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Autore: merlot    30/08/2016    9 recensioni
{ Storia ad OC } { Iscrizioni ancora aperte -- per informazioni vedere prologo e primo capitolo } {AU}
«Chernobog» sibilò dolcemente e, docili come gattini, i grossi volatili planarono sul suo braccio. Le sue mani abili ci misero poco ad attaccare le pesanti buste di pergamena alle loro secche zampe grigie «Luison. Nga. Ogbunabali. Whiro. Eingana. Tuoni»
Non appena ebbe finito, portò le dita alle labbra e un acuto fischio perforante sgorgò dalle sue labbra. In un unico, preciso starnazzo, lo stormo di corvi si alzò in volo, una pioggia di piume bere e vorticanti attorno alla figura imponente e cupa di Ereshkigal.
Ali oscure, oscure parole, rifletté Dark, mentre il fruscio delle ali svaniva nell'oscurità e i volatili scomparivano ai quattro angoli del mondo per portare i loro messaggi di morte e dolore.
Scosse il capo, irriverente.
Poi alzò il volto e sorrise alla dea.
E l'oscurità gli sorrise di rimando.

♔ ♔ ♔
Una misteriosa scuola di assassini persa nelle pieghe del tempo. Uno stuolo di nuovi adepti, pronti a tutto per raggiungere i loro scopi.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Kageyama Reiji, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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empire of shadows

 Ascoltami, Ereshkigal. Ascoltami, o madre.

Questa carne, il tuo banchetto.

Questo sangue, il tuo vino.

Questa vita, questa fine, quest'anima,

la nostra offerta per il tuo sodalizio.
Tienila stretta



 

 

 

 

 

atto I

 she watches 

 

 

 

 



» Ekaterinburg, Russia

U

ccidere un uomo, sorprendente, non era una cosa difficile.

Non era come lo descrivevano nelle tragedie shakespeariane, con fiumi di sangue e maledizioni e spiriti vendicativi che avrebbero albergato nei tuoi incubi fino alla fine dei tuoi giorni.

Beh, pensandoci bene, la parte del sangue non era poi così irrealistica, ma solo nel caso in cui avessi la sfortuna di tranciare un’arteria, e ci sarebbe stato un grandioso spettacolo pirotecnico di schizzi fino a tre metri di distanza.

Belyy non era particolarmente amante di quel sapore ferruginoso o di tutto quel rosso fastoso e stravagante, perciò aveva sempre optato per armi da utilizzare ad una certa distanza ed evitare lo spiacevole inconveniente di dover gettare i suoi vestiti; per ora il problema non era sorto, ed era bastata una singola, silenziosa freccia a mettere fine alla vita del soldato.

Era stata una morte pulita e veloce, nulla di troppo strappalacrime e, nel gelo di Ekaterinburg nessuno avrebbe notato quel corpo abbandonato sui gradini del Bol’shoi Zlatoust, il caftano beige ormai reso scuro dal sangue e la strada ghiacciata che succhiava i rimasugli di calore dalle ossa morenti.

La piazza era vuota a quell’ora di notte, la gente probabilmente chiusa nelle case, accoccolate l’una accanto all’altra come sorelle; preparativi per il Natale, magari? Dopotutto erano i primi di gennaio. Non c'era niente di migliore di starsene a casa davanti al focolare, un bicchiere di chai o kvas alla mano ed un libro nell'altra. Il freddo della Russia non perdonava e lui stesso sentiva che stava battendo i denti nella luce tremolante delle lampade a petrolio. Ekaterinburg era una città piccola ed insignificante, dove i contadini stanchi e sottopagati si riunivano la sera a cantare canti patriottici o kalinka mentre le mogli si affaccendavano sui fornelli, sfornando shashlikì, salyanka e pirožki. Insomma, la cittadina dove i bambini giocavano a tirare le slitte e a pattinare sul fiume ghiacciato d'invero, dove non c'era molto da fare se non andare in chiesa o chiacchierare degli scandali alla corte di Alessandro III.

