano con suo padre fino al piano superiore - saliva agile, come risvegliata da un incantesimo, i due gradini bianchi prima di trovarsi di fronte ad un largo box doccia piuttosto trasparente, ed ispezionava l’angolo armadio.
«E tu che mi prendi in giro perché compriamo automobili veloci..» borbottò mio marito inarcando un sopracciglio mentre Renesmee percorreva l’angolo retto ricoperto dall’armadio a vista.
«Se lo farò ricordami questo armadio..» dissi con gli occhi ancora intenti ad analizzare la semistanza.
Attraverso un gioco di sottili gradini ed intervalli di pianerottoli appena rialzati, Edward Masen aveva ricavato molto più di un bagno in camera, ma piuttosto una piccola stana relax in miniatura. Il quadrato della doccia era il pilastro attorno cui giravano due pareti di armadio, dello stesso colore della parete dietro al letto, ed un piccolo materassino sopra il quale ci stava una mensola fornita di libri, tra romanzi classici e saggi di economia. Nostra figlia saltò proprio lì sotto, sprimacciando il cuscinetto con un sorriso stanco.
«È proprio una bella stanza, eh Nessie?» le domandai cercando di abbozzare un sorriso.
Ebbe il tempo di annuire che nel giro di pochi secondi la vidi battere le palpebre ed addormentarsi. Alzai gli occhi al cielo: nemmeno da umana avevo la capacità di prendere sonno così velocemente.
Sentendo mio marito sospirare feci per avvicinarmi a lui e gli circondai la vita con le braccia, appoggiando la fronte sulla sua schiena.
«È solo per qualche giorno, sii paziente..»
 
 
̴ I
 
Quando riuscii ad aprire per la prima volta gli occhi dopo gli svariati tentativi fatti con l’assoluta certezza di accecarmi, mi convinsi che assecondare Jax era stata una pessima idea. Dovevo saperlo che sarebbe finita con un mal di testa..
Jax mi aveva chiamato verso le nove, entusiasta, perché aveva scoperto che facevano una festa al locale dove lavorava Kala, e lui il martedì aveva sempre la mattinata libera. Senza contare che Josie gli aveva strappato il telefono dalle mani e aveva strillato qualcosa come “non mi hai ancora salutata, devi venire alla festa”  e “drink gratis”. E pensare che quando gli avevo riportato la moto sembrava dover crollare da un momento all’altro.. Mutaforma: dormono qualche ora e sono come nuovi.
Avevo temporeggiato molto, in fondo casa mia era piena di ospiti e i rapporti tra mio padre ed il mio fratellastro erano al minimo storico. Be’ non che mio padre restasse sempre molto a casa la notte.. E poi chi ci sarebbe stato? Ero piuttosto sicura che Trenton avrebbe dovuto lavorare e che probabilmente non sarebbe..
Al diavolo, mi ero detta, smetti di pensare a lui. Stasera indosserai il tuo top nuovo, i tuoi sandali a zeppa fiorata, un bel paio di pantaloncini a vita alta e peggio per lui.  
Sembrava più facile a dirsi che a farsi, ma in qualche modo accettai, mi vestii a puntino - sotto gli raggi X della nanetta e la biondona che parlottavano tra loro nominando marche famose – e decisi di uscire. Mio padre, come sempre, aveva storto il naso di fronte al mio top diversi centimetri sopra l’ombelico e mi aveva lanciato una giacchetta per coprirmi, ma alla fine mi aveva augurato buona serata con un sorriso più o meno sereno. Certo, l’idea che Mr Simpatia Suo Figlio gli rivolgesse a malapena la parola non doveva renderlo molto felice..  A me personalmente inquietava non poco. La sua aria centenaria e la sua espressione apatica, educata per inerzia, mi tenevano parecchio alla larga da lui; non avevamo scambiato una parola dopo quella stretta di mano, e sebbene sua moglie sembrava molto incoraggiante di fronte a questa nuova unione, e nonostante insieme a Bella il mio fratellastro paresse un agnellino, non parlai granché nemmeno con lei, visto che le era sempre appiccicato.
Domandai invece ai due spilungoni, Seth e Jacob, se volevano unirsi a noi, ma come immaginavo il primo era stanco morto ed il secondo non si sarebbe mai sognato di mollare il suo imprinting. Vederlo dal vivo – anche se quella piccolina era adorabile - mi faceva venire ancora più il voltastomaco. O forse ero solo gelosa.. Sì, molto più probabile.
Alle undici, senza ospiti al seguito, saltai sulla vecchia mustang di Jax, stritolata dall’abbraccio e la voce di Josie che mi trillava ad un orecchio, e raggiungemmo Kala. Naturalmente di Trenton nessuna traccia.
Avevo deciso di buttarmi sulla danza insieme a Josie, e Jax mi aveva convinta ad accettare la sfida per una gara di shots micidiali preparati da Kala – come se non sapesse che l’avrei persa. Mi ero dovuta sedere e fare un pisolino sul divano, vicino ad una coppietta avvinghiata peggio di un rampicante, poi, dal momento che era martedì alle 3 e mezza ci avevano cacciati fuori. Naturalmente era decisamente troppo presto per trovare una pasticceria aperta, di martedì mattina. Josie e Jax avevano insistito per andare dall’altra parte della città alla B.Patisserie  – quando erano brilli erano d’accordo quasi su tutto, soprattutto sulle idee folli – ma ero riuscita a convincerli a tornare a casa. Avevamo ripiegato sulla dispensa di Makeda, che dormiva sonoramente all’ultimo piano, sbattendo una dozzina di uova insieme al bacon e pane tostato. Di mio padre ed Ashley non c’era traccia, come la maggior parte del tempo… Per fortuna. Di sicuro non sarebbero stati contenti di vederti alticci. Diciamo che per un mutaforma e una mezza vampira non era il massimo perdere l’inibizione. Non che il sangue umano mi desse sul serio alla testa ormai, non se hai una madre umana, però..
Gli unici rumori che si sentivano, a parte il sonnecchiare in sordina di Trenton, erano le nostre risate soffocate. Probabilmente, quando Leah passò davanti alla porta e si bloccò in mezzo al corridoio dovevamo esserle sembrati parecchio stupidi mentre armeggiavamo con i piatti e le uova strapazzate. Portava una lunghissima maglia da uomo che le sfiorava le ginocchia e aveva gli occhi mezzi chiusi, diretta verso il bagno. Jaxen insistette perché si unisse a noi, e, anche se restò seduta e silenziosa per tutto il tempo, alla fine rimase. Era vero che ci avevo scambiato appena due parole in tutto, ma mi sembrava davvero bizzarra, forse un po’ a disagio. Di sicuro Jax si divertiva da matti a punzecchiarla, anche se lei lo ignorava beatamente.
