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Autore: Kaho    28/04/2009    2 recensioni
«È sempre stato un bambino speciale, gentile e dolcissimo di natura. Non credo di aver mai incontrato nessuno che lo odiasse seriamente, perché è capace di farsi amare. È…» La vide sfiorare il pianoforte con le dita, come se lo accarezzasse. «Come il suono d’un pianoforte.»
Realizzò in quel momento che quella madre, con la sua schiena ricurva, non avrebbe potuto cullare nessun altro bambino se non suo figlio e lei, Éclair Tonnerre, s’era già innamorata d’uno sconosciuto che calzava alla perfezione con la descrizione d’un principe.
[Éclair-centric] [accenni ÉclairTama e TamaHaru]
Partecipante alla V Disfida indetta da Criticoni!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Tamaki Suoh
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Parte II – L’amour et la folie

 

 

«Amore giuocava un giorno in compagnia della Follia. Aveva il fanciullino in quell'età aperti gli occhi ch'ora più non ha. Nata una fiera disputa, voleva Amor portarla innanzi ai Numi, ma la Follia, perduta la pazienza, gli die’ tal colpo che gli spense i lumi

Il tonfo di un libro chiuso le fece alzargli occhi dalla pagina.

«Per oggi basta così, Éclair.» la interruppe gentilmente il professor Hervé Bonheur, con un piccolo sorriso d’incoraggiamento. «La dizione andava bene, l’interpretazione un po’ meno, ci lavoreremo domani.»

Éclair alzò le sopracciglia. «Sono solo filastrocche, professore.»

Il maestro ridacchiò e le scompigliò i capelli affettuosamente, senza nascondere l’orgoglio per la sua allieva. Le aveva insegnato l’ABC e la ‘r’ strascicata tipica della zona di Lione. Éclair aveva ingoiato ogni sua sillaba in un solo colpo, senza gustarla, ma di questo neppure l’insegnante se n’era accorto, tanto che commentò con leggerezza: «Sono favole, signorina, non filastrocche.», senza aver notato il tono incolore con cui parlava la ragazzina.

Éclair, dal canto suo, leggeva l’indispensabile e sfogliava, talvolta, i vecchi libri delle balie, sorridendo tra sé.

Non coglieva come il professor Bonheur i dolci suoni della lingua francese, né l’irruenza delle marce di Verdi, preferendo osservare le persone e coglierle nel Momento.

Andando a teatro non provava un brivido di eccitazione, ma una pacata accondiscendenza di fronte alla passione di suo padre.

Il conte Tonnerre era, infatti, un appassionato di musica lirica. Disprezzava il teatro dell’assurdo recitato nei piccoli spalti degli edifici pubblici e nelle scuole – definendolo “un’accozzaglia di parole senza base” – e amava alla follia l’energia degli archi.

Tutto ciò che era vitale, razionale, irruento e che avesse un po’ di dolcezza, era amato dal Conte Tonnerre. Nessuno, per questo, si stupì quando prese in moglie una ballerina che non aveva origini nobili, ma incantava con lo sguardo ogni spettatore, piroettando e sorridendo a testa alta: sua madre, Nicole.

Éclair credeva che i suoi genitori fossero stati inevitabili; loro avevano le ferrea convinzione che lei fosse sfuggente e lontana, come la musica. Sempre perfetta, con un accenno di sorriso e seria nelle intenzioni, una sintesi di contrari, un inno alla loro felicità.

Éclair era cosciente fin da bambina di com’era fatta e di cosa dovesse fare in ogni situazione. Per questo suo padre l’adorava e sua madre era orgogliosa di averla messa al mondo.

 

 

Proprio per questa passione, suo padre le aveva fatto prendere lezioni di danza classica, di violino, aveva aggiunto lo studio della lingua italiana per il canto, insieme a inglese, giapponese, tedesco e, ovviamente, la lingua madre, il francese – che servivano, essenzialmente, per il suo futuro lavoro dentro la compagnia di famiglia, gestita insieme ai due fratelli maggiori.

Ora, suo padre voleva che prendesse lezioni di pianoforte e, a quel che borbottava a cena, aveva trovato l’insegnante perfetta.

Éclair camminava per i corridoi lucidi della casa, picchiettando i mocassini verniciati lungo il corridoio, producendo tonfi sordi e ripetitivi. L’annuncio del suo arrivo.

