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Autore: malacam    28/04/2009    0 recensioni
La luce che ardeva dalla sigaretta illuminò per un attimo il suo volto, impassibile e freddo come catturato da uno spettacolo irresistibile ma al contempo vacuo. L'uomo rimise la sigaretta nel posacenere, e con i polpastrelli sollevò il mento dello skull come per guardarlo in faccia.
Ruotando il volto leggermente verso sinistra lasciò andare il fumo. Poi avvicinò la mano alla fronte del servo del Conte e, disegnando con il pollice una croce, recitò con voce ferma:
“In nomine Patris... et Filii... et Spiritus Sancti...”

[Cross Marian - Speculazioni sugli avvenimenti precedenti la storia originale]
Genere: Generale, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Benedetto il Signore

 

Benedetto il Signore, mia roccia,

che addestra le mie mani alla guerra e le mie dita alla battaglia

 

 

Parte 3

 

Il tempo scorreva anche per mare, nonostante il lento dondolare delle onde lasciasse quasi pensare che non fosse così.

Gli eleganti e lucidi stivali neri che portava ai piedi erano fermi sul cigolante ponte in legno; nonostante la nave non fosse per nulla vecchia, il ponte di prima classe sembrava quasi non sopportare il gravare di uomo all’apparenza troppo giovane e tranquillo per portare tutto il peso del mondo sulle spalle.

Si sporse sull’impavesata di ferro poggiandoci sopra i gomiti, lo sguardo catturato dall’oscurità che si confondeva con le gelide acque del Mare del Nord.

Gli sembrava di essere in viaggio da decenni, ormai, anche se il tempo trascorso, le battaglie, gli amori e le menzogne non erano stati evidentemente sufficienti a lasciare segni sul suo volto.

 

Erano trascorse molte settimane da quando il messaggero del Noah l’aveva raggiunto.

I fumi e la fatica della battaglia non si erano ancora dissolti quando il generale si era reso conto che i tempi erano ormai maturi.

Durante la serata dopo la battaglia, seduto al tavolo con il suo caro amico Froi Tiedoll, non aveva pensato che fosse necessario salutare, certo che questi avrebbe capito... se non subito, appena gli avesse spiegato.

Dopo tutto era un compagno fidato, piacevole e così tremendamente distaccato da tutto il conflitto che quasi non sembrava neanche un compagno d’armi (quando non erano in presenza di akuma, ovviamente).

Era partito, in una notte illuminata dalla luna.

Erano ora un ricordo sbiadito i freddi tramonti sui Carpazi Meridionali, dove squallide e gelide bettole non davano nessun conforto dall’angoscia. Quasi era impossibile distinguere nei ricordi l’odore della terra umida e del muschio che impregnava l’aria, quando oramai anche Bucarest era alle spalle e la gelida ed inospitale regione della Valacchia sembrava ergersi a monito per il proseguire.

Era confuso fra le ciocche dei capelli biondi il sorriso di Cloud, quando si beveva a Budapest per festeggiare la distruzione dei servi del Conte, così come era scomparsa la sensazione della sua pelle nuda, liscia, sotto le mani fra le soffici lenzuola di seta la notte prima che Cross si dileguasse come la speranza nelle terre della Transilvania, settimane prima.

Finivano dissolti i sensi di colpa, come la premura di raggiungere la Prussia Orientale, e la nave che da Kaliningrad avrebbe dovuto cullarlo fino alle terre d’Inghilterra.

Perfino le fievoli luci di Copenaghen, che si rispecchiavano nella baia, scrutata a fondo dal porto mentre la nave imbarcava viveri, non avevano più spazio nei ricordi limpidi dopo tanti giorni di buio e gelo.

 

“Non temere, Tim, non sei stato troppo lento. Arriveremo in tempo, tutto com’era nei piani…come dici?...Ahahahaha, no, mio caro Tim, ti abbiamo scelto come messaggero perché eri affidabile, non veloce...  ma sta tranquillo, il tempo in questo caso è dalla nostra parte.

Mi piacerebbe che fosse dalla mia parte anche quando rivedrò Cloudnon credo che dimenticherà molto facilmente il modo in cui me ne sono andato, sempre ammesso che tornerò ad incrociare il suo sguardo!!!”

 

Voltò le spalle al mare e si diresse verso al sua cabina con il golem dorato adagiato sulla sua testa. In lontananza si scorgevano già le luci di Londra, mentre la nave entrava nella foce del Tamigi.

Una volta sbarcati in quella gotica e fredda isola, ci fu giusto il tempo di fare un giro in città, riposare e rifocillarsi. Era ancora vivido il suono delle monete d’argento sul bancone della locanda quando Tim prese a volare verso nord-ovest. 

 

Il paesaggio della campagna inglese al crepuscolo non era di nessun conforto, nonostante fossero spariti dall’orizzonte le acuminate cime della Transilvania, la sconfinata steppa russa, la nera tavola del Mare del Nord e i sinistri profili dei villaggi dei Carpazi Orientali.

La stazione di Birmingham era piena di gente. Tim e Cross non credevano di poter passare inosservati, ma alla fine non se ne curarono e si diressero a piedi verso sud, fino a raggiungere l'estrema periferia della città.

