Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Edward LoneBark    28/08/2016    1 recensioni
Una guerra che si trascina da tempi immemori sta per giungere al termine. Il destino ha schierato le sue pedine e attende la prossima mossa del nemico, mentre un ragazzo senza memoria cerca la propria identità, svelando misteri antichi di millenni.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cinquecento soldati avevano vissuto e combattuto in quella fortezza, ma solo in venticinque corsero a capofitto giù dal valico, verso le foreste, insanguinati ma vivi, obbedendo all'ultimo ordine del comandante Varter. La pineta li accolse dolcemente prima che i nemici facessero capolino dal passo e potessero ucciderli con le frecce.

Althervei li guardò scomparire tra gli alberi. -Trovateli e uccideteli- ordinò, e cinquanta soldati corsero giù per il pendio, le spade in pugno. -Tu e i tuoi uomini venite con me- disse invece al suo subalterno, Kadur. -Muoviamoci-.

 

La pioggia copriva i loro passi sul terreno bagnato, e il loro ansimare nella fuga, ma non il clangore dei nemici che li braccavano. Sentivano lo sferragliare delle loro armature mentre correvano, instancabili, decisi a ucciderli uno a uno.

Hedras correva, ma più cercava di ignorare il dolore più quello diventava insopportabile. Il mondo prese ad girare come una trottola, ondeggiando in un vortice folle e nauseante. Il piede colpì una radice, e volò a terra.

-Hedras! Alzati!- La voce giunse lontana mille miglia, deformata, coperta dalla pioggia che ticchettava incessante sulle fronde. Lo sferragliare era sempre più forte, ma non gli importava. La sua testa si stava spaccando, bruciava, come incendiata.

A malapena si accorse che qualcuno l'aveva afferrato e lo stava portando.

-Tieni duro, amico. Non mollarmi adesso- disse Vivan, ansimando. -Aiutatemi!-

La terra scorreva sotto di lui, migliaia di aghi annegati nel fango, che diventava sangue mentre la vista si oscurava e i rumori e le grida si ovattavano fino a svanire.

 

Era notte, e la radura era immersa nelle tenebre. Il silenzio era rotto solo dai cupi richiami dei rapaci notturni, e dal fioco sibilare della brezza che scuoteva dolcemente le fronde degli aghifoglie.

Hedras aprì gli occhi. Il dolore si era placato fino a ridursi ad un pulsare sordo, come quello di una ferita in via di guarigione.

Forse sto morendo pensò, vagamente divertito. Che ironia sopravvivere alla carneficina per crollare il giorno dopo, illudendosi di aver raggiunto la salvezza.

Si tastò la nuca e vi trovò una rozza fasciatura, ruvida e incrostata di sangue secco.

Attorno a lui dormivano i reduci, appoggiati agli alberi, seduti o coricati sul terreno fangoso. Ne udiva il lieve respiro nel sonno. Nessuno russava, come per rispettare il lutto per i compagni caduti.

Provava ancora orrore, ma era tenue, ovattato, come immaginava fosse il sentimento di chi aveva vissuto nel sangue e nella morte, e avesse visto mille volte quelle scene che sicuramente popolavano gli incubi delle poche reclute che erano sopravvissute.

Come in risposta a quel pensiero, un ragazzo vicino a lui si agitò nel sonno, il viso contorto dalla paura.

Come mai gli era successo prima di allora, ebbe paura di ciò che celava il suo passato. Forse a volte è meglio non sapere, pensò, mentre tutte le nuove possibilità affollavano la sua mente, piuttosto che apprendere una realtà orribile.

Aveva sempre creduto di essere un ragazzo come tanti, forse figlio di mercanti, di contadini, di artigiani, di aver avuto una famiglia, un tempo. Spesso si era chiesto chi fossero i suoi genitori, se fossero ancora vivi, se pensavano a lui.

Forse non aveva perduto la memoria per un caso. Forse lo aveva fatto per dimenticare qualcosa di orribile.