Con calma, le dita ancora inebriate dalle endorfine e il respiro pesante, Belyy abbassò l’arco al suo fianco, occhi felini che divoravano la notte mentre, piano piano, scavalcava la ringhiera della terrazza e veniva ingurgitato dalla notte.

Arteria femorale, arteria addominale, aorta, arterie polmonari, carotide, epatica, renali, mesenteriche, iliache destra e sinistra, gastrica, succlavie destra e sinistra…

Ripeté mentalmente la solita litania mentre, con passo felpato, raggiungeva il suo bottino, il volto ricoperto da una maschera di gelida determinazione.

Sapeva a memoria tutti i posti dove infilare una lama per uccidere, eppure gli occhi azzurri del soldato, spalancati verso il cielo con un’intensità da fargli venire i brividi, lo colsero impreparato.

Non che si sentisse particolarmente misericordioso: l’uomo non poteva essere più che un ragazzo cresciuto troppo in fretta, che aveva avuto la sventura di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

E l’Ordine non era certo una congrega per abbracciatori di cuccioli e persone con scrupoli; e lui non riusciva mai a reprimere il senso di meraviglia e disgusto che lo assaliva ogni volta che ci pensava.

Dopotutto era il suo lavoro ed aveva scelto Ekaterinburg per uno scopo preciso: non essere notato. Se avesse ucciso un uomo nel centro di San Pietroburgo, la sua carriera da assassino sarebbe stata breve e, in poco tempo, avrebbe avuto l’intero esercito imperiale dello zar alle sue calcagna.

Ekaterinburg non era un centro mondano, contava poco più di centocinquant’anni e sarebbe stato facile defilarsi nelle campagne attorno, come un’ombra, un nessuno.

Belyy Tigrenka si rese conto che aveva perso molto più che la sua innocenza.

Belyy Tigrenka aveva venduto la sua anima ad una dea dal volto ignoto e, anche se le sue mani ora erano pulite, non sarebbe mai riuscito a lavare l’inchiostro che avviluppava il suo cuore.

Sorrise tristemente, lanciando uno sguardo dietro di sé per vedere se qualcuno l’aveva notato, se qualcuno si fosse fermato.

Era solo. E d’ora in poi lo sarebbe sempre stato.

Scrollò le spalle e si mise al lavoro.

 

 

» Pontevedra, Spagna

Quella notte d'inverno, il cielo piangeva.

Non un pianto disperato di una vedova, o il frignare isterico di un bambino cocciuto, ma piuttosto il cadenzato ed aggraziato dolore di una fanciulla, privata prematuramente della sua innocenza. Le gocce cadevano lievi, in un piovigginare quasi insulso che non riusciva ad inzuppare il mantello della figura appostata sul tetto della struttura.

Aysha Meghara era rimasta lì per ore, tutti i muscoli del corpo intorpiditi dall'immobilità che si era autoimposta, il respiro calmo e rilassato nonostante ciò che si stava accingendo a fare.

Respira. Inspira.

Lei erale due gambe. Il suo sangue. Le sue ossa. La sua determinazione.

Lei era l'acciaio nelle lame affilate dei suoi pugnali.

Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.

Una ragazza.

Un'assassina che piano piano si accucciava, scivolando elegantemente sui tetti, il silenzio ai suoi piedi, il dolce sorriso sulle labbra.

Ma lì, accosciata nelle ombre, il respiro che creava mulinelli di nuvole gelide nella notte senza stelle, la ragazza cessava di essere una ragazza, smarriva i suoi confini, il suo nome, il suo passato e il suo corpo si fondeva con le ombre.

Un'ombra, nient'altro che una striscia di tenebra di vaga forma umana.

Respira. Inspira.

La sua preda era lì, perfettamente innocua ed ignara della sua presenza, chino sullo scrittoio, stempiato, i buffi occhiali tondi appoggiati precariamente in bilico sulla punta del naso, che sembravano voler saltare giù sulla pergamena vergata di inchiostro fresco.