Be’ ad ogni modo avevo strisciato fino al mio letto verso le 5 del mattino -  per fortuna mio padre non era ancora rientrato dalle sue “escursioni serali” e stranamente la casa sembrava essere una tomba, anche se era popolata da almeno sei vampiri – e me l’ero dormita fino a mezzogiorno, quando non avevo potuto più ignorare la luce che trafiggeva le tende, e anche i miei occhi.
Come uno zombie ero scesa al piano di sotto, e mi ero presentata davanti alla maggior parte dei Cullen, con tanto di mutaforma al seguito, con i capelli a balla di fieno e gli occhi stropicciati in due fessure.
Quando mi videro quello nerboruto ricciolino ridacchiò e gli altri mi sorrisero divertiti.
Facile se non dormi dalla presa della Bastiglia.
In tutta risposta faccio un cenno di saluto con la testa, ed intercettando appena la bambinetta che mi sorride raggiante, mi avvio verso il frigorifero. La scelta non è molta, c’è solo latte e poco altro. Dovrò fare la spesa prima o poi..
Mi metto in punta di piedi cercando di afferrare la scatola del cornflakes e realizzo solo in quel momento che probabilmente sto mostrando le chiappe alla metà dei miei ospiti, visto che sono scena con una maglietta consumata e raso-inguine ed indosso ancora le mutande striminzite di raso rosse delle  grandi occasioni. Meraviglioso risveglio. È finito pure il caffè e vorrei spararmi in bocca.
Visto che ormai le figura di merda abbondano, con un sospiro balzai sul bancone e mi siedo a piedi incrociati, china sulla mia tazza di latte e cereali. È lontano il ricordo dei pancake di mamma o i biscotti di Dawn..
Mi trovai Renesmee vicino prima che potessi accorgermene e le indicai il piano del bancone su cui ero seduta io. Non se lo fece dire due volte e saltò su vicino a me, osservandomi curiosa mentre mangiavo.
In quel momento un rumore di chiave che si gira nella serratura e un attimo dopo la porta principale si spalanca.
«Buongiorno tesoro!»
Alzo appena la testa per individuare mio padre, allegro e pimpante, che fa il suo ingresso carico di sporte della spesa. Meno male.. Non che io sappia cucinare – e nemmeno lui è un gran cuoco – ma almeno non dovrò arrivare fino a quel pidocchioso supermercato in moto. Le commesse sono lente ed invadenti.
«Buongiorno famiglia Cullen..» prosegue, venendo verso di me e sistemando le buste della spesa «Spero siate stati bene nelle vostre sistemazioni.»
«Benissimo signor Masen! Grazie ancora per averci dato una mano..» disse mamma chiocca sorridendo zuccherina.
«Ne sono felice!» risponse, dando un buffetto sulla testa di Renesmee. Poi la sua testa sbucò tra la mia e quella di mia nipote e con un sorrisetto beffardo allunga la mano per mostrarmi qualcosa.
È un caffè d’asporto. Un. Caffè. Oh, io adoro mio padre.. 
«Starbucks, cappuccino.»
«Ti adoro indiscutibilmente.» bisbiglio con una voce da trans degna di una postazione fissa sulla Walk Of Fame.
Lui rise e scompigliò i capelli anche a me, poi guardò di nuovo e Esme e domanda:«Avete programmi per oggi? »
Lei alzò le spalle sorridendo con gentilezza:«Non saprei..»
«Sarebbe un’ottima idea!» trillò Alice, prima che il mio padre potesse formulare la sua proposta. Ero così rincoglionita che non capii affatto cosa stesse succedendo.
 Un secondo dopo si rabbuiò poi aggrottò la fronte e guardò Jake:«Questa cosa che i licantropi coinvolti annullino la mia giornata diventa ogni anno sempre più fastidiosa..»
«Temo dovrai abituarti nanetta» fece Jacob inarcando un sopracciglio.
Ah già, la sensitiva. Quindi non poteva vedere i mutaforma? Interessante.
Mio padre come al solito non perdeva il suo buon umore e lo trovai parecchio divertito dalla situazione. Si limitò a scrollare le spalle:«Che ne dite di una bella passeggiata a San Francisco?»
Oh Gesù, la mia testa..
 
̴ B 
 
Camminare insieme ad Edward Masen mi riportò alle mie prime uscite da umana con i Cullen.
Se tutti noi riscuotevamo un certo successo interagendo con gli umani, e se, in particolar modo, Rosalie riceveva ogni attenzione maschile presente, non c’era nessuna donna nel raggio di mezzo metro che non lanciasse occhiate al padre di mio marito. Passeggiava rilassato poco avanti a noi, lanciando di tanto in tanto uno sguardo dietro ai ray-ban verso sua figlia che teneva per mano la mia – che intrecciava le dita della sinistra alla destra di Jacob – e di tanto in tanto faceva mezzi cenni di saluto o sorrisi suadenti a qualche manciata di passanti. Edward come al solito lo seguiva silenzioso, badando a non incrociare troppo il suo sguardo.
 Vederli camminare a pochi passi di distanza l’uno dall’altro metteva in luce tante similarità quante differenze. In qualche modo mio marito non aveva mai compreso davvero quanto fascino potesse esercitare su di me o sugli altri, non si curava degli sguardi esterni, a meno che, come nel mio caso, ne fosse inspiegabilmente interessato. Edward Masen camminava con la stessa noncuranza e pacatezza, ma nello stesso tempo appariva del tutto consapevole dell’effetto che il suo aspetto facesse sulle persone. Era perfettamente a suo agio, quasi divertito, in quella che era diventata una passerella lungo il molo.
Quando arrivammo alla zona popolata dalle foche, ci tenemmo tutti a debita distanza perché Renesmee potesse vederle distese sopra le piattaforme al sole. Isobelle e Jacob si appoggiarono alla staccionata mentre mia figlia vi si arrampicava per vedere meglio.
«Ehi Renesmee, ma ce l’hai un soprannome? » sentii domandare da Izzy guardando una foca sistemarsi goffamente su un pezzo di cubo. Da quella distanza il mio udito funzionava ancora molto bene.
Jacob fece un mezzo sorriso e scompigliò i riccioli di mia figlia, che lo ricambiò, poi posò una manina sulle guance di Isobelle e la ritrasse velocemente. La sua nuova amica guardò Jacob e scoppiò a ridere.
«Nessie?? »
«Mi è quasi costata la gola..» commentò Jake voltandosi appena nella mia direzione sfoggiando il suo solito ghigno furbesco; sapeva che potevo sentirlo.  In tutta risposta alzai gli occhi al cielo e gli mostrai la lingua.
Isobelle ridacchiò insieme a Renesmee, poi le diede un paio di pacche su una spalla:«Mi piace, è carino!»
