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Autore: MaCk_a    22/08/2016    3 recensioni
Inghilterra, 1869.
Frederick è un giovane medico; disinteressato alle ricchezze e alla mondanità, sogna solo di poter sposare Lisa, amica di sempre. Tuttavia, quel sogno che gli era sempre apparso realizzabile, appare irraggiungibile in seguito alla comparsa di un conte italiano.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il collegio stava cambiando Steve, Fred l’aveva notato subito. Il giovanotto, che tornava a Valle due volte in un anno, solitamente per il Santo Natale e alcune settimane di vacanze estive, si faceva, con gli anni, sempre più cupo e solitario. Coltivava diverse passioni, suonava molto bene il piano e dipingeva divinamente, ma tali attività finivano a volta per avvilirlo, perché sapeva di non potervi dedicare tutto il tempo che desiderava. Fred sapeva che Steve, potendo, avrebbe voluto diventare un pittore, e che suo padre riteneva i passatempi del figlio assolutamente inutili, “una perdita di tempo”, come soleva ripetere.

Non si somigliavano, Lorenzo e il figlio. Il ragazzo ricordava la madre nel taglio degli occhi e nei colori, ed era sì alto, ma non esageratamente, per un uomo; o almeno, paragonato al conte e a Fred, che erano due giganti, Stephen Ranieri non spiccava. Era comunque un bel giovane, molto affascinante a detta delle signorine che lo guardavano, che erano attratte dallo sguardo pensoso e serio del ragazzo più che da qualche dettaglio del viso.

Poiché Stephen passava a Valle poco tempo e Lucilla era spesso impegnata in “opere di carità”, come le chiamavano il conte e il vescovo, era difficile che i due si incontrassero e, sebbene esistesse tra loro una corrispondenza, era noto ai più che tali lettere non contenessero il minimo segno di interesse da parte di Stephen. Non che il parere di Steve contasse tanto, in realtà; il vescovo sperava però che tra i due futuri sposi nascesse almeno una piccola simpatia.

«Non temete, monsignore» lo assicurò il conte. Era agosto e Valle era in festa: il vescovo aveva celebrato personalmente la funzione – onore che non tutti i paesi potevano vantare! – e, dopo la processione, si era fermato ad assistere ai balli di piazza. Altrove, non sarebbe accaduto: ma a Valle c’era Lorenzo, che era suo amico, e Lorenzo era un conte, e il figlio del conte avrebbe sposato Lucilla: insomma, quel paese sarebbe stato di sua nipote, un giorno.

«L’ultima volta che Stephen ha visto vostra nipote era un quattordicenne che poco pensava alle fanciulle; ora ha diciassette anni e credo gli sarà difficile ignorare la bellezza di Lucilla.»

Il vescovo annuì.

«Quest’anno, però, a Natale, dobbiamo fare in modo che si incontrino. Dirò a mia nipote di non prendere impegni di alcun tipo; il mondo non cadrà, se per una volta pensa a se stessa e non agli altri.»

In realtà, ciò che non doveva “cadere” era la reputazione di Lucilla, osannata in lungo e in largo come una sorta di santa, una fatina dei poveri; per costruire tale aura di santità c’erano voluti anni di impegno e, alla fine, la ragazza si era anche abituata al ruolo: fare del bene era ormai diventato automatico. L’unica cosa che le si sarebbe potuta rimproverare era d’essere alquanto bigotta; tuttavia, Lucilla era circondata da gente bigotta, ragion per cui nessuno poteva criticarla.

 

Quasi fosse la sua ombra, Erika si spostava sempre assieme a Lucilla e, dov’era l’una, era immancabilmente anche l’altra. La ragazza era stata educata bene, vestita con eleganza, pettinata con riguardo; tuttavia non bisognava dimenticare da dove venisse e, perciò, era costantemente ricordato – a lei e agli altri – che si trattava solo di una dama di compagnia, salvata da un destino che altrimenti sarebbe stato triste, dato che i poveri genitori erano morti quando la piccola non era autonoma e senza lasciarle altro che debiti, saldati poi dai Di Cosmo. Insomma, Erika era una sorta di trofeo ambulante di Lucilla, un simbolo della sua bontà e carità.

Il vescovo aveva stabilito di trovare un marito alla giovane, ma sarebbe stato un marito “della sua pasta”: buono, onesto, benestante nei limiti del possibile, o almeno non proprio un poveraccio, ecco, un bravo ragazzo che lavorasse a Valle e che potesse essere assunto al castello, per impedire ad Erika di lasciare Lucilla. Il vescovo, infatti, voleva che le due restassero insieme sempre. Erika avrebbe potuto fare benissimo da governante. Era un buon lavoro, decoroso. Certo, si voleva fare in modo che la ragazza non divenisse mai libera, ma a questo nessuno pensava. Dopotutto, Erika era stata graziata. Cosa sarebbe stato di lei, se non ci fossero stati i Di Cosmo?