Monsignor Gonzalo Ferreira da fuori sarebbe sembrato un religioso modello, il tipo di persona che faceva la carità ai poveri e aiutava i bambini perduti a ritrovare i genitori. Aysha l’aveva osservato per due settimane, appostata sui tetti per sorvegliare ogni suo minimo movimento e per notare come i soldi per la costruzione del Convento de San Francisco venivano impiegati e come, una grossa parte rimaneva nelle sue tasche, nascosta sotto una pietra nel pavimento.

I soldi dei deboli. I soldi dei poveri, della gente che credeva in lui.

E, se la Nostra Signora dello Sconforto l’aveva effettivamente messo sulla strada di Aysha, significava che doveva avere parte nella sua caduta, volente o nolente.

Con delicatezza, le sue dita affusolate scorsero lungo le zigrinature del metallo ripiegato, i coltelli attentamente riposti sotto il pesante mantello, il freddo che, come spilli penetrava nei suoi polmoni.

Aveva atteso anni, allenandosi per quella possibilità, per il compiacimento e la soddisfazione che ne sarebbero derivati. Aysha Meghara non era una semplice assassina. Era l’assassina, l’ombra nell’oscurità, il sussurro reverente sulle bocche dei bambini, la destrezza con i suoi pugnali.

E Aysha Meghara non avrebbe fallito.

Avrebbe dimostrato a tutti di cos’era capace una donna.

Rimase lì per quelli che le parevano anni, i muscoli talmente intorpiditi che pensava che si sarebbero trasformati in pietra, il volto più muto ed inespressivo di quello di una statua, un felino pronto a balzare sulla preda nel momento più inaspettato.

Dopotutto, la caccia era una danza fatta di violenza e rapidità e Aysha sapeva ballare con quella musica meglio di chiunque altri.

E perciò attese.

Attese.

Attese.

Finché la candela finalmente si esaurì, un ultimo sboccio di fiamma nel buio, per poi lasciare spazio ai tentacoli bramosi della notte; e monsignor Gonzalo Ferreira si preparò per coricarsi.

E Aysha si preparò per uccidere.

Dieci minuti ancora, il protrarsi infinito dei secondi che scorreva limaccioso, allungando il tempo, i suoi respiri, le sue aspettative.

La pioggia continuava ad accarezzare le sue spalle rigide. Le sue dita continuavano a carezzare la lama, lente e sensuali.

E, solo quando sulla notte calò una di nuovo un drappo di silenzio, le nubi che oscuravano la luna e le stelle, Aysha si alzò lentamente in piedi, un sorriso affilato sul suo volto.

E un coltello affilato nella sua mano.

 

 

» Samarcanda, Uzbekistan

L'appuntamento da Samarra a Samarcanda. Chi non conosceva la storia del servo di Salomone e del suo sfortunato incontro con la Morte?

Willow trovava che ci fosse una certa ironia in tutta quella storia e, sebbene fosse una cosa potenzialmente stupida presentarsi lì a capo completamente scoperto, non aveva avuto idee migliori neppure alla sua millesima rilettura della criptica lettera ricevuta dal corvo. Ed ora, eccola lì, piccola ed insignificante nel mare di spezie e profumi del mercato, i suoi tratti occidentali perfettamente riconoscibili nella calca di occhi tartari e scuri. Aveva coperto il capo con un hijab scuro ed era vestita con una lunga tunica in tono e calzature maschili, ma nulla avrebbe potuto nascondere la sua pelle pallida e i suoi occhi verdi all’attenzione di un osservatore attento.

E, in quel momento, l’ultima cosa che Willow Abel voleva era destare l’attenzione di qualcuno. Una ragazza sola in un paese straniero non passava certo inosservata e, se qualche malcapitato curioso avesse deciso di esaminare quello che c’era nella sua saccoccia, l’intera storia avrebbe preso pieghe ben più scabrose.