Poi vidi di profilo stamparsi un sorrisetto divertito sulle labbra:«I mostri di Loch Ness vogliono fare qualcosa degno del loro nome?»
L’espressione interrogativa di Jacob e Nessie  si riflesse per qualche secondo sul viso di Isobelle, poi entrambi sorrisero. Nemmeno il tempo di chiedere a mio marito cosa si fossero detti in quello scambio mentale che vidi mia figlia balzare dietro a Izzy che scavalcando la recinzione era andata a posarsi proprio vicino ad una foca. Jacob le seguì ridacchiando insieme a loro mentre qualcuna delle foche si gettava in acqua, altre sembravano quasi voler giocare insieme a loro. I radi passanti, sotto a quel cielo parzialmente grigio, lanciarono loro uno sguardo interrogativo; di fianco a me  udii Rose sbuffare, mentre Emmett accennava una silenziosa risatina. Io sorrisi di fronte allo spettacolo delle risate ammalianti di mia figlia mentre le arrivavano in faccia schizzi d’acqua. La vedevo serena e felice, insieme alla sua nuova amica. Anche Isobelle mi sembrava più se stessa quando era in sua compagnia; rispetto a quando era insieme a noi era più rilassata, ed il suo lato ribelle emergeva all’improvviso.
Quando eravamo riusciti ad allontanare Renesmee dalle foche proseguimmo il nostro giro fino al negozio di articoli da mare e surf di Trenton. Ci aveva accennato che lavorasse in un posto simile, ma non avevo capito che ne fosse davvero il proprietario. Vicino ad uno scaffale c’era un ragazzo poco più giovane di Trenton che sistemava parte della merce. Nel momento in cui entrammo e vide Izzy l’aveva salutata allegra, ma il suo sorriso malizioso sembrava saperla lunga. Con un cenno del capo le aveva indicato Trenton, che stava dietro al banco a controllare qualcosa al computer. Quando Isobelle incontrò gli occhi del mutaforma notai le sue gote diventare più rosee e il suo viso illuminarsi: non ci volle Edward per capire che ad Izzy Trenton piacesse. Poteva essere il suo imprinting? Cercai di studiare la sua espressione per un po’, ma non mi parve di vedere lo stesso trasporto che leggevo negli occhi di Jacob, sebbene la serenità che emanasse fosse difficile da eguagliare. Trenton aveva tutta l’aria del tipico ragazzo con cui raramente potresti litigare; gli occhi di un profondo blu avevano qualcosa di estremamente pacifico che contagiava il suo modo di parlare e il suo sorriso. Anche il padre di Edward ed Izzy pareva andarci d’accordo; quando vedeva sua figlia e Trenton parlare i suoi occhi seguivano ogni movimento con un sorrisetto piuttosto compiaciuto. Forse aveva preso questa cosa dell’imprinting meglio di me, e quel ragazzo gli piaceva sul serio. Eppure non sembravano stare insieme: che non si fossero ancora dichiarati?
Mentre uscivamo dal negozio, dopo aver scambiato quattro chiacchiere ed esserci presentati a Tyler, vidi i due parlottare di qualcosa, poi Trenton aveva aggiunto:«Ci vediamo sabato alla festa!»
Fui certa di vedere gli occhi di Isobelle sciogliersi di malinconia mentre gli sorrideva ed annuiva.
 
***
Il fatto che, come aveva previsto Alice, il mercoledì e probabilmente il giovedì sarebbero stati impeccabilmente soleggiati fece sì che la casa di Edward Masen diventasse la mia nuova zona esplorativa. Sebbene ospitasse tre coppie di vampiri, un ibrido e due mutaforma in qualche modo riusciva a svuotarsi e diventare una sorta di castello incantato in attesa che qualcuno lo esplorasse. Dal momento che Jacob  e Renesmee potevano muoversi tranquillamente sotto il sole, passavano moltissimo tempo fuori sotto la guida di Isobelle e qualche volta Josie, che gli mostravano lati della città che mi sarebbe tanto piaciuto vedere: invidiavo parecchio l’anello del signor Masen in momenti come quelli - anche se, ironicamente, quei giorni se ne stava chiuso a lavorare nel suo studio per gran parte del giorno.
Carlisle aveva convinto il custode a farsi dare una copia delle chiavi del laboratorio del centro di ricerca in cui lavorava, così se ne andava via prestissimo la mattina, in modo da evitare di uscire quando il sole era già troppo forte per la sua pelle. Esme aveva scovato un piccolo rudere a pochi chilometri sopra villa Masen, e stava cercando di ideare un progetto, con l’aiuto di Alice, per rimetterlo a nuovo: se ne stavano tutto il giorno a disegnare in soffitta o a fare sopralluoghi oltre il bosco. Edward era in rotta con Rosalie, perché, a detta sua, stava cercando di rallentare i lavori, in combutta con Emmett, per godersi la sua nuova suite sopra al garage; anche se Rose negava tenacemente, combattere contro l’evidenza di chi può leggerti nella mente e di chi ha accesso alle visioni di una piccola veggente era piuttosto inutile. Così Edward aveva passato entrambi i giorni a monitorare i lavori, convincendo Jasper a dargli una mano – nemmeno lui, tuttavia, sembrava avere tutta questa fretta di trasferirsi. Era ovvio che i rapporti tra mio marito e suo padre non erano migliorati affatto..
Così restavo da sola la maggior parte del tempo, vagando per la casa e scoprendo nuove stanze inesplorate. A volte mi sentivo parecchio invadente, ma ogni volta che chiedevo il permesso al signor Masen mi rispondeva che non dovevo preoccuparmi e che non aveva nessuna camera delle torture nascosta. Qualche volta passando davanti al suo studio scambiavamo due chiacchiere o mi mostrava qualche foto. Mi spiegò che si era molto appassionato alla fotografia nel corso del tempo e mi fece pure vedere la piccola stanzetta dove era solito sviluppare. Era piena zeppa di album o cornici che  ritraevano perlopiù Ashley, ritratta insieme a lui nelle mille città che avevano visitato insieme, e la crescita di Isobelle. La mia famigliarità con il mio suocero era andata aumentando tanto che mi aveva preso a chiamarmi Belle, come la protagonista de La Bella e la Bestia, paragonandomi a lei per il mio vagare in giro per la casa con aria curiosa. Be’ di sicuro il signor Masen non aveva un’enorme biblioteca da mostrarmi, ma le stanze che vidi – senza parlare del gazebo sul retro, degno del musical Tutti insieme appassionatamente – erano tutte piccoli gioielli di arredamento moderno. Mi divertii moltissimo a guardare vecchie foto dei mille itinerari solcati da Edward ed Ashley, che talvolta portava lunghi capelli appena ondulati e sembrava parecchio più spensierata. Se avessi potuto mi sarei commossa quando avevo trovato alcune antichissime fotografie di Edward e sua madre, quando era ancora umano. Anche nella rigidità della posa e la solennità dell’espressione era bellissimo. Edward Masen talvolta snocciolava due o tre didascalie alle foto che m’incuriosivano di più, e così avevo scoperto varie cose sulla vita di Edward che non mi aveva mai raccontato. Sapevo che un vampiro non ricorda mai bene il proprio passato da umano, dopo che ha vissuto così tanti anni, eppure il signor Masen aveva una chiara concezione di ciò che era stata la sua storia novant’anni prima. Chissà, forse le foto lo avevano aiutato.