Il fruscio delle foglie marroni sul sentiero cadenzava lo spedito ed austero avanzare del Discepolo di Dio. Alberi spogli si offrivano all’inclemenza dell’inverno, mal celato dal debole autunno, e le staccionate apparivano di un nero terso mentre il sole si nascondeva dietro la città di Birmingham, offrendo all’insolita coppia di viaggiatori un paesaggio silenzioso e spento.

Nell’aria si respirava qualcosa di sinistro. La luna rossa, presagio nefasto che spuntava da dietro gli alberi spogli delle colline fuori della città, sembrava sporca del sangue piovuto dagli occhi di Dio.

Quella notte il sangue avrebbe sporcato pure la fredda terra d'Inghilterra.

 

Il pesante cancello di ferro del cimitero cattolico era aperto, quando Cross lo attraversò.

Superò le prime croci di legno e le tombe illuminate dalle candele, dirigendosi verso la zona alta e antica del cimitero. Non gli ci volle molto per giungere sulla piccola altura che sovrastava il vecchio cimitero, poco a sud dell’ingresso meridionale della città.

Da lì riuscivano a scorgere un ragazzo che piangeva disperatamente accanto a una tomba. Cross si sedette per terra, dandogli le spalle, poggiando la schiena su di una lapide monumentale, con un angelo che reggeva una bibbia a fargli ombra dalla luna.

Quella sera il satellite costituiva una presenza inopportuna e non gradita per il generale.

Il ragazzo bagnava con le sue lacrime una sepoltura nuova, misera, la semplice lapide con il nome Mana Walker che trafiggeva la terra ancora umida.

La notte era silenziosa. Cross poteva percepire come se fosse nel suo petto il dolore che sovrastava il ragazzo. Neanche gli animali, solitamente molesti, volevano disturbare il cordoglio del giovane.

Marian accese una sigaretta.

Le ore passarono inesorabili, la luna salì alta nel cielo, ma nemmeno la stanchezza placò il dolore.

D’un tratto una strana e lugubre ombra si diffuse nel luogo sacro, facendo agitare perfino le anime dei defunti. Per Marian era una presenza già avvertita in passato, quasi famigliare, per cui non batté ciglio.

Era distinto e chiaro all’improvviso il senso di gioia e di speranza del ragazzo.

Cross scosse la testa e accennò un sorriso triste, come nel vedere il finale di un film già visto.

Il flebile bagliore di speranza che nutriva per il ragazzo si era appena dissolto, il fato aveva deciso di non risparmiare l’orrore agli occhi del fanciullo.

I rami degli alberi sembravano farsi spazio a fatica fra la pallida luce della luna, contorcendosi come appendici di un'anima che pativa indicibili sofferenze.

Infatti la gioia e speranza del giovane presto si tramutarono in angoscia, poi disperazione, rimorso e poi paura.

Pura paura.

Le ombre si diradarono.

 

Il chiarore di luna aveva ripreso possesso del buio del cimitero, mentre una risata stridula si perdeva negli echi.

Cross si alzò.

Cominciò a camminare verso il ragazzo, e quando lo raggiunse questi era straziato dal dolore. Teneva la mano sinistra deforme e insanguinata nella destra, negli occhi ancora la visione di qualcosa che avrebbe per sempre mutato il suo mondo.

Gli si avvicinò alle spalle e gli disse:

“Le anime dentro un akuma non hanno libertà, vengono imprigionate in eterno e diventano giocattoli del Conte del Millennio”

Si avvicinò di qualche passo, si inginocchiò e continuò:

“Per salvarli l’unico modo è distruggerli! Sei nato con un arma anti-akuma eh? Che destino sfortunato…anche tu sei un apostolo posseduto da Dio…”

Gli occhi del ragazzo continuavano a grondare sangue e lacrime. Cross gli poggiò una mano sulla spalla e disse:

“Non vorresti diventare un esorcista?”

Molto probabilmente quella strana tunica bordata con nastrini dorati, la stella sul suo petto coperta dai lunghi capelli rossi, la maschera bianca che celava il suo volto e Tim posato sul suo cappello a falde molto larghe dovettero essere sembrati strani al ragazzo, ma questi annuì: d'altra parte non aveva altre alternative o un'altra strada da percorrere davanti a sé.

Si rialzarono. Cross gli porse un fazzoletto per asciugarsi le lacrime e tamponare la ferite sull’occhio.

Lasciò per un istante il ragazzo e si allontanò.

Fissando la lapide pensò: “Chi sa esattamente quanti anni sono passati da allora, mio caro? Ma, come d’accordo… Io «creerò l’esorcista»…”

Si incamminò verso Birmingham per cercare un posto dove dormire, il ragazzo che accelerava il passo per stargli dietro.

La notte era illuminata da una luna stranamente grande, ma non più ostile.

Gli alberi spogli erano fermi: non un filo di vento muoveva i ramoscelli e i fili d’erba incolta, sulla via che dal vecchio cimitero cattolico conduceva in città.

L’ombra del ragazzo era molto lunga, molto più di quella del generale. Il suo volto aveva un lungo sorriso a spicchio di luna che non emanava né gioia né pace, i suoi occhi erano grandi ed ovali ma non tradivano nessuna emozione.

 

 

  
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