Ma per ora, anche se non sapeva bene cosa fare o a chi rivolgersi, Willow poteva accontentarsi di apprezzare le meraviglie della città, crogiolandosi nell’ombra del Registan oppure facendo vagare pigramente lo sguardo sui minareti gemelli del Gur-e Amir, un samsa ripieno di zucca e noci nella sua mano una sacca contenente denti umani al suo fianco.

Era rimasta lì per qualche giorno, in un’attesa gravida di aspettative, per quanto i suoi miseri fondi potessero permetterle; quello era il luogo dell’incontro, ma nessuno si era fatto vivo e Willow era astrusamente annoiata.

Aveva girato la città, conversato con quel poco russo che sapeva con i nuovi occupanti della città — Samarcanda era da poco diventata la nuova capitale del Turkestan russo —, imparando qualcosa riguardo alla sua storia.

Samarcanda era stata per anni il nodo centrale di commerci di seta e di spezie, più volte capitale di svariati imperi, come quello di Tamerlano o di quello persiano. Pensare che le pietre livellate e quell'armonia musicale ed arabeggiante erano stati fondati settecento anni prima di cristo, dava un risvolto nuovo e quasi surreale a quel crocevia di merci e culture. Samarcanda era il punto focale della via della seta, dove i 'salaam', gli 'shalom', i 'priviet' e i 'barev' si incontravano, formando un incongruo ma particolare puzzle culturale. Eppure, sotto sotto, Willow sentiva una certa tensione stemmare dagli sguardi carichi di disprezzo rivolti ai soldati russi. Abramov non era stato gentile nella dominazione e la popolazione ricordava ancora i tempi fiorenti dell'emirato e le campagne di Abdul Malik Tura, e la freddezza dei russi era probabilmente invisa.

era una città che fondeva insieme le meraviglie della Russia imperiale con i sapori dell’oriente, dove le etnie diverse si mescolavano in un sincretismo vivo e multiculturale ed ogni aspetto edonistico era soddisfatto.

Non aveva mai avuto la possibilità di conoscere il mondo in un’isola chiusa come l’Irlanda, ed era stata felice di visitare la moschea, ascoltando le incomprendibili preghiere in arabo e meravigliandosi della brillantezza dei mosaici e delle decorazioni sulle grandi arcate del luogo di culto.

Non che tutto quello l’avrebbe aiutata a scoprire cosa esattamente ci facesse lei in quel posto sperduto, ma Willow tentava di assumere un atteggiamento positivo.

Sospirò tra sé, facendo dondolare i piedi dal posto in cui era abbarbicata, sulla fontana. Aveva già fatto il giro del mercato tre volte e, francamente, tutte quelle spezie avevano iniziato a darle in mal di testa.

Probabilmente avrebbe fatto meglio a tornare al suo alloggio ed iniziare ad ordire un piano d’azione. Se l’Ordine non si fosse fatto sentire, ci avrebbe pensato lei, in un modo o nell’altro.

Camminava distrattamente lungo le sponde del fiume Zeravshan, mani strette dietro la schiena mente la sua mente esaminava tutte le possibilità papabili.

Chiedere in giro? Suicidio.

Tentare di attirare l’attenzione su se stessa con qualche azione illecita? Stupido e rischioso.

Magari avrebbe potuto trovare informazioni in qualche bisca malfamata della città, ma non era esattamente nei suoi pian—

«Attenta!» Willow sussultò improvvisamente, accorgendosi solo all’ultimo momento del carretto trainato da cavalli che le stava venendo incontro. Sgranò gli occhi smeraldini, sentendo i muscoli contrarsi per il terrore e l’istinto di sopravvivenza che le urlava di scansarsi.

Il guidatore aveva perso il controllo o più probabilmente aveva avuto un malore e il mezzo di trasporto sbandava di lato, accompagnato dai nitriti furiosi dei cavalli e dalle urla dei mercanti le cui merci erano state spappolate dall’impeto dell’affondo.