Era un po’ curiosa di vedere questa donna: suo padre l’aveva descritta con aggettivi che solitamente usava solo per sua madre (e, per questo, la contessa Tonnerre si era molto ingelosita): elegante, gentile, con un tocco di dita incredibilmente delicato. Ovviamente sullo strumento, aveva precisato.

Anche il professor Bonheur le aveva confessato di averla sentita anni fa, quando aveva dato certe lezioni al figlio della donna, e ne era rimasto estasiato: “neppure Prévert avrebbe potuto descrivere un suono così”.

Tanti elogi e tante aspettative: la donna doveva essere sottopressione.

Immaginò le dita delicate aggrovigliarsi tra loro e delle labbra minute essere morse a sangue per il nervosismo.

Tuttavia, quando aprì la porta di noce, si fermò sullo stipite, esprimendo con uno sguardo turbato la sua sorpresa nel vedere la sua nuova insegnante seduta al pianoforte rigidamente, le mani appoggiate sul grembo immobili e gli occhi posati da qualche parte al di fuori della finestra, come se il suo arrivo fosse un evento di poco conto.

Éclair aggrottò leggermente le sopracciglia scure, osservando con uno strano formicolio alle gambe quella strana donna. Era giovane (aveva forse una trentina d’anni), lunghi capelli mossi color grano e un collo lunghissimo e color panna.

Era forse un po’ troppo esile e sedeva con la schiena lievemente chinata in avanti, come se fosse stanca, o come se stesse cullando qualcosa di invisibile. Le braccia erano ricurve, formavano un’ovale che le ricordarono un demi-bras rilassato.

Era un atteggiamento che non le era mai capitato di osservare.

«Madame?» domandò d’istinto, per attirare l’attenzione della donna, muovendosi in fretta per raggiungerla, attratta come l’ape al fiore. «Vi ho fatta attendere?»

La donna si voltò lentamente e, vedendola, dischiuse appena la bocca in un altro cerchio: un’espressione di stupore elegante, nonostante tutto. Scosse la testa leggermente e le sorrise, scoprendo i denti bianchissimi.

«Niente affatto, Mademoiselle, vi prego, sedetevi qui con me.»

È morbida in ogni gesto, pensò Éclair continuando a studiarla senza vergogna, provando a racchiudere la figura della donna in una lunga linea immaginaria. Curva.

«Merci beaucoup.» ringraziò educatamente, prendendo posto davanti al pianoforte.  

Sentì la donna irrigidirsi impercettibilmente e ispirare lungamente; questo le fece scappare un piccolo sorriso soddisfatto.

«Ho sentito da mio padre» cominciò con pacatezza. «Che alloggerete qui come nostra inserviente, dato che ha perso la sua casa. Mi spiace tanto, le manca?»

La donna sospirò e le dita si intrecciarono; ad Éclair vennero in mente le madonne bionde del Medioevo.

«Non mi manca tanto il luogo quanto mio figlio, signorina Tonnerre

I grandi occhi azzurri della donna si intristirono mentre sfuggiva al suo sguardo insistente, abbassando il capo verso i tasti bicromici dello strumento musicale.

«È morto?»

La donna alzò finalmente il viso verso di lei boccheggiando, come se trattenesse un grido.

«Oh Signore, no!» esclamò con voce incrinata, palesando l’orrore che l’agitava, finalmente mostrandosi nervosa nelle parole affrettate e mangiate. «Come può chiedermi una cosa del genere con quel tono?!»

«Quale tono?» domandò Éclair, sinceramente incuriosita.

La donna batté le palpebre, sottili come ali di farfalla. «Come… come se non le interessasse affatto.» balbettò, alla fine, esitante.

Éclair inclinò il viso, facendo scivolare lungo la spalla un boccolo castano.

«Ed è così, infatti.»

«Ma… è crudele.» ribatté la donna, con gli occhi che vagavano irrequieti su di lei, come se non potesse sostenere il suo sguardo. In questo, non era diversa dagli altri.

«È solo la pura verità, Madame: nutro interesse per la vostra storia, ma non sentimento affettivo o di simpatia. In fondo lei è un’estranea per me, non è così?» ragionò freddamente Éclair.