Si è detto che Erika fosse ben pettinata e vestita; ovviamente, però, Lucilla era vestita e pettinata magnificamente. Una sola occhiata alle due bastava per capire che non fossero “uguali”. Inoltre, la natura era stata buona: se Erika era molto carina, Lucilla era reputata da tutti una bellezza assolutamente straordinaria. I capelli nerissimi erano abbelliti da fermagli preziosi, il fisico ben proporzionato la rendeva desiderabile e, soprattutto, gli occhi parevano smeraldi: erano di un verde luminoso, che creava un bel contrasto con le lunga ciglia nere che la fanciulla sbatteva spesso, conscia del loro fascino.

Erika, che aveva occhi altrettanto belli e azzurri, era un po’ infastidita da questa piccola astuzia dell’altra: lei, infatti, aveva le ciglia chiare come i capelli e non poteva ricorrere allo stesso espediente.

Per incontrare, dopo tanti anni, il suo fidanzato, Lucilla aveva indossato un abito verde e bianco, e se ne stava seduta accanto alla sua giovane dama. Il vescovo era presente, e Lorenzo nervoso, perché Stephen tardava. Quando Fred entrò per servire del tè con biscotti – abitudine che il conte aveva preso tempo prima, col matrimonio con Lisa – egli chiese notizie del figlio, rivelando una certa inquietudine; il maggiordomo rispose che doveva essere ancora nelle sue stanze, giustificandolo perché in fondo il ragazzo era arrivato solo la sera prima ed era ancora stanco per via del lungo viaggio, e Lorenzo s’innervosì ancor di più perché Fred aveva la tremenda consuetudine di difendere Steve sempre e comunque ed egli proprio non riusciva a sopportarlo.

I nervi dell’uomo poterono distendersi solo col sospirato ingresso del giovane Ranieri in salotto: allora il vescovo e Lorenzo si guardarono, felici.

Gli abitanti del castello sapevano che Stephen non aveva un carattere piacevole: taceva per la maggior parte del tempo, con quell’espressione perennemente accigliata che sfoggiava con presunzione anche in presenza di ospiti, e si degnava di rivolger parola solo a Fred. Gli altri, neanche li guardava. Tutto il contrario del conte Lorenzo e della buon’anima della contessa, insomma, che con la servitù erano sempre stati gentili.

Entrando nel salotto, comunque, Steve si comportò come previsto: aperta la porta di malavoglia, come se stesse facendo un immane sforzo, manifestò poi un improvviso interesse nel momento in cui i sui occhi si posarono su Lucilla che, alzatasi, gli augurò la buona sera.

Non gli era mai sembrata così bella. Il giovane conte sorrise, la raggiunse, si chinò e la salutò col baciamano. Solo un lieve cenno del capo fu dedicato ad Erika, che ne fu ferita perché, come Steve era stato illuminato dalla presenza di Lucilla, Erika era stata colpita da quella di lui.

Lorenzo esibì un’espressione soddisfatta quando il figlio chiese a Lucilla il permesso di ritrarla ed ella, lusingata, acconsentì: la sciocca passione del ragazzo avrebbe finalmente portato a qualcosa di buono, perché i due avrebbero modo di trascorrere del tempo insieme e poi, ormai era chiaro, Steve era attratto da lei.

Attratto, non innamorato. Lorenzo non era sciocco. A diciassette anni si sentono certe esigenze – e Steve non aveva ancora avuto modo di placarle, ne era certo – e Lucilla era tanto graziosa… magari, l’urgenza di possederla, avrebbe portato Steve a stabilire al più presto la data delle nozze – in fin dei conti, col collegio aveva quasi finito – e certo, l’attrazione fisica non è una buona base su cui fondare un matrimonio, ma ormai loro erano già fidanzati, e quindi, meglio quello di niente.

Naturalmente, Stephen fantasticò a lungo sulla sua fidanzata, pur sapendo che solo dopo il matrimonio gli sarebbe stato concesso toccarla. Tutta la sua foga fu canalizzata nella realizzazione del ritratto, completato dopo una sola settimana durante la quale, però, pittore e modella furono costantemente impegnati. Dovendo restare immobile per posare, Lucilla parlò poco; e neanche dopo, quando la frequentazione continuò, ella si mostrò particolarmente loquace. Tuttavia, passando tanto tempo assieme – durante le vacanze di Natale di quell’anno si separarono solo la notte – fu inevitabile, per i due giovani, rivelare il proprio carattere: agli occhi di Stephen, allora, Lucilla risultò generosa, elegante, composta, misurata, silenziosa, ben disposta ad accontentare gli altri anche qualora le chiedessero di far cose a lei poco gradite. Contemporaneamente, la nipote del vescovo gli apparve indifferente alla quasi totalità del mondo che aveva intorno, noiosa, bigotta, senza personalità: pareva ripetere a memoria i precetti appresi dallo zio, si scandalizzava per poco, temeva qualsiasi animale, evitava i colori – o qualsiasi altra sostanza a sua detta “pericolosa” – perché rabbrividiva all’idea di sporcarsi le mani o, peggio, gli abiti, trattava Fred con sufficienza e riteneva che il suo fidanzato gli accordasse troppo rispetto, e si muoveva nel castello come un avvoltoio attorno alla carcassa che sta per cibarlo.