Quando si assopì era ancora avvinto dall'angoscia, e dal senso di solitudine che in quei mesi non aveva mai abbandonato le sue notti.

 

Si svegliò all'alba, insieme a tutti gli altri. Erano pochissimi, se pensava alla piccola armata che si era radunata dietro ai cancelli del forte, e non erano di certo gli elementi migliori di essa. Di venticinque, dieci erano reclute o soldati appena nominati in attesa di partire per Kerar Kaud, come lui, Vivan e altri due suoi compagni di corso.

Degli altri l'unico ufficiale era Marton Greyvass, un veterano sulla quarantina che aveva passato al Primo Valico solo gli ultimi due anni, dopo aver difeso il regno dalle invasioni dell'Est.

Erano spiazzati, tutti quanti. In decenni di guerra non si era mai verificato un simile episodio. I nemici erano troppo forti, come si erano visti solo nei primi anni, e un incantesimo, perchè sicuramente di quello si trattava, li aveva nascosti abbastanza a lungo da impedire ai soldati del Primo Valico di organizzare una valida difesa. Se un'offensiva simile avesse colpito nelle regioni centrali, dove la guerra aveva infuriato fino a quel momento, non sarebbe nemmeno riuscita a superare il confine, ma di certo non ce la si aspettava in un punto tanto sperduto e difficile da attaccare, almeno per un esercito di uomini.

In molti si erano chiesti perchè attaccare lì, ma nessuno aveva trovato una risposta. Le Montagne del Nord erano facilmente difendibili e non vi erano punti strategici importanti, e la città principale, Harkad, era più vicina al limitare delle Piane Centrali che al valico.

L'esercito era vasto, ma la controffensiva in arrivo da Kerar Kaud non avrebbe faticato a distruggerlo, recuperando in fretta le Montagne e ripristinando il confine.

Qualunque fosse il motivo, non erano in grado di comprenderlo. Forse Arkader era meno temibile di quanto credessero e aveva investito in quel punto una grossa potenza militare solo perchè riteneva di poter sfondare facilmente, cosa che aveva fatto, senza un piano strategico più ampio.

Tuttavia per tutti loro il problema più concreto era un altro. Avevano un esercito alle calcagna e dovevano raggiungere i rinforzi prima che i nemici sguinzagliati per ucciderli li raggiungessero. Sembrava che li avessero seminati, ma non c'erano certezze, e potevano ricomparire da un momento all'altro.

Avevano corso per tutto il giorno, i più robusti che trasportavano i feriti incapaci di correre, e al calare delle tenebre erano stati costretti ad accamparsi, esausti. Tuttavia la terribile ansia della notte li aveva tenuti in tensione, cosicchè all'alba erano quasi più stanchi di quando si erano accampati.

Hedras li guardò raccogliere le proprie cose, aggirandosi come spettri tra gli alberi. In molti, in particolare le reclute, avevano ancora l'orrore dipinto sul viso.

La testa doleva ancora, ma si sentiva in forze, dato che era stato portato a braccia per tutto il giorno precedente. Si sentì vagamente imbarazzato all'idea che qualcuno avesse rischiato la vita per portarlo in salvo. Avrebbe camminato da solo, quel giorno, non importava a che condizioni.

Con soddisfazione, tuttavia, si rese conto di potersi muovere senza molta fatica. Quando si alzò, pur lentamente, un alone bianco gli coprì il campo visivo, mentre la testa sembrava esplodergli, squarciata da una fitta atroce che si irradiava fino alla schiena, ma poi il dolore si attenuò, una presenza fastidiosa ma facile da ignorare. Ringraziò la propria fortuna. La ferita non era così grave come aveva creduto, dunque. Mentre cercava Vivan, si chiese come avesse fatto a sopravvivere a un colpo di spada alla nuca.