E Willow ora era proprio lì, immobile come una statua e stregata da quella che sembrava la sua morte imminente.

I suoi occhi si potevano fermare su ogni più piccolo fotogramma della sua disfatta, il respiro dei cavalli imbizzarriti, il ciondolare della testa dell’uomo, il grido di avvertimento di una donna. Il flusso del tempo sembrava essersi rallentato, ogni battito si allungava in un’eternità priva di movimento e colore.

L’appuntamento con la Morte a Samarcanda, eh?

Willow sentì i tentacoli freddi dell’accettazione costringerle lo stomaco ed un sorriso lieve graziarle a bocca, ilarità che esplodeva nel petto per l’ironia dell’avvenimento.

Era bellissimo e terribile e tristissimo allo stesso momento.

«Non restare lì impalata!» una voce maschile la destò dai suoi pensieri ma, prima ancora che Willow potesse determinarne la fonte, sentì due mani afferrarla per li fianchi e spingerla lontano dal centro della strada, una frazione di secondo prima che il carro la centrasse in pieno, sfracellandosi contro il muro di una casa.

Il posto dove prima erano stati i suoi piedi, ora un cumulo di stoffe aggrovigliate e macerie.

Willow sentì il proprio corpo tornare gradualmente alla realtà, i suoi sensi che tornavano acuti di nuovo, il rumore assordante del battito feroce del suo cuore, i suoi respiri mozzi, gli arti che sembravano misteriosamente ancora attaccati al tronco.

E tutto ciò grazie al ragazzo che l’aveva miracolosamente salvata da morte certa.

«Qualcuno chiami un medico!» sbraitò un mercante arabo dal grosso turbante bianco ed ingioiellato.

«I miei datteri!»

«State tutti bene?»

«Sei tutta intera?» Willow sgranò gli occhi, rendendosi conto solo in quell’istante che il ragazzo che l’aveva salvata stava parlando proprio con lei. I suoi occhi color miele, lievemente rivolti all’ingiù, la stavano osservando con preoccupazione; un lampo di qualcos’altro di più gelido baluginò in un istante dentro quello sguardo, ma fu troppo veloce perché la ragazza comprendesse di cosa si trattava.

«Ah, io, ecco—» l’hijab si era spostato, rivelando i corti capelli rossi, che ora si muovevano nel vento. Solo in quel momento tutto l’imbarazzo per la figura idiota che aveva appena fatto la colpì in pieno. Era un’assassina, per Ereshkigal! «A parte l’orgoglio ferito, credo di non aver nulla di rotto»

Il giovane uomo ribaltò il capo all’indietro, scoppiando in una fragorosa risata e porgendole la mano, gli occhi che sembravano ammiccare nella luce di mezzogiorno.

«Non essere così dura con te stessa, menina» le fece l’occhiolino, tirandola in piedi e lanciando uno sguardo contrito al carro ormai sfasciato e alle persone che stavano piano piano formando un cerchio attorno alla scena «Ogni tanto capita qualche imprevisto»

«No, è colpa mia. Avrei dovuto prestare più attenzione» replicò lei seccamente, schiaffeggiandosi mentalmente per la distrazione che avrebbe potuto costarle la vita.

«Può darsi» il ragazzo sembrò soppesare le sue parole, per poi sorridere lievemente «Il mondo è sempre pieno di nemici per una menina che viaggia da sola. I nemici sono da tutte le parti»

«Ah, sì, uhm, grazie per avermi—» iniziò la ragazza, spolverandosi i vestiti con i palmi per rimuovere la sporcizia accumulatasi sulla sua tunica. Quando però alzò il capo, il ragazzo era sparito nel nulla.

Così come la sua sacca dei denti.

 

 

Thiago era annoiato.