Fu difficile capire se questo avvicinamento stesse disturbando o meno mio marito; non si esprimeva a riguardo quando ci vedeva scherzare, ma i suoi occhi ci analizzavano mantenendo la stessa aria indecifrabile diventata ormai quella di routine. Mi dispiaceva molto vedere che in qualche modo si trattenesse, che la notte, anche se suo padre restava spesso solo in salotto o in veranda mentre sua figlia e la mia dormivano sodo, non si trattenesse mai a parlargli.
Tuttavia, il mercoledì sera, mentre Izzy guardava la televisione insieme a mia figlia e Seth si preparava per ritornare qualche giorno a La Push, Edward Masen si presentò oltre la porta di casa con uno smoking dall’aria nuova di zecca. Io ed Alice ce ne stavamo in veranda a chiacchierare – Edward probabilmente era di ritorno da casa nostra insieme a Rose, per darci notizie sul lavoro all’impianto – ed avevamo sentito Izzy esclamare un “che eleganza” dall’interno. Avevamo fatto in tempo a voltarci che il signor Masen era uscito, sfoggiando un sorriso scintillante.
«Un Anderson & Sheppard !» disse Alice piacevolmente illuminandosi in volto. Poi mi mostrò la lingua:«Almeno qualcuno della famiglia ha buon gusto »
Edward rise:«Ho una serata di gala che non potevo declinare.. Credo di avere usato questo smoking solo un paio di volte da almeno»
«Sessant’anni! » lo interruppe Alice concitata «È un vintage! Costerebbe una fortuna oggi!»
Il padre di Edward sembrò divertito ma si limitò ad alzare le spalle.
«Ricordami perché ho accettato.» sbottò una voce inconfondibile.
Ci voltammo verso il gruppo di alberi alla nostra destra e vedemmo Ashley camminare nella nostra direzione con un paio di sottilissimi tacchi in mano ed un luccicante vestito a sirena addosso. Fu quasi surreale vederla così, quasi quanto la voce di Alice che mi bisbigliava mille parole al secondo alle orecchie, nominando stili e marche mai sentite. Tutto quello che capii era che pure quello doveva essere un vintage.
Edward Masen sorrise illuminandosi in volto:«Perché mi vuoi bene e non vuoi lasciarmi da solo in pasto agli uomini d’affari.»
«Ma tu sei un uomo d’affari.» fece inarcando un sopracciglio mentre si avvicinava «E nel momento in cui ho tirato su la zip di questo vestito ho realizzato perché non lo metto mai.»
«Sei incantevole.» fece con un sorrisetto divertito.
Ashley gli diede una spintarella amichevole sulla spalla scuotendo la testa:«Se stai cercando di ammorbidirmi  fare il farfallone non ti aiuterà Masen.»
Per nulla scoraggiato l’uomo piegò il braccio destro e glielo pose con uno dei suoi sorrisi scintillanti e pieni di ironia:«Ci sarà dell’ottimo Champagne e un pregiatissimo buffet.»
Rise appena poi sospirò alzando gli occhi al cielo mentre avvolgeva la mano attorno alla piega del gomito:«Facciamolo.»
Edward Masen ridacchiò poi si voltò nella mia direzione:«Probabilmente la cosa andrà per le lunghe. La casa è a vostra completa disposizione, sentitevi liberi di invitare chi volete.»
«Grazie signor M.. Edward. » sorrisi mordendomi un labbro «Divertitevi.»
 
̴ L

Non sarei mai rimasta a casa dei Cullen, non mi sarei rotolata tra le lenzuola puzzolenti di una delle stanze polverose ed altrettanto puzzolenti della loro casa delle vacanze e di certo non avrei mangiato cibo puzzolente cucinato da Esme o Edward Cullen. Ma se la scelta era tra rivedere due volti amici e ritornare a La Push, mi sarei tappata il naso e avrei sopportato.
Sembravano un miraggio i giorni in cui l’imprinting di Jacob era un’incognita mostruosa ed io ero sgattaiolata via di casa unendomi al branco dei ribelli, pattugliando un terreno non mio, difendendo esseri che non sarebbero mai dovuti esistere. Eppure, se non fosse stato per Jacob, sarei dovuta restare chiusa a La Push, in pochi isolati di libertà, sapendo che se volevo correre in libertà ogni  mio pensiero sarebbe arrivato alla mente di Sam, presto o tardi. Certo, era tutto diverso ora che anche a Jacob l’imprinting aveva fatto il lavaggio del cervello; la sua mente piena di calma e serenità era piena zeppa di pensieri rivolti alla mocciosa Cullen, e neppure le frecciatine lo scalfivano più.. Ma mi aveva permesso di poter scorazzare finalmente libera, avere uno spazio tutto mio in cui Sam non sarebbe più rientrato.
Naturalmente la beffa della mia vita, questo destino da mutaforma che avevo odiato sin dal primo giorno, continuava a tormentarmi. Se Seth e quasi tutto il branco di Sam aveva gradualmente smesso di trasformarsi, almeno per un po’, io non ne ero stata ancora in grado. Subito dopo la cena per il matrimonio di Emily e Sam mi ero defilata, e prima che potessi accorgermene avevo già sbriciolato l’abito da damigella e stavo correndo nella foresta in forma di lupo. un impiego part-time ad Olympia, ma ogni volta che, la sera, rientrando a casa passavo davanti alla casa di Emily e Sam sentivo il mio cuore perdere un battito e stringersi in una morsa. Sapevo di dover cambiare aria e di dover fare esperienza per capire cosa volessi fare nella vita. Così, per tre anni,avevo deciso di andarmene a debita distanza, avevo trovato un lavori stagionali in Oregon, nel Montana, nel Wyoming, e nello Utah, dove, come avevo promesso a Jacob, mi ero anche iscritta ad un corso di yoga. Mi aveva aiutata ben poco, ma la mia sanità mentale sembrava in equilibrio proporzionalmente alla distanza da La Push, Sam, e qualsiasi notizia che li riguardasse. Di mattina mi alzavo prestissimo, facevo una corsa, andavo a lavoro, e tre sere a settimana frequentavo il corso. Sapevo che quell’ultimo contratto di lavoro sarebbe terminato a breve, ma la prospettiva di tornare a casa mi faceva tremare tanto dal fare esplodere i vestiti, scorrazzare in distese verdi. Volevo allontanare il sovrannaturale dalla mia vita, ma in qualche modo sembrava che il sovrannaturale non volesse abbandonare la mia.