Trovò l'amico poco lontano, appoggiato a un albero ma con gli occhi bene aperti, stravolto. Hedras capì che non aveva dormito. Quando alzò gli occhi su di lui, un'ombra di sorriso gli stirò appena le labbra. -Vedo che stai meglio- disse, alzandosi. -Temevo che quella ferita fosse grave-

-Anch'io, ma a quanto pare non lo era. Come ti senti?-

-Sono stato meglio- replicò Vivan. Era ancora sconvolto, glielo leggeva negli occhi, ma cercava di non darlo a vedere, ostentando noncuranza. -E' un miracolo che siamo sopravvissuti-

-Un miracolo di nome Varter- disse una voce profonda. Marton Greyvass emerse dagli alberi, corazzato e con la spada in pugno. Basso ma robusto, era un eccellente guerriero ma non si era mai distinto come condottiero. Hedras sperava che sarebbe riuscito a guidarli in salvo, malgrado la situazione disperata.

-Se il comandante non si fosse sacrificato, noi saremmo tutti morti. Comunque non ci ha ordinato di ritirarci perchè potessimo fuggire con la coda tra le gambe. I comunicatori sono riusciti a mandare un messaggio a Kerar Kaud, e hanno mandato una controffensiva da Harkad

per liberare la valle. Ci congiungeremo a quella e combatteremo finchè quei maledetti non saranno tutti a terra, chiaro?-

-Signore, la guarnigione di Harkad non è abbastanza forte per un simile scontro. Perchè non l'hanno inviata da Kerar Kaud?-

Greyvass lo guardò per qualche istante prima di rispondere. -Troppo lontano. Al loro arrivo la valle sarebbe completamente distrutta. Confidano che i guerrieri di Harkad siano sufficienti. E comunque è Tharmunor a comandarli. E' uno dei nostri migliori comandanti, e sono certo che non fallirà-

Hedras annuì, ma era scettico. Un altro massacro avrebbe dato il colpo di grazia al Nord, e poteva aprire una facile via all'invasione nemica, una ferita che poteva privare il regno di ingenti risorse. Tuttavia era un rischio che si doveva correre per salvare le Montagne dalle razzie del nemico, e ogni istante era prezioso.

Hedras andò a ringraziare Firmar, il robusto veterano che l'aveva trasportato per tutto il giorno precedente, e il vecchio medico del campo che tutti conoscevano come Vecchio Corno, che lo aveva bendato al termine della fuga, quando si erano accampati, dopo che Vivan glieli ebbe indicati. Il secondo aveva controllato la ferita, aveva scosso la testa e aveva borbottato: -Hai una bella fortuna, ragazzo. Mi chiedevo se saresti sopravvissuto alla notte e ora riesci a camminare sulle tue gambe. Buon per te-

La frase l'aveva impensierito, ma aveva deciso di smettere di porsi domande su tutto quello che non riusciva a spiegarsi, o sarebbe impazzito, e l'amnesia in quegli anni aveva rischiato più volte di farlo ammattire.

Ripartirono dopo pochi minuti, determinati a sopravvivere, ma stanchi e affamati. Le esigue provviste che erano riusciti a portare erano state spartite e consumate, e si trovavano senza cibo. Alcuni riuscirono a prendere qualche uccello, ma non era certo abbastanza per sfamarli tutti.

Dopo poche ore, Hedras sentì il dolore sciamare fino a svanire quasi del tutto. Il ritmo rapido e costante della corsa svuotò rapidamente la sua mente, che, senza che se ne accorgesse, metabolizzava gli eventi e inconsciamente li elaborava, estrapolandone le informazioni che non aveva colto nel turbine di emozioni in cui erano avvolti.

Il cervello passò al vaglio tutte le ipotesi, scartando tutte quelle meno probabili ed esaminando accuratamente anche quelle che considerava assurde o si vergognava ad accettare. Quando sciolse la fasciatura e scoprì sotto la pelle intatta, ebbe la conferma.

Questo è il modo di combattere dei Luminosi, ho avuto modo di constatarlo con precisione.