La donna deglutì e mise le mani sul grembo, spingendo lievemente sullo stomaco.

Più la guardava, più Éclair avrebbe giurato che la donna fosse una di quelle statuette del paleolitico che rappresentavano la prosperità e, soprattutto, la maternità.

Tutto in lei era un richiamo a quelle icone di madri che venivano rappresentate nelle opere teatrali o nei libri che aveva letto: la dolcezza del volto, la schiena ricurva, le forme morbide dove poter appoggiare il capo.

D’un tratto, Éclair si pentì di essere stata così diretta nel suo interrogatorio.

«Sta male, Madame? Se vuole, le faccio arrivare una tisana dalle cucine, quella al gelsomino è un vero toccasana.»

«No, no» rispose prontamente la donna, scuotendo il capo chino. «Sto bene, solo… se vuole che le racconti la mia storia va benissimo, signorina, gliela racconterò solo… per favore… non mi parli con quel tono così…» esitò, trattenendo il respiro. «Piatto

«Piatto.» ripeté Éclair tra sé, studiandone il suono. «Senza sentimento, intende.»

La donna annuì.

«Anche il professor Bonheur ha commentato qualcosa del genere poco fa, mentre leggevo una favola di de La Fontaine. Dice che sono poco espressiva. Io, al contrario, penso semplicemente di non dover fingere compassione quando non ne provo alcuna. È sincerità, la mia.»

«Mio figlio, invece, era molto sensibile alle favole da bambino.»

Éclair si ripromise di avere un’altra chiacchierata con quella donna, davanti ad una tazza di tè, faccia a faccia in modo da poterle osservare ogni piega del sorriso. Vi era qualcosa di infinitamente triste e, nuovamente, icone di madri e donne gentili le sfilarono davanti agli occhi.

«Mi parli di lui.» ordinò, secca, accavallando le gambe.

«Non… non riesco.»

«E perché?»

I loro occhi si incontrarono per pochi secondi, prima quelli della donna che tornassero sul pianoforte.

«Il suo… sguardo. Mi turba.»

«Oh.» disse Éclair, ricordandosi improvvisamente chi fosse. «Capisco. Aspetti due minuti.»

Si alzò e andò in un angolo della stanza, dove aprì uno dei cassetti di uno dei comò che fungevano da arredi. Prese tra le mani un binocolo, di quelli che suo padre aveva comprato per andare a teatro, e se lo mise sugli occhi prima di risedersi accanto alla donna.

«Ora, vi prego, mi parli di suo figlio.»

«Ma, signorina Tonnerre, è sicura che indossare un binocolo sia– »

«Non se ne preoccupi,» la interruppe fermamente la ragazzina. «Ha mai raccontato a suo figlio la favola di Follia e Amore?»

L’altra sorrise. «Certamente. Non l’ha fatto piangere come la storia del Piccolo Principe, né l’ha colpito più di tanto a dire il vero. Ma ricordo ancora quando mi disse: “Amore sarà anche un po’ triste perché non può più guardare, ma ha la compagnia di Follia ora, no?”»

La donna chiuse gli occhi, inclinando il capo con un movimento impercettibile. «È sempre stato un bambino speciale, gentile e dolcissimo di natura. Non credo di aver mai incontrato nessuno che lo odiasse seriamente, perché è capace di farsi amare. È…» La vide sfiorare il pianoforte con le dita, come se lo accarezzasse. «Come il suono d’un pianoforte.»

Realizzò in quel momento che quella madre, con la sua schiena ricurva, non avrebbe potuto cullare nessun altro bambino se non suo figlio e lei, Éclair Tonnerre, s’era già innamorata d’uno sconosciuto che calzava alla perfezione con la descrizione d’un principe.

 

Lithium, don’t want to lock me up inside,

Lithium, don’t want to forget how it feels without,

Lithium, I wanna stay in love with my sorrow,

Oh God, but I want to let it go

 

 

 

 

 

 

 

 

Secondo capitol, quello corposo. :3

E ultima nota prima di andare a nanna: gaurdate questo video. È splendido e Lithium è proprio la canzone di Éclair! <3

à http://www.youtube.com/watch?v=Rcgw9WZgmgw

 

 

Bye dall’assonnatissima XD

Kaho

  
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