E poi, quel pomeriggio di metà giugno c’era stata una svolta del tutto inaspettata, che per tutti gli altri si chiamava Edward Masen; per me Ashley Bell-Ward.
Quando mi aveva detto che il succhiasangue sposato con la figlia di Charlie aveva ritrovato il suo padre perduto e vampirizzato, e che di fianco a loro viveva un gruppo di mutaforma, il mio cervello aveva afferrato solo le parole riguardanti “una certa Ashley ”. Una lei. Una mutaforma donna.
Non riuscivo a pensarci o a realizzare cosa questo potesse significare, ma sapevo solo una cosa: dovevo conoscerla.
Così avevo approfittato del giorno di chiusura del bar, e, anche se la California stava a due ore da lì, e che il giorno dopo avrei dovuto lavorare, ero corsa fino a laggiù, ben decisa a tenermi a debita distanza dai Cullen. Fui estremamente sorpresa di sapere che era proprio lei, Ashley, il capobranco.
La prima impressione dopo averla guardata era l’impossibilità nel riuscire a darle un’età definita. La sua pelle aveva qualcosa di estremamente familiare, ma i suoi occhi imperscrutabili mi lasciavano interdetta. C’era qualcosa di sinistro, e di nascosto dietro il suo sguardo. Era taciturna, diretta, ma quasi sempre seria , nella sua ospitalità. Era così assurdo pensare ad un essere umano vivo da più di novant’anni, ferma alla sua età, senza un motivo che conoscessi. Doveva esserci. La conoscevo poco, e in casa si muoveva come un fantasma silenzioso, ma non pareva affatto che amasse la sua vita, né che la detestasse. Era bloccata in un limbo che non mi sapevo spiegare.
D’altro canto, quando mi aveva invitata a restare da loro, non avevo saputo dire di no. Non mi sentivo a mio agio, ma sentivo non voler lasciare quel luogo, non quando c’erano ancora così tanto da imparare. Un branco, il primo branco misto che avessi mai conosciuti, dove essere una lupa non era uno scandalo; dove ognuna di loro aveva vissuto e superato gli ostacoli fisici che questo comportava. Ognuna di loro era una risposta alle mie preghiere: forse avrei capito come trovare la pace necessaria per abbandonare questa doppia vita, il dormiva in me.
La prima sera che li avevo visti tutti insieme - Jaxen, Jocelyn, Kala e Trenton – nel mio cuore si erano riaperte piaghe che credevo ormai sanate. La vergogna e la nostalgia, ma soprattutto l’invidia. L’invidia per essersi trasformate sotto la guida di una leader in grado di appianare le differenze di genere, che sapesse rispondere a tutti gli interrogativi. Sam era stato a modo suo un buon capo, ma era troppo orgoglioso per ammettere che si dovesse sapere di più, che doveva esserci di più oltre la nostra tribù. Eppure lo smacco tribale gli faceva credere di essere autosufficiente, io ero quella sbagliata,  diversa, l’errore.
Non ce l’avevo fatta a restare, e mi ero allontanata sul retro. Ashley in qualche modo mi aveva trovata e con le sue intuizioni mi aveva spiazzata. Come se sapesse leggermi la mente.
Mi spaventava, e non mi sentivo a mio agio, né parte di qualcosa, ma dentro di me mi disse di restare. Dovevo.
E così avevo fatto.
Makeda mi aveva preparato una stanza generalmente adibita a disimpegno. Era minuscola, ma perfetta. Osservavo il branco, battibeccare, litigare e scherzare come una vera famiglia il cui matronato spettava ad Ashley e Makeda. La coppia di pestiferi gemelli che seminava caos per tutta la casa erano monitorati perlopiù da Josie e Makeda, la nonna e mamma di tutti – non era per niente solenne ed austera come si era mostrata la sera in cui ci aveva raccontato le nostre origini. Qualche volta mi aveva invitata ad aiutarla con infusi di erbe particolari, ed avevo avuto modo di chiederle qualche cosa sulla sua vita e quella del branco, che considerava come figli e nipoti. Kala e Trenton erano i più pacifici e disponibili di tutti, anche se sembravano molto più legati rispettivamente a Jocelyn e Jaxen, piuttosto che tra loro; in qualche modo li bilanciavano con la loro calma, ristabilendo un qualche equilibrio che andava perdendosi se Jax e Josie restavano insieme da soli. Eppure non li vedevi ma troppo lontani l’uno dall’altra, come un duo tragicomico di attori, come quelle coppie che passano la maggior parte del tempo a litigare tenendo per sé l’affetto. Dopo un po’ mi davano sui nervi, ma in fondo, all’inizio, erano buffi. A parte Jaxen. Lui era davvero irritante..
Tutto sommato però avevo imparato tante cose su me stessa, avevo fatto yoga insieme a Kala, dopo che avevo scoperto che lo facevano sempre prima e dopo i turni di lavoro. Era semplice stare insieme a lei; era il tipo di ragazza solidale ma non invasiva, che capisce al volo quando lasciarti sola e quando essere d’aiuto. Cominciai a prenderla in simpatia, tanto che le chiesi se potesse insegnarmi a trasformarmi senza distruggere i vestiti. Mi aveva risposto che l’esperta era Ashley, ma pochi minuti dopo aveva cambiato idea, dicendomi, distratta, che lo avrebbe fatto lei senza alcun problema.
Non capii tutto quel mistero, ma accettai, convinta che ci fosse dell’altro, qualcosa che il branco sapeva e del quale io, outsider, ero del tutto all’oscuro.
Ci ripensai una delle notti che passai a casa loro. Non riuscivo a dormire, così mi ero affacciata alla finestra, sebbene non si vedesse granché di nuovo al primo piano.. Avevo sentito un rumore, come un appoggiarsi soffice di talloni sul terreno e in un attimo avevo visto Ashley trasformarsi in un lupo, un enorme husky, e correre via attraverso gli alberi. Anche le notti successive, ci feci caso, sentii esattamente gli stessi suoni. Un rituale, che si ripeteva quasi ogni notte.
Che cosa nascondeva Ashley?
 
 
̴ 
 
«Non fare tardi ‘Ley..»
Michael è lì, davanti a me. Con la camicia bianca spiegazzata e le bretelle che reggono i pantaloni da lavoro. Sorride, i denti scintillano insieme ai suoi occhi verde opaco.