Era ovvio, ma il fatto di non essere mai stato in grado di controllare la magia lo aveva portato a scartare quella possibilità. Ma lui era un'anomalia, un senza-memoria. Come aveva dimenticato la sua vita precedente poteva aver benissimo scordato come controllare la Luce, che tuttavia gli aveva impedito di morire sotto quel colpo di spada e lo aveva guarito da una ferita potenzialmente fatale. Dunque gli era impossibile controllarla, ma poteva innescarne gli effetti in casi di emergenza e pericolo di morte.

Forse si stava solo illudendo e non era altro che un uomo comune, ma quella possibilità sembrava ogni istante meno probabile. Doveva capire come controllare la magia, e usarla al meglio per salvare tutti da quella situazione disperata. I nemici non si vedevano ancora, ma non aveva senso illudersi di poterli seminare. Gli oscuri erano lenti ma instancabili, non dovevano dormire né mangiare, e loro erano sfiniti e affamati, nonché lontani diverse valli dalla forza militare più vicina. Solo la magia avrebbe potuto trarli in salvo.

Tuttavia, il fatto di poter essere lui stesso un Luminoso era difficile da accettare. Aveva perduto la memoria, ma aveva conservato molte conoscenze della propria realtà, connesse alle relative sensazioni. E sapeva che i Luminosi era esseri incredibili.

Esisteva un mago comune circa ogni venti persone, perfino secondo alcuni tutti erano maghi ma solo pochi in grado di sviluppare e usare la forza magica. Ma esisteva un Luminoso ogni mille maghi, e oltre ad essere più rari erano anche incommensurabilmente più forti. Controllavano la Luce, il principio magico più potente che esistesse insieme all'Oscurità, ed erano in grado di piegarla al proprio volere. Erano i guerrieri più potenti, specialmente contro le truppe di Arkader, ed erano considerati eroi in tutto il regno. Si diceva perfino che fossero i discendenti di Nexuras, l'eroe che aveva salvato Eternis quasi duemila anni prima sacrificando la propria vita, protagonista di metà delle leggende che le madri raccontavano ai propri figli prima di dormire. Se fosse stato davvero uno di loro avrebbe ricevuto un addestramento speciale all'Accademia della Luce, sarebbe diventato uno dei soldati di punta dell'esercito e avrebbe ottenuto una carriera di gloria e fortuna. Era dolce ma difficile credere ad una simile prospettiva.

Cercò dentro di sé. Se non avesse perduto la memoria sarebbe stato in grado di avvertire la Luce scorrere attorno a lui e sarebbe riuscito a convogliarla in sé, per poi trasformarla in ciò che voleva. I Luminosi erano più potenti perchè potevano convertire poca Luce in grandi quantità di Pharenas, la magia comune, dando vita ad incantesimi che anche lo stregone più potente avrebbe faticato a sviluppare.

Ma se davvero aveva quella capacità, non sapeva come usarla. Il mondo sembrò inerte come sempre davanti alla sua ricerca, all'esterno della sfera dei cinque sensi. Non sapeva nemmeno da dove cominciare.

Si arrese subito, come l'ardimentoso guerriero che getta la spada perchè non ha idea di dove i nemici si trovino, ma deciso a riprenderla nel momento in cui questi si manifestassero.

Continuò a correre, sentendosi sempre meglio ogni ora. Durante l'addestramento si era abituato alle lunghe marce e alla corsa su terreni dissestati, nonché al gelo feroce dell'inverno del Primo Valico, che sopito attendeva di poter aggredire nuovamente la valle e scendere sul regno, in una marea ciclica ed eterna; non era altro che un nemico in più da fronteggiare. Se si fosse messo a nevicare sarebbero rimasti intrappolati nella vallata senza possibilità di fuga, gelati e senza cibo.

Non credo potrebbe andare peggio di così pensò Hedras, sconfortato.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Edward LoneBark