Come se non bastasse, la ragazza aveva espresso – non davanti a lui: l’aveva detto ad Erika, ma egli aveva origliato – il desiderio di non avere una famiglia numerosa, poiché i bambini le piacevano poco. «Un figlio basta e avanza» aveva sentenziato, «anzi, direi che è meglio. Così tutta l’eredità andrà a lui.»

A Stephen dei bambini interessava poco, ma immaginò che una fanciulla tanto pudica e certamente poco passionale gli avrebbe negato anche quelli che, normalmente, sarebbero stati i suoi “diritti di marito”. Insomma, lui e Lucilla avrebbero dormito insieme solo fino al concepimento del primo e unico figlio.

«Non possiamo sposarci» esclamò semplicemente, lasciando sbigottiti il conte e il vescovo. «Mi dispiace, ma vostra nipote non è adatta a fare la moglie. Potrebbe facilmente diventare una santa, ma è troppo virtuosa per avere un marito. Credo che i suoi desideri mal si concilino con i miei.»

Quel che mandò in bestia Lorenzo fece invece ridere di gusto il vescovo, che scoppiò in una sonora risata che spiazzò il giovane e anche il conte.

«Vieni qui, Stephen, vieni!» lo chiamò, ridendo, quel grosso signore, invitandolo ad avvicinarsi al camino.

«Sei un bravo giovanotto, tu. Onesto, soprattutto. Perspicace, anche. Hai proprio ragione su Lucilla: è più adatta al cielo che alla terra, e la cosa ti spaventa, giustamente. Ma vedi, ragazzo, la tua ingenuità non ti fa vedere la realtà delle cose: credi forse che ogni uomo sia fedele alla propria moglie? Aspetta, aspetta; mi sono espresso male. Ecco, Steve, quando un uomo ha una moglie come la mia Lucilla… non può certo obbligarla a fare certe cose quando lei non vuole, no? Quindi, se intende rispettare la moglie, deve lasciarla stare tranquilla e… e sfogare altrove i propri istinti.»

Steve assunse un’espressione stranita, e si chiese cosa pensasse suo padre, il suo integerrimo padre, di una teoria simile. In pratica, il vescovo gli stava suggerendo di tradire sua nipote.

In realtà egli sapeva – gli era stato spiegato – cosa ci fosse dietro quell’idea di farli sposare: la famiglia Ranieri ormai aveva solo il titolo, ma pochi beni; Lucilla, al contrario, era ricca ma non nobile e lo zio desiderava rimediare a ciò. “Ma io non vorrei mai che una mia nipote, o una figlia, o una sorella, passasse la vita con una persona che non la ama e la disonora andando con altre donne, solo per avere in cambio un titolo inutile” pensava il ragazzo che, a diciassette anni, era piuttosto virtuoso.

«Tu hai mai dormito con una donna, ragazzo?»

Ancora Steve fu preso alla sprovvista, tanto da arrossire, imbarazzato dalla presenza del padre più che dalla domanda in sé. Lorenzo, che non aveva apprezzato per niente quella discussione, guardava il figlio. Il ragazzo fece segno di no con la testa, guardando il pavimento.

«Be’, direi che è ora di rimediare.»

 

 

Stephen Ranieri aveva sempre temuto di essere l’unico, in quel castello, ad avere pensieri impuri. Il padre, ne era sicuro, viveva in piena castità, come anche Fred, e degli altri dipendenti al loro servizio non sapeva nulla, ma li immaginava piuttosto lontani dalle fantasie peccaminose che invece agitavano le sue notti.

Quando gli fu offerta la possibilità di placare i propri tormenti, dunque, il ragazzo fu ben felice di cogliere la palla al balzo, come si suol dire, sebbene il fatto che a lanciare la palla fosse stato proprio un uomo di Chiesa lo lasciasse vagamente perplesso.

Possedere quella prostituta fu una liberazione, o così parve all’inizio al giovane; era stato con una donna adulta, con la quale non aveva parlato molto, in realtà, e di cui aveva presto dimenticato il nome. Si convinse, Steve, a sposarsi; perché abbandonare Lucilla se, comunque, era stato autorizzato a tradirla? Mica doveva per forza pagare una donna di malaffare: si sarebbe trovato un’amante, che avrebbe amato davvero. Era stato il vescovo stesso a suggerirglielo: “l’importante è che non si sappia mai in giro”, aveva detto.

  
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