Le sue spalle larghe, il suo naso sottile e drittissimo, le sue labbra piene, corte ma sinuose. È davvero qui. Michael. Com’è possibile?
«Michael.. Sei.. Davvero tu?» esito avvinandomi appena di fronte al suo sorriso immacolato. La sua espressione calma e perfetta mi riempie di serenità.
«E chi dovrei essere?» ride, colmando lo spazio tra noi con aria divertita «Farai tardi alla festa del piccolo Johnny, e non te lo perdonerà! Devo andare a lavoro, ma tu salutalo da parte mia.»
Incerta gli poso una mano sullo zigomo pronunciato e tiepido. Le mie dite fanno contatto con l’elettricità della sua pelle ed un brivido mi travolge. Allora riesco a sorridere, mentre con le sue mani grandi  e le dita affusolate mi circonda la vita. Sento le sue labbra soffici sfiorarmi la fronte con dolcezza ed il mio stomaco si riempie di farfalle disorientate che si dibattono su ogni centimetro di addome.
«Stai bene Ashley? »
Lui è qui, di fronte a me. È vero, è reale. Il presente che credevo ora è solo un incubo sfumato.
«Mick.. Che sogno orribile che ho fatto..» gli dico con la fronte appoggiata al suo mento.
«Era così spaventoso?»
«Tu non c’eri.» mormoro rabbrividendo.
Sento il suo respiro sopra le mie sopracciglia. Sta sorridendo.
«A me sembra un buon preludio per un sogno..»
L’idea mi provoca come una crepa in mezzo al cuore e d’istinto lo colpisco, più piano che posso, ad una spalla e lui ride massaggiandosela. Non appena vede che sto per allontanarmi indispettita mi avvolge di nuovo la vita con un braccio. Non avverto nemmeno che mi stia attirando a sé facendo leva sull’avambraccio, ma non mi oppongo e scivolo verso di lui, imbronciata.
Sorride, sereno come il cielo estivo, sereno come solo lui può essere e mi sfiora il naso con un dito della mano libera:«Sei la donna più permalosa che conosca Ley.»
Mi abbraccia appoggiando il mento sulla mia testa e lo sento sospirare, mentre mi accuccio di buon grado contro il suo petto.
«Se non ero insieme a te dev’essere stato davvero solo un incubo.» dice dolcemente accarezzandomi i capelli. Premo il naso contro la sua camicia che porta le tracce di Acqua di Colonia e terriccio fresco. Ne assaporo ogni centimetro e lo lascio imprimere nelle mie narici. Faccio per scostare la testa e raggiungere le sue labbra quando mi sento qualcosa di caldo e bagnato schizzarmi la guancia.
Mi scosto appena e vedo la camicia bianca risucchiata da una macchia rossa in espansione, che inzuppa il tessuto. Alzo la testa di scatto e vedo gli occhi di Michael, spalancati e vitrei, la bocca appena dischiusa, schizzata di gocce rosse. Seguo paralizzata la traiettoria che un attimo prima mi era sfuggita e vedo il collo sfigurato da segni  di  fauci impossibili.
«MICK!»
Sento un ringhio bestiale alle mie spalle e l’ultima cosa che vedo è un lampo di zampe semi umane ed una fila di canini arrossati avventarsi su di me. Rossi, come sangue.
Mi alzo di soprassalto scattando a sedere, mentre l’immagine cupa della mia stanza da letto sfuocata cerca di venire messa a fuoco dai miei occhi inondati dalla luce di uno scenario scomparso all’improvviso. Lo scintillio dei denti è l’ultima delle immagini furiose che la mia mente fa sparire e mi ritrovo ad ansimare seduta sul mio letto, bloccata in quella posizione rigida. I miei occhi spalancati saettano a destra e a sinistra per qualche istante, alla ricerca del pericolo, poi il respiro si allinea ad un battito di cuore sempre più zoppicante e le mie mani lasciano il grumo di lenzuola che non mi ero accorta di stringere. Rimango nel buio rilassando appena la schiena inclinata e fisso il punto di luce che la luna riflette sul mobile.
Era solo un altro sogno, un incubo.
Le mie palpebre tornano in una posizione normale, i miei occhi si fanno piano piano vitrei mentre i frammenti dei suoi occhi, del suo sorriso, le sue mani lungo i miei fianchi crollarono mute sotto al mio addome contratto, lasciando un cimitero di farfalle in via di decomposizione. Le avverto sostituirsi con l’immagine di sangue, dei denti aguzzi, e del pensiero che quei denti quasi umani si sono avventati sul suo collo robusto, che hanno sbiancato la sua pelle bronzea. La visione diventa sempre più confusa ed appannata mentre un tremolio familiare mi corre lungo le braccia fino alle spalle così tiro via le scoperte stropicciate e balzo a piedi nudi giù dal letto. Passo un mano sugli occhi tirando via lo strato d’acqua che m’impedisce di vedere bene e salto giù dalla finestra spalancata. Ammortizzo la caduta dal terzo piano piegando le ginocchia fino a terra e posando una mano sull’erba poi mi getto a mezz’aria. Quando tocco di nuovo il prato le mie mani e le mie gambe sono diventate quattro zampe che sfrecciano via tra gli alberi della foresta. Non mi accorgo che, invece di seguire la linea degli alberi per superare il prato di Edward sono sbucata proprio nel suo piazzale.
Sposto il muso verso sinistra e lo vedo lì, seduto in veranda con una bottiglia di bourbon ed un bicchiere già riempito, anche se lui non ne può bere. Mi guarda senza muovere un sopracciglio, ed io rallento senza accorgermene.
«Ash» mi chiama quando mi vede continuare a camminare.
Mi fermo a guardarlo e piego le zampe posteriori per sedermi. Resta seduto ma mi fa cenno di avvicinarmi a lui con un dito. Esito per un attimo ma poi gli vado incontro, riprendendo una forma umana. Ho solo una camicia da notte – be’ una maglia molto lunga, quella che mi ha prestato Edward la mattina prima – ma quando passi più di mezzo secolo al fianco di una persona non ti formalizzi più. Studia i lineamenti probabilmente contratti del mio viso e quando gli sono quasi di fronte mi allunga il bicchiere.
Lo afferro subito e ne mando giù una lunga sorsata. Il sapore di miele si trasforma in una lunga bruciatura che m’infiamma la trachea, ma ormai nemmeno quello fa più effetto.
«Mi aspettavi?» mormoro con una voce più roca di quella che pensassi, restituendogli il bicchiere.
Edward lo posa sul tavolino di fianco a lui, con la sua solita aria pensosa. Di notte diventa sempre particolarmente nostalgico.