Thiago era più che annoiato, e sapeva che la noia era uno dei compagni peggiori in situazioni tese come la sua. La noia lo spingeva a fare cose folli solo per sentire il gusto del ferro sulla lingua e l’adrenalina nelle vene.

Buttarsi in mezzo alla strada per arraffare il bottino della ragazza era stata una pazzia. Ovviamente aveva dovuto trascinare anche lei fino al marciapiede come effetto collaterale e il suo furto stava quasi per naufragare tristemente.

Non che ne sia valsa la pena, pensò, esaminando distrattamente il contenuto della sacca da una terrazza del Registan, appollaiato come un gatto sornione nel cielo che fiammeggiava ad occidente.

Un’irlandese a Samarcanda non passava certo inosservata e lui era stato contento di constatare che non era l’unico lì per la chiamata dell’Ordine.

Purtroppo la prospettiva del gioco di squadra non lo allettava particolarmente, ma era curioso di vedere cosa avrebbe fatto la ragazzina dopo la scoperta del furto.

Certo non poteva andare a frignare con le autorità.

Giocherellò distrattamente con i lacci della saccoccia, tanto simile alla sua; il rumore dei denti era inquietante, ma era anche il segno della loro pria uccisione, il loro biglietto di ingresso.

Nessuno entrava vergine nel tempio di Nostra Signora dello Sconforto.

Erano tutti degli assassini, uno più spietato dell’altro.

Un movimento alla sua sinistra.

Thiago socchiuse gli occhi ambrati, ma prima ancora che la sua vista potesse riconoscere l’oggetto che volava verso di lui, la sua mano era già scattata in aria ad intercettarlo. Le sue dita si chiusero appena in tempo attorno all’impugnature del pugnale, la punta della lama a due meri centimetri dal suo occhio.

«Però!» commentò con un fischio di ammirazione, arricciando il naso «Sei meno ingenua di quanto pensassi, menina. Cosa ci hai messo? Cianuro? Arsenico?»

«Digitale» replicò asciutta Willow, emergendo dalle ombre sulla scalinata, un mezzo sorriso sulle labbra, che però non raggiungeva i suoi occhi.

Thiago si rigirò tra le mani l’arma avvelenata con un misto di meraviglia e divertimento, tenendo sempre sott’occhio la ragazza che aveva di fronte.

«Oh, un’amante della botanica. Non per nulla il veleno è un’arma da donne» alzò un sopracciglio scuro, stuzzicandola apertamente «Sei qui per ringraziarmi di nuovo per averti salvato la vita?»

«Sono qui per riprendermi ciò che è mio» replicò lei, tranquillamente, estraendo un nuovo pugnale dalla manica.

«Oh, quello» Thiago fece spallucce, sventolando la sacca nella mano con aria compiaciuta «Chi trova tiene, chi perde piange»

«Lo hai strappare dalla mia cintura, ladro. Trovare è un eufemismo»

«Modestamente, sono piuttosto bravo a strappare di dosso capi di abbigliamento alle signorine» le fece l’occhiolino e Willow roteò gli occhi al cielo. Perché tutti gli idioti a lei? «Soprattutto a quelle ingenue come te»

«Vediamo se sarai tanto bravo anche quando ti avrò tagliato le mani» minacciò con un ringhio la ragazza, facendo un passo verso di lui con espressione incenerente e sguardo torvo in volto.

«Oh, suvvia, menina» Thiago allargò le braccia in segno di resa, scoppiando in una risata fragorosa «Non essere così scontrosa. Era uno scherzo. Anche se è un’idea allettante, eliminare la concorrenza prima ancora che la competizione incominci dimezzerebbe il divertimento. E poi, non fa mai male avere degli alleati»

Le lanciò sia il pugnale che la sacca dei denti, canticchiando compiaciuto tra sé mentre si stiracchiava e balzava in piedi, senza fare il minimo rumore.