«In un certo senso lo immaginavo. » scrolla le spalle e  per fortuna non mi guarda con l’espressione di compassione che detesto – ormai ci conosciamo troppo bene. Sospira alzandosi in piedi:«Un altro incubo?»
«Già..» mormoro fissando la bottiglia di bourbon «Sempre lo stesso da qualche settimana..»
«Stai migliorando però.. Ieri sera hai dormito sodo sul mio divano.» dice pianissimo, con la fronte contratta.
Alzo le spalle:«Ieri sera mi ero affogata nello Champagne.»
Non mi ero nemmeno accorta quando mi ero accasciata sul sedile di Masen, ed avevo solo un pallido ricordo sfuocato, la sensazione di essere stata sollevata, e poi il risveglio, nel mio scomodissimo vestito da sera, sul divano del mio migliore amico. Mi aveva servito la colazione ridendo sotto ai baffi e si era sfilato la maglia gettandomela addosso, perché sapeva che non sarei voluta rimanere dentro quell’abito un secondo di più. Erano finiti gli anni ’30 e le serate passate nei Lounge bar di New Orleans.
«Ne farò ordinare un po’ di casse Signora Bell-Ward. » bisbiglia con un sorriso debole.
In tutta risposta gli faccio una mezza smorfia, mentre Edward si mette in piedi.
«Hai bisogno di una mano per addormentarti?» chiede scrutandomi intensamente negli occhi.
Qualche volta fisso il soffitto così a lungo senza riuscire a chiudere occhio che chiedo ad Edward di ipnotizzarmi con il suo dono, perché io dorma. Ma se dormire vuol dire sognare Michael morire all’infinito..
Mi viene un nodo in gola ma cerco di parlare a voce bassa, cosicché non si noti molto.
«Forse.. Ma prima vorrei farmi una corsetta..»
Edward alza le spalle accennando un sorriso:«Andiamo allora.»
E in un attimo ci lanciamo a tutta velocità tra gli alberi, fino a gettarci in mare.
 
 
̴ B
 
Dopo che avevamo appoggiato il piccolo trolley dentro la nostra vecchia stanza ebbi l’impressione fosse più piccola e meno accogliente della prima volta che ci avevo messo piede.
Sotto gli occhi severi di Edward che monitoravano ogni movimento di Rose, Emmett e Jasper il guasto all’impianto era stato arginato e risolto, quindi il giovedì pomeriggio ce n’eravamo tornati tutti a casa. Rosalie era aveva tenuto il muso ad Edward per tutto il giorno, dopodiché aveva annunciato che lei ed Emmett sarebbero partiti per una settimana  Il signor Masen aveva mantenuto la solita affascinante cordialità e non aveva battuto ciglio quando gli avevamo detto che avremmo lasciato casa sua. Ma la mascella e la fronte contratte lasciarono intuire che ne fosse un po’ dispiaciuto. Renesmee era rimasta imbronciata per quasi tutto il tempo, anche se l’avevamo rassicurata sul fatto che, essendo a cinque minuti da Izzy, avrebbe potuto raggiungerla tutte le volte che avesse voluto. Come avevo immaginato, tenerla lontana da casa Masen nei giorni seguenti, si rivelò un’impresa molto difficile. Edward non ne era entusiasta da un lato, ma era impossibile dire di no a sua figlia. Ancora meno lo divenne quando, il sabato mattina, dopo che Renesmee e Jacob avevano passato due interi giorni fuori – Izzy aveva fatto dormire  mia figlia insieme a lei, e Jacob aveva fatto un giro di pattuglia in forma di lupo – ed io ero andata a riprenderla, il signor Masen mi aveva proposto di ritrasferirmi con suo figlio, la bambina e Jacob, dal momento che le nostre figlie avevano sviluppato una fortissima simpatia reciproca – e che Jacob non restava mai a più di due metri da Renesmee. Era così strano pensare di andare a recuperare mia figlia dopo un pigiama party, fare chiacchiere da genitore mentre si aspettava.. Anche se non volevo disturbare oltre il padre di Edward gli occhi speranzosi di mia figlia erano impossibili da ignorare, e furono gli stessi che strapparono un funereo e secco “d’accordo” dalla bocca di mio marito quando gli diedi la notizia.
Saremmo tornati ad abitare in quella casa di nuovo insieme, totalmente ignari di ciò che sarebbe successo di lì a breve.
 
 
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«Oh ma eccola.. Joeee! Telefonooo!»
La prima cosa che sentii, dopo che ci ho messo 10 minuti ad aprire la doppia serratura dell’appartamento fu la voce di mia sorella in cucina che cercava di sovrastare quella di  Etta James nello stereo. Sbuffando mi girai di profilo spingendo la porta con le scapole ed infilandomi oltre la soglia con le mani piene di buste della spesa.
«Un momento..!  Maledizione..» borbottai mentre stavo per  farmene scivolare una.
«È Dawn!» trillò sbucando con la testa dall’ultima stanza in fondo.
E va bene..
Aprii le braccia davanti a me, ripensandomi alle mie lezioni di danza da bambina , e mollai la presa sui quattro sacchi di carta che restarono immobili, sospesi a mezz’aria. Mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo, libera da quel peso, e con un movimento strapazzato della mano li allineai come un trenino, diretto in cucina, mentre con l’altra feci voltare all’ingiù la manopola del volume dello stereo.
Emma mi guardò a braccia incrociate sulla soglia, scuotendo appena la testa con un sorriso.
Alzai le spalle:«Be’, che c’è?»
«Esibizionista»
«Se mi avessi aperto la porta dopo il secondo tentativo di suonare il campanello, forse non avrei dovuto.» risposi con un’occhiata eloquente.
Rise:«Non ho sentito nessun campanello Joe»
Alzai gli occhi al cielo indicando il bisbiglio delle casse:«Chissà il perché.»
«Sei sicura di averlo suonato davvero?» fece ironica.
Seguii le sporte che stavano svolazzando dietro mia sorella per andare a posarsi sul tavolo:«Mi sono quasi ammazzata con tutta quella roba, forse hai ragione tu.»
Le lanciai un’occhiata eloquente e in tutta risposta Emma mi mostrò la lingua, come una bambina.
 In fondo lo era sempre rimasta..
«A cosa servono le sorelle maggiori, se no?»
Sbuffai raggiungendola con le mani incrociate, ma le feci un mezzo sorriso.
Lei  tese la mano verso di me con la cornetta in mano, divertita:«Dawn, al telefono.»
Afferrai la cornetta e me la misi all’orecchio:«Ciao tesoro, scusa l’attesa.»
Sentii un sottofondo di auto in movimento.
«Mamma! Zia Emma ti ha oberato di commissioni come al solito?»
«Già..» borbottai lanciando un’occhiataccia a mio sorella che mi lanciò un bacio in modo teatrale «Oggi che suo padre ha portato Billy al parco giochi si dà alla pazza gioia. E tu dove sei?»
«Ehi ma allora Paul fa sul serio!» rise «Sulla strada di casa. Sono sulla 80, ho passato l’uscita 71-A da qualche chilometro.»
«Spero che tu abbia gli auricolari mentre guidi.» le dissi accigliandomi, con il sottofondo dello scricchiolio delle buste di carta dalle quali Emma sta togliendo la spesa.
«Sì sì mamma, rilassati..» rise.
«Be’, allora, come sono andati questi quattro giorni da Tess?» sospirai dondolandomi sui talloni.
«Uh bene.. Non che ci sia molto da fare da quelle parti, ma ci siamo divertite.. Sua sorella Wanda andrà a Standford l’anno prossimo, così ne abbiamo approfittato per fare un tour insieme a lei ieri. Sai, almeno mi faccio un’idea di qualche college, non si sa mai.. »
«Avete fatto bene a farci un giro due anni in anticipo..» mormorai distrattamente, fissando un punto indefinito oltre la finestra.
«Stavo pensando di fare un salto da Izzy domenica. Passo da casa per recuperare le mie cose, poi vado a farle una sorpresa. Ho parlato al telefono con Edward e dice che secondo lui è un’ottima idea.. Data la situazione a casa.»
Sbuffai:«Libera di entrare in quella gabbia di matti. Ma ricordati che il prossimo weekend ce ne andiamo al MoMA.»
«Edward è un po’ in difficoltà con suo figlio, ma penso sia comprensibile.. »
«Edward è un irresponsabile. E se i rapporti con suo figlio sono così tesi forse un motivo c’è.» borbottai facendo una smorfia con le labbra «E poi non è prudente che un essere umano stia in mezzo a tutti quei vampiri. Onestamente sono parecchio preoccupata..»
Il solo pensiero mi fece venire i brividi: chi diavolo erano queste persone? Bevevano sangue umano? Erano abituati ad interagire con un essere umano?
«Sono un essere umano piuttosto resistente, ed Edward non lo permetterebbe mai.. Senza contare che i suoi vicini di casa sono un branco di Protettori ed una strega, quindi direi che sono piuttosto al sicuro. » spiegò serenamente. La tranquillità imperturbabile di mia figlia di certo non l’aveva ereditata da me.
«Ashley non mi sembra molto imparziale quando si tratta del padre di tua sorella..» ribattei seccamente.
Già quando abitavamo a Brownsville veniva sempre a piagnucolare da Edward, senza parlare del fatto che, anche quando si era tolta di mezzo, lui avesse insistito per trasferirsi di ristrutturare la casupola vicino alla sua, con la scusa della protezione del branco. Edward poteva incantare nostra figlia e la mia con la sua aria cordiale e il viso da ragazzino, ma io lo conoscevo bene.
Dawn sospirò dall’altro capo del telefono, come se stesse quasi sorridendo, paziente:«Forse, ma in ogni modo non vado a San Francisco da almeno sei mesi, e mi fa piacere rivedere sia lei che Izzy..» poi aggiunse – oserei dire – entusiasta «Per quanto riguarda il nostro weekend d’arte direi che è impossibile dimenticarlo, lo aspetto da settimane!»
Sorrisi mio malgrado, sentendomi rincuorare da quelle parole:«Ne sono molto felice anch’io tesoro.. Ci vediamo tra mezz’ora e ti preparo il Crab Louie che ti piace tanto? »
«Tu mi vizi troppo mamma..! A dopo!»
«A dopo!» ripetei spingendo il testo rosso per riattaccare.
Dovevo mettermi al lavoro se volevo preparare un buon pranzo per Dawn.
«Emma puoi aiut..»
Mi bloccai, colta da una strana sensazione. Avvertii i suoni ovattarsi per un istante, e la stanza corse verso l’alto irradiandosi di luce.
«Joana!» sentii  urlare contro la mia faccia pochi istanti dopo. Quando aprii le palpebre mi trovai addosso gli occhi allarmati di mia sorella.
Non era la stanza a girare ma ero stata io. Mi guardai per qualche secondo attorno poi realizzai di essermi accasciata per terra, tra le braccia di mia sorella.
Fantastico.
Feci per tirarmi su ma mia sorella non mi mollava un attimo, attenta ad ogni movimento.
«Cos’è successo? Ti senti bene? Non alzarti così in fretta!»
«Emma per l’amor del cielo..» borbottai cercando di rialzarmi da sola.
«Joe! Devo portarti da un medico!»
Sbuffai:«È solo uno svenimento, capita, sai? Ora lasciami alzare e smettila di preoccuparti..»
Mia sorella mi controllò sospettosa incrociando le braccia al petto mentre mi rialzavo. Apprensiva..
«Sei sicura che non è meglio farsi vedere?»
Non mi sarei assolutamente fatta vedere.
Alzai gli occhi al cielo:«Emma, sto bene. Capita a tutti, e poi.. »
Una sospensione di suono m’interruppe, mentre a pochi metri da me comparve un’immagine sfumata di una donna anziana che conoscevo bene.
«Lily.» sentenziai seccamente, mentre mia sorella si voltava bruscamente verso la figura che anche lei poteva vedere. Lily non la degnò di uno sguardo, ma teneva il volto sfumato ed impassibile fisso sul mio.
«La Congrega ha bisogno che onoriate il vostro patto. »
Erano passati tantissimi anni dall’ultima volta che l’avevo vista recapitarmi un messaggio. Il che non prometteva nulla di buono.
«Hanno già svolto due compiti per voi anni fa. » ribatté Emma con aria ostile.
La zittii con un gesto della mano scuotendo appena la testa, continuando a fissare Lily:«Cos’è che richiede l’intervento di una strega, un vampiro ed una mutaforma?»
«Vampiri, con uno scopo.» disse enigmatica.
Inarcai un sopracciglio accigliandomi:«Non c’è bisogno di scomodare gli altri. Una paio di vampri non sono mai stati un problema..»
«Sai bene che ora lo sarebbe, Joana. »
Mi fissò negli occhi, come se stesse scrutando ogni piccolo meandro della mia anima. Deglutii spostando lo sguardo e cercando di rimanere ferma e decisa.
«Non sappiamo molto sull’entità del problema, ma gli spiriti sono inquieti. »
«Aspetterò vostre notizie e poi li informerò.» mormorai tornando a guardarla. Sentii gli occhi di mia sorella arpionarmi la parte destra della faccia e fui ben decisa ad evitarli.
«Bene.» fece lei annuendo col capo. Prima di dissolversi in una nube di fumo mi fissò dritta negli occhi ed aggiunse:«Forze oscure si stanno abbattendo sulla vostra famiglia. Sii prudente.»
  
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