Willow seguiva ogni suo movimento con sguardo vigile e contrariato, attenta a non abbassare lo sguardo. Le era bastato farsi fregare una sola volta da quel tipo e non voleva ripetere l’esperienza.

«Anche tu qui per l’Ordine, quindi. Suppongo che questo ci renda rivali» Willow socchiuse gli occhi con un sorriso fievole, labbra pallide e secche nel clima continentale dell’Asia centrale.

«Non necessariamente. Se per il momento sei disposta a collaborare per capire perché diavolo ci abbiano spedito qui, potrei anche evitare di tagliarti la gola. Fino a che non diventiamo adepti ufficiali, almeno» l’aveva detto in tono talmente innocente e distratto che sembrava quasi una minaccia priva di significato, ma Willow sapeva che quel ragazzo intendeva perfettamente quello che aveva appena detto. Lo leggeva nei suoi occhi, nel modo rilassato con cui rimaneva seduto sulla balaustra nonostante lei gli stesse puntando due pugnali avvelenati contro.

«Woah, sei uno affascinante, eh? Quale modo migliore per abbordare una donna se non minacciandola di morte?» si morse l’interno della guancia, sempre in campana. Dopotutto Thiago le aveva preso i denti con destrezza impressionante e non aveva intenzione di ritrovarsi con la gola tagliata a fine giornata.

«…Perché non hai ancora visto come suono la chitarra»

«Okay» questa volta Willow non seppe reprimere la risata genuina che le fiorì nel petto «Okay, accetto la tua proposta, ma non aspettarti favoritismi per quando saremo nell’Ordine»

«Se mai ci arriveremo» obiettò lui, compiaciuto.

«Se mai ci arriveremo» concordò lei, sentendosi un po’ più sollevata per il peso sollevato dalle sue spalle. Ma non troppo «A proposito, con chi ho l’onore di parlare?»

«Thiago» scrollò le spalle lui, piegando le braccia dietro il capo «Puoi chiamarmi Thiago»

 

 

 

 

Yay! Finalmente sono riuscita a finire questo capitolo e a pubblicarlo! :’)

Dunque, non è un capitolo lungo quanto quelli di Mar, ma comunque per ora basta per introdurre qualche personaggio.

Allora, conosciamo Belyy, Aysha, Thiago e Willow, che sono tutti e quattro OC che mi piacciono un casino – soprattutto Aysha, che adoro!

Poi, visto che in Marionnette vanno tutti nelle capitali, volevo mandarli in qualche posto un po’ sperduto, lol. E io amo Samarcanda, btw.

Se siete interessati alla questione dei denti, ogni adepto deve portare i denti della sua prima vittima come ‘tassa’ e ‘biglietto’ di iscrizione!

Ho scelto alcuni OC per ora, ma visto che sono molto precisa con i numeri, ho deciso di lasciare aperte le iscrizioni ancora per un po’, quindi, se qualcuno decidesse di partecipare, faccia fede alla scheda nel prologo.

Specificatamente, avrei bisogno di un personaggio maschile ed uno femminile e non mi dispiacerebbero degli asiatici/latini/italiani, per un po’ di diversità!

Mi spiace per le persone che non sono state scelte ;w;

 

 

Belyy Tigrenka moon_26

Aysha Meghara the TORNgirl

Willow Abel _ A r i a

Marie Duval Michy_66

Wiktor Nowak C o c o

Laurent Simon czerwony

Sherilyn Bennet darkblue_moon

Claudine Blanchard Marina Swift

Bjarne Göransson Kyem13_7_3

 

 

Poi, vbb, Thiago è il mio husbando, giù le mani ;)

Also, da questo capitolo potete scrivermi via recensione chi volete come interesse romantico – potete scegliere chiunque, in tutte le serie.

Detto questo, non so esattamente quando uscirà il nuovo capitolo, perché sono intrippata con Marionnette ora (che aggiorno venerdì, lo giuro su Ereshkigal).

E… niente! Alla prossima ~

ange

 

 

 

 

  
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